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E’ veramente attuabile lo “svuotacarceri” da coronavirus?

 

Come anticipato già da ieri sul nostro sito, il Decreto legge 17 marzo 2020, n. 18 ha cercato (molto probabilmente senza riuscirci efficacemente, lo diciamo sin dall’inizio) di regolamentare la spinosa emergenza sanitaria che si sta sviluppando nelle carceri per effetto del diffondersi del Covid – 19.

Le “disposizioni in materia di detenzione domiciliare” e quelle inerenti le “licenze premio straordinarie per i detenuti in regime di semilibertà”, che hanno trovato una definitiva collocazione negli articoli 123 e 124 del decreto legge citato, al termine di una giornata nella quale si sono susseguite diverse versioni in bozza, si sono rese indispensabili per i noti fatti di cronaca verificatisi nei giorni scorsi in vari istituti penitenziari del Paese, portando anche alla morte di diversi detenuti.

La prima delle due norme (operative dalla data di entrata in vigore del decreto legge fino al 30 giugno 2020), sulla quale si concentreranno queste brevi riflessioni, regola la possibilità di eseguire la pena detentiva presso l’abitazione del condannato o in altro luogo pubblico o privato di cura, assistenza e accoglienza, nel caso in cui il detenuto debba scontare una pena, “anche se costituente parte residua di maggior pena”, non superiore a diciotto mesi.

La procedura di controllo dovrebbe essere assicurata “mediante mezzi elettronici o altri strumenti tecnici resi disponibili per i singoli istituti penitenziari”, con i braccialetti, per intendersi; non è applicabile ai condannati minorenni; ai maggiorenni che debbano scontare una pena residua inferiore ai sei mesi di reclusione; in ogni caso la procedura di controllo viene “disattivata quando la pena residua da espiare scende sotto la soglia dei sei mesi”.

L’istanza, rivolta al tribunale di sorveglianza, compete al detenuto interessato (art. 123, comma 1), il quale, peraltro, deve comunque prestare il proprio consenso all’applicazione della procedura di controllo (comma 4); ma l’iniziativa può derivare dalla direzione dell’istituto penitenziario oppure dal pubblico ministero (il riferimento è all’ufficio che deve emettere o che ha emesso l’ordine di carcerazione non ancora eseguito, al quale spetta di trasmettere al magistrato di sorveglianza gli atti del fascicolo dell’esecuzione e gli elementi che accertano l’idoneità del domicilio).

Nel solco della legge 26 novembre 2010, n. 199, c.d. “svuota carceri”, cui il decreto legge in esame fa riferimento nell’incipit del comma 1 dell’art. 123 per sancire che le disposizioni introdotte sono “in deroga al disposto dei commi 1, 2 e 4 dell’articolo 1 di quella legge, sono disciplinate alcune esclusioni soggettive:

  1. soggetti condannati per i delitti di cui all’art. 4 bis n. 354 del 1975 o per i delitti di cui agli artt. 572 e 612 bis c.p.;
  2. delinquenti abituali e professionali per tendenza (ex art. 102, 105, 108 c.p.);
  3. detenuti sottoposti al regime di sorveglianza particolare ex 14 bis l. n. 354 del 1975 (salvo accoglimento del reclamo);
  4. detenuti che siano stati sanzionati disciplinarmente ai sensi dell’art. 77 d.p.r. n. 230 del 2000 nel corso dell’ultimo anno;
  5. detenuti sottoposti a rapporto disciplinare in quanto coinvolti nei disordini e sommosse a far data dal 7.3.2020;
  6. detenuti privi di un domicilio effettivo ed idoneo anche in funzione delle esigenze di tutela delle persone offese dal reato.

I commi 6 e 7 regolano alcuni aspetti specifici inerenti i soggetti sottoposti a programmi di recupero ed i minorenni.

Analizzando, a prima lettura, gli aspetti procedurali della norma in esame, una delle prime criticità che emergono dalla disamina dell’art. 123 è rappresentato dall’alto tasso di discrezionalità che il comma 2 riconosce al tribunale di sorveglianza per la concessione dell’esecuzione della pena presso il domicilio.

L’automatismo della concessione della detenzione domiciliare che sembrerebbe discendere dall’eventuale sussistenza dei presupposti oggettivi sopra indicati e dalla contestuale assenza di motivi di esclusione, pare elusa dall’inciso “salvo che [il tribunale di sorveglianza] ravvisi gravi motivi ostativi alla concessione della misura”.

Una formula di giudizio non fondata su parametri tassativi e, pertanto, eccessivamente labile che lascia spazio ad una discrezionalità che rischia di sfociare in disparità di trattamento poco opportune anche sul piano pratico, atteso l’attuale, incandescente clima che le misure in esame, più o meno esplicitamente, mirano ad attenuare, al di là dell’emergenza sanitaria che rappresenta la motivazione ufficiale dell’intervento.

Altra perplessità che la prima lettura del provvedimento desta immediatamente è rappresentata dall’esclusione della misura cautelare della custodia in carcere dal novero delle forme di detenzione che ben avrebbero potuto essere convertite negli arresti domiciliari, magari in assenza di esigenze cautelari del tutto insopprimibili.

Stride, infatti, la differenziazione tra detenuti che si trovano in carcere pur sempre per espiare una pena detentiva pari o più lunga di diciotto mesi e, quindi, in esecuzione di una condanna per reati evidentemente piuttosto rilevanti, e detenuti in attesa di giudizio che rimangono in carcere in assenza di una condanna definitiva.

Accanto a tali considerazioni procedurali, non può poi non stigmatizzarsi, come già fatto dall’Unione delle Camere penali italiane con un comunicato in data odierna, la probabile inattuabilità della procedura di controllo, atteso che, come noto a tutti gli operatori del processo penale, non è allo stato disponibile un numero di braccialetti sufficiente per assicurare la detenzione domiciliare a tutti i detenuti che potenzialmente (la stima è di circa tremila persone) usufruirebbero del beneficio, né il decreto legge prevede la copertura finanziaria dell’operazione.

Una mossa, quindi, sbagliata dal punto di vista tecnico (perché allora non limitare il provvedimento ad un numero più contenuto di detenuti, per esempio diminuendo la soglia di pena residua portandola fino ad un anno di reclusione?) e dell’opportunità, in quanto ipoteticamente foriero di nuove tensioni all’interno delle carceri, allorché i detenuti dovessero percepire l’irrealizzabilità concreta della promessa del legislatore.

 

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