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Disciplina sanzionatoria della diffamazione a mezzo stampa: la Corte Costituzionale passa la parola al Parlamento.

Per consultare l’ordinanza clicca su:Ordinanza n. 132 dep. 26 giugno 2020

E’ stata depositata oggi – 26 giugno 2020 – l’ordinanza con cui la Corte Costituzionale, chiamata ad affrontare le questioni sollevate dai Tribunali di Salerno e di Bari sulla legittimità costituzionale della pena detentiva prevista in caso di diffamazione a mezzo stampa, ha rinviato di un anno la trattazione (ora fissata per l’udienza del 21 giugno 2021), per consentire al Parlamento di intervenire con una nuova disciplina della materia.

La Consulta ritiene infatti che: “Il bilanciamento tra libertà di manifestazione del pensiero e tutela della reputazione non può (…) essere pensato come fisso e immutabile, essendo soggetto a necessari assestamenti, tanto più alla luce della rapida evoluzione della tecnologia e dei mezzi di comunicazione verificatasi negli ultimi decenni”. La normativa vigente appare pertanto inadeguata ed è necessario l’intervento del legislatore che dovrà “coniugare le esigenze di garanzia della libertà giornalistica (…) con le altrettanto pressanti ragioni di tutela effettiva della reputazione individuale delle vittime di eventuali abusi di quella libertà da parte dei giornalisti; vittime che sono oggi esposte, dal canto loro, a rischi ancora maggiori che nel passato. Basti pensare, in proposito, agli effetti di rapidissima e duratura amplificazione degli addebiti diffamatori determinata dai social networks e dai motori di ricerca in internet”.

Il bilanciamento sotteso alle norme del codice penale e in quelle della vigente legge sulla stampa – e in particolare negli artt. 595 cod. pen. e 13 della legge n. 47 del 1948 – si impernia sulla previsione, in via rispettivamente alternativa e cumulativa, di pene detentive e pecuniarie laddove il giornalista offenda la reputazione altrui, travalicando i limiti del legittimo esercizio del diritto di cronaca o di critica di cui all’art. 21 Cost. Un simile bilanciamento è divenuto ormai inadeguato, anche alla luce della copiosa giurisprudenza della Corte che al di fuori di ipotesi eccezionali considera sproporzionata l’applicazione di pene detentive, ancorché sospese o in concreto non eseguite, nei confronti di giornalisti che abbiano – pur illegittimamente – offeso la reputazione altrui. E ciò in funzione dell’esigenza di non dissuadere, per effetto del timore della sanzione privativa della libertà personale, la generalità dei giornalisti dall’esercitare la propria cruciale funzione di controllo sull’operato dei pubblici poteri.

Va, pertanto, ridisegnato il sistema di tutela dei diritti, con il ricorso a sanzioni penali non detentive, a rimedi civilistici, a condotte riparatorie, nonché all’individuazione di misure disciplinari. Il legislatore potrà “eventualmente sanzionare con la pena detentiva le condotte che, tenuto conto del contesto nazionale, assumano connotati di eccezionale gravità dal punto di vista oggettivo e soggettivo, tra le quali si inscrivono segnatamente quelle in cui la diffamazione implichi una istigazione alla violenza ovvero convogli messaggi d’odio».

Seguirà un commento più esteso ed approfondito sulla questione

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