Le recenti vicende di cronaca sulla consegna di alcuni ricercati italiani per reati commessi nella stagione degli “anni di piombo”, a prescindere da ogni considerazione di carattere politico, consentono di mettere a fuoco le dinamiche di diritto intertemporale relative alla successione tra estradizione e mandato d’arresto europeo nei rapporti tra Stati membri dell’Unione europea.
L’avvicendamento tra questi due istituti è avvenuto ormai da oltre un decennio, nonostante l’ordinamento italiano – vale la pena ricordarlo – si sia adeguato con notevole ritardo rispetto alle prescrizioni della decisione quadro 2002/584/GAI (che, all’art. 31, imponeva l’entrata in vigore dell’euromandato entro l’1 gennaio 2004).
La legge 22 aprile 2005, n. 69, comunque, ha consentito di aggiornare la disciplina delle relazioni di cooperazione giudiziaria penale e di introdurre uno strumento più snello ed efficace: mentre l’estradizione prevede un filtro politico sulla decisione e numerosi altri controlli (doppia incriminazione e gravi indizi di colpevolezza, ad esempio), l’euromandato si caratterizza per la soppressione di tali ostacoli e per una notevole accelerazione delle scansioni procedimentali (accelerazione, tuttavia, esasperata dalle recenti modifiche apportate dal d. lgs. 2 febbraio 2021, n. 10).
Può accadere, però, che, in talune occasioni, la disciplina dell’estradizione torni sul palcoscenico dei rapporti di cooperazione, in virtù proprio delle previsioni che, nella decisione quadro e nella legge italiana di attuazione, hanno regolato il “passaggio di consegne”.
La legge italiana, infatti, all’art. 40 prevede, innanzitutto, che le disposizioni sull’euromandato si applichino alle richieste di consegna emesse e ricevute dopo l’entrata in vigore, ossia dopo il 14 maggio 2002.
Il successivo comma 2, rimodulato dall’intervento legislativo del febbraio scorso, contiene una importante precisazione, secondo la quale alle richieste di esecuzione relative a reati commessi prima del 7 agosto 2002, restano applicabili le disposizioni vigenti anteriormente alla data di entrata in vigore della legge in materia di estradizione.
La disposizione è il risultato dell’esercizio della facoltà concessa agli Stati membri dall’art. 32 della decisione quadro che, appunto, consentiva di modulare diversamente, secondo il tempus commissi delicti, l’avvicendamento dei meccanismi di cooperazione giudiziaria, fissando comunque il termine massimo al 7 agosto 2002.
Se l’Italia ha sfruttato appieno tale facoltà, altri Stati membri non la hanno utilizzata ovvero la hanno modulata diversamente. È il caso, quest’ultimo, della Francia, che ha individuato la data nell’1 novembre 1993 (ovvero l’entrata in vigore del Trattato sull’Unione Europea, firmato a Maastricht il 7 febbraio 1992).
Restando quindi nell’attualità è questa la ragione per la quale la consegna dei ricercati sarà gestita sulla base della Convenzione europea di estradizione del 1957.
I recenti arresti di ricercati italiani in Francia: estradizione o euromandato?
Le recenti vicende di cronaca sulla consegna di alcuni ricercati italiani per reati commessi nella stagione degli “anni di piombo”, a prescindere da ogni considerazione di carattere politico, consentono di mettere a fuoco le dinamiche di diritto intertemporale relative alla successione tra estradizione e mandato d’arresto europeo nei rapporti tra Stati membri dell’Unione europea.
L’avvicendamento tra questi due istituti è avvenuto ormai da oltre un decennio, nonostante l’ordinamento italiano – vale la pena ricordarlo – si sia adeguato con notevole ritardo rispetto alle prescrizioni della decisione quadro 2002/584/GAI (che, all’art. 31, imponeva l’entrata in vigore dell’euromandato entro l’1 gennaio 2004).
La legge 22 aprile 2005, n. 69, comunque, ha consentito di aggiornare la disciplina delle relazioni di cooperazione giudiziaria penale e di introdurre uno strumento più snello ed efficace: mentre l’estradizione prevede un filtro politico sulla decisione e numerosi altri controlli (doppia incriminazione e gravi indizi di colpevolezza, ad esempio), l’euromandato si caratterizza per la soppressione di tali ostacoli e per una notevole accelerazione delle scansioni procedimentali (accelerazione, tuttavia, esasperata dalle recenti modifiche apportate dal d. lgs. 2 febbraio 2021, n. 10).
Può accadere, però, che, in talune occasioni, la disciplina dell’estradizione torni sul palcoscenico dei rapporti di cooperazione, in virtù proprio delle previsioni che, nella decisione quadro e nella legge italiana di attuazione, hanno regolato il “passaggio di consegne”.
La legge italiana, infatti, all’art. 40 prevede, innanzitutto, che le disposizioni sull’euromandato si applichino alle richieste di consegna emesse e ricevute dopo l’entrata in vigore, ossia dopo il 14 maggio 2002.
Il successivo comma 2, rimodulato dall’intervento legislativo del febbraio scorso, contiene una importante precisazione, secondo la quale alle richieste di esecuzione relative a reati commessi prima del 7 agosto 2002, restano applicabili le disposizioni vigenti anteriormente alla data di entrata in vigore della legge in materia di estradizione.
La disposizione è il risultato dell’esercizio della facoltà concessa agli Stati membri dall’art. 32 della decisione quadro che, appunto, consentiva di modulare diversamente, secondo il tempus commissi delicti, l’avvicendamento dei meccanismi di cooperazione giudiziaria, fissando comunque il termine massimo al 7 agosto 2002.
Se l’Italia ha sfruttato appieno tale facoltà, altri Stati membri non la hanno utilizzata ovvero la hanno modulata diversamente. È il caso, quest’ultimo, della Francia, che ha individuato la data nell’1 novembre 1993 (ovvero l’entrata in vigore del Trattato sull’Unione Europea, firmato a Maastricht il 7 febbraio 1992).
Restando quindi nell’attualità è questa la ragione per la quale la consegna dei ricercati sarà gestita sulla base della Convenzione europea di estradizione del 1957.
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