Segnaliamo la sentenza n. 74, con la quale la Corte Costituzionale si è pronunciata sulla questione sollevata dal Giudice per le indagini preliminari del Tribunale ordinario di Santa Maria Capua in riferimento agli artt. 3, 24 e 111 della Costituzione, dell’art. 34, comma 2, del codice di procedura penale, nella parte in cui non prevede l’incompatibilità del GIP che abbia rigettato la richiesta di emissione di decreto penale di condanna, per ritenuta illegalità della pena, a pronunciarsi su una nuova richiesta di decreto penale avanzata dal pubblico ministero, in conformità ai rilievi precedentemente formulati dal medesimo giudice.
Le questioni sono state dichiarate inammissibili. Invero la Corte ha più volte chiarito che nessuna «menomazione dell’imparzialità del giudice può essere configurata in relazione a valutazioni, anche di merito, compiute all’interno della medesima fase del procedimento» (ordinanza n. 76 del 2007; analogamente, ex plurimis, ordinanze n. 123 e n. 90 del 2004, n. 232 del 1999). Ciò perché, diversamente opinando, si attribuirebbe all’imputato la potestà di determinare l’incompatibilità del giudice correttamente investito del giudizio, in contrasto con il principio del giudice naturale precostituito per legge, dando contestualmente luogo ad una irragionevole frammentazione della serie procedimentale.
Inoltre, il rigetto della richiesta di emissione di decreto penale di condanna comporta una regressione del processo alla diversa fase delle indagini preliminari (sentenza n. 16 del 2022) e una conseguente «piena riespansione dei poteri del pubblico ministero» quanto all’azione penale e alle sue modalità di esercizio. Pertanto il giudice non è chiamato ad entrare nel merito dell’accertamento del fatto e della responsabilità dell’imputato.
Per tale ragione, non può ritenersi – secondo la valutazione in astratto che sorregge l’individuazione delle ipotesi di incompatibilità – che siffatta pronuncia possieda una “forza pregiudicante” tale da perturbare la terzietà e l’imparzialità del giudice chiamato a svolgere una funzione di giudizio nella “sede pregiudicata” (ossia, nel caso di specie, a pronunciarsi sulla nuova richiesta di emissione di decreto penale di condanna).