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Sommario: 1. Premessa.- 2. Il nuovo e più ampio ambito riconosciuto alla “corrispondenza”.- 3. La conferma della definizione di intercettazione.- 4. L’autorizzazione parlamentare ad acta.- 5. Il criterio discretivo tra corrispondenza e documento: l’attuale interesse dei corrispondenti alla riservatezza.- 6. Il cellulare “contenitore di dati informatici” appartenenti a terzi.- 7. Il “modulo procedurale” per il sequestro della corrispondenza del parlamentare.- 8. Anche il conto corrente bancario spedito dalla banca al correntista è corrispondenza.- 9. Le conclusioni della sentenza n. 170/2023.
1. Premessa.-
Dopo l’annullamento senza rinvio da parte della Corte di cassazione del decreto di perquisizione e sequestro, oltre a documentazione cartacea, dei telefoni cellulari, pc portatili, dispositivi informatici, e chiavette USB, di un amico del sen. Renzi, disponendo la restituzione all’avente diritto non soltanto dell’apparecchio sequestrato, ma anche dei dati da esso estrapolati, senza trattenimento di alcuna copia da parte dell’organo inquirente (Cass., Sez. VI, 22.9.2020, n.34265), ora la Corte costituzionale con la sentenza n. 170/2023 accoglie, sia pure in parte, il conflitto di attribuzioni sollevato dal Senato della Repubblica, per l’effetto annullando il sequestro delle conversazioni disposto sullo smartphone di un imprenditore, che aveva colloquiato con lo stesso senatore Renzi.
2. Il nuovo e più ampio ambito riconosciuto alla “corrispondenza”.-
La sentenza della Consulta ha il merito, anzitutto, di aver delimitato nettamente i confini tra le nozioni di “corrispondenza” e “documento”, due concetti dei quali finora si erano registrate diverse interpretazioni, spesso ampliando l’ambito del secondo e riducendo quello della prima, a discapito dell’ “inviolabile” segretezza della corrispondenza, in spregio all’art. 15, comma 1, Cost.
La Consulta, nella sentenza n. 170/2023, inquadra il concetto di “corrispondenza”, ritenendolo “ampiamente comprensivo, atto ad abbracciare ogni comunicazione di pensiero umano (idee, propositi, sentimenti, dati, notizie) tra due o più persone determinate, attuata in modo diverso dalla conversazione in presenza”, secondo l’insegnamento della stessa Consulta, che aveva in passato già affermato che «la tutela accordata dall’art. 15 Cost. – che assicura a tutti i consociati la libertà e la segretezza «della corrispondenza e di ogni altra forma di comunicazione», consentendone la limitazione «soltanto per atto motivato dell’autorità giudiziaria con le garanzie stabilite dalla legge» – prescinde dalle caratteristiche del mezzo tecnico utilizzato ai fini della trasmissione del pensiero, «aprendo così il testo costituzionale alla possibile emersione di nuovi mezzi e forme della comunicazione riservata» (Corte cost. n. 2/2023). La garanzia si estende, quindi, ad ogni strumento che l’evoluzione tecnologica mette a disposizione a fini comunicativi, compresi quelli elettronici e informatici, ignoti al momento del varo della Carta costituzionale (Corte cost. n. 20/2017 e, già in precedenza, con riguardo agli apparecchi ricetrasmittenti di debole potenza, Corte cost. n. 1030/1988 e, sulla libertà del titolare del diritto di scegliere liberamente il mezzo con cui corrispondere, Corte cost. n. 81/1993).
La sentenza annotata riconosce che posta elettronica e messaggi inviati tramite l’applicazione WhatsApp (appartenente ai sistemi di cosiddetta messaggistica istantanea) “rientrano, dunque, a pieno titolo nella sfera di protezione dell’art. 15 Cost., apparendo del tutto assimilabili a lettere o biglietti chiusi. La riservatezza della comunicazione, che nella tradizionale corrispondenza epistolare è garantita dall’inserimento del plico cartaceo o del biglietto in una busta chiusa, è qui assicurata dal fatto che la posta elettronica viene inviata a una specifica casella di posta, accessibile solo al destinatario tramite procedure che prevedono l’utilizzo di codici personali; mentre il messaggio WhatsApp, spedito tramite tecniche che assicurano la riservatezza, è accessibile solo al soggetto che abbia la disponibilità del dispositivo elettronico di destinazione, normalmente protetto anch’esso da codici di accesso o altri meccanismi di identificazione”.
La pronuncia in esame precisa che tra i due concetti di «corrispondenza» e «comunicazione» intercorre, per corrente affermazione, “un rapporto di species ad genus” e la nozione di «corrispondenza» – utilizzata anche nell’art. 68, terzo comma, Cost. senza ulteriore specificazione – appare, tuttavia, sufficientemente ampia da ricomprendere le forme di scambio di pensiero a distanza come la posta elettronica e i messaggi via WhatApp, che non costituiscono altro che “versioni contemporanee” della corrispondenza epistolare e telegrafica (Corte cost. n. 170/2023).
La medesima sentenza n. 170/2023 ricorda che anche la giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo non ha avuto incertezze nel ricondurre sotto il cono di protezione dell’art. 8 Conv. e.d.u. – ove pure si fa riferimento alla «corrispondenza» tout court – i messaggi di posta elettronica (Corte e.d.u., Grande Camera, sentenza 5.9.2017, Barbulescu contro Romania, §72; Corte e.d.u., Sez. IV, sentenza 3.4.2007, Copland contro Regno Unito, §41), gli S.M.S. ( Corte e.d.u., Sez. V, sentenza 17.12.2020, Saber contro Norvegia, § 48) e la messaggistica istantanea inviata e ricevuta tramite internet (Corte e.d.u., Grande Camera, sentenza Barbulescu, §74), aggiungendo come, d’altro canto, anche a livello di legislazione ordinaria interna, l’art. 616, comma quarto, cod. pen. già da tempo “include espressamente nella nozione di «corrispondenza» – agli effetti delle disposizioni che contemplano i delitti contro l’inviolabilità dei segreti – oltre a quella epistolare, telegrafica e telefonica, anche quella «informatica o telematica ovvero effettuata con ogni altra forma di comunicazione a distanza»”.
Ma la sentenza n. 170/2023 ha dovuto affrontare anche il problema se mantengano la natura di corrispondenza anche i messaggi di posta elettronica e WhatsApp già ricevuti e letti dal destinatario, ma conservati nella memoria dei dispositivi elettronici del destinatario stesso o del mittente, al fine di rispondere al quesito se, nel caso di specie, si trattasse di sequestro di corrispondenza ex art. 353 c.p.p. o di una mera e generica acquisizione di documenti, a norma dell’art. 253 c.p.p., posto che è pacifico che l’art. 254 c.p.p. regola esclusivamente il sequestro di corrispondenza operato presso i gestori di servizi postali, telegrafici, telematici o di telecomunicazioni e dunque, il sequestro di corrispondenza in itinere, che interrompe il flusso comunicativo.
Ai fini della risoluzione del quesito, la Corte prende le mosse dalle opzioni ermeneutiche già riconosciute. Secondo un primo, più garantista, indirizzo interpretativo, “la tutela – iniziata nel momento in cui l’espressione del pensiero è affidata ad un mezzo idoneo a trasmetterlo, rendendo così fattivo l’intento di comunicarlo ad altri – non si esaurirebbe con la ricezione del messaggio e la presa di cognizione del suo contenuto da parte del destinatario, ma permarrebbe finché la comunicazione conservi carattere di attualità e interesse per i corrispondenti. Essa verrebbe meno, quindi, solo quando il decorso del tempo o altra causa abbia trasformato il messaggio in un documento “storico”, cui può attribuirsi esclusivamente un valore retrospettivo, affettivo, collezionistico, artistico, scientifico o probatorio”. Secondo altro indirizzo interpretativo, più riduttivo, invece, “la corrispondenza già ricevuta e letta dal destinatario non sarebbe più un mezzo di comunicazione, ma un semplice documento”. La garanzia apprestata dall’art. 15 Cost. si giustificherebbe, infatti, con la particolare “vulnerabilità” dei messaggi nel momento in cui sono “corrisposti”, per “il maggior rischio di captazione o apprensione da parte di terzi: essa cesserebbe, quindi, con l’esaurimento dell’atto del corrispondere, coincidente con il momento in cui il destinatario prende cognizione della comunicazione. Dopo tale momento, la corrispondenza resterebbe tutelata, non più dall’art. 15 Cost., ma da altre disposizioni costituzionali, quali quelle in materia di libertà personale e domiciliare, libertà di manifestazione del pensiero, diritto di difesa o diritto di proprietà”.
Tra le due opposte tesi, la Consulta non ha esitazioni nello sposare la prima tesi, sostenuta dal Senato della Repubblica, osservando che “degradare la comunicazione a mero documento quando non più in itinere,è soluzione che, se confina in ambiti angusti la tutela costituzionale prefigurata dall’art. 15 Cost. nei casi, sempre più ridotti, di corrispondenza cartacea, finisce addirittura per azzerarla, di fatto, rispetto alle comunicazioni operate tramite posta elettronica e altri servizi di messaggistica istantanea, in cui all’invio segue immediatamente – o, comunque sia, senza uno iato temporale apprezzabile – la ricezione”.
3. La conferma della definizione di intercettazione.-
Corte cost. n. 170/2023 ribadisce la definizione di intercettazione, unanimemente accolta, come l’«apprensione occulta, in tempo reale, del contenuto di una conversazione o di una comunicazione in corso tra due o più persone da parte di altri soggetti, estranei al colloquio» (Cass., Sez. un., 28 maggio (dep. 24 settembre 2003), n. 36747, Torcasio), aggiungendo che, “affinché si abbia intercettazione debbono quindi ricorrere, per quanto qui più interessa, due condizioni”. La prima è di ordine temporale, nel senso che “la comunicazione deve essere in corso nel momento della sua captazione da parte dell’extraneus; questa deve cogliere, cioè, la comunicazione nel suo momento “dinamico”, con conseguente estraneità al concetto dell’acquisizione del supporto fisico che reca memoria di una comunicazione già avvenuta (dunque, nel suo momento “statico”)”. La seconda condizione attiene, invece, alle modalità di esecuzione perchè “l’apprensione del messaggio comunicativo da parte del terzo deve avvenire in modo occulto, ossia all’insaputa dei soggetti tra i quali la comunicazione intercorre”. La Consulta, perciò, distingue le intercettazioni – “le quali consistono in una attività prolungata nel tempo di captazione occulta di comunicazioni o conversazioni che debbono ancora svolgersi nel momento in cui l’atto investigativo è disposto” – dal sequestro di e-mail e messaggi WhatsApp che si attua con “l’acquisizione uno actu di messaggi comunicativi già avvenuti”.
4. L’autorizzazione parlamentare ad acta.-
Applicando il principio generale enunciato alla questione delle prerogative parlamentari previste dall’art. 68 Cost., la Corte osserva come “la citata norma costituzionale non prefigura un privilegio del singolo parlamentare in quanto tale – la libertà e segretezza delle cui comunicazioni è già protetta dall’art. 15 Cost. – ma una prerogativa «strumentale […] alla salvaguardia delle funzioni parlamentari», volendosi impedire che intercettazioni e sequestri di corrispondenza possano essere «indebitamente finalizzat[i] ad incidere sullo svolgimento del mandato elettivo, divenendo fonte di condizionamenti e pressioni sulla libera esplicazione dell’attività» (Corte cost. sentenza n. 390 del 2007; in senso analogo, sentenze n. 38/2019 e n. 74 /2013, ord. n. 129/2020). Ma se questa è la ratio della prerogativa, la sentenza deve ammettere che limitarla alle sole comunicazioni in corso di svolgimento e non già concluse, significherebbe darne una interpretazione così restrittiva da vanificarne la portata, giacché “condizionamenti e pressioni sulla libera esplicazione del mandato parlamentare possono bene derivare, infatti, anche dalla presa di conoscenza dei contenuti di messaggi già pervenuti al destinatario” perché “sarebbe agevole per gli organi inquirenti eludere l’obbligo costituzionale di autorizzazione preventiva per acquisire la corrispondenza del parlamentare: anziché captare le comunicazioni nel momento in cui si svolgono, basterebbe attenderne la conclusione (che nel caso dei messaggi elettronici è peraltro pressoché coeva), per poi sequestrare il dispositivo in cui vi è traccia del loro contenuto”.
La Corte costituzionale, d’altronde, ha già da tempo affermato che “la garanzia apprestata dall’art. 15 Cost. si estende anche ai dati esteriori delle comunicazioni (quelli, cioè, che consentono di accertare il fatto storicoche una comunicazione vi è stata e di identificarne autore, tempo e luogo): problema postosi particolarmente in rapporto ai tabulati telefonici, contenenti l’elenco delle chiamate in partenza o in arrivo da una determinata utenza (Corte cost n. 81/1993; in senso conforme, sentenze n. 372/2006 e n. 281/1998). In proposito, si è rilevato che «la stretta attinenza della libertà e della segretezza della comunicazione al nucleo essenziale dei valori della personalità – attinenza che induce a qualificare il corrispondente diritto “come parte necessaria di quello spazio vitale che circonda la persona e senza il quale questa non può esistere e svilupparsi in armonia con i postulati della dignità umana” (Corte cost n. 366/1991) – comporta un particolare vincolo interpretativo, diretto a conferire a quella libertà, per quanto possibile, un significato espansivo» (Corte cost. n. 81/1993).
La sentenza soggiunge che “se, dunque, l’acquisizione dei dati esteriori di comunicazioni già avvenute (quali quelli memorizzati in un tabulato) gode delle tutele accordate dagli artt. 15 e 68, terzo comma, Cost., è impensabile che non ne fruisca, invece, il sequestro di messaggi elettronici, anche se già recapitati al destinatario: operazione che consente di venire a conoscenza non soltanto dei dati identificativi estrinseci delle comunicazioni, ma anche del loro contenuto, e dunque di attitudine intrusiva tendenzialmente maggiore”.
D’altro canto, pure la Corte europea dei diritti dell’uomo non ha avuto esitazioni nel ricondurre nell’alveo della «corrispondenza» tutelata dall’art. 8 Conv. e.d.u. anche i messaggi informatico-telematici nella loro dimensione “statica”, ossia già avvenuti. Infatti, la Corte di Strasburgo si è già pronunciata in questi termini con riguardo sia alla posta elettronica (Corte e.d.u., sentenza Copland, § 44), sia alla messaggistica istantanea (Corte e.d.u., sentenza Barbulescu, § 74), sia ai dati memorizzati in floppy disk (Corte e.d.u., Sez. V, sentenza 22.5.2008, Iliya Stefanov contro Bulgaria, § 42), sia, infine, al sequestro dei dati di uno smartphone, che comprendevano ancheSMS e messaggi di posta elettronica (Corte e.d.u., sentenza Saber, § 48, cit.), cioè in relazione a una fattispecie del tutto analoga a quella esaminata dalla Consulta.
5. Il criterio discretivo tra corrispondenza e documento: l’attuale interesse dei corrispondenti alla riservatezza.-
Ritiene dunque la sentenza n. 170/2023 che, analogamente all’art. 15 Cost., quanto alla corrispondenza della generalità dei cittadini, anche, e a maggior ragione, l’art. 68, terzo comma, Cost. tuteli la corrispondenza dei membri del Parlamento – ivi compresa quella elettronica – anche dopo la ricezione da parte del destinatario, “almeno fino a quando, per il decorso del tempo, essa non abbia perso ogni carattere di attualità, in rapporto all’interesse alla sua riservatezza, trasformandosi in un mero documento “storico”. In questo modo la Consulta fa cessare la tutela costituzionale della corrispondenza quando il decorso del tempo o altra causa abbia trasformato il messaggio in un documento “storico”, per cui esso perde il valore comunicativo ed acquista quello esclusivamente retrospettivo, affettivo, collezionistico, artistico, scientifico o probatorio.
La conclusione è, dunque, che l’acquisizione di e-mail e messaggi WhatsApp costituisce un sequestro di corrispondenza tutelato dall’art. 15 Cost e rientrante nell’ambito della guarentigia di cui all’art. 68, terzo comma, Cost.
6. Il cellulare “contenitore di dati informatici” appartenenti a terzi.-
Il pregio della sentenza commentata è anche quello di aver precisato che il sequestro di telefoni cellulari, di computer o di altri dispositivi costituisce acquisizione di “contenitori” di dati informatici appartenenti a terzi, come nel caso di specie, perché nella memoria sono conservati, tra l’altro, messaggi inviati in via telematica a un parlamentare, o da lui provenienti.
La Consulta esclude anche, sul piano applicativo, qualsiasi dubbio per l’incertezza degli organi inquirenti di sapere, a priori, se il messaggio comunicativo già recapitato e appreso dal destinatario conservi, nella considerazione dei soggetti coinvolti, carattere di attualità. Tale carattere di “attualità”, secondo la Corte, infatti, “deve presumersi, sino a prova contraria, quando si discuta di messaggi scambiati – come nella specie – a una distanza di tempo non particolarmente significativa rispetto al momento in cui dovrebbero essere acquisiti e nel corso dello svolgimento del mandato parlamentare in cui tale momento si colloca, e per giunta ancora custoditi in dispositivi protetti da codici di accesso”.
Di conseguenza, l’autorizzazione va chiesta alla Camera di appartenenza del parlamentare, “a prescindere da ogni valutazione circa la natura “mirata” o “occasionale” dell’acquisizione dei messaggi del parlamentare, operata tramite l’apprensione dei dispositivi appartenenti a terzi”. Né può opporsi che “con il sequestro del dispositivo la corrispondenza in esso contenuta deve ritenersi già sequestrata e nella piena disponibilità del pubblico ministero procedente: di modo che l’estrazione dei dati rappresenterebbe un posterius rispetto all’esecuzione dell’atto investigativo per il quale è prefigurata la garanzia in questione”. Tale tesi non può condividersi perché, secondo la Consulta, “nel caso di sequestro probatorio informatico il “vero” oggetto del sequestro non è tanto il dispositivo elettronico (il “contenitore”) – il quale, di per sé, non ha di norma alcun interesse per le indagini – quanto piuttosto i suoi dati (il “contenuto”), nella parte in cui risultano utili alle indagini stesse: dati che, secondo le indicazioni della giurisprudenza di legittimità, vanno all’uopo selezionati e fatti possibilmente oggetto di una “copia-clone”, con restituzione del dispositivo (e della disponibilità di tutti gli altri dati) al titolare”. Ed è proprio questo l’aspetto più innovativo della sentenza: la Consulta riconosce finalmente che il cellulare è il “contenitore” di corrispondenza, tutelata dall’art. 15 Cost., con tutte le conseguenti garanzie in materia.
7. Il “modulo procedurale” per il sequestro della corrispondenza del parlamentare.-
La Consulta ha pure indicato un “modulo procedurale” che garantisce “un punto di equilibrio tra gli interessi in gioco, evitando inopportune dilatazioni degli effetti propri della prerogativa parlamentare, che rischierebbero di penalizzare in modo ingiustificato le stesse iniziative dell’autorità giudiziaria volte all’accertamento dei reati”. Quando pure, infatti, gli organi inquirenti possano prevedere che nel telefono cellulare o nel computer di una persona sottoposta ad indagini siano memorizzati messaggi di un parlamentare, “ciò non impedisce, comunque sia, agli organi stessi di apprendere il dispositivo e di sequestrare tutti gli altri dati informatici contenuti nel dispositivo, che nulla hanno a che vedere con la corrispondenza del parlamentare: fermo restando invece l’onere della richiesta di autorizzazione al fine di estrapolare dal dispositivo e di acquisire agli atti del procedimento i messaggi che riguardano il parlamentare stesso. L’autorizzazione resta pur sempre preventiva rispetto al sequestro di corrispondenza, senza trasformarsi […] in una autorizzazione ex post ai fini dell’utilizzazione processuale delle risultanze di un atto investigativo già eseguito: autorizzazione che l’art. 6 della legge n. 140 del 2003 prevede solo in rapporto alle intercettazioni e all’acquisizione di tabulati telefonici, e non pure al sequestro di corrispondenza”.
Conclude la Consulta che, “rispetto al sequestro di corrispondenza, la natura “occasionale” o “mirata” dell’atto non viene in considerazione, risultando per esso in ogni caso necessaria l’autorizzazione preventiva”, giacché il citato art. 6 della legge n. 140 del 2003 non ha esteso al sequestro di corrispondenza la disciplina dell’autorizzazione successiva, da esso prevista solo per l’intercettazione.
8. Anche il conto corrente bancario spedito dalla banca al correntista è corrispondenza.-
Diverso discorso e opposte conclusioni la Consulta raggiunge, invece quanto all’acquisizione dell’estratto di conto corrente bancario in quanto, nel caso concreto, non era stato spedito dalla banca al parlamentare, ma allegato a segnalazioni di operazioni bancarie sospette, provenienti da uffici della Banca d’Italia. Infatti, la Corte chiarisce che, “se oggetto di apprensione da parte degli organi inquirenti fosse l’estratto conto spedito dalla banca al correntista, si potrebbe effettivamente ritenere che le garanzie previste dagli artt. 15 e 68, terzo comma, Cost. entrino in gioco”. Ma, nel caso di specie, l’estratto del conto corrente bancario del senatore Renzi è entrato negli atti di indagine tramite un decreto di acquisizione di segnalazioni di operazioni bancarie sospette effettuate in base alla normativa antiriciclaggio di cui al d.lgs. n. 231 del 2007: segnalazioni tra i cui allegati figurava l’estratto conto in questione, che quindi non ha dato luogo a sequestro di corrispondenza. Secondo la Corte, “l’estratto conto è, infatti, un documento che ha una funzione e una valenza autonoma, indipendente dalla spedizione al correntista. Esso non è altro, in effetti, che un riepilogo delle risultanze delle scritture contabili della banca, le quali debbono riportare tutte le operazioni di dare e di avere passate in conto corrente. Si tratta, dunque, di per sé, di un documento contabile interno all’ente creditizio”, che diventa corrispondenza solo se spedito al correntista.
9. Le conclusioni della sentenza n. 170/2023.-
Le conclusioni alle quali perviene la Consulta sono semplici.
La Procura della Repubblica presso il Tribunale di Firenze ha estratto dalla memoria dei telefoni cellulari di terzi e acquisito agli atti del procedimento i messaggi diretti al senatore Renzi, o da lui provenienti, senza chiedere al Senato alcuna autorizzazione. In questo modo, ha dunque determinato la menomazione dell’attribuzione prevista dall’art. 68, terzo comma, Cost.
Pertanto, il conflitto di attribuzione sollevato dal Senato della Repubblica deve essere risolto dichiarando che non spettava alla Procura di Firenze acquisire agli atti del procedimento penale, sulla base di decreti di perquisizione e sequestro, corrispondenza riguardante il senatore Matteo Renzi, costituita da messaggi di testo scambiati tramite l’applicazione WhatsApp tra il senatore Renzi e terze persone, e tra il medesimo senatore Renzi e altri, nonché da posta elettronica intercorsa fra questi e il senatore Renzi.
Per l’effetto, il sequestro degli indicati messaggi di testo scambiati tra il senatore Renzi e terzi deve essere annullato. Non vi è luogo, invece, ad adottare analogo provvedimento in relazione al sequestro della corrispondenza intercorsa tra il senatore Renzi e terzi, in quanto il decreto di perquisizione e sequestro emesso nei confronti di terzi era già stato annullato, senza rinvio, dalla Corte di cassazione. Infatti, come già detto, la suprema Corte, pronunciando sull’impugnazione avverso l’ordinanza del Tribunale del riesame di Firenze, che aveva confermato il decreto della Procura, aveva già annullato senza rinvio l’ordinanza impugnata e il decreto stesso, disponendo la restituzione ai terzi non soltanto dei materiali sequestrati (tra cui il telefono cellulare), ma anche dei dati da essi estrapolati, senza trattenimento di alcuna copia da parte dell’organo inquirente.