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Giudizio principale e giudizio cautelare: doppio binario e “interferenze” tra esigenze di accertamento e sussistenza del fumus del reato

 

Cass., Sez. VI, 8 ottobre 2020 (dep. 19 gennaio 2021), n. 2181

 

 Di Pierpaolo Dell’Anno e Luca Forte*

Abstract: Gli autori analizzano la dibattuta questione relativa alla incidenza del giudizio principale nel procedimento cautelare, con particolare riferimento alla sussistenza del fumus commissi delicti concernente il sequestro preventivo operato nei confronti di alcuni beni immobili e somme di denaro. Ciò, anche alla luce del necessario bilanciamento di interessi tra l’accertamento del fatto storico, ed i necessari strumenti cautelari che pure interessano l’intera vicenda processuale.

Abstract: The authors analyze the debated question relating to the incidence of the main proceedings in the precautionary proceeding, with particular reference to the existence of the fumus commissi delicti concerning the preventive seizure carried out against certain real estate and sums of money. This, also in light of the necessary balance of interests between the ascertainment of the historical fact, and the necessary tools
precautionary measures which also affect the entire procedural matter.

 

Sommario: 1. Premessa 2. L’evoluzione del rapporto tra giudizio cautelare e giudizio principale: stato dell’arte della giurisprudenza 3. Bilanciamento di interessi e possibile soluzione ermeneutica

 

  1. Premessa

La Corte di Cassazione, nella sentenza in commento[1], affronta la interessante e già dibattuta questione relativa alla incidenza del giudizio principale nel procedimento cautelare, con particolare riferimento alla sussistenza del fumus commissi delicti in relazione al sequestro preventivo operato nei confronti di alcuni beni immobili e somme di denaro nei confronti di un soggetto imputato per il reato di corruzione propria.

In particolare, il Tribunale del riesame, in sede di rinvio ed in parziale accoglimento dell’appello proposto dal Pubblico Ministero avverso il provvedimento del Giudice per le Indagini Preliminari che aveva rigettato la domanda cautelare, disponeva il vincolo reale. Del resto, il Collegio cautelare, come detto, aveva già parzialmente accolto l’appello del Pubblico Ministero, ma la Corte di Cassazione[2] aveva annullato l’ordinanza in relazione al requisito del fumus commissi delicti, in particolare fondando la decisione sulla sussistenza, in capo all’imputato, della qualifica di incaricato di pubblico servizio ed alla proporzionalità dell’oggetto della misura rispetto all’ipotizzato profitto derivante dal reato. Per effetto di tale annullamento, il Tribunale del riesame accoglieva di nuovo, seppur parzialmente, l’appello del pubblico ministero, sostenendo peraltro che il sequestro fosse stato disposto ai sensi dell’art. 240 bis c.p., ma la Corte di Cassazione[3], nuovamente annullava l’ordinanza, ritenendo che il Tribunale non si fosse uniformato al principio di diritto indicato dallo stesso giudice di legittimità, il quale aveva ritenuto necessario compiere alcuni accertamenti al fine di risolvere la questione relativa alla sussistenza della qualifica soggettiva.

In sede di secondo giudizio di rinvio, il Tribunale del riesame, nell’accogliere di nuovo l’appello del Pubblico Ministero e nel disporre il sequestro dei beni indicati, evidenziava come in epoca successiva alla sentenza della Cassazione che disponeva il primo rinvio, e successivamente alla seconda ordinanza dello stesso Tribunale, ma prima della nuova sentenza di annullamento, fosse stato disposto il rinvio a giudizio dell’imputato, circostanza che ha permesso al Tribunale di confermare l’esistenza del fumus del delitto ipotizzato e di escludere la violazione dell’obbligo di uniformarsi al principio di diritto enunciato nella sentenza della Corte di Cassazione.

 

  1. L’evoluzione del rapporto tra giudizio cautelare e giudizio principale: stato dell’arte della giurisprudenza

Il legislatore del 1988 ha dettato regole ben precise in una materia che, nel precedente codice di rito, non disconosceva il fine preventivo della coercizione reale e che più volte aveva visto adottare misure volte a interrompere l’iter criminoso e a impedire la commissione di nuovi reati. Le nuove disposizioni hanno creato un quadro normativo dai contorni ben definiti stabilendo la riserva di giurisdizione e il principio di tassatività. Per l’applicazione del sequestro preventivo è necessario che ricorrano due presupposti: il fumus boni iuris e il periculum in mora.

In relazione all’estensione concettuale del fumus comissi delicti le posizioni della dottrina appaiono variegate. Da una parte v’è chi ritiene che siano sufficienti precisi indizi di reato il cui collegamento con la fattispecie sia certo ed univoco e vi sia coincidenza tra la fattispecie concreta e fattispecie legale ipotizzata[4]. Vi è, poi, chi sostiene che il fumus si sostanzi nei gravi indizi di colpevolezza[5], oltre alla posizione di chi reputa sufficiente ad integrare il fumus la sussistenza di un quadro indiziario grave sia in ordine alla avvenuta commissione del reato per cui si procede sia in ordine alla pertinenza del bene da sottoporre a sequestro al reato sia, infine, in relazione al rischio che la libera disponibilità della cosa possa costituire in relazione al quadro criminoso[6]. La Corte costituzionale, in merito, è intervenuta statuendo che il codice prescinde da qualsivoglia profilo di colpevolezza perché la funzione preventiva non si rivolge all’autore del reato ma alla res. Purtuttavia è sempre la Corte a precisare che il giudice deve comunque verificare che un reato esista almeno nella sua astratta configurabilità[7]. Sull’argomento, la Cassazione a Sezioni Unite[8], chiamata a risolvere un contrasto, ha precisato che in sede di applicazione di una misura cautelare reale al giudice è preclusa la valutazione sugli indizi di colpevolezza e sulla gravità degli stessi nonché sulla fondatezza dell’accusa. Il giudice deve, cioè, verificare che il fatto attribuito sia semplicemente riconducibile ad una fattispecie di reato. E ciò perché, in punto di condizioni generali di applicabilità, le misure cautelari reali vanno tenute distinte dalle omologhe personali: la libertà personale e la libera disponibilità dei beni sono, difatti, valori aventi un’essenza diversa e, conseguentemente, sono da tutelare con un grado di attenzione differente. La pericolosità della res, nel caso del sequestro preventivo, giustifica l’apposizione della cautela reale e, pertanto, non possono trovare applicazione gli artt. 273 e 274 c.p.p., dettati con esclusivo riferimento alle misure personali[9]. Anche l’antigiuridicità del fatto, nelle argomentazioni delle Sezioni Unite, deve essere valutata in maniera astratta, essendo sufficiente la semplice enunciazione di una ipotesi di reato in relazione alla quale si appalesi la necessità di comprimere la libera disponibilità di una res ad esso pertinente[10]. In questo scenario, si colloca una differente ricostruzione, secondo la quale il fumus si sostanzierebbe nella sussistenza di indizi di commissione del fatto per il quale si procede; e, ciò, al fine di scongiurare il pericolo che la misura possa trasformarsi in abuso. In alcune pronunce delle Sezioni Unite si possono intravedere argomentazioni di stampo analogo[11]. Non può, dunque, esserci l’apposizione di un sequestro sul presupposto che il soggetto abbia intenzione di commettere un reato, ma è necessario che storicamente si sia verificato un fatto avente i connotati di un illecito penale[12]. Il principio di legalità, difatti, condiziona alla tipizzazione non solo la punibilità dell’agente ma anche l’applicabilità delle misure cautelari e, pertanto, in linea con questo indirizzo giurisprudenziale, la misura può essere mantenuta solo quando sia possibile stabilire l’esistenza di un vincolo tra la res e il reato per cui si procede. La specificazione di tale vincolo, dunque, deve contenere la precisazione del fatto concreto e della sua riferibilità al soggetto interessato[13]. Ciò posto, la giurisprudenza manifesta posizioni non del tutto uniformi[14] pur se gli orientamenti prevalenti trascurano di tenere in considerazione la circostanza per la quale le misure cautelari reali incidono su interessi costituzionalmente protetti e richiederebbero, pertanto, interpretazioni più rispettose, dal momento che il sequestro preventivo potrebbe avere un contenuto più afflittivo di quello di talune misure cautelari personali. Secondo la dottrina[15] la soluzione più corretta sembrerebbe quella di considerare necessaria la sussistenza di gravi indizi di reità a carico di taluno: occorrerebbe, dunque, ricercare il collegamento tra reato e una res e non tra il reato e una persona, non essendo indispensabile l’individuazione del responsabile dell’illecito e potendo, la misura, colpire beni di proprietà di terzi. Non avrebbe importanza, così, una valutazione sulla colpevolezza ma un giudizio, positivo, in ordine alla sentenza di condanna. Il giudice, quindi, deve effettuare una valutazione degli elementi rappresentati dal pubblico ministero al fine di verificare l’esistenza di un legame tra res e reato.

La soluzione offerta dai giudici di legittimità circa il riverbero che il giudizio sulla sussistenza del reato operato dal giudice della cognizione ha sulla valutazione del presupposto del fumus in sede di impugnazioni cautelari è diversa rispetto a quella elaborata per le misure cautelari personali, attesa «l’ontologica diversità di regole relative alle misure cautelari personali rispetto a quelle riguardanti le misure cautelari reali»[16].

Come si è visto, in riferimento alle misure cautelari personali la Corte di cassazione esclude che l’emissione del decreto di rinvio a giudizio ai sensi dell’art. 429 c.p.p. possa impedire la rivalutazione della gravità indiziaria in sede di riesame[17].

In ordine ai sequestri cautelari la Corte sostiene l’inammissibilità della rivalutazione del fumus dopo la pronuncia della sentenza di condanna, poiché il provvedimento emesso all’esito del dibattimento di primo grado contiene un giudizio sulla colpevolezza dell’imputato che per incisività assorbe i gravi indizi di colpevolezza per la disposizione della cautela personale, la cui sussistenza non è nemmeno richiesta per la cautela reale, dato che in questo secondo caso ai fini dell’esistenza del fumus è sufficiente la semplice astratta configurabilità del reato. Ogni questione relativa al fumus del sequestro è preclusa nella sua rivalutazione in sede di riesame, salvo che intervengano elementi nuovi e sopravvenuti. I giudici di legittimità, contrariamente a quanto accade per le misure cautelari personali, sostengono l’improponibilità della rivalutazione del fumus del sequestro anche dopo l’emissione del decreto che dispone il giudizio ai sensi dell’art. 429 c.p.p.[18]

Tale provvedimento implica una valutazione netta sull’esistenza della tesi accusatoria tanto da rendere superfluo il successivo controllo sul presupposto del fumus del reato, operato comunque in modo sommario dal tribunale del riesame rispetto al vaglio operato dal giudice dell’udienza preliminare. La gravità indiziaria a carico dell’indagato non è tra i presupposti applicativi del sequestro preventivo e non va valutata dal giudice della cautela in sede applicativa. L’intervenuta emissione del decreto di rinvio a giudizio implica un controllo pregnante sulla sostenibilità dell’accusa, certamente più rigoroso e già assorbente di quello operato in sede di impugnazione cautelare sull’astratta configurabilità del reato, e perciò sufficiente a sostenere l’esistenza del fumus.

Parte della dottrina ha sollevato alcuni rilievi critici in ordine a questo orientamento della giurisprudenza di legittimità[19]. Si obietta che in sede di udienza preliminare la valutazione compiuta dal giudice non riguarda la colpevolezza dell’imputato, ma si limita a vagliare l’opportunità di instaurare il futuro dibattimento, ostacolando l’approdo a giudizio delle imputazioni azzardate.

Il decreto che dispone il giudizio non comporta un pregiudizio in ordine all’affermazione della responsabilità del soggetto, dunque non si ravvisa una situazione analoga a quella che intercorre tra sentenza dibattimentale di primo grado e vicenda cautelare. Solo in questo secondo caso il provvedimento del giudizio principale, la sentenza di condanna, contiene un accertamento così pregnante del fatto di reato e della sua attribuzione soggettiva da ostacolare la rivalutazione del fumus da parte del giudice del riesame.

Inoltre, i due procedimenti, principale e cautelare, sono autonomi tanto che in alcun modo la decisione cautelare può dispiegare i suoi effetti sulla formazione della decisione di merito. Questa separazione è stata confermata dalla Corte costituzionale che ha censurato l’art. 405 comma 1-bis c.p.p., nella parte in cui imponeva l’archiviazione “coatta” a seguito della formazione del giudicato cautelare sull’insussistenza dei gravi indizi di colpevolezza[20].

Infine, il decreto che dispone il giudizio non è motivato e comporta, se richiamato per relationem nella motivazione del sequestro preventivo ai fini della sussistenza del fumus, un grave pregiudizio per la difesa, la quale non solo è privata di idonea argomentazione a sostegno del vincolo reale, ma anche della possibilità di sottoporre il sequestro al riesame.

Nel solco di questo indirizzo interpretativo che estende l’operatività del principio dell’assorbimento cautelare, la Corte di legittimità esclude anche che un nuovo vaglio sulla sussistenza del fumus possa essere operato nel caso di emissione del decreto di sequestro preventivo successivamente al decreto con cui si è disposto il giudizio immediato. Proprio perché il fumus non deve investire la concreta fondatezza della pretesa punitiva ma limitarsi all’astratta possibilità di sussumere il fatto attribuito ad un soggetto in una specifica ipotesi di reato, è già contenuto nella valutazione in ordine alla consistenza della fondatezza dell’ipotesi d’accusa alla base del rito speciale[21].

La Corte arriva a riconoscere efficacia preclusiva alla rivalutazione del presupposto del fumus del sequestro preventivo anche al provvedimento di annullamento dell’ordinanza applicativa della misura cautelare personale, nella quale sia stata rilevata l’inidoneità delle condotte contestate all’indagato ad integrare il reato ipotizzato. In questo caso l’esclusione della sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza fa venire meno la stessa astratta configurabilità della fattispecie criminosa, che è invece requisito essenziale per l’applicabilità della misura cautelare reale[22].

L’affermazione da parte dei giudici di legittimità dell’esclusione dell’applicabilità dei gravi indizi di colpevolezza ex art. 273 c.p.p. alle misure cautelari reali e la coincidenza del fumus del sequestro con l’astratta configurabilità del reato costituisce il punto di riferimento per la prevalente giurisprudenza successiva alla pronuncia a Sezioni Unite del 1993, la quale cristallizza l’interpretazione dell’art. 321 c.p.p. in punto di fumus del sequestro.

I giudici di merito[23], di fronte a tale interpretazione, sollevano questione di legittimità costituzionale degli artt. 321 e 324 c.p.p. rispetto agli artt. 24, 97, 111 e 42 Cost..

Le censure evidenziate dal giudice a quo nell’ordinanza di remissione sono molteplici. In primo luogo l’organo rimettente lamenta una violazione del diritto di difesa, poiché, precludendo al giudice della cautela e, successivamente, dell’impugnazione di effettuare un controllo sulla sussistenza degli indizi di colpevolezza e della loro gravità, si negano anche gli spazi all’indagato/imputato per apprestare qualsiasi difesa sul merito del sequestro.

Il combinato disposto degli artt. 321 e 324 c.p.p violerebbe anche l’art. 97 Cost., dal momento che la decisione del giudice, limitata al controllo di compatibilità tra fattispecie concreta e astratta, finisce per appiattirsi su una mera operazione burocratica di ratifica della richiesta operata dall’accusa, contraria al principio di buon andamento dell’amministrazione giudiziaria.

Per altro verso, le norme del codice di rito si pongono in contrasto con il principio di cui all’art. 111 Cost., in quanto la mancata valutazione degli indizi di colpevolezza non consente una motivazione “concreta”, capace di evidenziare i motivi per i quali viene operata una limitazione di diritti soggettivi garantiti dalla Costituzione.

La disciplina del sequestro preventivo contrasterebbe anche con l’art. 42 comma 2 Cost., poiché la restrizione operata al diritto di proprietà tramite il sequestro si colloca al di fuori degli scopi e della funzione della riserva di legge prevista nella disposizione costituzionale, che individua le uniche ipotesi in cui il diritto soggettivo può essere limitato.

La Corte costituzionale, investita della questione, esclude l’illegittimità della disciplina del sequestro preventivo, così come risultante dal combinato disposto degli artt. 321 e 324 c.p.p., nella sentenza 17 febbraio 1994, n. 48[24].

La principale argomentazione impiegata dalla Corte si appunta sulla diversità dei valori coinvolti nella disposizione delle misure cautelari personali e reali.

Il legislatore, pur avendo riconosciuto il grado di afflittività del sequestro preventivo non si è spinto ad assimilare totalmente le condizioni di applicabilità delle misure cautelari personali a quelle reali, dal momento che non ha richiamato espressamente l’art. 273 c.p.p. in relazione ai sequestri.

Questa scelta, su cui ha fatto leva la giurisprudenza di legittimità che ha escluso la gravità indiziaria tra i presupposti del sequestro preventivo, non contrasta di per sé con il principio di inviolabilità del diritto di difesa ai sensi dell’art. 24 Cost., in quanto esso può essere diversamente modulato e garantito a seconda delle differenti sedi procedimentali e in relazione ai vari istituti ove è esercitato. Questo significa che non c’è un obbligo costituzionale di assegnare identico contenuto difensivo a rimedi che, pur terminologicamente identici, si distinguono sul piano strutturale e per i soggetti che vi sono coinvolti. Ciò accade anche per lo strumento del riesame, previsto con identica denominazione per le misure cautelari personali e reali.

Il sequestro preventivo ha ad oggetto “cose” che per il loro tasso di pericolosità giustificano l’imposizione della cautela. Ciò significa che il sequestro deve raccordarsi a un reato, nella sua realtà fenomenica, ma può prescindere dalla colpevolezza, perché l’esigenza di prevenzione non si proietta necessariamente sull’autore del reato ma coinvolge solo cose “pericolose”. Le misure cautelari personali, invece, dipendono ontologicamente dal profilo di colpevolezza del soggetto attinto dalla misura.

I valori sottesi alle due misure sono diversi: da un lato la libertà personale, dall’altro la libera disponibilità dei beni. Questi valori, attesa la loro diversità, possono essere differentemente graduati dalla legge con gli interessi di tutela della collettività legati all’accertamento e repressione dei reati.

La conseguenza di tale ratio è la possibilità di costruire differentemente il potere del giudice di disporre le cautele, con conseguente diversità in ordine al tipo di controllo operato in sede di gravame e all’ampiezza del sindacato giurisdizionale in riferimento alla verifica della base fattuale richiesta per l’adozione delle misure cautelari, ravvisate nei parametri di elevata probabilità di responsabilità per le cautele personali e del fumus commissi delicti per i sequestri.

Inoltre, si deve considerare il rischio derivante da un giudizio d’impugnazione volto alla verifica degli indizi di colpevolezza e della loro gravità. Ammettendo in sede di riesame un potere di controllo sul merito della regiudicanda, si assisterebbe alla dilatazione dell’oggetto del procedimento incidentale dal tema della verifica del pericolo della libera disponibilità dei beni legati al reato a quello, molto più ampio, della responsabilità penale del soggetto, già oggetto del giudizio principale, con la creazione di una sorta di “processo nel processo”.

È da escludere anche il contrasto con l’art. 42 Cost., in quanto i limiti di disponibilità dei beni si correlano alla funzione preventiva della cautela, e quindi ad esigenze connesse a una situazione di pericolo per la collettività.

Sono, infine, da escludere anche i profili di incostituzionalità relativi agli artt. 97 e 111 Cost., in quanto, dovendo il giudice valutare integralmente i presupposti che legittimano la misura, la sua attività non si ferma a un mero controllo burocratico della richiesta del pubblico ministero, ma si spinge oltre e dà atto della verifica compiuta nella motivazione del provvedimento applicativo, che soddisfa l’obbligo di cui all’art. 111 comma 6 Cost., previsto per tutti i provvedimenti giurisdizionali.

Quanto al giudizio sul fumus del sequestro, la Corte sostiene che la giurisprudenza richiamata nell’ordinanza di rimessione non preclude al giudice della cautela l’esame del fatto per il quale si procede. Anzi, il giudice deve verificare l’esistenza di un reato, almeno nella sua astratta configurabilità, perché il vincolo di indisponibilità trova giustificazione nella pericolosità della res che intrattiene un rapporto di pertinenzialità con l’illecito penale. In tal modo consente alla difesa di contestare la fattispecie individuata dall’accusa, facendo venir meno il carattere di pertinenzialità cui è connesso il vincolo.

Con questa sentenza la Corte costituzionale esclude in modo chiaro la necessità dei gravi indizi di colpevolezza per la disposizione del sequestro preventivo.

Non sembra, invece, possibile individuare con altrettanta limpidezza il contenuto che essa attribuisce al fumus e il tipo di accertamento che va compiuto sul presupposto.

La Corte costituzionale fa anch’essa ricorso alla formula dell’astratta configurabilità, senza però precisare come il giudizio di sussumibilità della fattispecie concreta in quella normativa vada condotto. Sembra, tuttavia, non escludere la possibilità di un controllo più approfondito da parte del giudice della cautela, che non si deve arrestare alla presa d’atto di una mera asserzione di un’ipotesi di reato da parte dell’accusa, laddove fa rifermento in motivazione all’ «esame del fatto per cui si procede», ricavando in tal modo spazi per la verifica dell’organo giurisdizionale sul collegamento tra i fatti rappresentati e le risultanze processuali.

 

 

  1. Bilanciamento di interessi e possibile soluzione ermeneutica

 

La sentenza in commento permette di effettuare alcune brevi riflessioni, soprattutto per quanto concerne il rapporto, già peraltro menzionato, tra procedimento principale e procedimento cautelare, anche alla luce del necessario bilanciamento di interessi tra l’accertamento del fatto storico, ed i necessari strumenti cautelari che pure interessano l’intera vicenda processuale.

La dottrina, sostenendo in larga parte una valutazione accurata e pregante del requisito del fumus, evidenzia alcuni profili critici dell’orientamento maggioritario della giurisprudenza di legittimità, che abbassa il controllo del presupposto all’astratta configurabilità del reato.

Una tale esegesi dell’art. 321 c.p.p. comporta l’impossibilità per la difesa di contestare l’assunto dell’accusa, perché è quasi impossibile dimostrare che una condotta non sia neppure astrattamente configurabile come reato. Il fumus del reato, appiattito sul sindacato dell’astratta configurabilità, si traduce in una finzione di fumus, nel senso che il giudice si limita a supporre l’esistenza dell’illecito sulla sola base del carattere genericamente sospetto delle operazioni relative ai beni che si intendono vincolare col sequestro. Il rischio è quello di trasformare il sequestro in una cautela a fumus presunto, per la quale è sufficiente l’allegazione da parte dell’accusa della mera esistenza di un reato. La difesa, entro gli steccati angusti dell’astratta configurabilità, non solo è privata del suo diritto di interloquire sul merito della fattispecie che gli è contestata in violazione dell’art. 24 Cost., ma così facendo, è gravata da una vera e propria inversione dell’onere probatorio, in base alla quale diventa il destinatario della misura colui che deve dimostrare l’insussistenza del fumus, tramite la produzione di elementi che ne inficino l’esistenza, dovendo fronteggiare in tal modo una probatio diabolica[25].

Questa logica di accertamento presuntivo sottesa alla valutazione del fumus come astratta configurabilità solleva qualche problema di compatibilità anche rispetto ad altri parametri costituzionali, oltre a quello già ricordato del diritto di difesa.

Il punto di frizione dell’istituto riguarda il principio della presunzione di innocenza, intesa quale regola di giudizio. Inoltre, si determinerebbe un affievolimento della funzione di garanzia spettante al giudice, in quanto il giudice finirebbe ad affidare la disposizione della misura reale alla volontà dell’accusa, con la conseguente perdita del carattere giurisdizionale del procedimento cautelare.

Inoltre, il sacrificio imposto col sequestro ai diritti patrimoniali e alle libertà personali al di fuori di specifiche esigenze cautelari legate alla commissione di un reato violano il principio di cui all’art. 27 Cost., che impedisce restrizioni in capo al soggetto prima di una condanna definitiva, fatte salve le specifiche ragioni indicate dal legislatore e verificate nella loro concreta sussistenza da un giudice.
Un insufficiente apprezzamento del fumus comporta, inoltre, l’impossibilità per il giudice di assolvere l’obbligo di motivare il provvedimento applicativo della cautela ai sensi dell’art. 111 comma 6 Cost., precludendo una motivazione vera e concreta del sequestro.

Nella situazione relativa al caso di specie, condividendo quanto rilevato dalla giurisprudenza di legittimità e, prima ancora, sostenuto dal difensore dell’imputato, se è astrattamente condivisibile l’assunto secondo cui il rinvio a giudizio può precludere la valutazione del fumus commissi delicti in tema di sequestro preventivo, è altrettanto vero che il principio in questione deve essere conformato ed esplicitato in relazione ai casi in cui detta valutazione sia stata compiuta, come nel caso di specie, in modo errato prima del “fatto sopravvenuto”, costituito appunto dal rinvio a giudizio. Del resto, proprio per effetto dell’annullamento disposto dalla Cassazione, e del principio di diritto cui il Tribunale è tenuto ad uniformarsi, la valutazione del fumus sia più peculiare nel caso di specie rispetto alla regola di giudizio che è a fondamento del decreto che dispone il giudizio, cioè come detto la minima probabilità di colpevolezza e la utilità dell’accertamento dibattimentale.

Non può essere dunque condivisa, di conseguenza, l’impostazione del giudice del rinvio, il quale ha ritenuto di sottrarsi al vincolo derivante dalla sentenza di annullamento attraverso la valorizzazione di un fatto processuale nuovo (costituito appunto dal decreto che dispone il giudizio) a cui si è attribuita una valenza preclusiva ed una decisiva rilevanza formale, fondata sul presupposto che ciò che il Tribunale avrebbe dovuto specificamente verificare fosse stato inglobato dalla operata e sovrapponibile valutazione compiuta dal Giudice in sede di udienza preliminare. Motivo, quest’ultimo, dal quale deriva un nuovo rinvio al Tribunale del riesame, anche per la verifica della sussistenza dei principi di proporzionalità e adeguatezza in relazione al vincolo reale disposto.

* Sebbene il lavoro sia frutto della riflessione comune degli Autori, sono attribuiti a Luca Forte i paragrafi 1, 2 mentre a Pierpaolo Dell’Anno il paragrafo 3

[1] Cass. Pen., Sez. VI, 19.012021 n. 2181

[2] Cassazione penale sez. VI, 12/02/20.19, (ud. 12/02/2019, dep. 19/03/2019), n.12241

[3] Cassazione penale sez. II, 24/09/2019, (ud. 24/09/2019, dep. 12/11/2019), n.45863, in CED Cass. pen. 2020, secondo la quale “La Corte di cassazione risolve una questione di diritto anche quando giudica sull’adempimento del dovere di motivazione, sicché il giudice di rinvio, pur conservando la libertà di decisione mediante un’autonoma valutazione delle risultanze probatorie relative al punto annullato, è tenuto a giustificare il proprio convincimento secondo lo schema implicitamente o esplicitamente enunciato nella sentenza di annullamento, restando in tal modo vincolato a una determinata valutazione delle risultanze processuali”.

[4] Galantini, N., sub Art. 321 c.p.p., in Amodio, E.-Dominioni, O., Commentario del nuovo codice di procedura penale, III, Milano, 1990, 270.

[5] Balducci, P., Il sequestro preventivo nel processo penale, Milano, 1991, 143

[6] Fiore, L., Accertamento dei presupposti e problematiche in tema di sequestro preventivo, in Riv. it. dir. proc. pen., 1995, 558

[7] C. cost., 17.2.1994, n. 48, in Cass. pen.,1994, 1455

[8] Cass. pen., S.U., 23.4.1993, Gifuni, in Cass. pen., 1993, 1969

[9] Cass. pen., S.U., 4.5.2000, Mariano, in Arch. nuova proc. pen., 2000, 255

[10] Cass. pen., sez. II, 13.5.2008, Sarica, in Guida dir., 2008, f. 27, 92

[11] Cass. pen., S.U., 20.11.1996, Bassi, in Cass. pen., 1997, 1673 ma anche Cass. pen., S.U., 25.10.2000, Poggi Longostrevi, in Dir. pen. e processo, 2001, 58

[12] Cass. pen., sez. III, 30.6.1993, Crispo, in Cass. pen., 1994, 1610

[13] Cass. pen., sez. I, 23.8.1994, Grazioso, in CED Cass., n. 198922

[14] Gualtieri, P., sub Art. 321 c.p.p., in Giarda, A.-Spangher, G., Codice di procedura penale commentato, Milano, 2010, 3852

[15] ibidem

[16] Così testualmente Cass., pen., Sez IV, 16.12.2015, n. 4567, in www.Ilpenalista.it , 2016, 17 giugno

[17] Per questo argomento cfr. P. FERRONE, Il sequestro nel processo penale, cit., p. 48 e G. LEONE, Istituzioni di diritto processuale penale, vol. II, cit., p. 71 ss.
Di tale avviso anche la giurisprudenza di legittimità, la quale affermava che: “Il sequestro per il procedimento penale [inibiva] per i fini della prova la disponibilità delle cose pertinenti al reato” cfr. Cass. pen, 9 novembre 1960, in Giust. pen., 1961, III, p.461 ss.

[18] Cass. pen., Sez. IV, 16.12.2015, n. 4567, in www.Ilpenalista.it, 2016, 17 giugno, Cass. pen., Sez. II, 05.11.2013, in CED Cass., n. 2210 e Cass. pen., Sez. V, 17.04.2009, n. 30596, in Cass. pen. 2011, 2, p. 594.

[19] V. G. CANESCHI, Connotazione “oggettiva” o “soggettiva” del sequestro preventivo e valutazione del fumus commissi delicti dopo il rinvio a giudizio, in Cass. pen., 2011, II, p.605 ss.

[20] C. Cost. 24 aprile 2009, n. 121, in www.cortecostituzionale.it. Come noto, la riforma attuata con legge 20 febbraio 2006 n. 46,“Modifiche al codice di procedura penale in tema di inappellabilità delle sentenze di proscioglimento” ha comportato l’inserimento di un comma 1-bis nel corpo dell’art. 405 c.p.p., secondo il quale “il pubblico ministero, al termine delle indagini, formula[va] richiesta di archiviazione quando la Corte di cassazione si [era] pronunciata in ordine alla insussistenza dei gravi indizi di colpevolezza, ai sensi dell’articolo 273, e non [erano]stati acquisiti, successivamente, ulteriori elementi a carico della persona sottoposta alle indagini”. La previsione in esame ha introdotto un ulteriore caso di archiviazione rispetto a quelli già contemplati agli artt. 408, 411 e 415 c.p.p.; la ratio della disposizione era quella di semplificare il procedimento e di chiuderlo immediatamente, senza posticipare l’esito, comunque favorevole per il futuro imputato, a conclusione della fase dibattimentale. Tale previsione è stata dichiarata costituzionalmente illegittima dalla Corte costituzionale nella pronuncia citata.

[21] Cass. pen., Sez. II, 09.09.2015, in CED Cass., n. 49188.

[22] Cass. pen., Sez. VI, 25.10.2011, in CED Cass., n. 39249.

[23] Trib. S, Maria Capua Vetere, ord. 17.06.1993, n. 389, in G.U., 44, 1993.

[24] Corte cost., sent. 17.02.1994, n. 48 in www.cortecostituzionale.it .

[25] Per questi rilievi critici cfr. M. PIERDONATI, Fumus in re ipsa del delitto e “giudicato cautelare” nel sequestro preventivo, cit. p. 1004 e M. CERESA-GASTALDO, Garanzie insufficienti nella disciplina del sequestro preventivo, in Cass. pen., 2010, fasc.12, p. 4441 ss.

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