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Giudizio abbreviato e integrazione probatoria: nuovi limiti alla fluidità della imputazione

Corte di cassazione, Sezioni Unite, sentenza 13 febbraio 2020, n. 5788,

Carcano Presidente –  De Crescienzo Relatore –  Iacoviello  P.G. (conf.)

In caso di giudizio abbreviato sottoposto ad integrazione probatoria, il pubblico ministero può modificare o integrare la contestazione soltanto laddove tale esigenza si manifesti come necessario adeguamento agli esiti istruttori.

 

ABSTRACT

La sentenza nega, nel caso di giudizio abbreviato sottoposto ad integrazione probatoria, la facoltà dell’accusa di modificare o integrare l’imputazione sulla base di materiale già noto. La previsione del potere di modifica (art. 423 c.p.p.) è un’eccezione rispetto alla regola enunciata dall’art. 441, comma 1, c.p.p.. Un’accusa <<stabile>> è <<presidio di garanzia per l’imputato>> e su di essa la difesa effettua le proprie pregnanti scelte. Appare sempre più eroso il concetto di <<fluidità della imputazione>>, in linea con le pronunce della Corte costituzionale relative agli artt. 516 e 517 c.p.p. in tema di facoltà di accesso ai riti alternativi.

According to the Judgment handed down by the Supreme Court, the Public Prosecutor is not entitled to amend the Indictment Sheet if the defendant has opted for an abbreviated trial on the condition that new evidence is gathered, when the amendments stem from evidentiary materials already in the case-file. The possibility of modifications rule (art. 423 c.p.p.) is an exception to the standard stipulated for in art. 441, first clause, c.p.p. «Steady» Indictments «safeguard defendants» insofar as fundamental defensive choices are based upon them. To the contrary, the idea of a «shifting Indictment» loses ground in accordance to Constitutional Court judgments on art. 516 and 517 c.p.p. in relation to special proceedings.

 

  1. Il caso ed il principio di diritto

Nel corso di un giudizio abbreviato sottoposto ad integrazione probatoria, il pubblico ministero modificava l’originaria imputazione (per omicidio volontario e incendio), contestando l’ulteriore reato di occultamento di cadavere e, in relazione al delitto di omicidio, le aggravanti di cui agli artt. 61 comma 1, n. 1 (motivi abbietti o futili), 61 comma 1, n. 4 (sevizie) e 577 (premeditazione) del codice penale. La difesa eccepiva immediatamente innanzi al Gip l’inammissibilità delle nuove contestazioni, rilevando come non fosse rinvenibile alcun nesso tra il materiale istruttorio acquisito e le contestazioni stesse.  Tali doglianze venivano respinte. Esclusa l’aggravante dell’aver adoperato sevizie e derubricato il delitto di incendio in danneggiamento aggravato seguito da incendio, l’imputato veniva così condannato ad anni 30 di reclusione.

La Corte di Assise di Appello, ritenute legittime le contestazioni suppletive in quanto inerenti a fatti già desumibili dagli atti del processo, escludendo l’aggravante della premeditazione, confermava nel merito la decisione.

Con ricorso per cassazione la difesa denunciava, per quanto di interesse, l’inosservanza degli artt. 441 e 441 bis, 423 c.p.p. e la Prima Sezione della Corte rilevato un potenziale contrasto con gli arresti precedenti sottoponeva alle Sezioni Unite la seguente questione: “se nel corso del giudizio abbreviato condizionato ad integrazione probatoria o nel quale l’integrazione sia stata disposta dal giudice, sia consentito procedere alla modificazione dell’imputazione o a contestazioni suppletive con riguardo a fatti già desumibili dagli atti delle indagini preliminari e non collegati agli esiti dei predetti atti istruttori”.

Le Sezioni Unite hanno così affermato il seguente principio di diritto: “nel corso del giudizio abbreviato condizionato ad integrazione probatoria a norma dell’art. 438 c.p.p., comma 5, o nel quale l’integrazione sia stata disposta a norma dell’art. 441 c.p.p., comma 5, è possibile la modifica dell’imputazione solo per i fatti emergenti dagli esiti istruttori ed entro i limiti previsti dall’art. 423 c.p.p.”.

 

  1. L’ imputazione a “rigidità temperata” e le norme di riferimento

La sentenza in commento, nel riaffermare l’importanza della stabilità della imputazione per la tutela delle prerogative difensive ed il carattere eccezionale delle norme che consentono al pubblico di ministero di modificarne o integrarne il contenuto, impone, anche alla luce dei diversi interventi della Corte costituzionale, una riflessione sul concetto di “fluidità della imputazione”.

Se, infatti, è plausibile ritenere concettualmente “fluida” la incolpazione nella fase delle indagini preliminari[1] e ai fini dell’applicazione delle misure cautelari[2], maggior cautela è doverosa nel  riferire l’attributo alla imputazione. Non può trascurarsi come il legislatore abbia previsto una <<cristallizzazione tendenzialmente definitiva[3]>> della pretesa punitiva già nella richiesta di rinvio a giudizio; qui la contestazione assume una prima connotazione di “solidità” o “rigidità”, sotto il profilo della descrizione fattuale, nei termini delineati dall’art. 417 c.p.p., così come novellato dalla legge Carotti. La locuzione <<enunciazione in forma chiara e precisa del fatto-reato, delle circostanze aggravanti e di quelle possono comportare l’applicazione di misure di sicurezza>> depone in tal senso[4].

Si tratta, senza alcun dubbio, di “rigidità temperata”. Infatti, già la legge delega per l’emanazione del nuovo codice di rito[5] aveva espressamente previsto, tra i principi ed i criteri fissati per l’attuazione del sistema accusatorio, la facoltà del pubblico ministero di modificare l’imputazione sia nel corso dell’udienza preliminare[6], sia in dibattimento[7].

Con l’evidente fine di rendere il fatto e le circostanze di cui l’imputato è chiamato a rispondere aderenti e coerenti con le emergenze istruttorie (trascurando nel presente commento il tema delle contestazioni suppletive ancorate al fatto nuovo ex artt. 423, comma 2 e 519 c.p.p., che richiedono il consenso dell’imputato), va rilevato come siano state espressamente autorizzate le seguenti modifiche:

  • nei casi in cui, <<nel corso dell’udienza>> preliminare, il fatto risulti diverso da come è descritto nell’imputazione ovvero emerga un reato connesso a norma dell’articolo 12 comma 1 lettera b) c.p.p., o una circostanza aggravante (art 423, comma 1, c.p.p.)[8];
  • nel caso di giudizio abbreviato connotato da integrazione probatoria ai sensi degli artt. 438, comma 5, c.p.p. e 441, comma 5, c.p.p. (art. 441 bis, che richiama l’art. 423, comma 1, c.p.p.);
  • nel caso in cui, <<nel corso dell’istruzione dibattimentale>>, il fatto risulti diverso da come descritto nel decreto che dispone il giudizio (art. 516 c.p.p.) o emerga un reato connesso a norma dell’articolo 12 comma 1 lettera b) c.p.p., o una circostanza aggravante (art. 517 c.p.p.).

Metamorfosi del contesto fattuale emerse nel corso della istruttoria e derivanti da necessità di adeguamento “fisiologico” trovano disciplina nelle norme mentovate. Il legislatore non menziona mai, in alcun modo, la facoltà di provvedere a contestazioni suppletive derivanti, invece, da “patologie” della imputazione[9]. Si tratta, per utilizzare le parole della Consulta di <<anomalie>>, dirette <<non già ad adeguare l’imputazione a nuove risultanze dibattimentali, ma a rimediare ad un’incompletezza già apprezzabile sulla base degli stessi atti di indagine[10]>>.

La sentenza in esame concerne proprio quest’ultima ipotesi.

 

  1. Le nuove contestazioni nel rito abbreviato e le motivazioni del Supremo Consesso

Il Supremo Consesso, nel restringere il potere di intervento del pubblico ministero,  muove le proprie argomentazioni da un’attenta analisi del panorama normativo di riferimento e dei principi dettati dalla Corte costituzionale.

Si osserva in primo luogo che con riferimento all’abbreviato cd. secco l’art. 441 c.p.p.[11] rinvia, in quanto compatibili, alle disposizioni previste per l’udienza preliminare, con l’ eccezione degli l’artt. 422[12] e 423, comma 1, c.p.p.[13], rendendo immutabile la cornice di riferimento entro la quale è stata operata scelta di rinunciare al dibattimento[14]. Pertanto, ammesso il rito[15], nessun errore nella contestazione risulterà più emendabile[16] (salvo un nuovo giudizio per l’ipotesi del reato connesso).

Nei casi di integrazione del materiale probatorio, sia su istanza di parte (art. 438, comma 5, c.p.p.) che d’ufficio (art. 441, comma 5, c.p.p.)[17], riaffiora invece la questione dell’adattabilità della imputazione alle emergenze probatorie, analogamente a quanto previsto nel rito ordinario.

In tali casi torna a rivivere l’art. 423 c.p.p. ed il pubblico ministero può modificare l’imputazione, secondo quanto previsto dall’art. 441 bis c.p.p.[18] L’imputato può così recedere dal rito abbreviato o proseguire nel giudizio in corso chiedendo l’ammissione di nuove prove in relazione alle nuove contestazioni.

L’accoglimento delle tesi rinnegate dalla Prima Sezione si concretizzerebbe in <<un’inspiegabile diversità di trattamento tra rito abbreviato secco e rito abbreviato condizionato in relazione a una medesima situazione processuale rappresentata da una contestazione patologica>> e lo stesso vale per l’integrazione probatoria d’ufficio.

Le Sezioni Unite, seppur caute nel non prendere una posizione netta sulla interpretazione letterale delle norme, laddove si fa riferimento all’espressione <<nel corso del giudizio>>, intervengono con una lettura delle stesse, perfettamente aderente ai principi enucleati nel corso del tempo dalla Consulta, sottolineando come si tratti sempre di un giudizio “allo stato degli atti”, che prevede un trattamento premiale a fronte della scelta di rinunciare al contraddittorio nella formazione della prova. La valutazione di trave gravosa determinazione, che involge, tra l’altro, la rinuncia a far valere eccezioni sulla competenza territoriale, nullità a regime intermedio e inutilizzabilità di carattere fisiologico, non può che fondarsi su valutazioni ancorate all’addebito condensato nella imputazione. Ciò anche nella ipotesi di abbreviato “arricchito” da integrazioni probatorie. Infatti, queste, sia che siano richieste dall’imputato, sia che siano disposte da giudice, hanno pur sempre come punto di riferimento l’addebito contestato.

L’imputazione occupa una posizione di centralità, quale <<presidio di garanzia per l’imputato, che ha diritto a conoscere nei suoi esatti termini il contenuto dell’accusa sulla cui base opera le proprie scelte anche in relazione al rito processuale e alla modalità di accesso ad esso>>. Il rischio da scongiurare è quello di <<minare una garanzia dell’imputato e indirettamente la bontà delle decisioni del giudice nella fase di ammissione al rito>>.

La Corte prende così le distanze dall’orientamento contrario citato dalla Prima Sezione, sottolineando come esso non trovi giustificazione né sotto il profilo della interpretazione letterale, né sotto quello logico sistematico, dando luogo ad una << illogica disarmonia di sistema>>   rispetto alla disciplina dell’abbreviato secco e denunciandone il contrasto con le indicazioni fornite dalla Corte costituzionale con la sentenza n. 140 del 2010.

Tale sentenza, in cui vengono espressamente menzionate due[19] delle quattro[20] pronunce citate a sostegno dell’orientamento “permissivo”, definisce severamente la lettura delle norme ivi operata: <<non apprezzabile in termini di diritto vivente, non incontestabile sul piano ermeneutico e comunque incompatibile con la Costituzione[21]>>. La Consulta è poi chiarissima laddove, partendo dall’esame delle norme sopra richiamate, afferma che: <<le eccezioni introdotte restano strettamente legate alle fattispecie che le giustificano: vale a dire che il pubblico ministero possa effettuare le nuove contestazioni solo quando affiori la necessità di adattare l’imputazione a nuove risultanze processuali, scaturenti da iniziative probatorie assunte nell’ambito del rito alternativo; rimanendo con ciò escluso che dette iniziative – tanto più se rimaste “prive di seguito” – possano rappresentare una patente di legittimazione per rivalutare, a scopo di ampliamento dell’accusa, elementi già acquisiti in precedenza e, fino a quel momento, non posti ad oggetto dell’azione penale>> [22].

Si osserva così che la risoluzione sulla convenienza dei riti alternativi dipende innanzitutto proprio dalla imputazione formulata e si richiamano i precedenti inerenti alle contestazioni suppletive in dibattimento e alla possibilità di passaggio dal rito ordinario ai riti speciali, sottolineando come analoghe argomentazioni debbano <<operare anche nella direzione inversa (…) sicché non sarebbe costituzionalmente accettabile>> che l’imputato <<venisse a trovarsi vincolato dalla sua scelta anche in relazione agli ulteriori reati concorrenti che – stando all’indirizzo interpretativo in discussione – potrebbero essergli contestati a fronte delle evenienze patologiche>>.

Appare opportuno precisare come in passato, invece, l’ampliamento dello spettro di intervento sulla imputazione in tali termini, sia stato tuttavia accolto con fervore dalla giurisprudenza[23], con poche, coraggiose, eccezioni[24]. Le conseguenze non sono di poco conto, potendo comportare la nullità parziale della sentenza[25].

 

  1. La “palinodia” della Consulta in tema di riti alternativi

Le norme concernenti le modifiche della imputazione hanno richiesto, in generale (anche per modifiche di carattere fisiologico), numerosissimi interventi della Corte costituzionale[26], nell’ottica di un adeguamento delle stesse ad un diritto di difesa effettivo[27].

La questione è emersa in passato in modo dirompente con riguardo al tema della perdita della facoltà dell’imputato di richiedere riti alternativi per il decorso dei termini, nel giudizio ordinario[28].

Tra le motivazioni sottese alle declaratorie di illegittimità costituzionale degli artt. 516 e 517 c.p.p., quelle che hanno fatto riferimento alle contestazioni “patologiche” non possono che fornire una chiave di lettura del fenomeno, a fronte del lampante parallelismo con quanto affrontato dalle Sezioni Unite in tema di abbreviato sottoposto ad integrazione probatoria.

In realtà, la Corte costituzionale non ha mancato, in passato, di affermare che rientrasse nelle valutazioni che lo stesso imputato deve compiere ai fini della determinazione della scelta del rito la evenienza della modificazione dell’imputazione a seguito dell’istruttoria dibattimentale[29], e che <<il relativo rischio>> rientrasse <<naturalmente nel calcolo in base al quale l’imputato si determina a chiedere o meno tale rito, onde egli non ha che da addebitare a se medesimo le conseguenze della propria scelta[30]>>.

Con l’avallo della Corte Costituzionale, la giurisprudenza di legittimità aveva affermato che <<nell’ipotesi di contestazione in base ad elementi già acquisiti, la difesa in realtà non subirebbe alcun pregiudizio, essendo stata già messa in condizione di conoscere i suddetti elementi>>[31].

Il primo punto di rottura si registra con una sentenza del 1994 in tema di applicazione della pena su richiesta[32], concernente proprio una contestazione “patologica”. Secondo tale pronuncia le valutazioni difensive circa la convenienza del rito alternativo dipendono in via principale proprio dalla concreta impostazione data al processo dal pubblico ministero, sicchè quando, in presenza di una evenienza patologica, l’imputazione subisce una variazione sostanziale, risulta lesivo del diritto di difesa precludere all’imputato l’accesso ai riti alternativi. Risulta inoltre violato, conformemente alle osservazioni già accennate, il principio di eguaglianza, poiché l’imputato è irragionevolmente discriminato rispetto alla possibilità di accesso a tali riti, in virtù della maggiore o minore esattezza o completezza della valutazione delle risultanze delle indagini preliminari da parte del pubblico ministero. Sulla base di tali considerazioni, la Corte ha dichiarato costituzionalmente illegittimi gli artt. 516 e 517 c.p.p., per contrasto con gli artt. 3 e 24 Cost., nella parte in cui non consentivano all’imputato di richiedere il patteggiamento, relativamente al fatto diverso o al reato concorrente contestato in dibattimento, quando la nuova contestazione concernesse un fatto che già risultava dagli atti di indagine al momento dell’esercizio dell’azione penale e ha dichiarato inammissibile la questione di legittimità costituzionale degli artt. 520 e 516 c.p.p., relativamente alla preclusione al giudizio abbreviato in ordine alle nuove contestazioni dibattimentali in riferimento agli artt. 3, 24 e 111 della Costituzione.

Quanto al giudizio abbreviato, si deve attendere infatti la sentenza n. 333 del 2009 che, invertendo la rotta tracciata con le sentenze n. 265 del 1994 e 129 del 2003 (entrambe avevano dichiarato inammissibili le questioni sollevate in tema di accesso al giudizio abbreviato), ha affermato che la disciplina delle contestazioni suppletive in dibattimento mira << a conferire un ragionevole grado di flessibilità all’imputazione, consentendone l’adattamento agli sviluppi e agli esiti dell’istruzione dibattimentale, quando alcuni profili di fatto, pur pertinenti o strettamente collegati all’oggetto dell’imputazione, risultino nuovi o diversi rispetto a quelli emersi dagli elementi a suo tempo acquisiti nelle indagini e valutati dal pubblico ministero per l’esercizio dell’azione penale. La formula dei citati artt. 516 e 517 – alla luce della quale la diversità del fatto, il reato concorrente e le circostanze aggravanti debbono emergere «nel corso dell’istruzione dibattimentale» – riflette tale finalità dell’istituto, evocando, primo visu, i soli mutamenti dell’imputazione imposti dall’evoluzione istruttoria e consente di qualificarlo come speciale e derogatorio con riguardo alle ordinarie cadenze processuali relative all’esercizio dell’azione penale e al suo controllo giudiziale>>[33]. Conseguenza di tale impostazione è stata la declaratoria di illegittimità costituzionale degli artt. 516 e 517 c.p.p., nella parte in cui non prevedevano la facoltà dell’imputato di richiedere al giudice del dibattimento il giudizio abbreviato relativamente al reato diverso e a quello concorrente contestato in dibattimento, quando la nuova contestazione concernesse un fatto che già risultava dagli atti di indagine al momento di esercizio dell’azione penale.

Evidente la frizione con l’orientamento della Corte di legittimità che, come accennato, sotto l’egida delle Sezioni Unite[34] aveva ritenuto che le nuove contestazioni previste dagli artt. 516 e 517 c.p.p. potessero essere basate anche sui soli atti già acquisiti dal pubblico ministero nel corso delle indagini preliminari. Ciò, come anticipato, sulla base di un vacuo richiamo alla legge delega e ai risultati “incongrui” che diversamente potrebbero prodursi: infatti, nel caso di reato concorrente, il procedimento dovrebbe retrocedere alla fase delle indagini preliminari, con conseguente vulnus ai principi di immediatezza e concentrazione del dibattimento; mentre, nel caso di circostanza aggravante, la mancata contestazione nell’imputazione originaria risulterebbe irreparabile, non potendo l’aggravante formare oggetto di un autonomo giudizio penale.

Ulteriori pronunce hanno dichiarato la illegittimità costituzionale dell’art. 517 c.p.p. nella parte in cui non prevedeva la facoltà dell’imputato di richiedere al giudice del dibattimento l’applicazione di pena su richiesta delle parti [35]o il giudizio abbreviato[36], in seguito alla contestazione nel dibattimento di una circostanza aggravante che già risultava dagli atti di indagine al momento dell’esercizio dell’azione penale.

Tali sentenze, seppur riferite alla possibilità di passaggio dal rito ordinario a quelli alternativi a fronte di nuove contestazioni “patologiche” in dibattimento, forniscono delle chiavi di lettura per la questione sottoposte alla Sezioni Unite in tema di abbreviato condizionato o sottoposto ad integrazione probatoria d’ufficio, laddove l’assunzione del materiale probatorio varrebbe soltanto come escamotage per ovviare alle anomalie del dato imputativo.

 

  1. Considerazioni finali

L’individuazione del punto di equilibrio tra esigenze di economia processuale e tutela delle prerogative difensive, nel caso di contestazioni suppletive legate ad esigenze patologiche, ha comportato, negli ultimi decenni, un numero considerevole di interventi della Suprema Corte e della Corte costituzionale. Tale numero rende di per sé tangibile come non possano essere secondate le affermazioni di quell’orientamento per cui il diritto di difesa non sarebbe leso da contestazioni “prevedibili”, proprio in quanto fondate su materiale in atti. La legge delega, che nulla prevede in ordine alla dicotomia tra contestazioni fisiologiche e patologiche, limitandosi a fissare principi e criteri di attuazione del sistema accusatorio, non può fornire addentellati in tal senso. Da ultimo, va osservato come il riferimento dei suindicati arresti ad un’interpretazione letterale delle norme appaia paradossale, muovendo da uno svuotamento semantico del testo[37].

La sentenza in commento si situa nel solco di quelle pronunce che, in conformità ai principi enucleati dalla Corte costituzionale, ribadiscono la centralità dell’addebito nelle scelte difensive. La Corte giunge così ad affermare come il potere di intervento del pubblico ministero sarebbe, altrimenti, lesivo del <<presidio di garanzia dell’imputato costituito dalla stabilità dell’accusa rispetto a quanto già in atti>>.

Si auspica che la pronuncia in esame sia uno degli ultimi tasselli per eliminare del tutto dal sistema processuale vigente dinamiche di modifica della imputazione al di fuori dei meccanismi correttivi accolti espressamente dal legislatore.

Infine, va rilevato come il carattere eccezionale riconosciuto alle norme che consentono espressamente il potere di modifica della contestazione, in uno con l’ammissione della funzione di garanzia che riveste la stabilità dell’accusa rispetto a quanto già in atti, sono elementi che devono condurre ad una rivalutazione del concetto di “imputazione fluida”.

[1] In tal senso, INZERILLO, Imputato e imputazione, in DDP, 2005,  p. 736. Sullo stesso tema Angeletti, Nuove contestazioni nel processo penale, Giappichelli, 2014, pp. 7 e ss.

[2]  Cass. pen. Sez., VI, 7.10.2004, n. 45442, Cass. pen. Sez. VI, 7.10.2004, n. 45441, Cass. pen. Sez. III, 23.1.1996, n. 231, Cass. pen. Sez. II, 17.10.1995, n. 4306.

[3]  La definizione è di Ziroldi, Udienza Preliminare, in Trattato di procedura penale, a cura di G. Garuti, diretto da G. Spangher, vol. III, Utet, 2009, 858.

[4]  La violazione della norma non è di per sé sanzionata, mentre è prevista una declaratoria di nullità dell’eventuale decreto che dispone il giudizio (art. 429, comma 2. c.p.p.) o del decreto di citazione diretta a giudizio (art. 552, comma 2, c.p.p.) nonché degli eventuali atti consecutivi, compresa la sentenza, ai sensi dell’art. 185 c.p.p..

[5]  L. 16 febbraio 1987, n. 81 <<Delega legislativa al Governo della Repubblica per l’emanazione del nuovo codice di procedura penale”>>.

[6]  Art.2:  <<il codice di procedura penale deve attuare i principi della Costituzione e adeguarsi alle norme delle convenzioni internazionali ratificate dall’Italia e relative ai diritti della persona e al processo penale. Esso inoltre deve attuare nel processo penale i caratteri del sistema accusatorio, secondo i principi ed i criteri che seguono>>, tra i quali figura, al punto 52) << il potere del pubblico ministero nell’udienza preliminare di modificare l’imputazione e di procedere a nuove contestazioni>>.

[7]  Art. 2, al punto 78) il <<potere del pubblico ministero nel dibattimento di procedere alla modifica dell’imputazione e di formulare nuove contestazioni inerenti ai fatti oggetto del giudizio; previsione di adeguate garanzie per la difesa>>.

[8] In termini critici in merito all’ampiezza riconosciuta al potere di procedere alla contestazione suppletiva in udienza preliminare, Amodio, Ragionevole durata del processo e nuove esigenze di tutela dell’imputato, in Per una giustizia penale più sollecita: ostacoli e rimedi ragionevoli, Centro difesa soc. Conv. studio De Nicola, Giuffrè, 2006, p.64. Il tema è approfondito da Fiorelli, L’imputazione latente, Giappichelli, 2006, pp. 210 e ss.

[9] Sulle contestazioni tardive in dibattimento, Grilli, Il dibattimento penale, Guida pratica, Giuffrè, 2014, pp. 418 e ss.

[10] C. cost., 7.10.2009, n. 333.

[11]  Così come modificato dall’art. 29 della L. 16.12.1999, n. 479.

[12]  Tal norma disciplina l’assunzione delle prove delle quali appare evidente la decisività ai fini della sentenza di non luogo a procedere.

[13]  Così <<il riconoscimento di una circostanza aggravante che non avrebbe potuto essere oggetto di una contestazione suppletiva determina la nullità della sentenza pronunciata all’esito di tale giudizio>> (Cass. pen., Sez. VI, 19.01.2010 n. 13117); nello stesso senso, Cass. Pen. Sez. IV, 14.2.2007, n.12259; Cass. pen. Sez. III, 04.04.2013, n. 22949.

[14]  Cass. pen., Sez. II, 17.09.2010, n. 35350 secondo cui <<la ratio dell’art. 441 c.p.p., comma 1 è quella di evitare di esporre l’imputato ad una fluidità dell’accusa incompatibile con la rinuncia alla prova che si cristallizza irretrattabilmente con la richiesta di abbreviato non condizionato. Infatti, qualsivoglia modifica dell’impianto dell’accusa, intervenuta dopo la scelta del rito, che non si riduca ad una mera differente qualificazione giuridica di un fatto altrimenti immutato esporrebbe il prevenuto alle conseguenze di una scelta processuale maturata in relazione ad un diverso contesto accusatorio, senza poter più recuperare il proprio diritto costituzionale di difendersi (anche) provando>>.

[15] Secondo la Suprema Corte, infatti, la modifica dell’imputazione, ai sensi dell’art. 423 comma 1 c.p.p., deve ritenersi consentita anche quando sia stata già avanzata dall’imputato, ma non ancora accolta dal giudice, la richiesta di giudizio abbreviato: non può assumere rilievo alcuno <<la circostanza della modifica della imputazione, (…) operata dopo che era stata avanzata la richiesta di giudizio abbreviato, non avendo la detta richiesta, fino al momento in cui non sia stata eventualmente accolta (il che, nel caso in esame, non risulta affatto fosse avvenuto), alcuna efficacia preclusiva all’esercizio dei poteri>> Cass. pen. Sez. I, 14.11.1995, n. 11993.

[16] Eventuali violazioni della norma implicano nullità di ordine generale a regime intermedio che se tempestivamente eccepite comportano la nullità della sentenza.

[17] Secondo quanto previsto dalla L. 16.12.1999, n. 479.

[18]  Articolo aggiunto dall’art. 2 octies, D.L. 7.4.2000, n. 82, nel testo integrato dalla relativa legge di conversione 5.6.2000, n. 144.

[19]  Cass. Pen., Sez. II, 9.5.2005, n. 23466 e Cass. Pen., Sez. V, 27.11.2008 n. 7047. Sul tema delle contestazioni patologiche in caso di giudizio abbreviato, Blaiotta, Sub art. 423, in Codice di Procedura Penale, Rassegna di dottrina e giurisprudenza, Lattanzi, Lupo (a cura di), Giuffrè, 2013,  p. 1707.

[20] Cass. Pen., Sez. VI, 15.11.2017, n. 5200; Cass. Pen., Sez. II, 26.09.2017, n. 48280.

[21] C. cost. 24.2010, n. 140.

[22] C. cost. 24.2010, n. 140, cit.

[23]  Cass. pen., Sez. II Sent., 14.10.2015, n. 45298; Cass. pen., Sez. V, 21.09.2015, n. 863; Cass. pen., Sez. II, 20.3.2012, n. 10820; Cass. pen., Sez. VI, 29.10.2009, n. 44501; Cass. pen., Sez. VI 22.09.2009, n. 44980; Cass. pen., Sez. V, 20.06.2006, n. 3279. In tal senso si erano espresse le Sezioni Unite, Cass. Pen., 28.10.1998, n. 4, quest’ultima sentenza è commentata con nota di Bazzani, in C.P., 1999, p. 3079; ivi, 2000, p. 330, con nota di Allegrezza, in GP 1999, III, p. 556 con nota di Curci; ivi, 1999, III, p. 701, con nota di Varrasso; in RIDPP, 2000, P. 338,con nota di Lozzi; in GI 1999, p. 2136 con nota di Di Bitonto; ivi, 1999, p. 589con nota di Nacar; riferimenti bibliografici presenti in Grilli, La procedura penale, Cedam, 2009, p. 1326.

[24] Cass. Pen., Sez. VI, 10.12.2001, n. 1431; Cass. pen. Sez. VI, 22.02.2005, n. 10125.

[25] Cass. Pen. Sez. II, 16.12.2003, n.6584, che ha ritenuto non più attuale il precedente ampliamento alla luce delle modifiche legislative introdotte con la L. 479 del 1999.

[26] D’Andria, Sub art. 516 , in Op. cit., Lattanzi, Lupo (a cura di), Giuffrè, 2013,  pp. 432 e ss., nonché, sub. Art. 517, pp. 437 e ss.

[27]  La questione del diritto di difesa è stata affrontata anche in merito all’udienza preliminare, in termini “ampliativi” dei poteri del pubblico ministero (C. cost. 21.11.2006, n. 384).  La Suprema Corte aveva già in precedenza dichiarato manifestamente infondata la questione di costituzionalità dell’art. 423 c.p.p. in riferimento all’art. 24, comma 2, Cost., sotto il profilo che la possibilità del p.m. di modificare l’imputazione, nell’udienza preliminare, non soltanto in base a quanto è emerso nel corso dell’udienza, ma anche a base degli atti delle indagini preliminari, violerebbe il diritto di difesa, ciò a fronte della mancata previsione di un termine a difesa. Nell’ipotesi di modificata contestazione in base ad elementi già acquisiti nel corso delle indagini, la difesa, secondo la Corte, non subirebbe alcun pregiudizio, essendole già  noti i suddetti elementi, per l’avvenuto, precedente, deposito (Cass. pen., Sez., VI, 04.06.1993, n. 9443).

[28] È stata dichiarata l’illegittimità costituzionale degli artt. 516 e 517 c.p.p. con riferimento al patteggiamento, relativamente al fatto diverso o al reato concorrente contestato in dibattimento, quando la nuova contestazione concerne un fatto che già risultava dagli atti di indagine al momento dell’esercizio dell’azione penale (C. cost. 22.06.1994, n.265); si segnalano poi i seguenti arresti: C. cost. 15.12.1995, n. 530, che ha dichiarato l’illegittimità degli artt. 516 e 517 c.p.p., con riferimento all’oblazione, ai sensi degli artt. 162 e 162-bis c.p., relativamente al fatto diverso contestato in dibattimento e al reato connesso; C. cost.14.12.2009, n. 333, che ha dichiarato l’illegittimità costituzionale degli artt. 516 e 517  con riferimento all’abbreviato relativamente al fatto diverso e al reato concorrente, per contestazioni patologiche; C. cost. 1.12. 2014, n. 273, che ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 516 c.p.p., in relazione al giudizio abbreviato con riguardo al fatto diverso emerso nel corso dell’istruzione dibattimentale; C. cost. 5 luglio 2017, n. 206, che ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 516 c.p.p, per l’accesso al patteggiamento, relativamente al fatto diverso emerso nel corso dell’istruzione dibattimentale; C. cost. 16.01.2020, n. 14, che ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 516 c.p.p., nella parte in cui, in seguito alla modifica dell’originaria imputazione, non prevede la facoltà dell’imputato di richiedere al giudice del dibattimento la sospensione del procedimento con messa alla prova; C. cost. 09.07.2015, n. 139, che ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 517 c.p.p., in relazione al giudizio abbreviato in caso di contestazione di una circostanza aggravante che già risultava dagli atti di indagine al momento dell’esercizio dell’azione penale; C. cost 26.10.2012, n. 237, che ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 517 c.p.p, con riguardo al giudizio abbreviato relativamente al reato concorrente emerso nel corso dell’istruzione dibattimentale; C. cost., 23.06.2014, n. 184, che ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 517 c.p.p., in relazione all’accesso al patteggiamento in seguito a contestazione di circostanza aggravante che già risultava dagli atti di indagine al momento dell’esercizio dell’azione penale; C. cost 05.07.2018, n. 141, che ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 517 c.p.p., in relazione alla sospensione del procedimento con messa alla prova, in casi di contestazione di una circostanza aggravante.

[29] C. cost., Ord., 04.05.1992, n. 213

[30] C. cost.,  29.06.1992, n. 316, che ha richiamato una precedente pronuncia in cui aveva affermato che l’interesse dell’imputato a beneficiare dei vantaggi conseguenti al giudizio abbreviato ha rilievo in quanto egli rinunci al dibattimento e <<venga perciò effettivamente adottata una sequenza procedimentale che consenta di raggiungere in tal modo l’obiettivo di rapida definizione del processo perseguito dal legislatore con l’introduzione di tale rito speciale. “Perciò, quando ormai per l’inerzia dell’imputato tale scopo non può più essere pienamente raggiunto – in quanto si è già pervenuti al dibattimento – sarebbe del tutto irrazionale consentire che, ciononostante, a quel giudizio si addivenga in base alle contingenti valutazioni dell’imputato sull’andamento del processo (sent. n. 593 del 1990)>>.

[31] Cass. Pen. 4.12.1997, n. 1506. Nello stesso senso, Cass. Pen. 14.11.1995; Cass. Pen. 28.4.1994; Cass. Pen.  4.6.1993.

[32] C. cost., 30.06.1994, n. 265, cit.

[33] C. cost., 07.10.2009, n. 333, cit.

[34] Cass. Pen. Sez. Un. 28.10.1998, cit.

[35]  C. cost., 23.06.2014, n. 184, cit.

[36] C. cost., 26.05.2015, n. 139, cit.

[37] Il legislatore, negli artt. 423, 516 e 517 c.p.p.  consente alla modifica: “se nel corso dell’udienza preliminare” o “se nel corso dell’istruzione dibattimentale”,  il fatto “risulta” diverso da come descritto rispettivamente nella imputazione o nel decreto che dispone il giudizio o “emerge” un reato connesso o una circostanza aggravante; pertanto, appare evidente che abbia voluto disciplinare l’ipotesi di un adeguamento fisiologico della contestazione alle emergenze (non prevedibili) ancorate alla fase.

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