Discriminazione sessuale e concretezza dell’offesa: estetica dell’odio e tutela penale nelle proposte di legge al vaglio della Commissione Giustizia(*).
Osservazioni a margine delle proposte di legge C.107 Boldrini, C. 569 Zan, C. 868 Scalfarotto, 2171 Perantoni e C. 2255 Bartolozzi, recanti modifiche agli articoli 604-bis e 604-ter del codice penale, in materia di violenza o discriminazione per motivi di orientamento sessuale o identità di genere.
Sommario: 0. Premessa. – 1. Estensione punitiva e scopo del diritto penale. – 1.1. Bene giuridico e interesse prevalente. – 1.2. L’estetica dell’odio come superamento dei reati di opinione. – 2. Le parole sono pietre: l’offensività della fattispecie incriminatrice. – 3. La determinatezza nelle proposte di legge. – 3.1. Esigenze ulteriormente definitorie. – 4. Dosimetria sanzionatoria. – 4.1. Commisurazione della pena e discrezionalità controllata.
0. Premessa
Volge alla conclusione il ciclo di audizioni informali presso la II Commissione (Giustizia) della Camera dei Deputati aventi ad oggetto l’esame delle proposte di legge recanti modifiche agli articoli 604-bis e 604-ter del codice penale, in materia di violenza o discriminazione per motivi di orientamento sessuale o identità di genere.
Proprio l’avanzato stato del discorso consente di concentrare le brevi considerazioni che seguono su aspetti di natura strettamente penalistica e, segnatamente, sul profilo controverso dal quale è turbata la prospettiva de iure condendo: dalla opportunità o meno della nuova incriminazione ai limiti di contenuto e forma di una possibile estensione della normativa punitiva nel rispetto dei principi della libertà di manifestazione del pensiero (art. 21 Cost.) e della libertà di associazione (art. 18 Cost.).
- Estensione punitiva e scopo del diritto penale.
Seppure con alcune differenze (sulle quali si tornerà nel prosieguo), le proposte di legge all’esame della Commissione Giustizia della Camera optano per una soluzione sinergica (modello misto autonomo/circostanziale): creazione di una fattispecie autonoma e previsione di una circostanza aggravante, intervenendo sui delitti di “propaganda e istigazione a delinquere per motivi di discriminazione razziale etnica e religiosa e sulla circostanza aggravante”, in modo da estendere la disciplina contenuta negli artt. 604-bis e 604-ter c.p.[1]. Si tratta di una scelta che implica giudizi di valore, anche di tipo comparativo, da sottoporre a un ragionevole bilanciamento con gli interessi costituzionali in gioco, per poter tracciare un perimetro di necessità penale rispettoso della laicizzazione del diritto e della sua separazione dalla morale (Stortoni, Moccia). Tale percorso deve essere contenuto dal principio di offensività quale limite assiologico esterno del diritto penale, evitando che la proibizione penale si riduca all’esangue precetto del neminem laedere.
1.1. Bene giuridico penale e interesse prevalente.
Il disallineamento del nostro Paese – per qualcuno il ‘ritardo’ maturato – rispetto ad altri ordinamenti del panorama europeo, che hanno dato rilevanza alle discriminazioni motivate dall’orientamento sessuale o dalla identità di genere mediante la estensione del penale (fattispecie ad hoc) e/o della pena (circostanza aggravante), non è evidentemente dovuto a una scarsa percezione del fenomeno dell’omotransfobia e della violenza di genere nelle sue diverse forme (Goisis), quanto ai connotati strutturali di un diritto penale liberale che, in virtù di una democrazia “protetta, ma aperta” (Pugiotto), è incline a valorizzare il principio supremo del pluralismo informativo (art. 21 Cost.) declinato nella triplice accezione di libertà (attiva) di informazione, libertà (passiva) di essere informato e libertà (riflessiva) di informarsi.
In altri termini, le ragioni della necessità sono ben note, ma vanno coniugate con la necessità di ragionevolezza. E, credo, la strada intrapresa dal legislatore nelle proposte di legge all’esame della Commissione vada nella direzione giusta.
Grazie al trasferimento topografico delle fattispecie menzionate nella Sezione I-bis dedicata ai reati contro l’Eguaglianza è stata agevolata la individuazione di un “bene penale”, che ha consentito di esprimere un giudizio di valore a sostegno della giustificazione della sua tutela anche con il mezzo estremo delle pene. All’interno di questo giudizio il legislatore opera con il bulino della discrezionalità selezionando (tramite quantificazione comparativa) gli interessi cui è associato un valore superiore a quello dei beni sottratti dalle pene per giustificarne la rilevanza penale come minima restrizione necessaria (Ferrajoli).
In quest’ottica, ferma restando l’assenza di obblighi di incriminazione di fonte internazionale o europea, l’aggiunta dei motivi fondati sull’orientamento sessuale o sull’identità di genere nel testo degli artt. 604-bis e 604-ter c.p.[2] soddisfa l’esigenza di tutela di beni desumibili dal combinato disposto dell’art. 3 Cost. e dell’art. 10 TFUE (proposta AIPDP), valorizzando gli impulsi provenienti dalla soft law e dal formante giurisprudenziale della Corte EDU (CEDU, 9 febbraio 2012, Vejdeland et alii c. Svezia, No. 1813/07). Le preoccupazioni per la libertà di espressione andranno in tale contesto considerate in modo da evitare l’eccedenza di risposta penale, non per precludere l’estensione controllata della tutela penale di beni giuridici preformati da forme di discriminazione che la sensibilità dell’attuale contesto sociale riconosce ormai come gravemente pregiudizievoli per la dignità umana (e non può consentirsi di liquidare come mera domanda di ‘ipercriminalizzazione’).
Al diritto spetta il compito di rendere compatibili tra loro le libertà di ciascuno: la legge deve quindi determinare i limiti che consentano a ciascun uomo di esercitare i propri diritti naturali, senza comprometterne lo speculare godimento agli altri membri della società (Dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino, 1789). Ecco il diritto alla libera manifestazione del pensiero (art. 21 Cost.) non può estendersi fino a giustificare comportamenti che, pur esternando convinzioni personali, ledono altri principi costituzionali (Cass. pen., 28 febbraio 2001, in Studium iuris, 2001, 1383).
La versione liberale dell’utilità penale fondata su di un diritto penale minimo, laicamente orientato alla tutela di diritti e interessi ritenuti necessari o fondamentali non si pone in antitesi con l’espansione contenuta nelle proposte di legge. D’altra parte se le motivazioni discriminatorie fondate sull’orientamento sessuale o sulla identità di genere fossero incompatibili con il diritto penale liberale lo sarebbe tutta la disciplina penale di contrasto alle forme di discriminazione diverse da quella razziale (Pelissero)[3].
1.2. L’estetica dell’odio come superamento dei reati di opinione.
È innegabile che la questione attraversa la dorsale che dai discorsi di odio (hate speeches) conduce ai reati di odio (hate crimes) rischiando la deriva dei c.d. reati di opinione, con costi insostenibili per la libertà di manifestazione del pensiero (Pulitanò). Tuttavia, la maggior parte dei progetti di legge (A.C. 569, Zan; A.C. 107, Boldrini–Speranza; A.C. 2171, Perantoni; A.C. 868, Scalfarotto) contiene detto rischio integrando il tessuto normativo, senza intaccare la fattispecie di propaganda che resta nel suo assetto originario. È evidente che, pur non sottovalutando i pregiudizi rinsaldati dai discorsi di odio, si è consapevoli che essi sfuggono all’orizzonte penalistico e devono essere contrastati – meglio, prevenuti – con processi (in)formativi prodromici a una nuova maturità culturale.
Il diritto penale si rivolge all’estetica dell’odio e non può prescindere dalla protezione di un bene costituzionalmente rilevante; insomma: non si prefigurano nuove ipotesi di reato d’opinione – correttamente osteggiate dal richiamato rispetto della libertà di manifestazione del pensiero – dal momento che non si sanziona il sentimento di odio (per es. dell’omofobo) o la diffusione di idee omotransfobiche, ma gli atti di discriminazione o violenza (ammessi anche dalla dottrina più garantista, Dolcini) e l’istigazione a commetterli (anche tramite forme associative, gruppi o movimenti).
- Le parole sono pietre: l’offensività della fattispecie incriminatrice.
La ponderata differenziazione tra la propaganda e le altre condotte illecite (cui vengono agganciati i motivi fondati sull’orientamento sessuale o sull’identità di genere) consente di regolare la quantità di penale grazie al coefficiente dell’offensività, ispirando alla ragionevolezza la scelta di politica-criminale sottesa alle proposte di legge (che operano in tal senso).
Il monomio bene-offensività vincola l’incriminazione della discriminazione sessuale o di genere alla lesione o messa in pericolo dell’interesse tutelato (la dignità personale), offrendo all’interprete un paradigma dell’offesa che ne consente il controllo critico in forza di parametri democraticamente verificabili (Donini). A questo punto – condivisibile o meno – si tratta di una scelta percorribile. E, soprattutto dove il terreno si fa più impervio (è il campo della penale rilevanza della istigazione a commettere atti discriminatori per motivi fondati sull’orientamento sessuale o sull’identità di genere), il legislatore può limitare la libertà di espressione per salvaguardare altri interessi di rango costituzionale che ritiene di dover tutelare, purché nel bilanciamento dei beni in gioco la prevalenza riconosciuta all’uno non si traduca nel sacrificio dell’altro oltre la misura del ragionevole[4].
- La determinatezza nelle proposte di legge.
La determinatezza della fattispecie tipizzata all’art. 604-bis c.p. deve rendere i motivi discriminatori (anche fondati sull’orientamento sessuale o sull’identità di genere) caratterizzati da concrete ricadute sull’azione offensiva perpetrata nei confronti della vittima. In questa ottica, i progetti A.C. 569, Zan e A.C. 2171, Perantoni estendono (asimmetricamente) la fattispecie lasciando inalterata (l’ipotesi di propaganda e) l’intelaiatura del tipo descritto dalla c.d. legge Reale (e trasfuso nell’art. 604-bis c.p. a seguito della citata riserva di codice) per i crimini d’odio razziale, garantendo una maggiore verificabilità dell’offesa in concreto.
3.1. Esigenze ulteriormente definitorie.
Allo stesso modo, il principio di precisione è soddisfatto dall’utilizzo di elementi descrittivi (genere, orientamento sessuale e identità di genere) che sono entrati a far parte del formante giurisprudenziale e si rispecchiano in diverse fonti legislative extra-penali tra l’altro in materia di tutela della privacy (d.lgs. 196/2003, come modificato dal recente d.lgs. 101/2018), occupazione e condizioni di lavoro (d.lgs. 216/2003), nonché nell’ordinamento penitenziario (d.lgs. 123/2018). Si tratta, quindi, di una estensione che può essere cautamente accettata anche senza una ulteriore positivizzazione delle definizioni – alternativa in ogni caso percorribile, come fa l’A.C. 107, Boldrini-Speranza – nella consapevolezza che per la selezione penalistica la scelta delle espressioni orientamento sessuale e identità di genere (progetti A.C. 569, Zan e A.C. 2171, Perantoni), eventualmente coniugata con il riferimento al motivo di genere (richiamato nell’A.C. 2255 Bartolozzi), resta quella meno problematica in termini di tassatività, garantendo al contempo una blindatura da critiche di “eterofobia” implicate dall’utilizzo di termini più connotativi come l’omofobia o la transfobia dei motivi richiamati nella proposta di legge A.C. 868 Scalfarotto.
- Dosimetria sanzionatoria.
Il discorso sulla offensività torna utile anche per la punibilità (in astratto), consentendo di accertare il rapporto di proporzione reato-pena. Da questo punto di vista, la nuova collocazione delle fattispecie di cui si propone la modifica costituisce la riprova di un disvalore additivo che l’offesa – oltre agli originari valori della convivenza sociale – arreca al bene giuridico della dignità umana nella sua dimensione sociale (dignità sociale, appunto). Il plus di offensività direttamente connesso all’azione oggettiva (finalisticamente orientata a colpire una persona per l’orientamento sessuale o l’identità di genere) è correttamente assorbito anche dalla (estensione della) circostanza aggravante, che valorizza in termini sanzionatori il maggior disvalore oggettivo del fatto.
4.1. Commisurazione della pena e discrezionalità controllata.
L’ampliamento della discriminazione penalmente rilevante nelle nuove declinazioni proposte dovrebbe indurre a lasciare inalterata l’(attuale) discrezionalità in sede di commisurazione della pena; l’ampia forbice edittale, infatti, garantisce una corretta differenziazione della risposta penale in termini di dosimetria sanzionatoria, tenendo conto – anche per le nuove finalità discriminatorie – del climax di pregnanza offensiva condensato nelle condotte di propaganda, istigazione, azione discriminatoria, provocazione alla violenza, violenza (oltre alle ipotesi di partecipazione e assistenza alle forme di organizzazione, associazione, movimento o gruppo espressamente vietate dal secondo comma dell’art. 604-bis c.p.).
Sarebbero da preferire, dunque, i progetti che non restringano gli spazi di manovra del giudice, vincolandone la scelta alla sola pena detentiva, sottraendo l’aggravante a un ‘reale’ bilanciamento con le attenuanti ovvero prevedendo la obbligatorietà della pena accessoria. Oltre ai vulnera in termini di legittimità costituzionale (ex artt. 3 e 27, comma 3, Cost.), tali restrizioni potrebbero compromettere una corretta graduazione della pena (in concreto) di fronte alla pluralità di condotte incriminate, a prescindere dal fatto che si possa considerare l’art. 604-bis c.p. norma a più fattispecie o disposizione a più norme.
Rispondono a tali esigenze le proposte A.C. 569, Zan e A.C. 2171, Perantoni che non alterano l’impianto sanzionatorio, diversamente dal progetto A.C. 107, Boldrini-Speranza, il cui articolato, però, coniuga il momento repressivo con quello preventivo proponendo (con la istituzione dell’Autorità garante della parità di trattamento e della rimozione delle discriminazioni) una strategia di tipo integrato (diversamente ipotizzata anche dalla proposta A.C. 2171, Perantoni). Tale aspetto potrebbe essere tenuto in considerazione per affiancare alla risposta penale (di tipo repressivo) l’utile complemento della prevenzione in un’ottica di sensibilizzazione e promozione di una società inclusiva (D’Amico).
Bibliografia
- D’Amico Audizione davanti alla Commissione Giustizia della Camera dei Deputati sui progetti di legge volti a contrastare l’omofobia e le discriminazioni fondate sull’identità di genere 18 febbraio 2020; E. Dolcini, Omofobi: nuovi martiri della libertà di manifestazione del pensiero?,in Rivista italiana di diritto e procedura penale, in Riv. it. dir. proc. pen., n. 1/2014; M. Donini, Il principio di offensività. Dalla penalistica italiana ai programmi europei, in Riv. trim. dir. pen. cont., n. 4/2013; L. Ferrajoli, Diritto e ragione. Teoria del garantismo penale, Laterza, Bari, 2004; L. Goisis, Crimini d’odio. Discriminazioni e giustizia penale, Jovene, Napoli, 2019; Id, Crimini d’odio. Il senato approva la mozione per l’istituzione di una Commissione straordinaria per il contrasto dei fenomeni di intolleranza, razzismo, antisemitismo e istigazione all’odio e alla violenza, in DPU, n. 12/2019; S. Moccia, La perenne emergenza. Tendenze autoritarie nel sistema penale, Esi, Napoli, 1997, passim ; M. Pelissero, La parola pericolosa. Il confine incerto del controllo penale del dissenso, in Ques. giustizia, n. 4/2015; A. Pugiotto, Le parole sono pietre? I discorsi di odio e la libertà di espressione nel diritto costituzionale, in Riv. trim. dir. pen. cont., n. 3/2013; D. Pulitanò, Laicità e diritto penale, in Laicità e Stato di diritto, a cura di A. Ceretti e L. Garlati, Milano, 2007; Id, Libertà di pensiero e pensieri cattivi, in Quale giustizia, 1970, 191; L. Stortoni, Le nuove norme contro l’intolleranza: legge o proclama?, in Crit. dir., 1994, 14 ss.
(*) Il contributo costituisce una rielaborazione del testo scritto dell’audizione svolta il 27 maggio 2020 dinanzi alla II Commissione Giustizia della Camera dei Deputati.
[1] Sono gli articoli che hanno assorbito alcune delle disposizioni della c.d. Legge Reale (legge 13 ottobre 1975, n. 654) e della c.d. Legge Mancino (d.l. 26 aprile 1993, n. 122 conv. in l. 25 giugno 1993, n. 205) in ossequio agli input della riserva di codice introdotta con il d.lgs. 21/2018.
[2] In questo senso le proposte di legge A.C. 569, Zan e A.C. 2171, Perantoni.
[3] Tra l’altro, può rilevarsi che “l’ideologia razzista è ancora più complessa per le continue metamorfosi con cui si è evoluta e sta evolvendo (…)”, così Piazza, Cass. pen., 1995, 689 ss.
[4] Naturalmente, trattandosi di un reato di mera condotta, l’anticipazione dell’intervento penale sarà consentito nel rispetto del principio di offensività ovvero laddove sia accertata l’attitudine di tale condotta a provocare in concreto il verificarsi dei fatti istigati.
Discriminazione sessuale e concretezza dell’offesa: estetica dell’odio e tutela penale nelle proposte di legge al vaglio della Commissione Giustizia
Discriminazione sessuale e concretezza dell’offesa: estetica dell’odio e tutela penale nelle proposte di legge al vaglio della Commissione Giustizia(*).
Osservazioni a margine delle proposte di legge C.107 Boldrini, C. 569 Zan, C. 868 Scalfarotto, 2171 Perantoni e C. 2255 Bartolozzi, recanti modifiche agli articoli 604-bis e 604-ter del codice penale, in materia di violenza o discriminazione per motivi di orientamento sessuale o identità di genere.
Sommario: 0. Premessa. – 1. Estensione punitiva e scopo del diritto penale. – 1.1. Bene giuridico e interesse prevalente. – 1.2. L’estetica dell’odio come superamento dei reati di opinione. – 2. Le parole sono pietre: l’offensività della fattispecie incriminatrice. – 3. La determinatezza nelle proposte di legge. – 3.1. Esigenze ulteriormente definitorie. – 4. Dosimetria sanzionatoria. – 4.1. Commisurazione della pena e discrezionalità controllata.
0. Premessa
Volge alla conclusione il ciclo di audizioni informali presso la II Commissione (Giustizia) della Camera dei Deputati aventi ad oggetto l’esame delle proposte di legge recanti modifiche agli articoli 604-bis e 604-ter del codice penale, in materia di violenza o discriminazione per motivi di orientamento sessuale o identità di genere.
Proprio l’avanzato stato del discorso consente di concentrare le brevi considerazioni che seguono su aspetti di natura strettamente penalistica e, segnatamente, sul profilo controverso dal quale è turbata la prospettiva de iure condendo: dalla opportunità o meno della nuova incriminazione ai limiti di contenuto e forma di una possibile estensione della normativa punitiva nel rispetto dei principi della libertà di manifestazione del pensiero (art. 21 Cost.) e della libertà di associazione (art. 18 Cost.).
Seppure con alcune differenze (sulle quali si tornerà nel prosieguo), le proposte di legge all’esame della Commissione Giustizia della Camera optano per una soluzione sinergica (modello misto autonomo/circostanziale): creazione di una fattispecie autonoma e previsione di una circostanza aggravante, intervenendo sui delitti di “propaganda e istigazione a delinquere per motivi di discriminazione razziale etnica e religiosa e sulla circostanza aggravante”, in modo da estendere la disciplina contenuta negli artt. 604-bis e 604-ter c.p.[1]. Si tratta di una scelta che implica giudizi di valore, anche di tipo comparativo, da sottoporre a un ragionevole bilanciamento con gli interessi costituzionali in gioco, per poter tracciare un perimetro di necessità penale rispettoso della laicizzazione del diritto e della sua separazione dalla morale (Stortoni, Moccia). Tale percorso deve essere contenuto dal principio di offensività quale limite assiologico esterno del diritto penale, evitando che la proibizione penale si riduca all’esangue precetto del neminem laedere.
1.1. Bene giuridico penale e interesse prevalente.
Il disallineamento del nostro Paese – per qualcuno il ‘ritardo’ maturato – rispetto ad altri ordinamenti del panorama europeo, che hanno dato rilevanza alle discriminazioni motivate dall’orientamento sessuale o dalla identità di genere mediante la estensione del penale (fattispecie ad hoc) e/o della pena (circostanza aggravante), non è evidentemente dovuto a una scarsa percezione del fenomeno dell’omotransfobia e della violenza di genere nelle sue diverse forme (Goisis), quanto ai connotati strutturali di un diritto penale liberale che, in virtù di una democrazia “protetta, ma aperta” (Pugiotto), è incline a valorizzare il principio supremo del pluralismo informativo (art. 21 Cost.) declinato nella triplice accezione di libertà (attiva) di informazione, libertà (passiva) di essere informato e libertà (riflessiva) di informarsi.
In altri termini, le ragioni della necessità sono ben note, ma vanno coniugate con la necessità di ragionevolezza. E, credo, la strada intrapresa dal legislatore nelle proposte di legge all’esame della Commissione vada nella direzione giusta.
Grazie al trasferimento topografico delle fattispecie menzionate nella Sezione I-bis dedicata ai reati contro l’Eguaglianza è stata agevolata la individuazione di un “bene penale”, che ha consentito di esprimere un giudizio di valore a sostegno della giustificazione della sua tutela anche con il mezzo estremo delle pene. All’interno di questo giudizio il legislatore opera con il bulino della discrezionalità selezionando (tramite quantificazione comparativa) gli interessi cui è associato un valore superiore a quello dei beni sottratti dalle pene per giustificarne la rilevanza penale come minima restrizione necessaria (Ferrajoli).
In quest’ottica, ferma restando l’assenza di obblighi di incriminazione di fonte internazionale o europea, l’aggiunta dei motivi fondati sull’orientamento sessuale o sull’identità di genere nel testo degli artt. 604-bis e 604-ter c.p.[2] soddisfa l’esigenza di tutela di beni desumibili dal combinato disposto dell’art. 3 Cost. e dell’art. 10 TFUE (proposta AIPDP), valorizzando gli impulsi provenienti dalla soft law e dal formante giurisprudenziale della Corte EDU (CEDU, 9 febbraio 2012, Vejdeland et alii c. Svezia, No. 1813/07). Le preoccupazioni per la libertà di espressione andranno in tale contesto considerate in modo da evitare l’eccedenza di risposta penale, non per precludere l’estensione controllata della tutela penale di beni giuridici preformati da forme di discriminazione che la sensibilità dell’attuale contesto sociale riconosce ormai come gravemente pregiudizievoli per la dignità umana (e non può consentirsi di liquidare come mera domanda di ‘ipercriminalizzazione’).
Al diritto spetta il compito di rendere compatibili tra loro le libertà di ciascuno: la legge deve quindi determinare i limiti che consentano a ciascun uomo di esercitare i propri diritti naturali, senza comprometterne lo speculare godimento agli altri membri della società (Dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino, 1789). Ecco il diritto alla libera manifestazione del pensiero (art. 21 Cost.) non può estendersi fino a giustificare comportamenti che, pur esternando convinzioni personali, ledono altri principi costituzionali (Cass. pen., 28 febbraio 2001, in Studium iuris, 2001, 1383).
La versione liberale dell’utilità penale fondata su di un diritto penale minimo, laicamente orientato alla tutela di diritti e interessi ritenuti necessari o fondamentali non si pone in antitesi con l’espansione contenuta nelle proposte di legge. D’altra parte se le motivazioni discriminatorie fondate sull’orientamento sessuale o sulla identità di genere fossero incompatibili con il diritto penale liberale lo sarebbe tutta la disciplina penale di contrasto alle forme di discriminazione diverse da quella razziale (Pelissero)[3].
1.2. L’estetica dell’odio come superamento dei reati di opinione.
È innegabile che la questione attraversa la dorsale che dai discorsi di odio (hate speeches) conduce ai reati di odio (hate crimes) rischiando la deriva dei c.d. reati di opinione, con costi insostenibili per la libertà di manifestazione del pensiero (Pulitanò). Tuttavia, la maggior parte dei progetti di legge (A.C. 569, Zan; A.C. 107, Boldrini–Speranza; A.C. 2171, Perantoni; A.C. 868, Scalfarotto) contiene detto rischio integrando il tessuto normativo, senza intaccare la fattispecie di propaganda che resta nel suo assetto originario. È evidente che, pur non sottovalutando i pregiudizi rinsaldati dai discorsi di odio, si è consapevoli che essi sfuggono all’orizzonte penalistico e devono essere contrastati – meglio, prevenuti – con processi (in)formativi prodromici a una nuova maturità culturale.
Il diritto penale si rivolge all’estetica dell’odio e non può prescindere dalla protezione di un bene costituzionalmente rilevante; insomma: non si prefigurano nuove ipotesi di reato d’opinione – correttamente osteggiate dal richiamato rispetto della libertà di manifestazione del pensiero – dal momento che non si sanziona il sentimento di odio (per es. dell’omofobo) o la diffusione di idee omotransfobiche, ma gli atti di discriminazione o violenza (ammessi anche dalla dottrina più garantista, Dolcini) e l’istigazione a commetterli (anche tramite forme associative, gruppi o movimenti).
La ponderata differenziazione tra la propaganda e le altre condotte illecite (cui vengono agganciati i motivi fondati sull’orientamento sessuale o sull’identità di genere) consente di regolare la quantità di penale grazie al coefficiente dell’offensività, ispirando alla ragionevolezza la scelta di politica-criminale sottesa alle proposte di legge (che operano in tal senso).
Il monomio bene-offensività vincola l’incriminazione della discriminazione sessuale o di genere alla lesione o messa in pericolo dell’interesse tutelato (la dignità personale), offrendo all’interprete un paradigma dell’offesa che ne consente il controllo critico in forza di parametri democraticamente verificabili (Donini). A questo punto – condivisibile o meno – si tratta di una scelta percorribile. E, soprattutto dove il terreno si fa più impervio (è il campo della penale rilevanza della istigazione a commettere atti discriminatori per motivi fondati sull’orientamento sessuale o sull’identità di genere), il legislatore può limitare la libertà di espressione per salvaguardare altri interessi di rango costituzionale che ritiene di dover tutelare, purché nel bilanciamento dei beni in gioco la prevalenza riconosciuta all’uno non si traduca nel sacrificio dell’altro oltre la misura del ragionevole[4].
La determinatezza della fattispecie tipizzata all’art. 604-bis c.p. deve rendere i motivi discriminatori (anche fondati sull’orientamento sessuale o sull’identità di genere) caratterizzati da concrete ricadute sull’azione offensiva perpetrata nei confronti della vittima. In questa ottica, i progetti A.C. 569, Zan e A.C. 2171, Perantoni estendono (asimmetricamente) la fattispecie lasciando inalterata (l’ipotesi di propaganda e) l’intelaiatura del tipo descritto dalla c.d. legge Reale (e trasfuso nell’art. 604-bis c.p. a seguito della citata riserva di codice) per i crimini d’odio razziale, garantendo una maggiore verificabilità dell’offesa in concreto.
3.1. Esigenze ulteriormente definitorie.
Allo stesso modo, il principio di precisione è soddisfatto dall’utilizzo di elementi descrittivi (genere, orientamento sessuale e identità di genere) che sono entrati a far parte del formante giurisprudenziale e si rispecchiano in diverse fonti legislative extra-penali tra l’altro in materia di tutela della privacy (d.lgs. 196/2003, come modificato dal recente d.lgs. 101/2018), occupazione e condizioni di lavoro (d.lgs. 216/2003), nonché nell’ordinamento penitenziario (d.lgs. 123/2018). Si tratta, quindi, di una estensione che può essere cautamente accettata anche senza una ulteriore positivizzazione delle definizioni – alternativa in ogni caso percorribile, come fa l’A.C. 107, Boldrini-Speranza – nella consapevolezza che per la selezione penalistica la scelta delle espressioni orientamento sessuale e identità di genere (progetti A.C. 569, Zan e A.C. 2171, Perantoni), eventualmente coniugata con il riferimento al motivo di genere (richiamato nell’A.C. 2255 Bartolozzi), resta quella meno problematica in termini di tassatività, garantendo al contempo una blindatura da critiche di “eterofobia” implicate dall’utilizzo di termini più connotativi come l’omofobia o la transfobia dei motivi richiamati nella proposta di legge A.C. 868 Scalfarotto.
Il discorso sulla offensività torna utile anche per la punibilità (in astratto), consentendo di accertare il rapporto di proporzione reato-pena. Da questo punto di vista, la nuova collocazione delle fattispecie di cui si propone la modifica costituisce la riprova di un disvalore additivo che l’offesa – oltre agli originari valori della convivenza sociale – arreca al bene giuridico della dignità umana nella sua dimensione sociale (dignità sociale, appunto). Il plus di offensività direttamente connesso all’azione oggettiva (finalisticamente orientata a colpire una persona per l’orientamento sessuale o l’identità di genere) è correttamente assorbito anche dalla (estensione della) circostanza aggravante, che valorizza in termini sanzionatori il maggior disvalore oggettivo del fatto.
4.1. Commisurazione della pena e discrezionalità controllata.
L’ampliamento della discriminazione penalmente rilevante nelle nuove declinazioni proposte dovrebbe indurre a lasciare inalterata l’(attuale) discrezionalità in sede di commisurazione della pena; l’ampia forbice edittale, infatti, garantisce una corretta differenziazione della risposta penale in termini di dosimetria sanzionatoria, tenendo conto – anche per le nuove finalità discriminatorie – del climax di pregnanza offensiva condensato nelle condotte di propaganda, istigazione, azione discriminatoria, provocazione alla violenza, violenza (oltre alle ipotesi di partecipazione e assistenza alle forme di organizzazione, associazione, movimento o gruppo espressamente vietate dal secondo comma dell’art. 604-bis c.p.).
Sarebbero da preferire, dunque, i progetti che non restringano gli spazi di manovra del giudice, vincolandone la scelta alla sola pena detentiva, sottraendo l’aggravante a un ‘reale’ bilanciamento con le attenuanti ovvero prevedendo la obbligatorietà della pena accessoria. Oltre ai vulnera in termini di legittimità costituzionale (ex artt. 3 e 27, comma 3, Cost.), tali restrizioni potrebbero compromettere una corretta graduazione della pena (in concreto) di fronte alla pluralità di condotte incriminate, a prescindere dal fatto che si possa considerare l’art. 604-bis c.p. norma a più fattispecie o disposizione a più norme.
Rispondono a tali esigenze le proposte A.C. 569, Zan e A.C. 2171, Perantoni che non alterano l’impianto sanzionatorio, diversamente dal progetto A.C. 107, Boldrini-Speranza, il cui articolato, però, coniuga il momento repressivo con quello preventivo proponendo (con la istituzione dell’Autorità garante della parità di trattamento e della rimozione delle discriminazioni) una strategia di tipo integrato (diversamente ipotizzata anche dalla proposta A.C. 2171, Perantoni). Tale aspetto potrebbe essere tenuto in considerazione per affiancare alla risposta penale (di tipo repressivo) l’utile complemento della prevenzione in un’ottica di sensibilizzazione e promozione di una società inclusiva (D’Amico).
Bibliografia
(*) Il contributo costituisce una rielaborazione del testo scritto dell’audizione svolta il 27 maggio 2020 dinanzi alla II Commissione Giustizia della Camera dei Deputati.
[1] Sono gli articoli che hanno assorbito alcune delle disposizioni della c.d. Legge Reale (legge 13 ottobre 1975, n. 654) e della c.d. Legge Mancino (d.l. 26 aprile 1993, n. 122 conv. in l. 25 giugno 1993, n. 205) in ossequio agli input della riserva di codice introdotta con il d.lgs. 21/2018.
[2] In questo senso le proposte di legge A.C. 569, Zan e A.C. 2171, Perantoni.
[3] Tra l’altro, può rilevarsi che “l’ideologia razzista è ancora più complessa per le continue metamorfosi con cui si è evoluta e sta evolvendo (…)”, così Piazza, Cass. pen., 1995, 689 ss.
[4] Naturalmente, trattandosi di un reato di mera condotta, l’anticipazione dell’intervento penale sarà consentito nel rispetto del principio di offensività ovvero laddove sia accertata l’attitudine di tale condotta a provocare in concreto il verificarsi dei fatti istigati.
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