Sommario: 1. Premessa: l’origine del fenomeno Hikikomori in Giappone e lo sviluppo globale; 2. La diagnosi differenziale e la doverosa presa d’atto del sistema penale; 3. Hikikomori: la risposta del civile e penale; 4. Le conseguenze penalistiche
1. Premessa: l’origine del fenomeno Hikikomori in Giappone e lo sviluppo globale
L’epoca della post-modernità[1] fra le tante problematiche mette in luce sul piano psico-pedagogico e identitario come il giovane possa trovarsi a vivere dei momenti di forte crisi interiore e di sconforto dettati da vari motivi, come le pressioni esterne troppo pervasive, una mancata o erronea relazione familiare, una forte insicurezza autobloccante nel prendere decisioni importanti. La fatica che avvince le nuove generazioni, oltre a essere caratterizzata da frustrazioni sessuali o sociali, certo importanti, va vista per lo più da un punto di vista esistenziale[2]; tutto ciò dà origine a vissuti di precarietà, insoddisfazione, incertezza, cui corrispondono spaventosi vuoti sul piano emotivo e relazionale, tesi a far chiudere molti giovani in sé stessi[3], dando vita a un vero e proprio isolamento sociale[4], spingendoli finanche a creare un proprio mondo, governato da apparente tranquillità, sicurezza e stabilità. Essa però, come si chiarirà, è una forma solo mascherata di depressione[5], trattandosi, in ogni caso, di un fenomeno che non può essere ignorato dal diritto (par. 3).
Nel suo stadio iniziale questa forma di auto-isolamento rappresenta un fenomeno assai diffuso, specie in Giappone dove tantissimi giovani decidono di rinchiudersi spontaneamente nelle proprie camere uscendo raramente o solo quando ciò sia necessario.
Il termine giapponese che indica tale fenomeno è quello di Hikikomori, il quale fu coniato nei primi anni ‘80 da SaitōTamaki[6] dopo aver notato che un numero sempre crescente di ragazzi decidevano di fuggire di fronte alle eccessive pressioni esterne, in quanto avvertite come insostenibili tagliando ogni forma di comunicazione con gli altri, abbandonando la scuola[7], ritirandosi nella propria stanza (cd. social withdrawal)[8], dove vi rimanevano per lunghi periodi (beata solitudo sola beatitudo)[9].
Il fenomeno di che trattasi, come chiarito, è legato originariamente alla cultura giapponese, e in essa è assai diffuso[10] giacché la società nipponica è caratterizzata da norme sociali rigide, da grandi aspettative da parte dei genitori, ma soprattutto da una “cultura della vergogna”[11] e di narcisistico orgoglio che rende particolarmente fertile il terreno per lo sviluppo, in capo ai giovani, di sentimenti di inadeguatezza e di dissociazione sociale da ogni tipo di confronto[12]. A ciò si aggiunge l’incapacità e l’ignoranza, in primo luogo, di tutti quei genitori che, credendo che chiedere aiuto sia umiliante, faticano tutt’oggi a denunziare il fenomeno. Esso peraltro non è più solo circoscritto al territorio nipponico, ma studi scientifici dimostrano come lo stesso abbia assunto un livello globale[13].
Questo fenomeno, che come si chiarirà è un sintomo di numerose patologie psichiatriche e non di una manifestazione patologica a sé[14], implica che l’individuo se adolescente, subisce una “crescita negata”, ovvero “un arresto del desiderio, uno scacco della vitalità, un gorgo di passività”[15], risultando più isolato e ripiegato su di sé che in passato, perché privo di quello slancio verso il nuovo, l’Altro e l’esterno che dovrebbe definire il passaggio all’età adulta, alla maturità intellettiva e all’inserimento sociale.
2. La diagnosi differenziale e la doverosa presa d’atto del sistema penale
Ad un’attenta analisi, il fenomeno dell’hikikomori sembra in qualche maniera fondarsi su una particolare caratteristica di personalità dell’individuo che ove non curata, o meglio prevenuta, si può trasformare in una patologia che colpisce quasi esclusivamente il genere maschile ed è riscontrabile non solo negli adolescenti, ma anche tra i giovani adulti.
È infatti importante ragionare in termini di prevenzione dall’insorgenza del ritiro vero e proprio ovvero dall’intervenire nel modo più corretto per evitare di dover affrontare aspetti ben più complessi e problematici[16]. Una buona informazione e comunicazione effettuata dalle principali agenzie educative, la famiglia e la scuola, può rilevarsi molto utile, giacché spesso sono proprio la disinformazione, la politica del silenzio e la convinzione erronea dettata dall’ignoranza del fenomeno a spingere i genitori e, a volte, anche gli educatori a non denunciare il problema. Tuttavia, questo approccio non deve cadere in una nuova diagnosi foggiata sulla “Sindrome da rischio psicotico”[17], la quale, oltre che ingiustificata, e dai profili etici tutt’altro che marginali, avrebbe anche l’effetto di “psichiatrizzare” inutilmente numerose persone per far aumentare l’uso di farmaci antipsicotici[18].
Quando però esso non viene affrontato tempestivamente, il rischio è che si trasformi in una manifestazione patologica, in un conclamato stato dissociativo (ad esempio da videoterminale ovvero del più grave ritiro sociale)[19], in cui l’atteggiamento dell’individuo che ne è affetto è caratterizzato da forme di devianza che, a volte, si manifestano con modalità di difesa caratterizzate da livelli di reazione aggressivo-compulsivo[20], i quali non solo potrebbero costituire per il soggetto l’unico livello di relazione possibile[21], ma potrebbero pure degenerare, stando anche a studi recenti, in condotte suicide[22].
Sul piano della diagnosi, non essendo attualmente disponibili criteri diagnostici universalmente accettati è possibile identificare l’hikikomori solo come un sintomo di una possibile patologia psichiatrica (schizofrenia, disturbi dell’umore, disturbi d’ansia e disturbi di personalità)[23]. Per la tesi maggiormente accreditata, insomma, se è vero che essa non è una malattia, è altrettanto vero che un prolungato stato di isolamento può portare a sviluppare una determinata gamma di disturbi psichici.
Considerare l’hikikomori come un sintomo e non una patologia a sé, tuttavia, non è una conclusione che sul piano scientifico appare pienamente condivisa[24]. Innanzi tutto perché, prestando attenzione al ritiro sociale, si ha una sovrapposizione con quello scaturente dall’internet addiction, quale patologia da gioco su internet inserita nel DSM-V tra le condizioni che necessitano di ulteriori studi. È stato tuttavia obiettato che fra questi due fenomeni non vi è una corrispondenza di criteri, ma solo delle similitudini, il che esclude che si abbia nell’ipotesi di che trattasi una patologia.
In secondo luogo, è vero che nel periodo di transizione tra la IV e la V ed. del Manuale DSM innumerevoli sono stati gli studi sull’inquadramento preciso del fenomeno e sul possibile inserimento nello stesso, ma è anche vero che tali studi concordano sulla necessità di ulteriori approfondimenti al fine, quanto meno, di chiarire le differenze tra le forme di hikikomori primarie (quelle cioè non associate ad alcun disturbo psichico) e secondarie, in comorbidità, anche per valutarne la reale diffusione[25].
C’è infine chi in modo tuzioristico sostiene che trattasi di patologia fondata sull’isolamento sociale[26].
Specie in caso di commistione di patologie decisiva diventa, in ogni caso, l’anamnesi (ossia la raccolta delle informazioni rilevanti del percorso di vita), proprio per aiutare il clinico, ed eventualmente il giudice (par. 3), a identificare il disturbo rispetto ad altri con caratteristiche simili.
Al riguardo, secondo alcuni studiosi, non di schizofrenia si tratta perché a motivo del ritiro sociale e della bizzarria della sintomatologia nell’hikikomori, non vi sono stati deliranti e di allucinazione propri della prima dove il difetto di comunicazione è reso problematico in virtù della patologia stessa, mentre l’hikikomori, talora, ha pensieri intrusivi e ricorrenti, che tuttavia sono strettamente connessi alla realtà ed alla storia di vita del soggetto (v. par. 1, nt. 6), con la conseguenza che in capo a questi è possibile “cogliere ciò che desidera o quello contro cui protesta”[27].
Né, secondo alcuni studiosi, si tratta di una forma di un disturbo dell’umore, come la distimia o un episodio depressivo maggiore (v. par. 1), in quanto la possibile presenza di deflessione dell’umore, scarsa autostima, apatia, incapacità di infuturazione e alterazioni del ritmo sonno-veglia sono sintomi aspecifici e poco indicativi, spesso conseguenti al cambiamento di stile di vita e non elementi eziopatogenetici[28].
Il soggetto hikikomori, nonostante SaitōTamaki riferisca la presenza di tristezza e pensieri di morte, presenta prevalentemente un quadro caratterizzato da apatia[29], di disinteresse nei confronti del mondo, ed è per questo che storicamente viene utilizzato in Giappone il termine shinkeishitsu (constitutional neurastenia)[30].
Come già chiarito in precedenza, chi è affetto da hikikomori spesso manifesta una sintomatologia ansiosa e il ritiro sociale, i quali sono delle caratteristiche preminenti. A fronte di esse, secondo dei studiosi, in capo all’individuo si potrebbe diagnosticare una fobia sociale, caratterizzata da paura marcata e persistente di una o più situazioni sociali che il soggetto riconosce come eccessive o irragionevoli[31].
La diagnosi differenziale risulta, tuttavia, talora difficoltosa a causa della prevalenza del disturbo di personalità, considerato da taluno il più comune disturbo di asse II (DSM IV-TR)[32], con la possibilità quindi di comorbidità tra le due patologie[33]. Ne consegue che anche il disturbo schizoide di personalità potrebbe richiedere l’esigenza di una diagnosi differenziale con hikikomori.
Diffondere la consapevolezza clinica di queste condizioni ed espandere l’offerta di trattamento allora diventa decisivo, nel senso di condurre la giustizia criminale a prendere in serio esame il modo attraverso cui trattare un aggressore che mostri questa sindrome. È però innegabile sullo sfondo la limitatezza di strumenti di indagine e la relatività di risultati teorici e pratici, i quali, fra l’altro, sono esposti agli apriorismi soggettivi, ai dogmatismi meta scientifici e alle ideologizzazioni.
Il quesito allora è quello se occorra considerare l’hikikomori, nel suo massimo stadio da accertarsi clinicamente, come un disturbo mentale, con tutte le conseguenze relative per il paziente, i giudici e i clinici, o se il sistema legale debba continuare a considerare lo stato a rischio solo come tale.
In un ordinamento evoluto come il nostro la risposta, però, non può che essere la prima, giacché la Costituzione riconosce il valore della persona, ma soprattutto tutela la salute (artt. 2, 13, 32 Cost.), anche mentale, la quale oscilla lungo i binari dell’assistenzialismo, della libertà e dignità[34].
3. Hikikomori: la risposta del civile e penale
In una società come la nostra, che valorizza la persona[35], lo strumento che l’ordinamento offre per proteggere il soggetto fragile, quanto meno sotto l’aspetto patrimoniale, è rappresentato dall’istituto dell’amministrazione di sostegno (legge 9 gennaio 2004, n. 6)[36], quale misura maggiormente flessibilità[37] rispetto alle tradizionali forme dell’inabilitazione e dell’interdizione[38]. Con la prima, infatti, il Legislatore tende a favorire la tutela della persona fragile[39], la quale per le ragioni più disparate non è in grado, anche solo temporaneamente, di far fronte ai propri bisogni materiali (art. 404 c.c.).
Il fenomeno dell’hikikomori tuttavia non impinge solo il diritto civile, potendo riguarda anche quello penale specie quando la condotta del soggetto che ne è affetto trasmoda nel crimine, di norma consumatosi all’interno delle mura domestiche in virtù di quell’isolamento di cui si faceva cenno, ancorché le condotte aggressive si possano manifestare anche all’esterno. In tale ultimo caso, si potrebbe venire a creare una posizione di garanzia di fonte consuetudinaria o legale, ovvero fondata i principi penali fondamentali dettati anche dalla costituzione[40], e in cui potrebbe essere chiamato a rispondere, rispettivamente, il genitore[41], l’amministratore di sostegno[42], ecc..
L’assunzione di tale posizione in capo all’amministratore tuttavia non è pacifica perché costui secondo parte della giurisprudenza ha il solo compito di assistere la persona nella gestione dei propri interessi patrimoniali e non di interessarsi anche la “cura della persona”, poiché l’art. 357 c.c., che indica tale funzione a proposito del tutore, non rientra tra le disposizioni richiamate dall’art. 411, ossia tra le “norme applicabili all’amministratore di sostegno”[43]. Costui allora potrebbe assumere un mero obbligo di sorveglianza, difettando i poteri impeditivi presenti nella prima figura[44].
In disparte ciò, è opinione di chi scrive che il diritto penale non può risultare indifferente rispetto al soggetto affetto da hikikomori, dovendo verificare se questa condizione incida, o no, sull’imputabilità. Qui occorre però chiarire.
Ove si conviene che l’hikikomori sia un sintomo e non una patologia a sé, allora lo scienziato (il perito), prima, e il giudice, poi, dovranno verificare qual è, ove esistente, la patologia clinica che colpisce il soggetto interessato (anomalie psichiche o malattie mentali) e se tale vizio di mente derivante da infermità abbia o meno, e in quale misura, escluso o diminuito la capacità di intendere e volere (artt. 88 e 89 c.p.).
Qualora invece si ritiene che l’hikikomori sia una patologia ovvero una situazione morbosa, l’analisi scientifica non dovrà scrutinare il tipo che ne costituisce la derivazione, bensì verificare se essa abbia o meno escluso o diminuito la capacità di intendere e volere.
Se infine si sostiene che l’hikikomori non sia una patologia né una situazione morbosa incidente sulle capacità del soggetto, allora costui sarà imputabile e punibile. In questo caso, però, si finisce per accantonare il problema tanto sotto il profilo sociale, quanto scientifico e di diritto positivo.
È certo però che alla luce delle acquisizioni della psicopatologia e dell’evoluzione del concetto di malattia che l’infermità non può essere circoscritta ai soli quadri clinicamente definiti, dovendosi estendere anche ad altre situazioni morbose, non ancora compiutamente accertate perché magari oggetto di studi (par. 2), purché l’infermità – quale concetto più ampio di quello di malattia[45] – sia tale per intensità da compromettere i processi conoscitivi, valutativi e volitivi della persona, escludendo o diminuendo la capacità di percepire il disvalore del fatto e di autodeterminarsi autonomamente[46].
Nell’accertamento caso per caso, si potrebbe verificare che il soggetto affetto da hikikomori reagisca in modo abnorme (cd. “reazioni a corto circuito”)[47] al tentativo di estirpamento dalla camera dove si è autorecluso, costituendo tale reazione l’unica forma di difesa che il soggetto ritiene possibile (par. 1).
Questa forma di reazione, anche se normalmente riferita a stati emotivi e passionali non integranti una condizione patologia, secondo la giurisprudenza, può costituire in determinare ipotesi la manifestazione di una vera e propria malattia che compromette la capacità di intendere e volere, incidendo sull’attitudine della persona a determinarsi in modo autonomo, con impossibilità di optare per la condotta più adatta rispetto allo stimolo esterno[48].
Le reazioni da corto circuito, tuttavia, devono essere oggetto di un accertamento rigoroso, il quale sebbene presenti oggettive difficoltà[49], deve essere foggiato su schemi logici, normativi e scientifici, onde distinguere lo stato emotivo e passionale dall’infermità mentale vera e propria, valutando di volta in volta sia il complesso stato mentale dell’agente che il comportamento specifico, o meglio la reazione, allo stimolo esterno[50].
È in ogni caso opportuno ricordare poi che per i minori di quattordici anni il codice penale sancisce all’art. 97 una presunzione di assoluta incapacità di intendere e di volere, mentre per i minori di diciotto anni detta capacità va dimostrata caso per caso (art. 98 c.p.), con la conseguenza che nel primo caso l’imputabilità del fatto commesso dal minore affetto da hikikomori andrà certamente esclusa, ricadendo sul garante (v. supra), mentre nel secondo caso andrà verificata.
4. Le conseguenze penalistiche
Ove si ritenga che l’imputato ultra quattordicenne e maggiore sia non imputabile vuoi perché l’hikikomori sia qualificata come un sintomo di una più grave infermità, vuoi perché sia essa stessa una patologia, occorrerà verificare se nel momento in cui fu commesso il fatto la capacità di intendere e di volere del soggetto manca del tutto oppure è grandemente scemata.
Nel primo caso, invero, il giudice pronuncia ai sensi dell’art. 530, comma 1, c.p.p., sentenza di assoluzione e nei casi previsti dalla legge applica le misure di sicurezza, come sancito dal comma 4 dell’articolo citato. Nel caso in cui il vizio di mente sia solo parziale, la pronuncia è di condanna e sono applicate le eventuali misure di sicurezza (art. 533, comma 1, c.p.p.).
L’applicazione delle misure di sicurezza personali è strettamente connessa alla sussistenza della accertata pericolosità sociale del soggetto e alla rigorosa valutazione dell’intensità della stessa. Tali misure, tra l’altro, possono essere detentive e non detentive e le prime trovano esecuzione nelle apposite strutture residenziali socio-sanitarie denominate Residenza per l’esecuzione della misura di sicurezza (cd. Rems).
Infine, sotto il profilo strettamente processuale, giova ricordare che la legge n. 103/2017 ha recentemente modificato l’intera materia della capacità dell’imputato di partecipare coscientemente al processo.
È previsto, in particolare, che se nel corso del processo tutte le volte in cui il soggetto non è capace di parteciparvi coscientemente, il giudice, previo specifico accertamento peritale, ai sensi degli artt. 70 e 71 c.p.p., lo sospende con ordinanza, a meno che non debba pronunciare sentenza di proscioglimento o di non luogo a procedere.
La novella in questione, onde evitare la creazione dei cd. eterni giudicabili e il rinnovo semestrale e periodico delle perizie, ora prevede che la sospensione del processo sia subordinata alla sussistenza dell’ulteriore condizione della reversibilità della patologia. Con la conseguenza che in caso di irreversibilità dell’incapacità dell’imputato di partecipare coscientemente al processo, il giudice, ai sensi dell’art. 72-bis c.p.p., revocata l’eventuale ordinanza di sospensione del procedimento, e pronuncia sentenza di non luogo a procedere o sentenza di non doversi procedere, salvo che ricorrano i presupposti per l’applicazione di una misura di sicurezza diversa dalla confisca.
* Lo scritto rispecchia le opinioni dell’Autore e non impegna l’Amministrazione di appartenenza.
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[2] A. TONON, Adolescenti e giovani in cerca di senso, in www.lachiavedisophia.com.
[3] A. ROMANO, La riflessione educativa ai tempi della crisi”. L’agire educativo come progettualità di apprendimento condiviso per il futuro, in www.metisjournal.it.
[4] G. SPERLITI, L’età giovanile. Disagio e risorse psicosociali, Bologna, 2016, 87; A. TALAMO, – M. DI PIETRO, I problemi emotivi e comportamentali degli alunni, Milano, 2007.
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[6] S. TAMAKI, Shakaiteki hikikomori (Social Withdrawal), Tokyo, 1998, 206–207, 25; ID., Adolescence without end, Minneapolis, Minnesota, 2013.
[7] Le cause del ritiro scolastico sono molteplici, tra le quali anche i ripetuti insuccessi e, soprattutto, i reiterati atti di bullismo; i giovani che sentono l’esigenza di stare soli con sé stessi, di non voler condividere il momento del pranzo con altri coetanei e che non amano partecipare alle attività sportive con gli altri, ma anche coloro che si discostano dalle mode del momento, vengono etichettati come strani, deboli, fragili, e tutto ciò comporta che costoro non riescono ad intraprendere relazioni sociali sì da venire poi maltrattati e scherniti.
[8] M. LANCINI, Il ritiro sociale negli adolescenti. La solitudine di una generazione iperconnessa, Milano, 2020; K. BAGNATO, L’hikikomori: un fenomeno di auto reclusione giovanile, Roma, 2017; AA. VV., Il corpo in una stanza, a cura di di R. Spiniello, A. Piotti e D. Comazzi, Milano, 2015; F. TONIONI, Psicopatologia web-mediata. Dipendenza da internet e nuovi fenomeni dissociativi, Milano, 2013, 116; a AA.VV., Ansia e ritiro sociale. Valutazione e trattamento, cura di M. Procacci, R. Popolo, N. Marsigli, Milano, 2011; F. COULMAS, Population Decline and Ageing in Japan – The Social Consequences, Milton Park, 2007, 44; E. BELLAGAMBA, Il ritiro sociale – riflessioni psicoanalitiche, in www.altreadolescenze.it.
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[11] K. SUZUKI, Hikikomori, nostri contemporanei: in merito al cambiamento della società giapponese nell’ultimo trentennio, in Cura, bellezza e sogni: alle radici dell’educazione, a cura di E. FINIZIA, S. FERRAIOLI, R. GENTILE, Napoli, 2021, 96.
[12] A. DEL GRAND, Nuove bolle d’Asia. Nuovi racconti di altri dieci anni passati in Asia, New Delhi, 2021.
[13] T. OLIVER, L’inganno dell’Io. Come siamo tutti collegati e perché è importante, Milano, 2020, terza parte, par. 13; C. RICCI, La volontaria reclusione. Italia e Giappone: un legame inquietante, Roma, 2014, 32; A. PIOTTI, La società degli hikikomori, in Hikikomori: adolescenti in volontaria reclusione, Milano, 2008; V. DONELLI – S. LAMBERTINO, Hikikomori. Sintomi, cause e trattamenti, 2019, in www.ospedalemarialuigia.it, che rilevano che negli ultimi anni e sono stati sviluppati alcuni test psicometrici al fine di individuare meglio il disturbo e favorirne la diagnosi: alcuni esempi sono l’Hikikomori Assessment Interview (Teo et al. 2015); l’Hikikomori Questionnaire (HQ-25) (Teo et al., 2018) validato in 5 Paesi e l’Hikikomori Social Withdrawal Scale (HSWS) (Stavropoulos et al., 2019).
[14] F. TONIONI, Psicopatologia web-mediata, cit., 117.
[15] L. PIGOZZI, Adolescenza zero. Hikikomori, cutters, ADHD e la crescita negata, Milano, 2019.
[16] M. MAZZETTI, Hikikomori il viaggio bloccato dell’eroe, Brescia, 2020, par. 1.3.3; AA. VV., Adolescenti in bilico. L’intervento precoce di fronte ai segnali di disagio e sofferenza psichica, a cura di C. Morganti, E. Monzani, M. Percudani, Milano, 2018.
[17] American Psychiatric Association, DSM-V. Manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali, Milano, 2013, la tematica è stata inserita nella sez. III del Manuale, ossia nella parte dedicata alle condizioni che necessitano di ulteriori studi, sotto la denominazione “sindrome psicotica attenuata”, in quanto è risultato prematuro includerlo come un disturbo solamente sulla base della validità predittiva dei criteri (Yung 2010).
[18] AA. VV., Stati mentali a rischio di psicosi: identificazione e strategie attuali di trattamento, a cura di A. Thompson, S. Marwaha e M. R. Broome, in www.cambridge.org.
[19] F. TONIONI, Psicopatologia web-mediata, cit., 117 e cap. X; AA. VV., Hikikomori: la sofferenza silenziosa dei giovani, a cura di R. Cerutti,V. Spensieri, V. D. Siracusa, F. Gazzillo, S. Amendola, in Riv. Psichiatr., 2021; 56(3):129-137; A. CERASA, Solo con la mia mente, in www.dirittopenaleuomo.org.
[20] I. SHIBATA – S. NIWA, Case report of the efficacy of paroxetine in a patient with obsessive compulsive disorder and major depressive episode characterized by ten years unremitting social withdrawal, Pharma Medica, 2003, 61-4; J.S. HOUSE, K.R. LANDIS, D. UMBERSON, Social relationships and health, in Science, 241, 1988, 540 ss.
[21] F. TONIONI, op. ult. cit., 173.
[22] V. DONELLI – S. LAMBERTINO, Hikikomori. Sintomi, cause e trattamenti, cit.; R. YONG – K. NOMURA, Hikikomori Is Most Associated With Interpersonal Relationships, Followed by Suicide Risks: A Secondary Analysis of a National Cross-Sectional Study,Public Health Department, Akita, Japan, in www.frontiersin.org.
[23] AA. VV., Il fenomeno dell’hikikomori: cultural bound o quadro psicopatologico emergente?, a cura di E. Aguglia, M.S. Signorelli, C. Pollicino, E. Arcidiacono, A. Petralia, in Giorn. Ital. Psicopat., 2010, 162.
[24] F. SARACENI, Il fenomeno hikikomori: tra sofferenza culturale e realtà psicopatologica, in L’altro. Rivista semestrale soc. it. form. in psichiatria a cura di F. Valleriani, n. 1/2018, 19.
[25] F. SARACENI, Il fenomeno hikikomor, cit., 21, il quale rileva che a causa delle difficoltà di stabilire un quadro diagnostico definito, anche gli intervenuti di cura presentano una strategia non univoca, chiara ed efficace; in genere si punta alla risocializzazione, associata, ove possibile, a interventi familiari, mentre i farmaci vengono somministrati solo in presenza di altre problematiche psichiatriche.
[26] M. SENATORE, Bambini digitali: l’alterazione del pensiero creativo e il declino dell’empatia, Torino, 2019; AA. VV., Social Family. Sfide per famiglie al tempo del digitale, a cura di M. Giacomello, R. Dolce, F. Pilla, V ed., 2016; E. IACCHIA – P. ANCARANI, Momentaneamente silenziosi: Guida per operatori, insegnanti e genitori di bambini e ragazzi con mutismo selettivo, Milano, 2018
[27] T. SAITO, Shakaiteki hikikomori: owaranai shishunki (Social withdrawal: a neverending adolescence), Tokio, 1998; APA, DSM-IV-TR, Milano, 2002, relativamente alla categoria diagnostica della Fobia sociale (disturbo d’ansia sociale), in riferimento alle “Caratteristiche collegate a cultura, genere ed età” si legge che “In certe culture (per es., Giappone e Corea) gli individui con Fobia Sociale possono sviluppare paure eccessive e persistenti di offendere gli altri nelle situazioni sociali, piuttosto che imbarazzo. Queste paure possono assumere l’aspetto di ansia estrema riguardo al fatto che l’arrossire, il contatto visivo o il proprio odore corporeo possano essere offensivi per gli altri (in Giappone taijin kyofusho)”.
[28] AA. VV., Il fenomeno dell’hikikomori: cultural bound o quadro psicopatologico emergente?, cit.
[29] J.G. RUSSEL, Anxiety disorders in Japan: a review of the Japanese literature on shinkei shitsu and taijinkyofusho. Cult Med Psychiatr, 1989, 391-403.
[30] Y. NABETA, ‘Hikikomori’ to fuzenkei shikeishou: toku ni taijinkyoufushou kyouhaku shinkeishou wo chuushin ni (Social withdrawal and abortive-types of neurosis: especially on social phobia and obsessive compulsive disorder), Seishin Igaku (Clin Psychiatry), 2003, 247-53.
[31] AA. VV., Il fenomeno dell’hikikomori: cultural bound o quadro psicopatologico emergente?, cit.
[32] N. KONDO, Hiseishinbyousei hikikomori no genzai (The present conditions of non-psychotic pyscho-social withdrawal cases), in Rinshou Seishin Igaku (Japanese Journal of Clinical Psychiatry), 1997, 1159- 67.
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[34] S. ROSSI, La salute mentale tra libertà e dignità. Un dialogo costituzionale, Milano, 2015; Id., Salute mentale e dignità della persona: profili di un dialogo costituzionale. Secondo seminario annuale del “Gruppo di Pisa” con i dottorandi delle discipline giuspubblicistiche Lo studio delle fonti del diritto e dei diritti fondamentali in alcune ricerche dottorali Università di Roma Tre 20 settembre 2013, in www.gruppodipisa.it.; R. BALDUZZI, Diritto alla salute e servizi sanitari tra consolidamento e indebolimento, Bologna, 2016; M. GALEOTTI, Una psichiatra di campagna. Percosi nei Servizi di Salute Mentale, Milano, 2021.
[35] F. POLITI, Diritti sociali e dignità umana nella Costituzione Repubblicana, Torino, 2018, 75 ss.; AA. VV., Vita, libertà e sicurezza della persona nella Costituzione italiana e nella Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo, atti delle Giornate di studio (Università del Salento, 23-25 ottobre 2008), Milano, 2011; S. ROSSI, La salute mentale tra libertà e dignità. Un dialogo costituzionale, cit.; F. PIZZOLATO, Finalismo dello Stato e sistema dei diritti nella Costituzione italiana, Milano,1999, 102, passim.; N. OCCHIOCUPO, Liberazione e promozione umana nella Costituzione. Unità di valori nella pluralità di posizioni, Milano, 1995,38; P. G. GRASSO, La persona nel diritto costituzionale: uomo e cittadino, in Persona e diritto, a cura di D. Castellano, Udine, 1990, 55.
[36] AA. VV., Tutela, curatela e amministrazione di sostegno. La centralità della persona nell’approccio multidisciplinare alla fragilità, Torino, 2008; AA. VV., Il procedimento di interdizione, inabilitazione e amministrazione di sostegno, a cura di F. De Stefano, A. Crescenzi, M. T. Sebastiano, Milano, 2011; G. SAPI, Il procedimento per la nomina di un amministratore di sostegno, in www.aiafrivista.it;
[37] Cass. civ., sez. I, 29 settembre 2006, n. 25366; I. CORDA, Amministrazione di sostegno, interdizione e inabilitazione. Questioni processuali, Milano, 2010, 80; P. FAVA, Il contratto, Milano, 2012, 612.
[38] Trib. Modena, decr. 2 dicembre 2005, in www.personaedanno.it; Cass. civ., sez. I, 12 giugno 2006, n. 13584; AA. VV., Il procedimento di interdizione, inabilitazione e amministrazione di sostegno, 238; P. FAVA, op. cit., 613.
[39] S. CELENTANO, L’amministrazione di sostegno tra personalismo, solidarismo e sussidiarietà ed il ruolo del Giudice della Persona, in www.questionegiustizia.it
[40] F. MANTOVANI, Diritto penale. Parte generale, X ed., Milano, 2017, 158.
[41] AA.VV. Manuale di diritto penale. Parte generale, a cura di C. F. Grosso, M. Pelissero, D. Petrini, P. Pisa, Milano, 2013, 231; D. PULITANO’, Diritto penale, Torino, 2013, 231.
[42] Cass., sez. V, 19 ottobre 2015, n. 7974/2016, con nota di A. ZACCHIA.
[43] F. GIORGIO, Diritto penale della famiglia, Torino, 2021, 518 ss.; Cass. pen., sez. V, 26 febbraop 2016, n. 7974 che esclude una posizione di garanzia in capo all’amministratore di sostegno.
[44] I. LEONCINI, Obbligo di attivarsi, obbligo di garanzia, obbligo di sorveglianza, Torino, 1999.
[45] Cass. pen., SS.UU., 25 gennaio 2005, n. 9163.
[46] Cass. pen. 26 novembre 1986, Cabotto, CP 90, 1039, nt. Pacioni; Cass. pen., sez. I, 22 aprile 1997 – 22 giugno 1997, n. 5885; F. MANTOVANI, Diritto penale, cit., 663.
[47] Corte Assise Milano, 26 maggio 1987, in Arch. pen., 1988, 606, ID., in Foro it. 1989, II, 28 (con nota contraria di G. Balbi); ID., Giur. mer., 1988, II, 115 (con nota contraria di Iadecola); L. PUDDU, Argomentare l’incredibile: il tragitto persuasivo di una difesa, in Gulotta G. e collaboratori, Strumenti concettuali per agire nel nuovo processo penale, Milano, 1990, 269-320; G. FIANDACA – E. MUSCO, Diritto penale – parte generale, III ed., Bologna, 1995, 292-293; Corte Ass. App. Milano, sez. I, ud. 2 marzo 1988– Pres. Salvini; V. MASTRONARDI, Manuale per operatori criminologici e psicopatologi forensi, Milano, 2012, 158, il quale riferisce che la reazione impulsivo-esplosiva è una risposta primitiva (Kretschmer) e l’elaborazione ideativa è oltremodo rapita, quasi un atto riflesso.
[48] Cass. pen., n. 5885, cit.
[49]L. FIORAVANTI, Le infermità psichiche nella giurisprudenza penale, Padova, 1988; D. PULITANO’, in AA.VV., Curare e punire. Problemi e innovazione nei rapporti tra psichiatria e giustizia penale, Milano, 1988, 30; F. INTRONA, Se e come modificare le vigenti norme sulla imputabilità, in Riv. It. Med. Leg., 1999, 657.
[50] Cass. pen., n. 5885, cit.