Segnaliamo la sentenza n. 2, depositata il 17 gennaio 2025, con la quale la Consulta ha deciso sulle questioni di legittimità costituzionale sollevate dalla Corte di Assise di Cassino in riferimento all’art. 438, comma 1-bis, cod. proc. pen., secondo cui «[n]on è ammesso il giudizio abbreviato per i delitti puniti con la pena dell’ergastolo», in riferimento agli artt. 3, 24, 27 e 111 Cost.
La Corte rimettente premette di doversi pronunciare, in sede di giudizio immediato, su un’imputazione per il delitto di omicidio aggravato ai sensi degli artt. 575, 577, primo comma, numero 4), cod. pen., in relazione alla circostanza aggravante di cui all’art. 61, numero 1), cod. pen., per cui è prevista la pena dell’ergastolo.
Secondo l’ordinanza di rimessione, la disposizione censurata contrasterebbe, innanzi tutto, con gli artt. 3 e 27 Cost., perché il legislatore avrebbe irragionevolmente dettato una medesima preclusione processuale per ipotesi diverse, quali quelle riconducibili a fattispecie autonome di reato punite con la pena dell’ergastolo (è addotto a tertium comparationis il delitto di strage di cui all’art. 422 cod. pen.) e quelle inerenti a fattispecie che pervengono a tale sanzione – come nel caso di cui al giudizio a quo – unicamente in ragione della contestazione di circostanze aggravanti. Inoltre, è stato censurato l’art. 438, comma 1-bis, cod. proc. pen., anche perché la preclusione all’accesso al giudizio abbreviato per gli imputati di delitti cui accedono circostanze aggravanti che conducono all’irrogazione della pena perpetua risulterebbe ancora più irragionevole dopo l’entrata in vigore dell’art. 442, comma 2-bis, cod. proc. pen., che attribuisce al giudice dell’esecuzione il potere di ridurre di un sesto la pena inflitta nel caso in cui la sentenza di condanna resa in esito allo svolgimento di un giudizio abbreviato non sia stata impugnata né dall’imputato né dal suo difensore.
La Corte Costituzionale ha ritenuto entrambe le questioni non fondate.
A ben vedere, infondata è la questione con cui la Corte rimettente censura l’art. 438, comma 1-bis, cod. proc. pen., perché esso accomunerebbe sotto l’egida di una norma processuale di sfavore «fatti-reato dissimili e smaccatamente di diversa gravità» in contrasto con i principi di uguaglianza, proporzionalità e finalismo rieducativo della pena di cui agli artt. 3 e 27 Cost., in ragione dell’assoggettamento a una medesima preclusione degli imputati di fattispecie autonome di reato punite ex se con la pena dell’ergastolo (come il delitto di strage) e di quelli di delitti per i quali si perviene al medesimo esito per effetto di circostanze aggravanti (come quella contestata nel giudizio a quo). Ed ancora, in riferimento alla seconda questione, il vizio prospettato dall’ordinanza di rimessione non mostra di considerare la specificità, più volte messa in risalto dalla giurisprudenza di questa Corte, che assume il principio di proporzionalità della pena nel caso del trattamento sanzionatorio del delitto di omicidio, come da ultimo sistematicamente inquadrato nella sentenza n. 197 del 2023 (precedente alla sollevazione delle odierne questioni, ma non richiamata dal giudice a quo).
Dunque, il principio di proporzionalità esige «che la pena sia adeguatamente calibrata non solo al concreto contenuto di offensività del fatto di reato per gli interessi protetti, ma anche al disvalore soggettivo espresso dal fatto medesimo», il quale a sua volta «dipende in maniera determinante non solo dal contenuto della volontà criminosa (dolosa o colposa) e dal grado del dolo o della colpa, ma anche dalla eventuale presenza di fattori che hanno influito sul processo motivazionale dell’autore, rendendolo più o meno rimproverabile» (sentenza n. 73 del 2020; nello stesso senso, sentenze n. 94 del 2023 e n. 55 del 2021).