1. È di queste ore la notizia che la Corte d’appello di Milano ha ordinato la scarcerazione dell’ingegnere iraniano Abedini, detenuto nell’ambito di un procedimento di estradizione attivato su iniziativa degli Stati Uniti d’America.
La liberazione è avvenuta a seguito di una richiesta del Ministro della Giustizia che, non ravvisando le condizioni per la consegna e anticipando la decisione della Corte d’appello (l’udienza dinanzi ai giudici milanesi per valutare la richiesta di concessione degli arresti domiciliari era prevista per il prossimo 15 gennaio), ha fatto uso delle prerogative contemplate dall’art. 718 c.p.p. Tale disposizione, che regola il procedimento di modifica e revoca delle misure cautelari applicate nella procedura di estradizione, prevede, con tono categorico, che le coercizioni sono sempre revocate se, appunto, il Ministro della giustizia ne fa richiesta.
La norma mette quindi in luce una peculiarità assoluta dei rapporti di cooperazione: invero, è soltanto in tale contesto che il potere esecutivo può interloquire sulle decisioni afferenti lo status libertatis di una persona (in generale, sul tema della libertà personale nel procedimento di estradizione e, quindi, per una disamina dei poteri del Ministro della giustizia, Marchetti, L’estradizione: profili processuali e principio di specialità, Padova, 1990, p. 71 ss, e Di Chiara, voce Rapporti giurisdizionali con autorità straniere, in Enc. dir., Aggiornamento, Milano, 1996, 880).
2. La notizia offre allora lo spunto per soffermarsi brevemente su questo assetto e sui due punti cruciali della materia anche per saggiarne la compatibilità con i principi costituzionali. La soluzione del quesito richiede, per un verso, di individuare il fondamento del potere ministeriale e, per altro verso, di definire l’ampiezza di tale potere ovvero la natura – vincolante o non – delle richieste cautelari promosse dal Ministro.
3. Quanto al primo aspetto, nella procedura passiva di estradizione, l’art. 718 c.p.p. è parte di un più ampio complesso di norme che, come detto, accordano al Ministro della giustizia poteri cautelari, dosati in vario modo secondo il momento nel quale possono essere attivati. Si può dire, in via di prima approssimazione, che il Guardasigilli svolge la funzione propulsiva della azione cautelare che nelle procedure ordinarie è assegnata al pubblico ministero: la sua richiesta, infatti, è un presupposto in assenza del quale è preclusa l’adozione di una misura cautelare, non potendo l’autorità giudiziaria provvedere d’ufficio (Cass. pen., Sez. VI, 28 marzo 1995, n. 1223, in Cass. pen., 1996, p. 3026).
E così, nella fase di avvio della procedura, l’art. 714, comma 1, c.p.p., norma cardine del sistema cautelare dell’estradizione, prevede che l’estradando «può essere sottoposto, a richiesta del Ministro della giustizia, a misure coercitive» e identico tenore contraddistingue l’art. 715, sulla provvisoria applicazione di restrizioni della libertà in attesa che pervenga la richiesta di estradizione e l’art. 716, sul consolidamento della cautela a seguito della convalida dell’arresto provvisorio.
Nella fase conclusiva, invece, l’art. 704, comma 3, impone, ove il Ministro la richieda, la coercizione di massimo rigore qualora il vaglio giurisdizionale si sia concluso con una sentenza favorevole all’estradizione.
L’attribuzione di questi poteri al Ministro della giustizia è conseguenza – probabilmente inevitabile – della connotazione dell’istituto: l’estradizione nasce con connotati squisitamente politici e soltanto con il tempo assume un carattere anche giurisdizionale, fino a raggiungere l’attuale conformazione nella quale autorità giudiziaria ed esecutivo condividono la gestione della procedura. In altre parole, l’attribuzione di poteri di iniziativa de libertate è coerente sviluppo nella dimensione cautelare del potere, contemplato dall’art. 697 c.p.p., di decidere sulla richiesta inoltrata dallo Stato estero.
L’interlocuzione sulla misura, insomma, consente di dare spazio anche alle implicazioni politiche e diplomatiche del caso, aspetto che nelle relazioni di cooperazione giudiziaria al di fuori dell’Unione europea ha ancora un particolare peso (come si desume, del resto, proprio dalla vicenda dell’ingegner iraniano).
4. Se, in linea generale, nonostante la forte tensione con i principi costituzionali, può essere tollerata la presenza di tali previsioni nell’ordinamento processuale, il punto di caduta si colloca allora nelle conseguenze dell’esercizio di tale potere.
Conviene ricordare, in via di premessa, che l’art. 13, comma 2, Cost. consente limitazioni della libertà personale soltanto in forza di un provvedimento motivato della autorità giudiziaria e che secondo l’art. 101, comma 2, Cost. i giudici sono soggetti soltanto alla legge.
Ciò posto, la disciplina codicistica suscita perplessità e, sebbene soltanto in parte, non sembra coerente con i principi appena evocati. Invero, una più approfondita analisi delle previsioni in parola consente di notare che alla richiesta ministeriale è attribuita una differente capacità vincolante: nelle battute iniziali del procedimento (artt. 714, 715 e 716 c.p.p.) e finché non sia emessa la decisione finale, il codice riconosce un potere discrezionale all’autorità giudiziaria – libera di decidere tanto sull’an che sul quomodo della restrizione – che però scompare con la conclusione della procedura e l’accoglimento della richiesta di estradizione (art. 704, comma 3, c.p.p.).
Dinanzi a questo quadro normativo, si ritiene che il vaglio giudiziario sulla richiesta ministeriale e l’attribuzione alla Corte d’appello del potere di decidere sull’applicazione della misura e di scegliere la coercizione più adatta al caso di specie assicuri un presidio essenziale per mantenere le previsioni nei binari segnati dalla Costituzione.
Pertanto, se l’ultima parola spetta all’autorità giudiziaria, non appaiono incostituzionali le previsioni degli artt. 714, 715 e 716 c.p.p., ancorchè si pongano all’estrema latitudine di ciò che la Carta consente, mentre diverso discorso vale per l’art. 704, comma 3, c.p.p. e per tutte le altre ipotesi nelle quali la richiesta del Ministro è insindacabile. Infatti, è pur vero che anche qui la decisione è assunta dalla autorità giudiziaria, ma è anche vero che, poichè si tratta sostanzialmente di una supina ricezione della volontà del Guardasigilli, sembrano violati sia l’art. 13, comma 2, che l’art. 101 Cost. Invero, la decisione è formalmente giudiziaria, ma si rivela sostanzialmente politica (su questi profili e per più ampi richiami di dottrina e giurisprudenza, sia consentito il rinvio a Colaiacovo, Estradizione e poteri cautelari del Ministro della giustizia: dubbi sulla legittimità costituzionale dell’art. 704, comma 3, c.p.p., in Rivista giustizia, 2022, n. 1, p. 167, reperibile in www.rivistagiustizia.it)
Il caso Abedini e i poteri cautelari del Ministro della giustizia nel procedimento di estradizione passiva
1. È di queste ore la notizia che la Corte d’appello di Milano ha ordinato la scarcerazione dell’ingegnere iraniano Abedini, detenuto nell’ambito di un procedimento di estradizione attivato su iniziativa degli Stati Uniti d’America.
La liberazione è avvenuta a seguito di una richiesta del Ministro della Giustizia che, non ravvisando le condizioni per la consegna e anticipando la decisione della Corte d’appello (l’udienza dinanzi ai giudici milanesi per valutare la richiesta di concessione degli arresti domiciliari era prevista per il prossimo 15 gennaio), ha fatto uso delle prerogative contemplate dall’art. 718 c.p.p. Tale disposizione, che regola il procedimento di modifica e revoca delle misure cautelari applicate nella procedura di estradizione, prevede, con tono categorico, che le coercizioni sono sempre revocate se, appunto, il Ministro della giustizia ne fa richiesta.
La norma mette quindi in luce una peculiarità assoluta dei rapporti di cooperazione: invero, è soltanto in tale contesto che il potere esecutivo può interloquire sulle decisioni afferenti lo status libertatis di una persona (in generale, sul tema della libertà personale nel procedimento di estradizione e, quindi, per una disamina dei poteri del Ministro della giustizia, Marchetti, L’estradizione: profili processuali e principio di specialità, Padova, 1990, p. 71 ss, e Di Chiara, voce Rapporti giurisdizionali con autorità straniere, in Enc. dir., Aggiornamento, Milano, 1996, 880).
2. La notizia offre allora lo spunto per soffermarsi brevemente su questo assetto e sui due punti cruciali della materia anche per saggiarne la compatibilità con i principi costituzionali. La soluzione del quesito richiede, per un verso, di individuare il fondamento del potere ministeriale e, per altro verso, di definire l’ampiezza di tale potere ovvero la natura – vincolante o non – delle richieste cautelari promosse dal Ministro.
3. Quanto al primo aspetto, nella procedura passiva di estradizione, l’art. 718 c.p.p. è parte di un più ampio complesso di norme che, come detto, accordano al Ministro della giustizia poteri cautelari, dosati in vario modo secondo il momento nel quale possono essere attivati. Si può dire, in via di prima approssimazione, che il Guardasigilli svolge la funzione propulsiva della azione cautelare che nelle procedure ordinarie è assegnata al pubblico ministero: la sua richiesta, infatti, è un presupposto in assenza del quale è preclusa l’adozione di una misura cautelare, non potendo l’autorità giudiziaria provvedere d’ufficio (Cass. pen., Sez. VI, 28 marzo 1995, n. 1223, in Cass. pen., 1996, p. 3026).
E così, nella fase di avvio della procedura, l’art. 714, comma 1, c.p.p., norma cardine del sistema cautelare dell’estradizione, prevede che l’estradando «può essere sottoposto, a richiesta del Ministro della giustizia, a misure coercitive» e identico tenore contraddistingue l’art. 715, sulla provvisoria applicazione di restrizioni della libertà in attesa che pervenga la richiesta di estradizione e l’art. 716, sul consolidamento della cautela a seguito della convalida dell’arresto provvisorio.
Nella fase conclusiva, invece, l’art. 704, comma 3, impone, ove il Ministro la richieda, la coercizione di massimo rigore qualora il vaglio giurisdizionale si sia concluso con una sentenza favorevole all’estradizione.
L’attribuzione di questi poteri al Ministro della giustizia è conseguenza – probabilmente inevitabile – della connotazione dell’istituto: l’estradizione nasce con connotati squisitamente politici e soltanto con il tempo assume un carattere anche giurisdizionale, fino a raggiungere l’attuale conformazione nella quale autorità giudiziaria ed esecutivo condividono la gestione della procedura. In altre parole, l’attribuzione di poteri di iniziativa de libertate è coerente sviluppo nella dimensione cautelare del potere, contemplato dall’art. 697 c.p.p., di decidere sulla richiesta inoltrata dallo Stato estero.
L’interlocuzione sulla misura, insomma, consente di dare spazio anche alle implicazioni politiche e diplomatiche del caso, aspetto che nelle relazioni di cooperazione giudiziaria al di fuori dell’Unione europea ha ancora un particolare peso (come si desume, del resto, proprio dalla vicenda dell’ingegner iraniano).
4. Se, in linea generale, nonostante la forte tensione con i principi costituzionali, può essere tollerata la presenza di tali previsioni nell’ordinamento processuale, il punto di caduta si colloca allora nelle conseguenze dell’esercizio di tale potere.
Conviene ricordare, in via di premessa, che l’art. 13, comma 2, Cost. consente limitazioni della libertà personale soltanto in forza di un provvedimento motivato della autorità giudiziaria e che secondo l’art. 101, comma 2, Cost. i giudici sono soggetti soltanto alla legge.
Ciò posto, la disciplina codicistica suscita perplessità e, sebbene soltanto in parte, non sembra coerente con i principi appena evocati. Invero, una più approfondita analisi delle previsioni in parola consente di notare che alla richiesta ministeriale è attribuita una differente capacità vincolante: nelle battute iniziali del procedimento (artt. 714, 715 e 716 c.p.p.) e finché non sia emessa la decisione finale, il codice riconosce un potere discrezionale all’autorità giudiziaria – libera di decidere tanto sull’an che sul quomodo della restrizione – che però scompare con la conclusione della procedura e l’accoglimento della richiesta di estradizione (art. 704, comma 3, c.p.p.).
Dinanzi a questo quadro normativo, si ritiene che il vaglio giudiziario sulla richiesta ministeriale e l’attribuzione alla Corte d’appello del potere di decidere sull’applicazione della misura e di scegliere la coercizione più adatta al caso di specie assicuri un presidio essenziale per mantenere le previsioni nei binari segnati dalla Costituzione.
Pertanto, se l’ultima parola spetta all’autorità giudiziaria, non appaiono incostituzionali le previsioni degli artt. 714, 715 e 716 c.p.p., ancorchè si pongano all’estrema latitudine di ciò che la Carta consente, mentre diverso discorso vale per l’art. 704, comma 3, c.p.p. e per tutte le altre ipotesi nelle quali la richiesta del Ministro è insindacabile. Infatti, è pur vero che anche qui la decisione è assunta dalla autorità giudiziaria, ma è anche vero che, poichè si tratta sostanzialmente di una supina ricezione della volontà del Guardasigilli, sembrano violati sia l’art. 13, comma 2, che l’art. 101 Cost. Invero, la decisione è formalmente giudiziaria, ma si rivela sostanzialmente politica (su questi profili e per più ampi richiami di dottrina e giurisprudenza, sia consentito il rinvio a Colaiacovo, Estradizione e poteri cautelari del Ministro della giustizia: dubbi sulla legittimità costituzionale dell’art. 704, comma 3, c.p.p., in Rivista giustizia, 2022, n. 1, p. 167, reperibile in www.rivistagiustizia.it)
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