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I tormenti dell’abuso d’ufficio tra teoria e prassi. Discrezionalità amministrativa e infedeltà nel nuovo art. 323 c.p.  

 

Marco Naddeo[1]*

 

Leggi e diritto si trasmettono di padre

in figlio come una malattia ereditaria,

si trascinano di generazione in generazione,

di luogo in luogo. Ciò che era ragionevole diventa assurdo, ciò che rappresentava un benefizio diventa una calamità.

 

[Goethe, Faust, I, Studio, Mefistofele].

 

Decreto legge 16 luglio 2020, n. 76

 

Sommario: 1. Fattispecie e tipo: prolegomeni del primato della prassi. – 2. Il nuovo volto dell’illecito penale dopo il D.L. 76 del 16 luglio 2020. – 3.  La morfologia dell’abuso nell’art. 323 c.p. – 4. Il rischio di marginalizzazione dell’infedeltà. – 5. Eterogenesi dei fini o abolitio criminis mascherata?

 

  1. Fattispecie e tipo: prolegomeni del primato della prassi.

 

Partiamo subito da una evidente anomalia.

La riforma introdotta dall’art. 23, decreto legge 16 luglio 2020, n. 76, recante “Misure urgenti per la semplificazione e l’innovazione digitale”, incide sul delitto di abuso d’ufficio (art. 323 c.p.) per correggere gli effetti distorsivi di una prassi applicativa che ha nel tempo sbiadito i confini del tipo, ricalcati dalla legge 16 luglio 1997, n. 234 proprio per contenere le disfunzioni della fattispecie di “abuso innominato”, cui la novella del 1990 (legge 26 aprile 1990, n. 86) non era riuscita a porre rimedio[2].

In sostanza, la disarticolazione del testo per via esegetica innesca interventi riformatori che, traendo spunto dalla legalità effettuale[3], legittimano la (discutibile) verità del formante giurisprudenziale, ormai assurto a ‘fonte’ del diritto, quasi perdendo di vista (le reali dimensioni del deficit di determinatezza del) la struttura tipica sottoposta a revisione[4].

 

Sul piano inclinato di tali premesse, la ristrutturazione dell’art. 323 c.p. finisce per concentrarsi esclusivamente sulla «violazione di norme di legge o di regolamento», vale a dire sul disvalore d’azione, trascurando – come ha fatto negli anni la giurisprudenza – il disvalore d’evento (vantaggio o danno) che, legato al primo da “causalità normativa”, rende il Tatbestand descrittivo di un programma epistemologicamente verificabile. Espunti dalla dimensione soggettiva (di scopo) del dolo specifico, l’«ingiusto vantaggio patrimoniale» o il «danno ingiusto» si saldano eziologicamente alla condotta illecita, assurgendo a seconda dimensione della speciale illiceità dell’abuso d’ufficio, in modo da ponderarne il reale disvalore e la punibilità in concreto in funzione dei principi di ragionevolezza e sussidiarietà. Eppure, anziché rafforzare il costrutto positivizzato all’art. 323 c.p., il legislatore focalizza l’attenzione sul diritto vivente e sulle disfunzioni ermeneutiche che lo caratterizzano, tentando di contenerne il progressivo slabbramento con una rimodulazione per specificazione rivolta esclusivamente al primo livello di un reato a doppia ingiustizia[5].

  

  1. Il nuovo volto dell’illecito penale dopo il D.L. 76 del 16 luglio 2020.

Dopo la legge 190 del 6 novembre 2012, che si è limitata a riformarne la forbice edittale precedente (da sei mesi a tre anni) con l’attuale range «da uno a quattro anni», quello del 2020 rappresenta un nuovo intervento di tipo strutturale, destinato ad avere impatto sistematico-funzionale sul delitto in esame.

Anziché riscrivere l’art. 323 c.p., tenendo conto della complessa geometria che ne caratterizza il tipo[6], il legislatore ha prescelto una manovra per così dire ‘asimmetrica’, sostituendo le parole «di norme di legge o di regolamento» con le seguenti: «di specifiche regole di condotta espressamente previste dalla legge o da atti aventi forza di legge e dalle quali non residuino margini di discrezionalità» (così, il già citato art. 23, decreto legge 16 luglio 2020, n. 76).

Consapevole delle forzature interpretative cui il vecchio sintagma era stato sottoposto – deprimendone l’accezione formalistica a favore di applicazioni disinvolte  che facevano perno sul criterio della violazione mediata per arrivare a configurare violazione di norma di legge anche quella inerente atti normativi diversamente denominati[7], che fungerebbero da norma interposta rispetto alle leggi e ai regolamenti –, il legislatore utilizza il bulino della riforma per cesellare il disvalore di azione, lasciando per il resto inalterata la fattispecie. In questa direzione, il precetto si concentra sulla violazione di specifiche regole di condotta che: a) siano previste da fonti di tipo primario (legge o atti aventi forza di legge); b) possiedano carattere vincolante (ovvero non lascino al pubblico agente margini di discrezionalità).

 

Una formidabile restrizione dello spettro applicativo che incide significativamente sul baricentro della fattispecie[8], mettendone a rischio la stessa funzione repressiva ‘di chiusura’ da sempre attribuita alla norma, con potenziali rischi “in termini di impunità e di inefficacia preventiva dell’incriminazione[9]. D’altra parte, rebus sic stantibus, il pubblico agente che viola con dolo intenzionale di ingiusto profitto patrimoniale (o di danno ingiusto) un regolamento dato dall’amministrazione o che eserciti con lo stesso obiettivo un potere discrezionale previsto dalla legge non integrerebbe il delitto di abuso d’ufficio.

In sostanza, se alla nuova formulazione dell’art. 323 c.p. deve dirsi estranea l’attività amministrativa di natura discrezionale, non può sussistere il vizio di eccesso di potere e, di conseguenza, ogni sindacato del giudice penale sull’eccesso o sviamento di potere dovrebbe risultare precluso[10].

 

  1. La morfologia dell’abuso nell’art. 323 c.p.

 

La portata rivoluzionaria della riforma in esame può essere pienamente compresa se si pone mente alla radice etimologica del termine abuso, in cui è contenuta la possibilità di un uso lecito di poteri-facoltà attribuiti ex lege all’organo-ufficio, in seno al quale il pubblico agente è tenuto a esercitarli orientando la funzione o il servizio al fine istituzionale prefissato e tipico che ne giustifica l’attribuzione (in modo vincolato o discrezionale) [11].  Per tale ragione, «il reato di abuso d’ufficio connotato da violazione di norme di legge o di regolamento è configurabile non solo allorché la condotta tenuta dall’agente sia in contrasto con il significato letterale, logico o sistematico della disposizione di riferimento, ma anche quando essa contraddica lo specifico fine perseguito dalla norma, concretizzandosi in uno “svolgimento della funzione o del servizio” che oltrepassa ogni possibile opzione attribuita al pubblico ufficiale o all’incaricato di pubblico servizio per realizzare tale fine (Cass., Sez. VI, 10 dicembre 2001, Bocchiotti, in Cass. pen., 2003, pag. 119)»[12]. Si tratta delle premesse che hanno condotto le Sezioni Unite a riconoscere il “requisito della violazione di legge non solo quando la condotta del pubblico ufficiale sia svolta in contrasto con le norme che regolano l’esercizio del potere, ma anche quando la stessa risulti orientata alla sola realizzazione di un interesse collidente con quello per il quale il potere è attribuito, realizzandosi in tale ipotesi il vizio dello sviamento di potere, che integra la violazione di legge poichè lo stesso non viene esercitato secondo lo schema normativo che ne legittima l’attribuzione” (cfr. Cass. Sez. Un. 29 settembre 2011, n. 155, Rossi, CED 251498).

In questa ottica, l’interesse pubblico rappresenta l’argine esterno alla discrezionalità, consentendone l’esercizio nel rispetto della disciplina dell’ufficio o servizio che, grazie alla qualifica soggettiva pretesa dall’art. 323 c.p., penetra nel tipo e orienta l’offensività della violazione, lasciando fuori dallo spettro punitivo l’eccesso punitivo intrinseco, fintantoché la condotta del pubblico agente orbiti all’interno delle possibili opzioni che la norma attributiva del potere discrezionale gli consentiva. Diversamente, il cattivo uso del potere che esorbiti dai limiti interni della discrezionalità, ponendosi in contrasto con l’interesse per il quale il potere è attribuito (eccesso di potere estrinseco), deve continuare a rientrare nel fuoco della fattispecie[13], focalizzando il sindacato penale sulla verifica della eventuale sostituzione del merito amministrativo con un merito illecito[14].

 

Eliminando dall’area del penalmente rilevante ogni condotta caratterizzata da margini di discrezionalità, la riforma in analisi impone un radicale mutamento della stessa morfologia dell’abuso. Oltre agli importanti esiti dal punto di vista intertemporale[15], la novella neutralizza l’attivazione del delitto di abuso d’ufficio ove il potere del pubblico agente, esercitato per un fine diverso da quello per cui è attribuito (Cass. pen., Sez. VI, 13 aprile 2018, n. 19519, Filzola), rinvenga la sua fonte in una legge o in un atto avente forza di legge che ne preveda margini di discrezionalità[16].

L’effetto (collaterale) è evidentemente generato dalla mancata sinergia tra regole violate e contesto (esercizio delle funzioni o del servizio), che caratterizza una pubblica amministrazione sempre più dinamica e protesa alla ricomposizione e al bilanciamento di molteplici interessi (pubblici e privati). Trascurare l’attuale assetto funzionale della Pubblica Amministrazione rischia di escludere dal perimetro dell’art. 323 c.p. proprio l’area dell’attività amministrativa più esposta ai casi di abuso d’ufficio degni di penale rilevanza. Di contro, la miopia dell’operazione di ‘alleggerimento’ lascerebbe ancora esposta a rischio l’attività del pubblico agente attuata in violazione di regole di condotta puramente formali o procedimentali, eppure dotate di un sostrato vincolante positivizzato in una legge o in un atto avente forza di legge, con conseguenze paradossali.

 

  1. Il rischio di marginalizzazione dell’infedeltà.

 

La dottrina ha ricordato da subito il carattere ‘pervasivo’ e ‘multiforme’ della discrezionalità nella pubblica amministrazione, precisando che – a differenza di quella politica – la discrezionalità amministrativa e la discrezionalità tecnica sono “in vario modo ancorate a criteri e parametri di esercizio, spesso individuati da regole specifiche ed espresse, contenute in leggi o regolamenti[17]. Tale premessa dovrebbe indurre a salvaguardare la solida dogmatica di categorie sottesa alla struttura (del reato) d’evento, che consente alla incriminazione di non ridursi a mera inosservanza di precetti.

Recuperare il disvalore d’evento conservando la penale rilevanza dello sviamento di potere consente di attribuire significato alle regole di condotta ‘finalizzate’, norme preventive che non esauriscono la loro portata precettiva nella disciplina del regolare e ordinato svolgimento della attività o funzione, ma orientano la condotta del soggetto giuridicamente qualificato allo scopo di impedire (o quantomeno ridurre) lesioni a carico degli interessi tutelati. Può così essere valorizzata l’infedeltà sottesa alla posizione di garanzia che (dis)orienta l’operato degli agenti pubblici in modo strumentale alla salvaguardia di beni diversi da quelli oggetto di tutela[18]. Detta infedeltà rischia di essere marginalizzata dalla riforma dell’abuso d’ufficio, che – senza un’adeguata selezione – pone fuori dalla fattispecie anche le ipotesi di deviazione dell’atto dalla causa tipica ovvero lo sfruttamento del pubblico ufficio per fini privati. Casi che, nonostante la base discrezionale, rivelano un eccesso di potere non certo endo-amministrativo, ma in grado di contraddire le leggi che governano il potere-facoltà conferito al pubblico agente e, dunque, in contrasto con le finalità istituzionali. Riguardo a questi ultimi lo scrutinio penale non dovrebbe certo dirsi pretermesso.

 

  1. Eterogenesi dei fini o abolitio criminis mascherata?

 

Tornare all’analisi empirica dalla quale si è partiti può essere utile anche a comprendere le nobili finalità che hanno ispirato il legislatore. Infatti, se si leggono i dati (del quinquennio 2014-2018) relativi all’andamento dei procedimenti penali contenenti il reato di cui all’art. 323 c.p. e ci si sofferma sulle relative modalità di definizione potrà apprezzarsi l’ampio gap che separa il numero delle indagini avviate per abuso d’ufficio (diverse migliaia) da quello delle condanne (circa un centinaio)[19].

Il dato – che correttamente letto induce a localizzare la criticità sistemica presso gli Uffici delle Procure – è confermativo di un tessuto normativo non ispirato a logiche da diritto penale accessorio[20]. Eppure, la voluntas legis sembra appunto animata dal desiderio di contenere il numero di procedimenti e liberare la pubblica amministrazione dalle pastoie di una ‘burocrazia difensiva’, nella quale l’atteggiamento prudenziale del pubblico agente rischia di frenare – se non addirittura inceppare – l’iter amministrativo, puntando all’auto-protezione dai rischi (penali) del caos normativo anche attraverso la ben nota ‘fuga dal potere di firma’[21].

 

In tale ottica, la paralisi cui potrebbe essere destinata la fattispecie novellata sarebbe frutto di una eterogenesi dei fini: il legislatore punta a ridimensionare il controllo della magistratura sulla pubblica amministrazione, pretendendo che la violazione non riguardi più la ‘norma’, ma “regole di condotta” che le Procure dovrebbero contestare ‘specificamente’. Tuttavia, tali regole di condotta vengono molto spesso ospitate proprio a bordo dei regolamenti espunti dallo stesso provvedimento riformatore, che ne limita la fonte alla legge o agli atti aventi forza di legge.

Se così non fosse, il decreto-semplificazione in esame sembrerebbe proprio orientato a ‘banalizzare’ il complesso, intervenendo con un provvedimento che cancella l’abuso d’ufficio (ipotesi per certi versi plausibile)[22], senza esprimersi con una plateale (e poco giustizialista) abolitio criminis. Ponendo mente al fatto che la modifica dell’art. 323 c.p. si accompagna alla riforma della responsabilità dei soggetti sottoposti alla giurisdizione della Corte dei conti in materia di contabilità pubblica (l’art. 21, decreto legge n. 76/2020 incide sull’art. 1, legge n. 20/1994), dietro quella mancanza di coraggio qualche riflesso populistico si è indotti a scorgerlo[23]. In ogni caso, così strutturata, tale revisione rischia di incarnare l’inutile trasformismo significativamente rappresentato da Tancredi Falconeri a suo zio, il principe di Salina: “Se vogliamo che tutto rimanga com’è, bisogna che tutto cambi[24].

*  Professore incaricato di Diritto Penale, Università degli Studi Link Campus University di Roma.

 

[2] Per una ricostruzione dell’evoluzione normativa dell’abuso d’ufficio: C. Benussi, I delitti contro la P.A., I, Padova, 2001, 549 s.; M. Catenacci, Abuso d’ufficio, in Trattato teorico-pratico di diritto penale, in F. Palazzo e C. E. Paliero (a cura di), vol. V, Giappichelli, Torino, 2011, 119 ss.; G. Contento, Giudice penale e P.A. dopo la riforma, in Scritti 1964-2000, Bari, 2002, 427 s.; C. F. Grosso, L’“abuso innominato di autorità” nel pensiero di Francesco Carrara, in La riforma dell’abuso d’ufficio, Atti della prima Giornata di Studio, Lucca, 29.11.1997, Milano, 2000, 121 s.; G. Licci, Figure del diritto penale. Una introduzione al sistema punitivo italiano, Torino, 2010, 24 ss.; V. Manes, Abuso d’ufficio, violazione di legge ed eccesso di potere, in Foro It., 2/1998, 390 ss.; A. Manna, Considerazioni in tema di abuso di ufficio, in M. Catenacci, G. Marconi, Temi di diritto penale dell’economia e dell’ambiente, Torino, 2009, 88 ss.; A. M. Stile, C. Cupelli, Abuso d’ufficio, in S. Cassese (a cura di), Dizionario di diritto pubblico, I, Milano, 2006, 36 ss.

[3] Al riguardo, il rinvio è a F. Palazzo, Legalità fra law in the books e law in action, in Riv. dir. pen. cont., 3/2016; il chiaro Autore afferma che “l’asse portante del principio di legalità si è spostato dall’esigenza politica del contenimento del potere del giudice e dell’esaltazione del ruolo monopolistico della fonte legislativa, all’esigenza universale di conoscibilità del precetto e di prevedibilità delle conseguenze della violazione in funzione del diritto fondamentale alla autodeterminazione della persona.

[4] In argomento, sia consentito il rinvio a M. Naddeo, I limiti della tutela penale nell’«abuso d’ufficio», in L’Ind. pen., n. 1/2018, 232 ss.

[5] G. Fiandaca-E. Musco, Diritto penale. Parte speciale, vol. I, Zanichelli, Bologna, 2002, 244; R. Rampioni, I delitti dei pubblici ufficiali contro la P.A., in Questioni Fondamentali della parte speciale del diritto penale, in A. Fiorella (a cura di), Giappichelli, Torino, 2019, 800; A. Merlo, L’abuso di ufficio tra legge e giudice, Giappichelli, Torino, 2019, 273 ss.; S. Massi, Parametri formali e “violazione di legge” nell’abuso d’ufficio, in Arch. pen., fasc. 1/2019.

[6] Un’approfondita indagine sulle prospettive di riforma dell’abuso d’ufficio è offerta in A. R. Castaldo (a cura di), Migliorare le performance della Pubblica Amministrazione. Riscrivere l’abuso d’ufficio, Giappichelli, Torino, 2018, passim; con particolare riferimento alla proposta de lege ferenda, M. Donini, Osservazioni sulla proposta “Castaldo-Naddeo” di riforma dell’art. 323 c.p. La ricerca di un’ultima ratio ancora più tassativa contro il trend generale dell’espansione penalistica, ivi, 94 ss., nonché M. Naddeo, Abuso d’ufficio: tipicità umbratile o legalità crepuscolare del diritto vivente? Dogmatica di categorie e struttura del tipo nella prospettiva de lege ferenda, ivi, 31 ss. Da ultimo, anche in prospettiva comparatistica, F. Coppola, Abuso d’ufficio: appunti per una possibile riforma dai lavori della Law Commission sulla common law offence of Misconduct in Public Office, in Arch. pen., n. 2/2020, passim, nonché G. Salcuni, La “disciplina altrove”. L’abuso d’ufficio fra regolamenti e normazione flessibile, ESI, Napoli, spec. 205 ss.

[7] Sulla estensione incontrollata della fattispecie e, in particolare, sulla natura delle linee-guida quale regolamento in grado di integrare l’elemento normativo dell’art. 323 c.p., F. Rotondo, Linee guida ANAC ed abuso d’ufficio: principio di legalità e modifiche mediate della fattispecie incriminatrice, in PenaleDP, 13.5.2020, passim.

[8] Si riferisce alla riforma in esame come una “spallata all’inutile totem dell’abuso d’ufficio” il Prof. B. Romano che su Il Dubbio, 1 agosto 2020, p. 6, ritiene “si potrebbe immaginare una abrogazione secca dell’articolo 323 c. p., non mancando – nel ricco panorama dei delitti dei pubblici ufficiali contro la pubblica amministrazione – altre norme incriminatrici, più specifiche e severe, che potrebbero punire singole condotte meritevoli di repressione penale”.

[9] In questi termini, G. L. Gatta, Da ‘spazza-corrotti’ a ‘basta paura’: il decreto-semplificazioni e la riforma con parziale abolizione dell’abuso d’ufficio, approvata dal Governo ‘salvo intese’ (e la riserva di legge?), in Sistema Penale, 17 luglio 2020.

[10] M. Gambardella, Simul stabunt vel simul cadent. Discrezionalità amministrativa e sindacato del giudice penale: un binomio indissolubile per la sopravvivenza dell’abuso d’ufficio, in Sistema Penale, n. 7/2020, pp. 145 ss.; V. Lopilato, Manuale di diritto amministrativo, Torino, 2020, 696 ss.

[11]In tal senso, A. R. Castaldo, L’abuso penalmente rilevante nel mercato economico finanziario e nella pubblica amministrazione, in Riv. trim. dir. pen. ec., 1-2/2018, 89 ss. Per un’analisi speculare del concetto di “abuso”, seppure in un diverso settore della parte speciale del diritto penale, sia consentito il rinvio a M. Naddeo, Abuso dei mezzi di correzione o di disciplina e rischio socialmente adeguato, in L’Indice Penale, n. 2-2013, 421.

[12] Testualmente, M. Gambardella, Abuso d’ufficio, in Lattanzi-Lupo (a cura di), Codice penale. Rassegna di giurisprudenza e di dottrina, vol. IV, I Delitti contro la personalità dello Stato e i delitti contro la pubblica amministrazione, agg. 2015, Giuffrè, Milano, 599 s.

[13] Muovono in questa direzione le osservazioni di N. Pisani, Abuso d’ufficio, in Canestrari, Cornacchia, De Simone (a cura di), Manuale di diritto penale. Parte speciale. Dei delitti contro la pubblica amministrazione, Il Mulino, Bologna, 2015, 264 ss., secondo l’Autore «l’esistenza di uno scopo del tutto estraneo al modello legale e al di fuori dei presupposti di fatto di esercizio del potere discrezionale appare riconducibile al paradigma della “violazione di norme di legge”». Negli stessi termini, L. Stortoni, Delitti contro la pubblica amministrazione, in Canestrari, Gamberini, Insolera, Mazzacuva, Sgubbi, Sortoni, Tagliarini (a cura di), Diritto penale. Lineamenti di parte speciale, V ed., Bologna, 2009, 100.

[14] Plasticamente, T. Padovani, L’abuso d’ufficio e il sindacato del giudice penale, in Riv. trim. dir. pen. e proc. pen., 1989, 88 ss.

[15] Su tali aspetti, si rinvia a G. L. Gatta, Da ‘spazza-corrotti’ a ‘basta paura’, cit., il quale afferma che “Se la nuova fattispecie venisse tradotta in norma di legge, la limitazione dell’area del penalmente rilevante comporterebbe, in relazione ai fatti commessi prima dell’entrata in vigore del d.l. n. 76/2020, una parziale abolitio criminis, limitatamente ai fatti di abuso d’ufficio commessi: a) in violazione di norme di regolamento; b) in violazione di norme di legge dalle quali non siano ricavabili regole di condotta specifiche ed espresse; c) in violazione di regole di condotta che lasciano residuare margini di discrezionalità. L’abolizione del reato, ai sensi dell’art. 2, co. 2 c.p. e dell’art. 673 c.p.p., comporterebbe l’archiviazione dei procedimenti in fase di indagine, il proscioglimento nei processi in corso e la revoca delle sentenze passate in giudicato (porrebbe peraltro al giudice dell’esecuzione complesse questioni circa la ricorrenza delle ipotesi di cui sopra, in particolare di quelle sub b) e c). Tra i profili problematici l’Autore segnala che “la tesi dell’abolitio criminis potrebbe forse essere messa in dubbio qualora si riuscisse a dimostrare che il fatto abbia conservato rilevanza penale, senza soluzione di continuità, in quanto riconducibile alla modalità alternativa della condotta già presente al tempo del fatto e integrata dall’omessa astensione”.

[16] I primi commentatori hanno evidenziato che “a seguito della riscrittura della sottofattispecie della violazione di norme di legge, pare essersi venuto a creare un profondo solco tra le due condotte tipiche: la situazione di conflitto di interessi è rilevante come abuso d’ufficio anche quando faccia difetto una specifica disciplina dell’astensione, nel senso che quest’ultima non trovi la sua fonte in una norma di legge; mentre la prima condotta tipica pare esigere una specifica regola di condotta espressamente di fonte legale”, tale aspetto potrebbe indurre a sovraccaricare la seconda condotta tipica anche con le ipotesi di eccesso di potere e le violazioni di norme di fonte regolamentare, così M. Gambardella, Simul stabunt vel simul cadent. Discrezionalità amministrativa e sindacato del giudice penale: un binomio indissolubile per la sopravvivenza dell’abuso d’ufficio, in Sistema Penale, n. 7/2020, 151 s.

[17] Testualmente, G. L. Gatta, Da ‘spazza-corrotti’ a ‘basta paura’, cit.

[18]Sul punto, limpidamente A. Sessa, Infedeltà e oggetto della tutela nei reati contro la pubblica amministrazione, Edizioni Scientifiche Italiane, Napoli, 2006, 139.

[19] Il dato su base nazionale, riportato da ultimo in V. Maglione, Il nuovo abuso d’ufficio non taglia i fascicoli a carico dei funzionari ma rischia di complicare le indagini, in Giustizia penale e riforme, Il Sole 24 Ore, 28 luglio 2020, è perfettamente allineato a quello messo in luce a livello locale dalla ricerca su “Pubblica Amministrazione: semplificare i processi decisionali, migliorare le performance” coordinata dal Prof. Andrea R. Castaldo, presso l’Università degli Studi di Salerno, che ha scrutinato il dato statistico sui procedimenti per abuso d’ufficio nel distretto della Corte di Appello di Salerno nel quinquennio 2014-2018; in argomento, F. Coppola, op. cit., 16 ss., nonché G. Ciaglia, L’abuso di ufficio tra amministrazione difensiva e ineffettività: l’esperienza del Distretto di Corte di Appello di Salerno, dattiloscritto dell’intervento tenuto nell’ambito della presentazione dei risultati della ricerca del Progetto CUR, Palazzo Zapata, Napoli, 14.2.2020.

[20] Al riguardo, volendo, M. Naddeo, V. Ferrara, L’abuso d’ufficio tra diritto e ragione, in Rassegna dell’Arma dei Carabinieri, 4/2019, 45 ss.

[21] Ha efficacemente segnalato tali aspetti, A. R. Castaldo, Il reato di abuso d’ufficio: caos normativo, inefficienza della P.A., in Quotidiano giuridico, 26 marzo 2019, 1; Id, Contro la corruzione una burocrazia rapida e trasparente, in In ordine sparso. Il diritto penale, oggi, Giappichelli, Torino, 2016, 31; e con riferimento espresso alle indispensabili prospettive di riforma dell’abuso d’ufficio, Id, Abuso d’ufficio, la riforma che serve per rilanciare la PA, in I Commenti del Mattino, 14 ottobre 2017, 51. Sul punto, le interessanti considerazioni di C. Cupelli, L’abuso d’ufficio, in Delitti dei pubblici ufficiali contro la pubblica amministrazione, in B. Romano e A. Marandola (a cura di), Utet, Torino, 2020, 291 ss.

[22] Auspicano, tra gli altri, l’abrogazione dell’art. 323 c.p. L. Stortoni, Intervento, in A. R. Castaldo (a cura di), op. cit., 117 ss.; S. Perongini, Le ragioni che consigliano l’abrogazione del reato di abuso d’ufficio, ibidem, 12 ss.

[23] Sulle presunte ragioni della riforma penale, M. Gambardella, Simul stabunt vel simul cadent. Discrezionalità amministrativa e sindacato del giudice penale: un binomio indissolubile per la sopravvivenza dell’abuso d’ufficio, cit., 133 ss.

[24] Giuseppe Tomasi di Lampedusa, Il Gattopardo, Feltrinelli, Milano, 1997, p. 41.

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