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Ebbrezza alla guida, l’elevato tasso alcolemico non è sufficiente ai fini della condanna

CASSAZIONE PENALE, Sez. IV, sentenza 30 settembre 2021 (udienza 20 maggio 2021), n. 35825 – DI SALVO Presidente, BELLINI Relatore, FIMIANI Procuratore Generale

Con la pronuncia in oggetto, la Corte di legittimità ribadisce, in tema di guida in stato di ebbrezza, l’applicabilità nei confronti del responsabile del reato di cui all’art. 186, comma 2, lett. c), C.d.S. della causa di non punibilità per particolare tenuità del fatto nell’ipotesi in cui il conducente sia soggetto incensurato, non aduso all’uso di sostanze alcoliche e, inoltre, ove il disvalore del fatto, valutato ai sensi dell’art. 133 c.p., possa essere considerato di particolare tenuità.

Di conseguenza, l’assunzione di alcol, seppure in misura non modesta, non pregiudica l’applicazione della causa di esclusione della punibilità de qua, se il fatto complessivamente valutato può essere considerato di speciale tenuità, in assenza di danni o di pericolo per la circolazione stradale.

With the current judgment, The Supreme Court confirms, concerning the driving under the influence of alcohol, the applicability to the person responsible for the offence pursuant to the article 186, Highway Code, paragraph 2, letter c) of the non-punishability cause for the particular tenuity of the fact in the case in which the driver has no criminal record, he is not addicted to the use of drugs and, moreover, where the value of the fact, assessed in accordance with the article 133 of the Italian criminal code, could be considered particularly moderate. Therefore, the alcohol consumption, even in no small degree, would not affect the applicability of the above mentioned non-punishability cause, if the fact, assessed as a whole, may be considered of special tenuity, in the absence of damages or danger to road traffic.

SOMMARIO: 1. Il caso di specie. – 2. L’impugnazione della Procura. – 3. Natura e ambito di applicazione dell’art. 131 bis c.p. – 4. La valutazione in concreto del disvalore del fatto offerta dalla Suprema Corte. – 5. Considerazioni conclusive.

1. Il caso di specie

La Corte d’Appello di Catanzaro, con sentenza del 13 giugno 2019, in riforma della sentenza emessa dal Tribunale di Cosenza, che aveva riconosciuto l’imputato colpevole del reato di cui all’art. 186, comma 2, lett. c), C.d.S [1], dichiarava il non doversi procedere nei suoi confronti ai sensi dell’art. 131 bis c.p.[2] per essere stata la sua condotta connotata da particolare tenuità.

Secondo il giudice del gravame, difatti, la condotta del conducente, valutata alla luce dei parametri normativi enucleati nell’art. 133 c.p., doveva ritenersi di modesto disvalore trattandosi di soggetto incensurato, non dedito all’assunzione di sostanze alcoliche e, peraltro, caratterizzandosi la condotta occasionale da questi tenuta per lo spirito di collaborazione prestato nell’immediatezza del fatto e per la persistente capacità di autodeterminazione.  

La Corte d’Appello riteneva inoltre che l’offesa procurata alla circolazione stradale si connotasse per la sua particolare tenuità, non essendosi prospettati pericoli concreti per il bene giuridico in questione, trattandosi di un controllo di routine posto in essere dagli agenti, senza che risultassero palesate condotte di guida inappropriate o pericolose da parte del conducente.

Il giudice di secondo grado, pertanto, concludeva che, pur avendo assunto l’imputato sostanze alcoliche in misura non modesta, l’accadimento poteva ritenersi di speciale tenuità in assenza di danni o di pericoli procurati alla circolazione stradale, attesa l’occasionalista della condotta e la minima intensità del coefficiente psicologico.

2. L’impugnazione della Procura

Avverso tale pronuncia proponeva ricorso per cassazione il Procuratore Generale presso la Corte d’Appello di Catanzaro, deducendo violazione di legge e vizio di motivazione della sentenza di secondo grado per contraddittorietà e illogicità nel riconoscimento della causa di non punibilità di cui all’art. 131 bis c.p..

Il Procuratore Generale, infatti, pur riconoscendo in astratto l’applicabilità della causa di non punibilità in questione con riferimento ai reati che prevedono soglie progressive di punibilità, osservava che il giudice d’appello, nel caso di specie, aveva erroneamente ritenuto applicabile l’art. 131 bis c.p. sulla scorta di elementi privi, a suo parere, di valenza in rapporto ai reati contravvenzionali di pericolo presunto, quali il comportamento serbato dall’imputato in occasione dell’accertamento etilometrico e la commissione in orario notturno del fatto oggetto di contestazione.

Inoltre, evidenziava ancora nell’atto di ricorso il Procuratore Generale, il giudice di secondo grado non avrebbe debitamente considerato l’elevato tasso alcolemico effettivamente riscontrato al prevenuto che, sebbene non astrattamente ostativo alla concessione del beneficio, ne condizionava fortemente il riconoscimento.

Da ultimo, ha infine rilevato il Procuratore Generale, la motivazione della sentenza oggetto di gravame sarebbe stata affetta da illogicità laddove la Corte distrettuale aveva attribuito rilievo all’assenza di danni o di concreti pericoli arrecati alla circolazione stradale seppur la fattispecie violata rappresentasse un reato contravvenzionale punibile in presenza di pericolo presunto.

La sentenza in esame, condividendo le argomentazioni della Corte territoriale, ha dichiarato inammissibile il ricorso presentato da parte del Procuratore Generale.

3. Natura e ambito di applicazione dell’art. 131 bis c.p.

Prima di analizzare la soluzione adottata dalla Suprema Corte, appare utile premettere brevemente quali siano i presupposti applicativi nonché i tratti caratterizzanti l’istituto della esclusione della punibilità per la particolare tenuità del fatto.

Il legislatore, con il d.lgs. 16 marzo 2015 n. 28, ha inserito nel codice penale l’art. 131 bis concernente l’esclusione della punibilità per la particolare tenuità del fatto con il dichiarato intento di «perseguire finalità connesse ai principi di proporzione e di extrema ratio, con effetti anche in tema di deflazione» [3].

Per quanto riguarda la natura dell’istituto giuridico in parola, secondo l’opinione pressoché unanime[4] si tratta di un istituto giuridico di diritto sostanziale come peraltro è dato desumersi dalla collocazione all’interno del Titolo V del Libro primo del codice penale, relativo ai reati in generale, nonché dall’espresso riferimento alla punibilità e non alla procedibilità del reato come avviene, invece, con gli istituti della particolare tenuità del fatto nel processo minorile e per i reati di competenza del Giudice di Pace che prevedono entrambi una causa di improcedibilità di un fatto tenue.

Proprio in virtù dell’asserita natura sostanziale dell’istituto de quo, è stata sollevata la questione riguardante i profili intertemporali della causa di non punibilità in parola, onde stabilire se e in che termini tale norma possa trovare applicazione nei giudizi pendenti.

Il d. lgs. n. 28 del 2015 non ha infatti dettato alcuna disposizione di diritto intertemporale, rendendo ancor più attuale la necessità di individuare il regime successorio della nuova causa di non punibilità.

La natura sostanziale – che, come anticipato, è stata riconosciuta all’istituto dalla dottrina maggioritaria e della giurisprudenza di legittimità prevalente – ha consentito di affermare che, trattandosi di lex mitior, essa fosse destinata ad applicarsi retroattivamente ai fatti commessi prima della sua entrata in vigore in virtù del principio di retroattività della legge penale favorevole [5]; deve tuttavia precisarsi che, ai sensi dell’art. 2, comma 4, c.p., la norma non può trovare applicazione con riferimento ai reati decisi con sentenza passata in giudicato.

Con riferimento, invece, ai giudizi pendenti davanti alla Corte di Cassazione al momento di entrata in vigore della nuova disciplina, in un primo momento era stata negata la possibilità, per i giudici di legittimità, di rilevare di ufficio, ai sensi dell’art. 609, comma 2, c.p.p., la sussistenza delle condizioni di applicabilità dell’art. 131 bis c.p., avvalendosi delle risultanze processuali e della motivazione della sentenza impugnata, occorrendo piuttosto la Corte annullasse la sentenza e rinviasse la causa al giudice di merito perché potesse applicare la causa di non punibilità.

Tale orientamento ha registrato tuttavia posizioni di segno contrario nella giurisprudenza della Corte, che, di recente, ha ritenuto possibile riconoscere la particolare tenuità del fatto nel giudizio di legittimità, senza procedere al rinvio al giudice di merito, «a condizione che i presupposti di applicabilità siano immediatamente rilevabili dagli atti e non siano necessari ulteriori accertamenti fattuali» [6].

Con riferimento alla logica sottesa alla sua introduzione, la particolare tenuità del fatto è stata concepita come «istituto teso a perseguire obiettivi di deflazione e di decongestione della macchina giudiziaria»[7]con il quale il legislatore rinuncia all’applicazione della pena per quei reati che presentano un’offesa particolarmente tenue, senza rinunciare, tuttavia, ad una valutazione del fatto nella sua dimensione storico-fattuale, volta ad accertarne l’effettiva carica offensiva.

Il reato, come ha osservato attenta dottrina, non costituisce un monolite, bensì un’entità misurabile, con il risultato di poter formulare un giudizio di esiguità quantitativa, seppur a fronte di un fatto che non risulti affetto da radicale inoffensività [8].

A ben vedere, presupposto di applicabilità della norma è che l’offesa al bene vi sia stata e che quindi si sia in presenza di un reato perfezionato in tutti i suoi elementi che tuttavia il legislatore si rifiuta di punire in quanto l’offesa è di minima consistenza.

Ciò comporta che la declaratoria di non punibilità per particolare tenuità del fatto pur risolvendosi in una sentenza di proscioglimento, porta con sé la necessaria statuizione di colpevolezza dell’imputato, conservando pertanto rilevanza sia ai fini del giudicato al di fuori del processo penale (art. 651 bis c.p.p.) che per l’iscrizione nel casellario giudiziale.

Quanto invece ai presupposti applicativi, la punibilità è esclusa nei reati per i quali è prevista la pena detentiva non superiore nel massimo a cinque anni ovvero la pena pecuniaria sola o congiunta alla pena detentiva, quando per le modalità della condotta e per l’esiguità del danno o del pericolo l’offesa è di particolare tenuità ed il comportamento non è abituale.

Occorre evidenziare che l’art. 131 bis c.p. prevede l’esclusione della punibilità per quei comportamenti che risultino essere particolarmente tenui ovvero minimamente offensivi riferendosi alle modalità della condotta del reo, all’esiguità del danno o del pericolo valutate ai sensi dell’art. 133 del codice penale.

Per quanto concerne le modalità della condotta occorre far riferimento, oltre all’art. 133, comma 1, c.p., al secondo comma dell’art. 131 bis c.p., il quale dispone che l’offesa non può essere ritenuta di particolare tenuità quando l’autore del reato ha agito per motivi abietti o futili o con crudeltà anche in danni di animali o ha adoperato sevizie o ha profittato delle condizioni di minorata difesa della vittima anche in riferimento all’età della stessa.

Per quanto concerne i parametri normativi individuati dall’art. 133, comma 1, c.p., per la valutazione delle modalità della condotta occorre riferirsi ai numeri 1) e 3), in particolare alla natura, alla specie, ai mezzi, all’oggetto al tempo, al luogo, ad ogni altra modalità dell’azione e all’elemento psicologico relativo all’intensità del dolo o al grado della colpa.

Per quanto riguarda, invece, la valutazione dell’esiguità del danno o del pericolo, il secondo comma dell’art. 131 bis c.p. dispone che il comportamento non può essere ritenuto di particolare tenuità quando la condotta del colpevole ha cagionato, quali conseguenze non volute, la morte o le lesioni gravissime alla persona offesa dal reato. Analogamente, l’art. 133, comma 1, n. 2) c.p. fa riferimento alla gravità del danno o del pericolo cagionato alla vittima.

Al fine di escludere la punibilità è necessaria, altresì, la non abitualità del comportamento, la cui definizione è rinvenibile nel terzo comma dell’art. 131 bis c.p., ai sensi del quale il comportamento è abituale nel caso in cui l’autore del reato sia stato dichiarato delinquente abituale, professionale o per tendenza ovvero abbia commesso più reati della stessa indole, anche se ciascun fatto, isolatamente considerato, sia di particolare tenuità, nonché nel caso in cui si tratti di reati che abbiano ad oggetto condotte plurime, abituali e reiterate.

Sul punto è opportuno segnalare che la prima parte del comma terzo ha sollevato un problema interpretativo in merito alla compatibilità dell’istituto con la recidiva eventualmente contestata al reo. La questione, in particolare, si è posta poiché attenta dottrina non ha mancato di osservare come manchi alcun riferimento all’istituto della recidiva tra i limiti di cui al comma terzo, che prende invece in considerazione le figure tipiche del delinquente abituale, professionale o per tendenza.

Al riguardo, è prevalsa in giurisprudenza la tesi secondo cui il legislatore non ha inteso assegnare carattere ostativo alla contestata recidiva, fatta tuttavia eccezione per quella particolare forma di recidiva c.d. reiterata specifica, in quanto espressiva dell’abitualità del comportamento penalmente rilevante [9].

Nonostante l’importante funzione deflattiva svolta dall’istituto de quo, in data 25 luglio 2019, con atto n. 2024, è stata presentata alla Camera dei Deputati una proposta di legge finalizzata ad abrogare interamente l’art. 131 bis c.p.[10].

Tale proposta di legge pare fondarsi sul recupero di una visione “giustizialista” del processo penale: nel documento parlamentare, infatti, si legge che «non punire un soggetto che abbia commesso un reato sussistente e accertato in tutti i suoi elementi andrebbe a vanificare gli effetti della giustizia penale e a scardinare il sistema penale facendo venire meno sia la funzione di intimidazione, sia quella di retribuzione e punitiva e perfino quella di rieducazione. Per di più, la disciplina de qua potrebbe essere addirittura interpretata come una vera e propria concessione a delinquere tenuamente». La proposta abrogativa è attualmente all’esame delle commissioni parlamentari competenti.

Gli argomenti critici desumibili dalla lettura della proposta abrogativa in parola pongono sostanzialmente l’accento sulle incertezze applicative cui darebbe vita la disciplina dettata dall’art. 131 bis c.p., la cui previsione renderebbe «molto difficile comprendere, nella concretezza, quando l’applicazione dell’istituto sia adeguata ed equilibrata», facendo così trasparire una manifesta sfiducia nei confronti del ruolo del giudice [11].

Ulteriore addebito che viene mosso alla previsione di cui all’art. 131 bis c.p. consiste nel paventato pericolo che si possa fare un uso improprio dell’istituto de quo al fine esclusivo di alleggerire il carico di lavoro degli uffici giudiziari.

Anche in virtù di ciò, la disposizione de qua è stata di recente rimaneggiata ad opera del d. lgs. 14 giugno 2019, n. 53 (c.d. decreto sicurezza bis), convertito con legge del 8 agosto 2019, n. 77, che ha operato una perimetrazione della fattispecie di cui all’art. 131 bis c.p., aggiungendo al comma secondo il seguente periodo «l’offesa non può altresì essere ritenuta di particolare tenuità quando si procede per delitti, puniti con una pena superiore nel massimo a due anni e sei mesi di reclusione, commessi in occasione o a causa di manifestazioni sportive, ovvero nei casi di cui agli articoli 336, 337 e 341 bis, quando il reato è commesso nei confronti di un pubblico ufficiale nell’esercizio delle proprie funzioni».

4.  La valutazione in concreto del disvalore del fatto offerta dalla Suprema Corte

Effettuata questa doverosa e sintetica premessa circa la genesi normativa della disciplina dettata dall’art. 131 bis c.p., si affermare come la Suprema Corte, con l’arresto in esame, condividendo le argomentazioni della Corte territoriale, ha dichiarato inammissibile il ricorso presentato da parte del Procuratore Generale presso la Corte d’Appello di Catanzaro.

Secondo i giudici di legittimità, infatti, con riferimento all’applicabilità dell’art. 131 bis c.p., il giudice deve basarsi su quanto sia emerso durante il giudizio di merito, come peraltro ribadito dalla sentenza a Sezioni Unite n. 13681 del 2016, Tushaj [12].

Il Supremo Collegio, con la pronuncia in commento, ha condivisibilmente respinto le censure sollevate nei motivi di doglianza dal Procuratore Generale, allineandosi ai principi espressi nella pronuncia, resa a Sezioni Unite, da ultimo richiamata.

Con la sentenza Tushaj, anch’essa concernete il reato di guida in stato di ebbrezza, la Corte di Cassazione ha sostenuto che, pur essendo evidente che un ampio superamento delle soglie di rilevanza penale potrebbe tendenzialmente portare ad escludere la configurabilità della causa di non punibilità di cui all’art. 131 bis c.p., in ogni caso nessuna conclusione potrebbe essere tratta in astratto, prescindendo dunque dalle particolarità del caso concreto.

Allineandosi all’obiter dictum delle Sezioni Unite, il Collegio ha dunque affermato che la motivazione del Giudice distrettuale appare coerente ed adeguata sotto il profilo logico-giuridico laddove ritiene di poter applicare la disciplina di cui all’art. 131 bis c.p. al ricorrere di taluni presupposti in grado di dimostrare la modestia del fatto di reato, con specifico riferimento alle  concrete modalità della condotta e alla gravità del pericolo concretamente procurato al bene giuridico tutelato dalla norma incriminatrice che si assume violata.

Nel caso in esame, secondo la Corte di legittimità, non ricorreva alcuno dei fattori ostativi all’applicazione della causa di non punibilità de qua (pena detentiva non superiore nel massimo a cinque anni, esiguità del danno o del pericolo, non abitualità della condotta), ragion per cui, ha ulteriormente ritenuto la Corte, la valutazione che il giudice di merito era chiamato ad operare non poteva che fondarsi sulla specificità del caso concreto «senza ricorrere a presunzioni o a preclusioni derivanti dalla originaria previsione di soglie di maggiore o minore offensività».

Oltre a ciò, ha rilevato ancora il Collegio, gli esiti dell’alcoltest, nonostante fossero stati compresi nel range della soglia più elevata, nondimeno risultavano prossimi al limite della soglia inferiore.

Il giudice, ha peraltro sostenuto la Corte, ha debitamente valutato la modestia del grado dell’offesa arrecata alla circolazione stradale, difettando elementi che potessero dirsi sintomatici di una condizione di alterazione del conducente, il quale non aveva dimostrato né una particolare spericolatezza alla guida, né, tantomeno, una apparente condizione di difetto di controllo.

In definitiva, afferma la Corte, ai fini dell’applicabilità della causa di non punibilità de qua assume centrale rilievo la valutazione in concreto del fatto, non rappresentando preclusione in tal senso la previsione di soglie di maggiore o minore offensività.

D’altronde, il principio enunciato pare conforme all’orientamento delle Sezioni Unite dinanzi richiamato, posto che già in tale ultima occasione la Suprema Corte aveva riconosciuto la possibilità di applicare l’art. 131 bis c.p., debitamente valutando anche l’effettivo allontanamento dal valore-soglia[13].

In altri termini, secondo le Sezioni Unite, «quanto più ci si allontana dal valore-soglia tanto più è verosimile che ci si trovi in presenza di un fatto non specialmente esiguo»; ciò, tuttavia, non esime il giudice dallo svolgimento di una valutazione specifica del fatto, senza poter questi ricorrere ad alcun tipo di presunzione.

Sul punto, attenta dottrina [14]ha osservato, in continuità con l’orientamento giurisprudenziale oggi prevalente, che nell’ambito applicativo di cui all’art. 131 bis c.p. vadano ricompresi anche i reati nella cui fattispecie siano previste delle soglie quantitative purché il fatto concreto si collochi immediatamente al di sopra della soglia di legge e la sua complessiva fisionomia parli nel senso della particolare tenuità [15].

Secondo la Corte, in ogni caso, ai fini dell’applicabilità dell’art. 131 bis c.p. risultano decisivi i parametri normativi contenuti nell’art. 133 c.p., ivi compresi i «profili di antidoverosità della condotta, pure valorizzati dall’art. 133 c.p. in relazione al grado della colpa».

La Suprema Corte, inoltre, ha da ultimo colto l’occasione per riaffermare implicitamente quanto già precisato dalle Sezioni Unite circa l’applicabilità della particolare tenuità del fatto rispetto agli illeciti penali che hanno natura di reati di pericolo presunto.

Anche in questi casi, infatti, il giudice potrà apprezzare le modalità di manifestazione del reato e, al fine di ponderare la gravità dell’illecito, valuterà quale sia in concreto il possibile impatto pregiudizievole rispetto al bene giuridico tutelato dalla norma di volta in volta violata.

5. Considerazioni conclusive

In definitiva, la Suprema Corte sembra aver correttamente applicato i principi enunciati dalla pronuncia a Sezioni Unite Tushaj, considerato, peraltro, che il conducente era stato sorpreso alla guida con un tasso alcolemico ricompreso nel range della soglia più elevata, ma comunque prossimo al limite della soglia inferiore.

Con la sentenza in commento la Corte ha dunque chiarito come la valutazione in ordine alla particolare tenuità del fatto attenga a qualcosa di più complesso rispetto al mero superamento delle soglie di non punibilità, dovendo il giudice tenere conto di tutte le peculiarità del caso concreto e degli aspetti di pericolosità ricorrenti nella fattispecie concretamente sottoposta al suo giudizio, dai quali poter desumere l’applicabilità o meno della causa di esclusione della punibilità de qua.

Pare dunque persuasiva – a parere di chi scrive – la premessa posta a fondamento dell’impianto argomentativo della sentenza in commento, secondo cui, nella guida in stato di ebrezza il tasso alcolemico non rappresenta l’unico fattore rilevante ai fini della valutazione della gravità del reato da parte del giudice, dovendo questi ritenere l’offesa concretamente graduabile anche sulla base di elementi diversi dal tasso alcolemico, quali, ad esempio, particolari modalità della condotta[16].

Tale conclusione si fonda sulla considerazione che la condotta punita dall’art. 186, comma 2, lett. c), C.d.S non consiste semplicemente nel superamento del tasso alcolemico indicato nella relativa fattispecie, ma è rappresentato dalla «guida» di un veicolo in stato di ebbrezza.

Il tasso alcolemico, pertanto, lungi dall’assorbire il disvalore della fattispecie in oggetto, svolge il ruolo di parametro al quale il legislatore ha inteso ancorare la presunzione di pericolosità della condotta di guida di un soggetto che ha assunto bevande alcoliche.

Si tratta di una valutazione operata in astratto dal legislatore che, in un’ottica di prevenzione finalizzata alla tutela della sicurezza della circolazione stradale, ha scelto di configurare un reato di pericolo astratto sulla base della presunzione di pericolosità della condotta di guida di chi supera determinati tassi alcolemici, presumendo appunto che in questi casi vi sia un’alterazione delle capacità di guida derivante dallo stato di ebbrezza.

In secondo luogo, preme rilevare che con riguardo alla fattispecie di guida in stato di ebbrezza le modalità della condotta e le particolari circostanze di tempo e di luogo in cui essa si esplica si ripercuotono, graduandone l’entità, sull’offesa al bene giuridico tutelato.

Sussiste, quindi, il presupposto logico necessario per l’applicazione dell’art. 131 bis c.p.: la graduabilità in concreto dell’offesa sulla base delle modalità della condotta e dell’esiguità del pericolo.

Sgombrato dunque il campo dai dubbi di compatibilità dell’istituto de quo con la guida in stato di ebbrezza, chi scrive ritiene opportuno formulare, senza pretese di completezza, alcune osservazioni di carattere generale che paiono confermare la possibilità di applicare la causa di non punibilità di cui all’art. 131  bis c.p. al reato in esame.

In primo luogo, deve essere valorizzata la diversità di piani sui cui opera da un lato, la selezione legislativa dei fatti penalmente rilevanti attraverso la tecnica delle soglie, e, dall’altro lato, la valutazione giudiziale di particolare tenuità del fatto: la prima opera sul piano astratto, mentre la seconda lavora su quello concreto.

Ed anzi, l’istituto di cui all’art. 131 bis c.p. pare proprio fondarsi sulla consapevolezza che nemmeno il pieno rispetto, da parte del legislatore (e quindi sul piano astratto), dei principi di offensività e di sussidiarietà sia da solo sufficiente ad assicurare la piena attuazione di tali principi, attuazione che deve necessariamente passare attraverso la mediazione del giudice.

Pertanto, ad avviso di chi scrive, le valutazioni inerenti alla gravità del reato formulate in astratto dal legislatore non costituiscono, da sole, ostacolo all’applicazione della non punibilità per particolare tenuità del fatto.

Inoltre, è opportuno tenere presente che la causa di non punibilità di cui all’art. 131 bis c.p. è istituto di carattere generale, come si desume dalla collocazione nella parte generale del codice penale e dall’individuazione dell’ambito di applicazione sulla base della sola entità della pena, in luogo di una selezione fondata su particolari categorie di reati.

Vale poi la pena sottolineare, come ha osservato attenta dottrina, che quando il legislatore ha inteso escludere determinati gruppi di reati dalla sfera applicativa dell’istituto in esame – quali, ad esempio, quelli commessi per motivi abietti o futili, con crudeltà etc. – lo ha fatto esplicitamente[17]. Un istituto così configurato quindi, mal si presta a restrizioni del suo ambito di applicazione, operate in via interpretativa mediante l’esclusione di intere categorie di reati.

La sentenza in commento, a ben vedere, pare rappresentare un’applicazione condivisibile dei principi di natura sostanziale cui si ispira l’istituto della particolare tenuità del fatto.

Ed infatti, come ha diffusamente rilevato autorevole dottrina[18], l’introduzione dell’istituto de quo, almeno tra gli auspici del legislatore delegante, è stato animato dalla volontà di concretizzare un uso più proporzionato della «risorsa giustizia» per fatti connotati da un disvalore concreto poco più che bagattellare, offrendo una diversificazione della risposta penale rispetto a quella tradizionalmente ancorata all’irrogazione della sanzione.

L’introduzione dell’istituto di cui si discute risponde, difatti, alla necessità di evitare che una formale e rigida applicazione delle norme incriminatrici finisca per determinare la repressione di fatti privi di quella carica di «disvalore globale» che unicamente dovrebbe legittimare l’intervento punitivo in un sistema orientato al perseguimento di istanze di prevenzione generale della pena.

Come autorevole dottrina ha sottolineato, valorizzare l’esiguità del reato per ridurre lo spazio occupato dalla pena «è un obiettivo aderente alla piena realizzazione dei principi di offensività e di proporzionalità, oltre che della funzione rieducativa della pena: principi, tutti, che risultano fortemente sacrificati da condanne penali per offese bagatellari, realizzate da autori in concreto non bisognosi di rieducazione e risocializzazione»[19].

Parimenti, l’applicazione dell’istituto estesa ad ogni possibile tipologia di reato ed effettuata confrontandosi, attraverso degli indicatori specifici, con la vicenda concreta e le sue irripetibili diramazioni, in ossequio all’invito delle Sezioni Unite, restituisce al giudice quel potere di valutazione discrezionale che l’art. 133 c.p. espressamente gli attribuisce: il giudice è chiamato a farsi interprete nel caso concreto di una logica di meritevolezza della pena[20].

Così inteso il ruolo del giudice, la causa di esclusione della punibilità di cui all’art. 131 bis c.p. incrementa le proprie potenzialità applicative, espungendo dal circuito penale fatti marginali, non meritevoli di una sanzione penale e recuperando il senso autentico del principio di extrema ratio che caratterizza il diritto penale.

Da tali considerazioni discende che la causa di non punibilità della particolare tenuità del fatto di cui all’art. 131 bis c.p., una volta accertata la situazione pericolosa e dunque l’offesa al bene giuridico tutelato dalla norma che si assume violata, lascia pur sempre residuare in capo al giudice uno spazio per apprezzare in concreto, alla stregua delle concrete modalità di manifestazione del reato, quale sia lo sfondo fattuale in cui la condotta si iscrive e quale sia, di conseguenza, il possibile impatto pregiudizievole per il bene giuridico tutelato.


[1] Chiunque guida in stato di ebbrezza è punito, ove il fatto non costituisca più grave reato […] con l’ammenda da euro 1.500 a euro 6.000, l’arresto da sei mesi ad un anno, qualora sia stato accertato un valore corrispondente ad un tasso alcolemico superiore a 1,5 grammi per litro. All’accertamento del reato consegue in ogni caso la sanzione amministrativa accessoria della sospensione della patente di guida da uno a due anni».

[2] L’art. 131 bis c.p., introdotto con il d. lgs. n. 28 del 16 marzo 2015, dispone: «Nei reati per i quali è prevista la pena detentiva non superiore nel massimo a cinque anni, ovvero la pena pecuniaria, sola o congiunta alla predetta pena, la punibilità è esclusa quando, per le modalità della condotta e per l’esiguità del danno o del pericolo, valutate ai sensi dell’articolo 133, primo comma, l’offesa è di particolare tenuità e il comportamento risulta non abituale. L’offesa non può essere ritenuta di particolare tenuità, ai sensi del primo comma, quando l’autore ha agito per motivi abietti o futili, o con crudeltà, anche in danno di animali, o ha adoperato sevizie o, ancora, ha profittato delle con­dizioni di minorata difesa della vittima, anche in riferimento all’età della stessa ovvero quando la condotta ha cagionato o da essa sono derivate, quali con­seguenze non volute, la morte o le lesioni gravissime di una persona. Il comportamento è abituale nel caso in cui l’autore sia stato dichiarato delin­quente abituale, professionale o per tendenza ovvero abbia commesso più reati della stessa indole, anche se ciascun fatto, isolatamente considerato, sia di particolare tenuità, nonché nel caso in cui si tratti di reati che abbiano ad oggetto condotte plurime, abituali e reiterate. Ai fini della determinazione della pena detentiva prevista nel primo comma non si tiene conto delle circostanze, ad eccezione di quelle per le quali la legge sta­bi­lisce una pena di specie diversa da quella ordinaria del reato e di quelle ad ef­fetto speciale. In quest’ultimo caso ai fini dell’applicazione del primo comma non si tiene conto del giudizio di bilanciamento delle circostanze di cui all’ar­ticolo 69. La disposizione del primo comma si applica anche quando la legge prevede la particolare tenuità del danno o del pericolo come circostanza attenuante».

[3] PALAZZO, La non-punibilità: una buona carta da giocare oculatamente, 19.12.2019, in www.sistemapenale.it.

[4] G. MARINUCCI, E. DOLCINI, G.L. GATTA, Manuale di diritto penale. Parte generale, VIII ed., Milano, Giuffré, 2019, p. 409; T. PADOVANI, Un intento deflattivo dal possibile effetto boomerang, in Guida al diritto, 2015, p. 20.

[5] Cfr. Gullo, A., Art. 131-bis, in Dolcini, E. e Gatta, G.L., diretto da, Codice penale commentato, V ed., 2021, 1975 ss.

[6] Sul punto si veda Cass. pen., Sez. II, 9.12.2020, n. 35033.

[7] CORNACCHIA, La punibilità sub condicione, in www.lalegislazionepenale.eu, 12.12.2017, 31

[8] GROSSO, La non punibilità per particolare tenuità del fatto, in Dir. pen. proc., 2015, 522.

[9] Cass. Pen., Sez. V, 19.10.2020 (dep. 14.1.2021), n. 1489, CED 2802250-01.

[10] Cfr. Proposta di legge A.C. 2024.

[11] V. PELISSERO, Politica, consenso sociale e dottrina: un dialogo difficile sulle riforme attuate e mancate del sistema sanzionatorio, in Archivio Penale, 2019, 1, 11.

[12] Cass. pen., S.U., 25.2.2016 (dep. 6.4.2916), n.13681, Tushaj, in Riv. it. dir. e proc. pen., 2016, 1537.

[13] A favore dell’applicabilità dell’art. 131 bis c.p. v. già Cass. pen., Sez. IV, 9.9.2015, n. 44132, Longoni, relativa a un’ipotesi in cui la soglia del tasso alcolemico prevista nell’art. 186, comma 2, lett. b) C.d.S. (0,8 grammi/litro) era stata superata di 2 centesimi alla prima rilevazione e di 5 centesimi alla seconda rilevazione.

[14] DE SANTIS, Il rapporto tra l’art. 131 bis c.p. e i reati con soglie di punibilità: luci e ombre della soluzione adottata dalle Sezioni Unite, in St. iur., 2016, 1417 ss.

[15] MARINUCCI-DOLCINI-GATTA, Manuale di diritto penale, Parte Generale, Milano, 2021, p. 478.

[16] DOVERE, La particolare tenuità e la guida in stato di ebbrezza: ancora in campo le Sezioni Unite, in Nel dir., 2016, 212 ss.

[17] G. ALBERTI, Guida in stato di ebbrezza e rifiuto di sottoporsi agli accertamenti alcolimetrici: applicabile l’art. 131-bis c.p.? la parola alle sezioni unite, in Diritto Penale Contemporaneo, 2016.

[18] C. SANTORIELLO, La clausola di particolare tenuità del fatto. Dimensione sostanziale e prospettive processuali, Milano, 2015; V. BOVE, Particolare tenuità del fatto, Milano, 2019, 28 ss.; V. MAIELLO, La particolare tenuità del fatto. Intervento, in Diritti & Giurisdizione, 2015, n. 3, 22.

[19] M. DONINI, voce Teoria del reato, in Dig. Disc. Pen., vol. XIV, Torino 1999, p. 275.

[20] MARINUCCI-DOLCINI-GATTA, Manuale di diritto penale, Parte Generale, Milano, 2021, p. 479.

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