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Covid 19 e differimento della pena nelle forme della detenzione domiciliare alla luce del d.l. 29/2020

Nota a sentenza Cass., Sez. I, 20 novembre 2020, n. 35772, Pres. Casa, Rel. Centonze


Abstract: Il Tribunale di Sorveglianza, revocando il provvedimento di differimento della pena nelle forme della detenzione domiciliare, precedentemente emesso in favore di un detenuto in gravi condizioni di salute al fine di evitargli un eventuale contagio da Covid-19, e disponendo il suo trasferimento presso altra Casa Circondariale, ha errato poiché avrebbe dovuto tenere conto sia dell’astratta idoneità dei presidi sanitari fruibili dal detenuto all’interno del circuito penitenziario, sia dell’adeguatezza concreta del percorso trattamentale apprestato per assisterlo nelle sue esigenze terapeutiche; nel valutare quest’ultimo profilo, al contempo, avrebbe dovuto tenere conto della situazione epidemiologica, connessa all’emergenza sanitaria di COVID-19, del territorio di possibile allocazione del detenuto, che doveva essere vagliata attraverso la consultazione del Presidente della Giunta della Regione, così come disposto dagli artt. 2, comma 2, e 3, comma 2 del decreto-legge n. 29 del 2020.  

L’autore condivide il principio enunciato dalla sentenza in commento che pone l’accento sul rischio di contagio derivante dalla detenzione in carcere e sull’obbligo del giudice che deve, di volta in volta, valutare se la patologia del ristretto possa effettivamente, in caso di infezione da Covid19, determinare un pericolo per la sua vita o quantomeno un aggravamento della malattia.

The author shares the principle enunciated by the sentence in question, since it is clear that prison detention can facilitate the spread of the virus, given the conditions in which the prisoners live connected to the known difficulties of ensuring the maintenance of safety distances. The Judge must, from time to time, assess whether the pathology of the restricted person can actually, in the event of Covid19 infection, cause a risk to his life or at least an aggravation of the disease.   

SOMMARIO 1. La sentenza – 2. Il differimento della pena – 3. I decreti legge nn. 28 e 29 del 2020 – 4. I precedenti – 5. Conclusioni

1. L’intervento della Suprema Corte traeva origine dall’impugnazione dell’ordinanza con la quale il Tribunale di sorveglianza di Sassari revocava il provvedimento di differimento della pena nelle forme della detenzione domiciliare emesso nei confronti del prevenuto dallo stesso Tribunale di sorveglianza durante il periodo di detenzione del medesimo presso la Casa Circondariale di Nuoro. Il provvedimento di differimento della pena nelle forme della detenzione domiciliare veniva emanato in ragione delle conseguenze negative che un eventuale contagio da Covid 19 avrebbe determinato sulle condizioni di salute del detenuto, già precarie, in quanto lo stesso era affetto da patologie gastriche e cardiologiche per le quali aveva subito un intervento di angioplastica.
Ebbene, il provvedimento di revoca del Tribunale di sorveglianza di Sassari veniva emesso – ex art. 3 decreto-legge 10 maggio 2020, n. 29, convertito, con modificazioni, dalla legge 2 luglio 2020, n. 72 – sulla base della considerazione per cui le condizioni di salute del prevenuto si erano stabilizzate e pertanto risultavano compatibili con il sistema carcerario previgente e consentivano il trasferimento presso la Casa Circondariale di Catanzaro, che gli avrebbe assicurato cure consone, come aveva assicurato il Dipartimento dell’Amministrazione penitenziaria. 
Nel ricorso per cassazione, il difensore del detenuto deduceva violazione di legge e vizio di motivazione in riferimento agli artt. 147, comma 1, n. 2, c. p., e degli artt. 2 e 3 del decreto-legge n. 29 del 2020. Più precisamente, eccepiva che l’ordinanza impugnata si limitava esclusivamente a richiamare gli esiti degli accertamenti sanitari ai quali era stato sottoposto il detenuto, senza tenere in considerazione il fatto che le sue problematiche patologiche, sia attuali che risalenti, rendevano evidente l’incompatibilità con il regime carcerario, anche alla luce dell’emergenza sanitaria da Covid19.        
La Suprema Corte ha accolto il ricorso e la decisione ha dei saldi punti di riferimento in due precedenti pronunce[1] secondo le quali occorre sempre effettuare un bilanciamento delle esigenze terapeutiche con la pericolosità sociale del condannato, attraverso una verifica in concreto delle condizioni applicative della detenzione patita dal recluso. In questa ottica, il Tribunale di sorveglianza di Sassari aveva omesso di valutare la situazione emergenziale determinata dall’imperversare del Covid-19, dal momento che la scelta di far scontare la pena del prevenuto nella Casa Circondariale di Catanzaro non teneva in considerazione che ciò avrebbe potuto determinare un aggravio delle patologie, andando a ledere gli artt. 27 e 32 Cost.   
Inoltre, la Corte ha rilevato che l’art. 2 del decreto-legge 29 del 2020, al primo comma, prescrive l’acquisizione di pareri “del Procuratore distrettuale antimafia del luogo in cui è stato commesso il reato e del Procuratore nazionale antimafia e antiterrorismo” e che tali pareri devono al contempo essere correlati, secondo quanto disposto dal secondo comma, dalla consultazione “del Presidente della Giunta della regione, sulla situazione sanitaria locale” e dall’acquisizione di informazioni del “Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria”. Qui, il Tribunale di Sorveglianza di Sassari aveva omesso completamente di verificare la situazione epidemiologica catanzarina, non consultando preventivamente il Presidente della Giunta della Regione Calabria, a nulla rilevando che nella stessa casa circondariale vi fosse una Sezione di Assistenza Intensificata.     
Pertanto, la Suprema Corte ha annullato l’ordinanza concludendo che: “la valutazione del Tribunale di sorveglianza di Sassari – effettuata ex artt. 2 e 3 decreto-legge n. 29 del 2020 – sull’incompatibilità tra il regime detentivo carcerario e le condizioni di salute di (omissis) doveva tenere conto sia dell’astratta idoneità dei presidi sanitari fruibili dal detenuto all’interno del circuito penitenziario sia dell’adeguatezza concreta del percorso trattamentale apprestato per assisterlo nelle sue esigenze terapeutiche; nel valutare quest’ultimo profilo, al contempo, occorreva tenere conto della situazione epidemiologica, connessa all’emergenza sanitaria di COVID-19, del territorio di possibile allocazione del detenuto, che doveva essere vagliata attraverso la consultazione del Presidente della Giunta della Regione, espressamente prevista dagli artt. 2, comma 2, e 3, comma 2, dello stesso decreto”.           

2. L’art. 147, co. 1 n. 2 c.p., disciplina il rinvio facoltativo dell’esecuzione della pena, attivabile dalla parte antecedentemente all’ordine di carcerazione, o d’ufficio, ai sensi dell’art. 108 reg. esec. (d.p.r. del 30 giugno 2000, n. 230)[2]. La previsione di cui al co. 1 n. 2), concerne l’ipotesi dell’infermità fisica, la quale deve essere “grave” nel senso di effettiva fonte di danno sulla salute del prevenuto[3]. Quest’ultimo, a causa della gravità della malattia subita deve forzatamente scontare la pena in luoghi differenti dal carcere, o da luoghi esterni di cura previsti dall’art. 11 ord. penit.[4].        
In generale (e dunque al di fuori della situazione emergenziale dovuta alla pandemia), si può beneficiare del differimento dell’esecuzione se la patologia è grave e se le cure da ricevere in via extramuraria sono migliori di quelle che verrebbero prestate in carcere[5]. Infatti, l’art. 32 della Cost. sancisce che la salute è “fondamentale diritto dell’individuo” ma anche “interesse della collettività”; e, pertanto, deve essere garantita a tutti gli individui, sia liberi, sia detenuti, come sancito peraltro dall’art. 11 della legge sull’ordinamento penitenziario, che definisce le modalità di fruizione ed erogazione del servizio sanitario nazionale all’interno delle carceri[6]. In caso contrario, la permanenza in carcere – come ha ritenuto anche in questo caso la Corte di Cassazione – potrebbe addirittura deteriorare le condizioni di salute del detenuto e ciò determinerebbe una violazione dell’art. 27 comma 3 Cost., in quanto “Le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità”. L’ulteriore stato di sofferenza, infatti, rileverebbe relativamente a “ogni stato morboso o scadimento fisico capace di determinare una situazione di esistenza al di sotto di una soglia di dignità”[7].    
Dunque, il Giudice, nel disporre il differimento della pena, deve verificare l’effettiva pericolosità del detenuto alla luce del suo stato di salute in un giudizio che, se si ritiene effettivamente sussistente la pericolosità del condannato (in ragione della grave infermità fisica), non può che sfociare nell’applicazione della detenzione domiciliare, ex art. 47-ter, co. 1-ter ord. penit.[8], a meno che non esistano carceri più attrezzate dal punto di vista sanitario per quella specifica malattia o non sia possibile la degenza presso un presidio ospedaliero[9].    

3. Nell’ottica del differimento della pena per contrastare gli effetti della pandemia, le misure introdotte dal Decreto Cura Italia a marzo 2020[10], volte a diminuire il rischio di infezioni nelle carceri a causa del Covid 19, avevano generato grosse divisioni all’interno dell’opinione pubblica (oltrechè in dottrina) e perciò l’Esecutivo provvedeva all’emanazione di due nuovi decreti legge: il n. 28 e il n. 29 del 2020[11].           
Il D.l. 10 maggio 2020, n. 29 è stato convertito in legge insieme al decreto legge 30 aprile 2020, n. 28, con l. 25 giugno 2020, n. 70, ma con consistenti modifiche rispetto al testo iniziale. Di fatto, solo il d.l. n. 28 è divenuto legge; il d.l. n. 29 è stato abrogato dall’art. 3, l. 70/2020, che ha altresì stabilito la persistente efficacia dei provvedimenti emanati in virtù dello stesso, avendo fatto “salvi gli effetti prodottisi e i rapporti giuridici sorti sulla base del medesimo”.            
Tuttavia, le disposizioni contenute nel d.l. n. 29 sono comunque ancora in vigore: esse, infatti, sono state trasferite nel d.l. n. 28, seppur con alcune innovazioni, sotto le spoglie di modifiche, realizzate su tale decreto in sede di conversione[12]. Con codeste modalità, sono stati portate avanti due diverse strade: prima facie non si è dovuto convertire il d.l. n. 29; in secondo luogo, si è tentato di distogliere l’attenzione su un decreto che nel periodo di vigenza era stato oggetto di attenzione da parte della Corte Costituzionale[13].   
Con il d.l. n. 29 l’esecutivo, agli artt. 2 e 3, ha precisato le categorie di detenuti che possono ottenere la detenzione domiciliare per motivi dovuti al Covid 19, stabilendo che il Tribunale di Sorveglianza deve verificare “entro il termine di quindici giorni dall’adozione del provvedimento e, successivamente, con cadenza mensile”, la permanenza dei motivi legati all’emergenza sanitaria”. Al contempo, nel caso in cui custodia cautelare in carcere possa essere sostituita con gli arresti domiciliari, è rimessa la decisione al Pubblico ministero, che, qualora mutino le condizioni, “chiede al giudice il ripristino della custodia cautelare in carcere”.        
Poi, per i condannati, “il Magistrato o il Tribunale di sorveglianza che ha adottato il provvedimento” deve acquisire “il parere del Procuratore distrettuale antimafia del luogo in cui è stato commesso il reato” e del Procuratore nazionale antimafia e antiterrorismo se si tratta di condannati e internati già sottoposti al 41bis. In ogni caso, sia per gli internati, sia per i condannati, sia per gli imputati è previsto che il giudice “prima di provvedere” debba ascoltare “l’autorità sanitaria regionale, in persona del Presidente della Giunta della Regione, sulla situazione sanitaria locale” e acquisire dal “Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria informazioni in ordine all’eventuale disponibilità di strutture penitenziarie o di reparti di medicina protetta” in cui la carcerazione possa riprendere “senza pregiudizio” per le condizioni di salute del soggetto.         

4. La Suprema Corte, nelle numerose pronunce relative alla questione del differimento della pena in relazione all’imperversare del Covid 19[14], ha puntualizzato che deve guardarsi sempre alla specifica situazione presente in carcere, dovendosi valutare se effettivamente il rischio di contrarre il Covid 19 fosse effettivo e se, in caso di contagio, potesse sussistere l’aggravamento della malattia o addirittura potesse intervenire la morte[15].           
Dunque, da una parte, la detenzione deve facilitare la possibile infezione da Covid19, dall’altra ci deve essere una conseguenza ulteriore sullo stato di salute (come nel caso di specie, in cui il prevenuto era già affetto da ulteriori malattie). A tal proposito deve valutarsi l’effettiva emergenza epidemiologica presente nel carcere, analizzando il possibile sovraffollamento e le misure poste in essere dalle strutture carcerarie per contrastare il virus[16], “dopo aver escluso la possibilità di trasferire il detenuto in altre strutture sanitarie più adeguate del circuito penitenziario”[17].                    

5. In conclusione, l’importanza della tutela della salute del detenuto è stata ulteriormente sottolineata dal principio di diritto della sentenza in commento. Il fatto che il Tribunale di Sassari non avesse interpellato il Presidente della Giunta regionale calabrese al fine di conoscere la situazione epidemiologica nel carcere di Catanzaro ledeva gli interessi tutelati dall’impianto normativo contenuto nel d.l. 29 del 2020, comprendente norme d’urgenza poste a tutela di tutti i detenuti, anche i più socialmente pericolosi, in quanto non è sufficiente aver sentito soltanto l’Amministrazione Penitenziaria.   
E’ chiaro che la detenzione carceraria possa facilitare la diffusione del virus, attese le condizioni in cui i detenuti vivono connesse alle note difficoltà di assicurare il mantenimento delle distanze di sicurezza”[18], tuttavia il Giudice deve, di volta in volta, valutare se la patologia del ristretto possa effettivamente, in caso di infezione da Covid19, determinare un rischio per la sua vita o quantomeno un aggravamento della malattia.


[1] Cass. Pen. Sez. 1, 17 maggio 2019, n. 27352; Cass. Pen. Sez. 1, 13 novembre 2018, n. 1033. Sulla prima pronuncia, V. Manca in “Umanità della pena, diritto alla salute ed esigenze di sicurezza sociale: l’ordinamento penitenziario a prova di (contro)riforma” in Giurisprudenza Penale, 2020, secondo la quale la decisione ha il pregio di aver dato “un’interpretazione estensiva del concetto di “grave infermità fisica” di cui all’art. 147, co. 1 n. 2 c.p., “pur sempre in linea con la più recente giurisprudenza di legittimità in materia di differimento della pena per motivi di salute. Il passaggio argomentativo ulteriore è stato quello di ancorare il quadro clinico del detenuto, già affetto da una seria precisa di patologie, al Covi-19 e alle più che probabili ricadute letali sullo stesso, secondo le linee guida dell’Istituto Superiore della Sanità del 7 marzo 2020 e dell’OMS-WHO del 15 marzo 2020”.

[2] Sull’art. 147 c.p. si legga S. M. Tigano, Art. 147, in L’esecuzione penale. Ordinamento penitenziario e leggi complementari, Milano, 2019, 905-922, M. Dova, Sub Artt. 146 e 147 in Codice Penale Commentato, a cura di E. Dolcini, G. L. Gatta, Milano, 2015, p. 2058 ss., F. Della Casa, G. Giostra, Manuale di diritto penitenziario, Torino, 2020, pp. 173-178.

[3]Il rinvio è facoltativo in quanto subordinato alla verifica sull’assenza di un concreto pericolo di commissione di delitti da parte del destinatario del provvedimento” ed “opera a prescindere dalla qualità o quantità della pena”, F. Della Casa, G. Giostra, Manuale di diritto penitenziario, Torino 2020, pp. 173-178.

[4] Degl’Innocenti, Misure alternative alla detenzione e procedimento di sorveglianza, Milano, 2014, 131.

[5] Si veda Cass. Pen., Sez. I, 2 marzo 2016, n. 37836, in Dir. & Giust., 13 settembre 2016, con nota di G. De Francesco, “Non basta la malattia ma è anche necessario che fuori dal carcere siano fruibili cure “migliori”.

[6] Per un’analisi della riforma della sanità penitenziaria del 1998 e le modifiche apportate dal D.Lgs. 2 ottobre 2018, n. 123 in materia di assistenza sanitaria si legga M. Caredda, Un diritto fondamentale e universale: La tutela della salute, in S. Talini, M. Ruotolo (a cura di), Dopo la riforma. I diritti dei detenuti nel sistema costituzionale, Napoli, 2019; F. Fiorentin, La riforma penitenziaria dd. lgs. 121, 123, 124/2018, Milano, 2018.

[7] A. Fusi, Manuale dell’esecuzione penale, Milano 2013, p. 388.

[8] Sull’art. dell’art. 47-ter, co. 1-ter ord. penit., si legga L. Cesaris, sub art. 47-ter, in Della Casa, Giostra (a cura di), Ordinamento penitenziario commentato, Milano, 2019, p. 671.

[9] A tal proposito si legga E. Sylos Labini, Incompatibilità dell’infermità fisica con la detenzione in carcere: la sentenza della cassazione nel caso Riina, in Giurisprudenza Penale Web, 24 settembre 2017, per un commento alla sentenza Cass. pen., Sez. I, 22 marzo 2017, n. 27766 relativo al caso di Salvatore Riina, con cui la Cassazione ha annullato il provvedimento di rigetto dell’istanza di differimento della pena, in quanto “carente di motivazione sotto il profilo della attualizzazione della valutazione di pericolosità del soggetto, tale da configurare quelle eccezionali esigenze che impongono l’inderogabilità dell’esecuzione della pena”.

[10] artt. 123 e 124 del D.L. n. 18/2020.

[11] M. Laici, Il Coronavirus nelle carceri italiane, in Quotidiano Legale, 28 luglio 2021, così afferma: “il Governo, sull’onda delle crescenti polemiche politico-mediatiche per le continue e persistenti scarcerazioni, decide di correre ai ripari, varando, in fretta e furia, nell’arco di una decina di giorni, ben due Decreti-legge, volti a rassicurare l’opinione pubblica che lo Stato non ha abbassato la guardia nella lotta alla mafia e che la tutela della sicurezza collettiva rimane ai primi posti nell’agenda di governo”… “il rischio di contrarre la malattia Covid-19, anche in assenza di patologie pregresse acclarate, viene assunto, dalla magistratura di sorveglianza, a base di molteplici provvedimenti di scarcerazione, attraverso il ricorso all’applicazione provvisoria dell’affidamento in prova al servizio sociale (art. 47, comma 4, ord. penit.), anche terapeutico (art. 94, comma 2, t.u.l.stup.), o, talvolta, della detenzione domiciliare c.d. generica (art. 47 ter, commi 1 bis e 1 quater, ord. penit.); più sovente, la scarcerazione riguarda detenuti malati, quasi sempre affetti da pluripatologie, determinanti un quadro clinico grave ma ritenuto dai sanitari non incompatibile con il regime detentivo (alla luce anche delle indicazioni scientifiche fornite dall’O.M.S. e dall’I.S.S.), suscettibile tuttavia di complicanze letali o comunque grandemente pregiudizievoli per la salute in caso di contrazione della malattia respiratoria Covid-19”. Si leggano anche F. Galluzzo, E’ veramente attuabile lo “svuotacarceri” da coronavirus?, in questa rivista, 18 marzo 2020 e G.L. Gatta, Carcere e coronavirus: che fare? Considerazioni a margine delle (e oltre) le rivolte, in Sistema Penale Web, 12 marzo 2020.

[12] La L. n. 70/2020, riprende gli artt. 2, 3 e 4 dell’abrogato D.L. n. 29/2020, inserendoli nei nuovi artt. 2 bis, 2 ter e 2 quater del D.L. n. 28/2020.

[13] Per G. Pestelli, D.L. n. 28/2020 e D.L. n. 29/2020: tutte le modifiche apportate in sede di conversione, in www.quotidianogiuridico.it, 26 giugno 2020, il d.l. n. 29, non ha subito la “forche caudine dell’esame parlamentare” e ha beneficiato del “rimorchio a traino da parte della stessa legge di conversione del d.l. n. 28/2020”. E comunque anche la Suprema Corte, nella sentenza in commento, ha ribadito inoltre che, tenendo in considerazione quanto stabilito dalla Corte Costituzionale con la sentenza del 4 novembre 2020, fosse legittimo l’art. 2 del decreto-legge n. 29 del 2020, che stabilisce “l’obbligo di periodiche e frequenti rivalutazioni sulla persistenza delle condizioni che hanno giustificato la concessione della misura, sulla base anche della documentazione che la disposizione censurata impone loro di acquisire”.

[14] Tra le tante si legga Cass. Pen., Sez. V, sent. 6 ottobre 2020 n. 35012 commentata da C. Cataneo, La valutazione di compatibilità delle condizioni di salute dell’imputato per associazione mafiosa con lo stato detentivo durante l’emergenza sanitaria: la posizione della Cassazione, in Sistema Penale Web, 18 gennaio 2021.

[15] Degno di nota è il provvedimento del magistrato di sorveglianza di Verona del 18.04.2020, in Giurisprudenza Penale Web, in cui si legge che: “il rischio che il detenuto vada soggetto a contaminazione da parte del SARS – CoV – 2 è altissimo; pertanto, il quadro nosografico che già affligge il detenuto, per come sopra esposto, deve essere considerato quale grave infermità che giustifica la concessione del differimento facoltativo della pena, soprattutto in ragione della contestualizzazione della situazione, che non consente in alcun modo di prevenire con efficacia il contagio in carcere e, quindi, non consente la cura effettiva della malattia COVID – 19 che, se contratta da soggetto con patologie pregresse come quelle che affliggono il detenuto, potrebbe avere sbocco esiziale”.

[16] S. C. Monachini, Carcere e Covid-19: pena arcaica, emergenza nuova Il sistema penitenziario italiano in tempo di pandemia in Diritto Penale e Uomo, n. fascicolo 5, 2021p. 18.

[17] L. Murro, Il diritto alla salute del detenuto durante la pandemia, in questa rivista, 17 marzo 2021.

[18] L. Murro, Il diritto alla salute del detenuto durante la pandemia, op. cit.

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