SOMMARIO: 1. Ordinanza di rimessione, sezione prima penale, nr. 2124 del 2019, Presidente Bonito, relatore Magi: profili problematici; 2. Le Sezioni Unite sulla nozione di “pubbliche riunioni”: una lettura “tassativizzante” della prescrizione di cui all’articolo 8, comma 4, in rapporto all’articolo 75 comma 2 del Codice Antimafia. 3. Possibili soluzioni interpretative: de jure condendo 4. E dopo… Corte di Cassazione, prima sezione penale, 16 febbraio 2021 nr. 6089 presidente Casa, relatore Renoldi 5. Breve conclusione rebus sic stantibus
1.Ordinanza di rimessione, sezione prima penale, nr. 2124 del 2019, Presidente Bonito, relatore Magi: profili problematici
Con sentenza emessa il 7 febbraio 2017, la Corte di Appello confermava la penale responsabilità degli imputati in relazione al reato di cui all’art. 75, co. 2, D.lgs. 159/2011(Codice Antimafia). In particolare, gli stessi avrebbero frequentato soggetti pregiudicati e partecipato ad un torneo internazionale di tennis, così violando la prescrizione di non partecipare a pubbliche riunioni.
La principale doglianza contenuta nel gravame presentato dalla difesa ha ad oggetto la ritenuta punibilità della partecipazione del sorvegliato speciale alla suddetta manifestazione sportiva. Secondo il ricorrente, infatti, il divieto di partecipare a manifestazioni pubbliche riguardava celebrazioni di particolare rilievo in occasione delle quali l’animosità del pubblico fa sorgere liti e risse. Ciò che era impossibile si verificasse in un incontro di tennis ove il silenzio del pubblico è, invece, una prerogativa essenziale del gioco.
Con ordinanza del 19 dicembre 2018, la prima sezione penale della Corte di Cassazione rimetteva la trattazione del ricorso innanzi alle Sezioni Unite.
Il divieto di partecipare a pubbliche riunioni rientra tra le prescrizioni che il Tribunale della prevenzione deve applicare “in ogni caso” ovvero senza alcun margine di discrezionalità sull’an, in ossequio a quanto previsto dal comma 4 dell’articolo 8[1], la cui violazione è sanzionata penalmente dall’art. 75. Disposizione che, al comma 1, qualifica come contravvenzione l’infrazione posta in essere da un soggetto sottoposto alla sorveglianza speciale semplice e, al comma 2, come delitto, punito con la reclusione da 1 a 5 anni, la trasgressione realizzata da un soggetto sottoposto alla sorveglianza speciale con obbligo o divieto di soggiorno
Il collegio remittente, riprendendo le argomentazioni della sentenza De Tommaso, critica la formulazione della norma in esame non solo perché la stessa violerebbe il principio di legalità -in quanto il precetto sarebbe formulato in maniera ampia e vaga- ma anche alcuni suoi corollari quali sono il principio di offensività e proporzionalità.[2]
Da una parte, infatti, affinché sia meritevole la sanzione irrogata, deve trattarsi di condotte che esprimano una effettiva volontà di ribellione nonché manifestino una totale vanificazione della misura irrogata. Dall’altra, invece, si evidenzia che l’applicazione di una imposizione estesa a tutti “in ogni caso” non sia in grado di rappresentare un valido canone di controllo sulle limitazioni dei diritti fondamentali.[3]
Punctum dolens: la definizione del concetto di pubbliche riunioni.
Secondo un orientamento minoritario, il divieto in questione va inteso nel senso di non prendere parte a qualsiasi riunione di più persone in luogo pubblico o aperto al pubblico al quale abbiano accesso un numero non determinato di persone indipendentemente dal tipo di riunione. Un ulteriore indirizzo, invece, sostiene che il rinvio espresso dall’art. 75, co. 2, alle prescrizioni afferenti alla sorveglianza speciale non possa ricomprendere il divieto di partecipare a pubbliche riunioni, in virtù di una formulazione ampia e non univoca della suddetta nozione.
Il Collegio, sulla base delle suddette argomentazioni, ritiene di formulare il seguente quesito “se, ed in quali limiti la partecipazione del soggetto sottoposto alla sorveglianza speciale di pubblica sicurezza ad una manifestazione sportiva tenuta in luogo aperto al pubblico risulti fatto punibile in riferimento al reato di violazione delle prescrizioni imposte al sorvegliato speciale di cui agli articoli 8 e 75 del codice Antimafia”.
2.Le Sezioni Unite sulla nozione di “pubbliche riunioni”: una lettura “tassativizzante” della prescrizione di cui all’ articolo 8, comma 4, in rapporto all’articolo 75 comma 2 del Codice Antimafia
Con informazione provvisoria pubblicata l’1 aprile 2019, il servizio novità della Suprema Corte comunica che, in esito alla pubblica udienza celebrata il 28 marzo 2019, le Sezioni Unite hanno risolto la questione in esame nei seguenti termini: “Negativa, in quanto l’articolo 8 Decreto Legislativo n. 159 del 2011 si riferisce esclusivamente alle riunioni in luogo pubblico”.
La Corte di Cassazione, dopo aver, preliminarmente, richiamato le perplessità emerse in sede di rimessione, si interroga sulle tematiche affrontate dalle diverse pronunce che hanno trattato la materia de qua.
La prima afferisce al rispetto del principio di offensività e proporzionalità. Il richiamo è alla sentenza “Sinigaglia” che ha evidenziato come “possano essere punite soltanto quei comportamenti che costituiscano indice di una persistente pericolosità e non qualsiasi défaillance comportamentale”.[4]
Altra problematica riguarda la legittimità delle prescrizioni previste per il sorvegliato speciale alla luce della necessità di tutelate diritti costituzionalmente garantiti. Questione già affrontata dai Giudici di Strasburgo, nella nota sentenza De Tommaso, che hanno espresso preoccupazione per il fatto che “misure previste dalla legge comprendano l’assoluto divieto di partecipare a pubbliche riunioni”.[5]
Dapprima viene richiamata la sentenza “Pellegrini” che ha ritenuto che il rinvio espresso nella disposizione di cui all’art. 75, co. 2, non potesse ricomprendere il divieto di partecipare a pubbliche riunioni, stante l’indeterminatezza della suddetta formulazione e la conseguente mancanza di tassatività della fattispecie.[6]
Un ulteriore orientamento, espresso nella sentenza “Lo Giudice”, ha, invece, ribadito che il divieto, di cui all’art. 8, co. 2, riguardasse qualsiasi riunione di più persone in luogo pubblico o aperto al pubblico.[7]
Altro indirizzo ancora, invece, contenuto nella sentenza “Sassano”, ha affermato che il Giudice avesse l’obbligo di indicare le ragioni per cui la prescrizione de qua si renda necessaria in funzione di controllo della pericolosità sociale del prevenuto al fine di evitare compressioni generalizzate di una libertà costituzionale.[8]
Nessuna delle tre soluzioni viene integralmente accolta dalle Sezioni Unite. La Suprema Corte non ritiene convincenti le motivazioni espresse dalla pronuncia “Pellegrini”. La sentenza, infatti, non verifica la possibilità di individuare una nozione di pubblica riunione valida per tutte le norme che la contengano.
La pronuncia suddetta disapplica una norma interna in contrasto con la CEDU. In questi casi, invece, avrebbe dovuto rivolgersi alla Consulta, organo giurisdizionale deputato alla dichiarazione di illegittimità della disposizione interna in contrasto con l’art. 117 della Costituzione di cui la CEDU costituisce parametro interposto. In altre parole, punto debole della soluzione “Pellegrini” è quello di aver adottato la medesima operazione tassativizzante sperimentata dalle Sezioni Unite Paternò in relazione ad una prescrizione del tutto diversa e fatta oggetto di una differente censura da parte della Corte Europea.[9] Mentre, infatti, gli obblighi di “vivere onestamente” e “di rispettare le leggi” non possono considerarsi vere e proprie prescrizioni aventi contenuto precettivo, non imponendo comportamenti specifici ma ammonimenti morali, valevoli per qualsiasi consociato; il divieto de quo rappresenta un comando specifico, rivolto solo a particolare tipi di individui, che è connesso alle finalità di prevenzione, in quanto la partecipazione alle pubbliche riunioni rende più difficile il controllo del prevenuto.
Neppure convincente appare la soluzione espressa nella sentenza “Lo Giudice”. Il risultato di tale linea interpretativa, infatti, è una nozione ampia e non delimitata della prescrizione che lascia spazio alla discrezionalità del Giudice e, si legge, “si disinteressa del tema della conoscibilità della norma penale da parte del destinatario e della conseguente prevedibilità delle conseguenze della sua azione”.[10]
Quanto all’orientamento formulato dalla sentenza “Sassano”, la Suprema Corte ritiene si tratti di una “soluzione forzata, non necessaria e superflua”.[11] Appare ragionevole, infatti, l’impiego della sanzione penale, in caso di violazione di quelle prescrizioni che, in quanto significative, siano applicate in ragione della pericolosità del Sorvegliato. Altresì, l’individuazione di una nozione condivisa di pubbliche riunioni permette di colpire, in ossequio al principio di offensività, solamente quelle condotte che possano elidere la sorveglianza del prevenuto.
Le Sezioni Unite accolgono una soluzione interpretativa che precisa gli spazi applicativi della prescrizione esaminanda
La norma cui fare riferimento è contenuta nell’art. 17 della Costituzione, come interpretato dalla Corte Costituzionale nella sentenza numero 27 del 5 maggio del 1959. In quell’occasione, la Consulta aveva affermato che l’art.17 Cost. consente il divieto delle pubbliche riunioni per comprovati motivi di sicurezza e di incolumità pubblica, in questo modo riconducendo la nozione di pubbliche riunioni all’ipotesi prevista dal terzo comma che fa riferimento alle riunioni in luogo pubblico.[12]
L’assolutezza di questa affermazione, tuttavia, viene mitigata da quelle ipotesi “estreme”[13] in cui il precetto penale non possa ritenersi integrato, nonostante la partecipazione del prevenuto ad una pubblica riunione.[14]
Il sorvegliato, infatti, ben potrà chiedere al Tribunale l’autorizzazione a partecipare ad una riunione pubblica e, se chiamato a rispondere della sua violazione, avrà l’onere di dimostrare che la sua condotta sia stata inoffensiva. Non si tratta, si badi, di una probatio diabolica perché il tribunale potrà valutare i motivi giustificativi con gli accertamenti effettuati dalla Polizia giudiziaria all’uopo delegata. In mancanza di allegazioni e prove concrete, non sembra vi sia spazio per il Giudice della prevenzione di ritenere la relativa condotta inoffensiva. La valutazione di quel comportamento, infatti, è stata già effettuata, ex ante, dal legislatore che ha ritenuto necessaria quella prescrizione al fine di limitare la pericolosità sociale del prevenuto. Tuttavia, l’Autorità Giudiziaria potrà ritenere giustificata quella stessa partecipazione se dall’analisi del caso concreto emerga la non offensività della violazione e la non meritevolezza della sanzione penale.
Tale interpretazione, pur riducendo l’ambito applicativo della prescrizione esaminanda, escludendo, infatti, le riunioni in luogo aperto al pubblico, non indebolisce la misura di prevenzione irrogata. Sulla base di quanto previsto dall’articolo 8, comma 5, del Codice Antimafia, infatti, il Tribunale potrà imporre tutte “le prescrizioni che riterrà necessarie, avuto riguardo alle esigenze di difesa sociale, sulla base di una motivazione adeguata che tenga conto delle esigenze del caso concreto”. Ben potrebbe, ad esempio, il Giudice vietare al prevenuto la partecipazione a qualsiasi riunioni o manifestazioni. In questo si sarebbe fatto entrare dalla finestra ciò che è uscito dalla porta. Tale supposizione è, tuttavia, erronea.[15]
Per prima cosa, non tiene in considerazione il fatto che, in ossequio al principio di tassatività e precisione, il Giudice non potrà utilizzare formule vaghe e indeterminate che riproporrebbero tutte le problematiche che la giurisprudenza ha, di volta in volta, risolto.[16] L’Autorità Giudiziaria, altresì, dovrà individuare i presupposti di fatto e le ragioni giuridiche che impongono al soggetto controllato ulteriori obblighi o divieti al fine di contenere le pulsioni antisociali del prevenuto. Tali prescrizioni, infatti, dovendo essere adottate in contraddittorio tra le parti, dovranno garantire non solo una scelta equilibrata del Tribunale chiamato a pronunciarsi ma anche l’imposizione di obblighi o divieti “personalizzati” e “individualizzati” alla pericolosità del proposto.
In definitiva, il principio di diritto che deve essere affermato è il seguente “la prescrizione di non partecipare a pubbliche riunioni, che deve essere in ogni caso dettata in sede di applicazione della misura di prevenzione della Sorveglianza speciale di pubblica sicurezza ai sensi dell’articolo 8, comma 4, Decreto Legislativo nr. 159 del 2011, si riferisce esclusivamente alle riunioni in luogo pubblico”.
3.Possibili soluzioni interpretative: de jure condendo
Dalla pronuncia in commento possono farsi alcune considerazioni che avrebbero suggerito ai Giudici una soluzione diversa sul piano metodologico.[17]
Per un verso, se la disposizione controversa fosse stata rispondente ai canoni di precisione e determinatezza ma foriera di interpretazioni tra loro contrastanti, sarebbe stato più corretto rivolgersi ai Giudici della nomofilachia per dipanare il contrasto.
Dall’altra, invece, nel caso in cui gli Ermellini avessero dubitato del rispetto della norma ai parametri di precisione, offensività e proporzionalità sarebbe stato utile rivolgersi alla Corte Costituzionale affinché ne dichiarasse la illegittimità per contrasto al principio di legalità.[18]
L’ordinanza di rimessione, pur evidenziando delle criticità sulla formulazione della disposizione esaminanda, sceglie di adire il Supremo Consesso della Cassazione piuttosto che la Consulta. La via della questione di legittimità costituzionale, invece, sarebbe stata preferibile in ragione della vicenda, del tutto sovrapponibile, che ha riguardato le prescrizioni di “vivere onestamente” e di “rispettare la legge”.
In quel caso, le Sezioni Unite[19] avevano optato per una interpretazione convenzionalmente conforme alla CEDU attraverso l’eliminazione, in via ermeneutica, dall’area del penalmente rilevante, delle due ipotesi che, nonostante fossero ricomprese nel tenore letterale della disposizione di cui all’art. 75, co. 2, risultavano estranee ai principi immanenti al diritto penale. Il precetto penale, ex art. 75 co. 2, risultava, pertanto, essere stato abrogato parzialmente, seppur in via interpretativa, nella parte in cui prevedeva potesse costituire reato la violazione delle prescrizioni suddette.[20]
Il 26 ottobre 2017, tuttavia, la seconda sezione penale ha sollevato questione di legittimità costituzionale avente ad oggetto la normativa che era stata già esaminata, pochi mesi addietro, dalle Sezioni Unite.[21]
La scelta della rimessione della eadem quaestio alla Consulta risulta giustificata dal fatto che solo una pronuncia di illegittimità potesse assicurare una adeguata garanzia sia nei confronti di coloro che sono stati già condannati in ragione della violazione dei suddetti obblighi sia per orientare, in funzione generalpreventiva, le condotte dei consociati senza timore di doversi difendere da un ulteriore revirement giurisprudenziale.
L’orientamento espresso dalla Suprema Corte rappresenta pur sempre una interpretazione giurisprudenziale che è estranea ai meccanismi che regolano la successione delle leggi penali del tempo, di cui all’articolo 2 cod. pen.[22] Una pronuncia di illegittimità, invece, non solo avrebbe effetti erga omnes ma anche eliminerebbe una disposizione che, in contrasto con i principi della nostra Carta fondamentale, non potrebbe essere più applicata. In altre parole, un conto è una sentenza che riforma quella impugnata per un sopravvenuto ius supervenies suscettibile però di mutare nel corso del tempo con effetti inter partes; altro è una pronuncia del Giudice delle leggi che, in virtù di quanto specificato dall’articolo 136 della Costituzione, cancella dal nostro ordinamento una disposizione affetta da invalidità genetica.
Nel caso di specie, le Sezioni Unite, ma ancora prima i giudici remittenti, avrebbero potuto sollevare questione di illegittimità costituzionale dell’art. 75, co. 2, in combinato disposto con l’art. 8 comma 4, per violazione degli artt. 25 e 117 alla luce dell’art. 2 del relativo Protocollo numero 4.[23]
Sulla scia della pronuncia Paternò, in alternativa, il Collegio avrebbe potuto formulare una interpretazione “abrogante” (la cosiddetta interpretatio abrogans) il comma 2 dell’art. 75 nella parte in cui punisce il sorvegliato speciale che violi la prescrizione di non partecipare a pubbliche riunioni. Il precetto de quo, infatti, viziato da eccessiva genericità, non potrebbe essere preso in considerazione dall’Autorità Giudiziaria per una eventuale condanna.[24]
La strada intrapresa, invece, è stata quella di formulare una interpretazione “tassativizzante”, id est, mantenere salva l’applicazione del divieto ma precisarlo al fine di renderlo compatibile con il principio di conoscibilità del precetto penale.
È compito ineludibile del giudice, infatti, quello di interpretare le locuzioni ampie e polisenso alla luce del contesto normativo in cui sono inserite. L’utilizzo di tali espressioni generali, infatti, “non comporta un vulnus del parametro costituzionale evocato, quando la descrizione complessiva del fatto incriminato consenta comunque al giudice – avuto riguardo alle finalità perseguite dall’incriminazione ed al più ampio contesto ordinamentale in cui essa si colloca – di stabilire il significato di tale elemento mediante un’operazione interpretativa non esorbitante l’ordinario compito a lui affidato”[25].
La norma così applicata dal giudice, infatti, non è destinata, semplicemente, a fornire il criterio di giudizio per il caso concreto sottoposto alla sua attenzione ma si candida ad operare come possibile parametro di decisione per analoghi casi futuri. Molto efficacemente,“ogni giudice (…) non ricerca soltanto la soluzione avvertita come “giusta” nel caso concreto, ma è ben cosciente della necessità di fondare la decisione su un criterio –una regola– pensata già in origine come generalizzabile a tutti i casi futuri che presenteranno analoghe caratteristiche.[26]
Secondo diversa dottrina invece, l’opzione preferibile sarebbe stata quella di interrogare la Consulta e ciò per due ragioni.[27] In primo luogo perché il legislatore costituente, nel collegare la disciplina della libertà delle riunioni al luogo del loro svolgimento, avrebbe esplicitamente scartato la dicotomia “riunioni pubbliche-riunioni private”, in quanto non sufficientemente univoca (sulla base di tale distinzione, infatti, potrebbe considerarsi pubblica, ad es., anche una riunione in luogo privato composta da un gran numero di partecipanti, ovvero una riunione avente per oggetto tematiche di interesse pubblico); dall’altro, la stessa Corte di Strasburgo sembra aver posto l’accento, nel passo della sentenza De Tommaso poco sopra riportato, sul difetto di determinatezza e, dunque, sulla scarsa prevedibilità della prescrizione e della norma incriminatrice, più che sull’ampiezza dell’orizzonte semantico della locuzione in discorso: il che comporta una problematica compatibilità della prescrizione in parola con il principio di legalità convenzionale.
4. E dopo… Corte di Cassazione, sezione prima penale, 16 febbraio 2021 nr. 6089, Presidente Casa, relatore Renoldi
L’indirizzo ermeneutico scelto dalle Sezioni Unite della Corte di Cassazione, come fino ad ora esposto, è stato seguito da una più recente pronuncia.
Il ricorrente era stato tratto a giudizio davanti al Tribunale di Bergamo, per rispondere del reato di cui al D. lgs. 159/11, art. 75, co. 1, per avere partecipato ad una presentazione della sua squadra di calcio, violando il divieto di presenziare a pubbliche riunioni impostogli con il provvedimento applicativo della misura di prevenzione della sorveglianza speciale di pubblica sicurezza, emesso dallo stesso Tribunale in data 11/2/2016, per la durata di un anno e sei mesi. Con sentenza del Tribunale di Bergamo in data 11/1/2019, fu però assolto da tale imputazione, con la formula “perché’ il fatto non sussiste”.
Avverso la sentenza di appello proponeva ricorso per Cassazione il Procuratore della Repubblica deducendo, al contrario che he la nozione di partecipazione a pubbliche riunioni risultasse chiara tanto nel riferimento al contesto (“pubbliche”) quanto nell’oggetto (“riunioni”), facendo essa rinvio a qualsiasi situazione in cui possa intervenire un numero elevato e indeterminato di persone, tale da rendere più difficile il controllo dei presenti e più agevole la commissione di reati.
La Corte di Cassazione ritiene il ricorso infondato e richiama le argomentazioni contenute dal supremo consesso della corte di legittimità. “Le Sezioni unite hanno precisato che la suddetta prescrizione si riferisce esclusivamente alle riunioni “in luogo pubblico”, con la conseguente esclusione delle riunioni in luoghi “aperti al pubblico”, come, ad esempio, le manifestazioni sportive in luoghi come gli stadi o i palasport, rispetto alle quali, come è stato nel frangente osservato, vige la autonoma normativa dettata dalla L. 13 dicembre 1989, n. 401, che contempla anche la misura di prevenzione del divieto di accesso alle manifestazioni sportive”.[28] Nel caso qui in rilievo lo stadio nel quale si svolgeva l’incontro di presentazione della squadra di calcio doveva essere qualificato come “luogo aperto al pubblico” e, pertanto, non si realizzavano gli elementi oggettivi della violazione di cui all’art.75 del Codice Antimafia.
5.Breve conclusione rebus sic stantibus
In conclusione, si può affermare che le Sezioni Unite abbiano dipanato un contrasto giurisprudenziale tra le corti e che tale impostazione sia stata, al momento, seguita dalle pronunce successive.
È indubbio che la soluzione accolta dalle Sezioni Unite garantisca maggiormente la posizione del sorvegliato speciale in ordine a eventuali ingiustificate limitazioni della sua libertà di movimento poco chiare e prevedibili. In questo senso, il proposto non potrà mai prendere parte a riunioni in luogo pubblico, salvo in quelle ipotesi estreme già viste, mentre potrà partecipare a quelle aperte al pubblico, a meno che il giudice lo vieti espressamente in ragione della pericolosità e delle caratteristiche personologiche del proposto.
[1]Cfr. “In ogni caso, (il Tribunale) prescrive di vivere onestamente, di rispettare le leggi, e di non allontanarsi dalla dimora senza preventivo avviso all’autorità locale di pubblica sicurezza; prescrive, altresì, di non associarsi abitualmente alle persone che hanno subito condanne e sono sottoposte a misure di prevenzione o di sicurezza, di non rincasare la sera più tardi e di non uscire la mattina più presto di una data ora e senza comprovata necessità e, comunque, senza averne data tempestiva notizia all’autorità locale di pubblica sicurezza, di non detenere e non portare armi, di non partecipare a pubbliche riunioni”.
[2]Cfr. La sentenza De Tommaso vs Italia emessa dalla Corte EDU il 23 febbraio 2017 ha duramente criticato la formulazione delle disposizioni contenute nel Codice Antimafia I Giudici di Strasburgo affermano che “la loi n. 1423/1956 –la cui disciplina è stata trasposta nel D. lgs 159/2011– ètait libellèe des termes vagues et excessivement gènèraux (…) ni le contenu de certaines de ces mesures n’ètaient dèfinis avec une prècision et une clartè suffisantes, §104-105.
[3]La prescrizione del divieto di partecipare a pubbliche riunioni è stata più volte oggetto di attenzione della Corte Costituzionale. In particolare, con sentenza 27 del 18 febbraio 1959, la Consulta ne ha affermato la compatibilità con gli artt.2 e 17 della Costituzione dalla quale sarebbe ricavabile un principio di prevenzione e sicurezza sociale. Con sentenza 126 del 21 aprile 1983, ancora, si è ritenuto insussistente il contrasto tra l’imposizione de qua e gli articoli 21 e 49 della Costituzione in quanto, seppur vero che il divieto suddetto possa comportare un’ingiustificata ingerenza su diritti costituzionalmente garantiti al prevenuto, tale limitazione sarebbe addebitale non già alla previsione legale nella sua astratta formulazione ma alla sua concreta applicazione. Spetterebbe al Giudice, infatti, determinare i concreti elementi di fatto che concorrono, di volta in volta, a realizzare la fattispecie penale di trasgressione agli obblighi della sorveglianza speciale.
[4] Corte di Cassazione, Sezioni Unite penali, numero 32923 del 2014. La vicenda riguardava la violazione della prescrizione di cui all’articolo 8 comma 7 da parte del sorvegliato speciale di portare con sé la carta di permanenza, p. 15. Più approfonditamente, si rinvia a M.C. UBIALI, Le sezioni unite sulla violazione dell’obbligo, per il sorvegliato speciale, di esibire la carta di permanenza, in www.dirittopenalecontemporaneo.it, 18 settembre 2014.
[5] Cfr. § 123 e 124. La Corte EDU, si legge, altresì, “è anche preoccupata (…) che la legge non specifica alcun limite temporale o spaziale di questa libertà fondamentale, la cui restrizione è lasciata interamente alla discrezionalità del Giudice”. Come indicato, tuttavia, dalla sentenza in commento, si tratta di un accenno poco chiaro. Il Tribunale, infatti, né ha la discrezionalità di modulare il divieto di partecipare a pubbliche riunione né sono necessari ulteriori specificazioni per l’applicazione della prescrizioni suddetta da parte del Giudice, p. 8.
[6] Cfr. Corte di Cassazione, sezione Prima penale, numero 31322 del 09 aprile 2018
[7] Cfr. Corte di Cassazione, Sezione Prima penale, numero 28261 del 08 maggio 2018
[8] Cfr. Corte di Cassazione, Sezione Prima Penale, numero 49731 del 06 giugno 2018
[9] Così S. FINOCCHIARO, Le Sezioni Unite sul reato di trasgressione al divieto di partecipare a pubbliche riunioni imposto con la misura di prevenzione della Sorveglianza speciale (art. 75 codice antimafia), in www.sistemapenale.it, p.5
[10] §16, p. 18
[11] §17, p. 19
[12] L’articolo 17 della Costituzione prevede che “I cittadini hanno diritto di riunirsi pacificamente e senz’armi. Per le riunioni, anche in luogo aperto al pubblico, non è richiesto preavviso. Delle riunioni in luogo pubblico deve essere dato preavviso alle autorità, che possono vietarle soltanto per comprovati motivi di sicurezza o di incolumità pubblica”. Per riunione in luogo privato si deve intendere quella che si svolge in uno spazio fisico delimitato, fra persone determinate che vi accedano in forza della loro ammissione da parte di chi legalmente dispone del luogo; Per riunione in luogo aperto al pubblico deve intendersi quella che si svolge in uno spazio delimitato cui possa accedere chiunque, liberamente o condizionatamente, secondo la volontà del soggetto che legalmente dispone del luogo; riunione in luogo pubblico, ovvero quella che si svolge in uno spazio accessibile da chiunque e destinato, di diritto o di fatto, al pubblico uso.
[13] Cfr. § 17, p. 19
[14] Così S. FINOCCHIARO, Le Sezioni Unite sul reato di trasgressione al divieto di partecipare a pubbliche riunioni imposto con la misura di prevenzione della Sorveglianza speciale (art. 75 codice antimafia), cit., p. 7.
[15] Alcuni autori hanno rilevato un profilo di contraddizione laddove le Sezioni Unite, dopo aver limitato il concetto di pubbliche riunioni alle sole riunioni in luogo pubblico, ammettono che il giudice, attraverso la clausola di cui all’art.8, co. 5, possa vietare al sorvegliato speciale, alla luce delle circostanze del caso concreto, di prendere parte ad assembramenti che si svolgono in luogo aperto al pubblico. Delle due l’una: o l’art.17 Cost. consente di comprimere in via preventiva la libertà di riunione solo qualora essa sia esercitata in luogo pubblico e allora non sembra possibile utilizzare lo strumento delle prescrizioni discrezionali per limitare tale diritto quando le riunioni si tengano in luoghi diversi, oppure dalla suddetta norma costituzionale non è possibile ricavare una tutela così intensa del diritto di riunione, ed allora limitazioni ulteriori rispetto a quelle costituzionalmente previste-ad esempio attraverso l’art.8, co.5, Cod. Ant.- sono ammissibili in E. ZUFFADA, Per le sezioni unite il divieto di partecipare a pubbliche riunioni imposto al sorvegliato speciale è da considerarsi limitato alle sole riunioni “in luogo pubblico”, 05.12.2021, in www.dirittopenaleuomo.it, p. 7
[16] Il Giudice non potrebbe vietare al sorvegliato speciale la partecipazione alle riunione in luogo pubblico e ad “altre manifestazioni”. Quest’ultima risulterebbe una espressione vuota che accentuerebbe la discrezionalità del Giudice nel valutare la violazione del divieto nel caso concreto, in barba ai principi di tassatività e legalità.
[17] E. ZUFFADA, Alle Sezioni Unite una nuova questione relativa alla configurabilità del reato di cui all’ art.75 Cod. Antimafia, questa volta in caso di trasgressione del divieto di partecipare a pubbliche riunioni, in www.dirittopenalecontemporaneo.it, 6 marzo 2019, pp. 5 ss
[18] In virtù di quanto previsto dall’articolo 25, infatti, le pene devono essere irrogate sulla base di criteri che devono tenere conto non solo della riserva di legge ma anche della tassatività e determinatezza delle fattispecie criminose. La volontà del legislatore, pertanto, deve esprimersi in maniera chiara e univoca al fine di permettere non solo ai singoli di comprendere quali siano le condotte lecite da quelle non ammesse ma anche di evitare che l’Autorità Giurisdizionale possa utilizzare la sua attività discrezionale nell’interpretare, in modo arbitrario, la legge penale.
[19] Cfr. Cassazione Sezioni Unite 40076 del 27 aprile 2017 “Paternò”
[20] Per un approfondimento della questione si rinvia a G. BIONDI, Le Sezioni Unite Paternò e le ricadute della sentenza Corte EDU De Tommaso c. Italia sul delitto ex art.75, comma 2, D. Lgs n. 159/2011: luci ed ombre di una sentenza attesa, in www.dirittopenalecontemporaneo.it, 10/2017, pp.165 ss. e F. VIGANO’, Le Sezioni Unite ridisegnano i confini del delitto di violazione delle prescrizioni inerenti alla misura di prevenzione alla luce della sentenza De Tommaso: un rimarchevole esempio di interpretazione conforme alla CEDU di una fattispecie di reato, in www.dirittopenalecontemporaneo.it, settembre 2017, pp. 146 ss.
[21] F. VIGANO’, Ancora sull’indeterminatezza delle prescrizioni inerenti alle misure di prevenzione: la seconda sezione della Cassazione chiama in causa la Corte Costituzionale, in www.dirittopenalecontemporaneo.it, 10/2017, pp. 272 ss.
[22] È bene precisare, per completezza che, negli ordinamenti di civil law, come il nostro, non vige la regola dello stare decisis, in forza del quale l’Autorità Giudicante è obbligata a conformarsi alla decisione adottata in una precedente pronuncia, nel caso in cui la fattispecie portata al suo esame sia identica a quella già trattata nel caso in essa deciso. Ciò comporta che, i Giudici, essendo soggetti solo alla legge ed essendo liberi nella valutazione delle prove e degli argomenti di prova prodotti dalle parti in corso di causa, possano discostarsi da un precedente orientamento interpretativo. Un caso, invero, in cui sarebbero obbligati ad aderire al principio di diritto sotteso è previsto dall’articolo 627 cod. proc. pen., così formulato “Il giudice di rinvio si uniforma alla sentenza della Corte di Cassazione per ciò che concerne ogni questione di diritto con essa decisa.”
[23] Paradossalmente sarebbe questo il suggerimento offerto dal collegio della prima sezione penale in sede di rimessione. Questi, infatti, affermano che “il raggiungimento di un assetto applicativo rispettoso di determinati canoni, più in particolare di correlazione individualizzata tra la prescrizione imposta e la pericolosità manifestata dal soggetto nel rispetto del canone di proporzionalità delle limitazioni delle facoltà costituzionalmente protette, potrebbe essere estraneo ai contenuti di una mera operazione nomofilattica ma ciò non toglie che simile opzione vada rimessa alle valutazioni dell’organo di risoluzione del conflitto interpretativo”, p. 7. In altre parole, Il Collegio rimettente avverte una ipotesi di legittimità costituzionale ma lascia alle Sezioni Unite decidere se sia o meno opportuno interpellare la Corte Costituzionale.
[24] Va precisato che le Sezioni Unite Paternò avevano escluso che la violazione delle prescrizioni sottoposte alla loro attenzione potessero integrare il precetto penale ma le stesse, però, potevano rilevare in sede di aggravamento della misura, ex art. 11 comma 2 Codice Antimafia.
[25] Così Corte Cost., sent. 7-23 luglio 2010, n. 282, in Giur. cost., 2010, pp. 3535 ss., con nota di A. TESAURO, Corte costituzionale e sorveglianza speciale: una breve analisi filosofico-giuridica tra uguaglianza e ragionevolezza.
[26] F. VIGANO’, Il diritto giurisprudenziale nella prospettiva della Corte costituzionale, in Sistema penale, 19 gennaio 2021, p. 2.
[27] E. ZUFFADA, Per le sezioni unite il divieto di partecipare a pubbliche riunioni imposto al sorvegliato speciale è da considerarsi limitato alle sole riunioni “in luogo pubblico”, cit., p. 7
[28] § 4
Il divieto di partecipare a pubbliche riunioni nella sorveglianza speciale di pubblica sicurezza
SOMMARIO: 1. Ordinanza di rimessione, sezione prima penale, nr. 2124 del 2019, Presidente Bonito, relatore Magi: profili problematici; 2. Le Sezioni Unite sulla nozione di “pubbliche riunioni”: una lettura “tassativizzante” della prescrizione di cui all’articolo 8, comma 4, in rapporto all’articolo 75 comma 2 del Codice Antimafia. 3. Possibili soluzioni interpretative: de jure condendo 4. E dopo… Corte di Cassazione, prima sezione penale, 16 febbraio 2021 nr. 6089 presidente Casa, relatore Renoldi 5. Breve conclusione rebus sic stantibus
1.Ordinanza di rimessione, sezione prima penale, nr. 2124 del 2019, Presidente Bonito, relatore Magi: profili problematici
Con sentenza emessa il 7 febbraio 2017, la Corte di Appello confermava la penale responsabilità degli imputati in relazione al reato di cui all’art. 75, co. 2, D.lgs. 159/2011(Codice Antimafia). In particolare, gli stessi avrebbero frequentato soggetti pregiudicati e partecipato ad un torneo internazionale di tennis, così violando la prescrizione di non partecipare a pubbliche riunioni.
La principale doglianza contenuta nel gravame presentato dalla difesa ha ad oggetto la ritenuta punibilità della partecipazione del sorvegliato speciale alla suddetta manifestazione sportiva. Secondo il ricorrente, infatti, il divieto di partecipare a manifestazioni pubbliche riguardava celebrazioni di particolare rilievo in occasione delle quali l’animosità del pubblico fa sorgere liti e risse. Ciò che era impossibile si verificasse in un incontro di tennis ove il silenzio del pubblico è, invece, una prerogativa essenziale del gioco.
Con ordinanza del 19 dicembre 2018, la prima sezione penale della Corte di Cassazione rimetteva la trattazione del ricorso innanzi alle Sezioni Unite.
Il divieto di partecipare a pubbliche riunioni rientra tra le prescrizioni che il Tribunale della prevenzione deve applicare “in ogni caso” ovvero senza alcun margine di discrezionalità sull’an, in ossequio a quanto previsto dal comma 4 dell’articolo 8[1], la cui violazione è sanzionata penalmente dall’art. 75. Disposizione che, al comma 1, qualifica come contravvenzione l’infrazione posta in essere da un soggetto sottoposto alla sorveglianza speciale semplice e, al comma 2, come delitto, punito con la reclusione da 1 a 5 anni, la trasgressione realizzata da un soggetto sottoposto alla sorveglianza speciale con obbligo o divieto di soggiorno
Il collegio remittente, riprendendo le argomentazioni della sentenza De Tommaso, critica la formulazione della norma in esame non solo perché la stessa violerebbe il principio di legalità -in quanto il precetto sarebbe formulato in maniera ampia e vaga- ma anche alcuni suoi corollari quali sono il principio di offensività e proporzionalità.[2]
Da una parte, infatti, affinché sia meritevole la sanzione irrogata, deve trattarsi di condotte che esprimano una effettiva volontà di ribellione nonché manifestino una totale vanificazione della misura irrogata. Dall’altra, invece, si evidenzia che l’applicazione di una imposizione estesa a tutti “in ogni caso” non sia in grado di rappresentare un valido canone di controllo sulle limitazioni dei diritti fondamentali.[3]
Punctum dolens: la definizione del concetto di pubbliche riunioni.
Secondo un orientamento minoritario, il divieto in questione va inteso nel senso di non prendere parte a qualsiasi riunione di più persone in luogo pubblico o aperto al pubblico al quale abbiano accesso un numero non determinato di persone indipendentemente dal tipo di riunione. Un ulteriore indirizzo, invece, sostiene che il rinvio espresso dall’art. 75, co. 2, alle prescrizioni afferenti alla sorveglianza speciale non possa ricomprendere il divieto di partecipare a pubbliche riunioni, in virtù di una formulazione ampia e non univoca della suddetta nozione.
Il Collegio, sulla base delle suddette argomentazioni, ritiene di formulare il seguente quesito “se, ed in quali limiti la partecipazione del soggetto sottoposto alla sorveglianza speciale di pubblica sicurezza ad una manifestazione sportiva tenuta in luogo aperto al pubblico risulti fatto punibile in riferimento al reato di violazione delle prescrizioni imposte al sorvegliato speciale di cui agli articoli 8 e 75 del codice Antimafia”.
2.Le Sezioni Unite sulla nozione di “pubbliche riunioni”: una lettura “tassativizzante” della prescrizione di cui all’ articolo 8, comma 4, in rapporto all’articolo 75 comma 2 del Codice Antimafia
Con informazione provvisoria pubblicata l’1 aprile 2019, il servizio novità della Suprema Corte comunica che, in esito alla pubblica udienza celebrata il 28 marzo 2019, le Sezioni Unite hanno risolto la questione in esame nei seguenti termini: “Negativa, in quanto l’articolo 8 Decreto Legislativo n. 159 del 2011 si riferisce esclusivamente alle riunioni in luogo pubblico”.
La Corte di Cassazione, dopo aver, preliminarmente, richiamato le perplessità emerse in sede di rimessione, si interroga sulle tematiche affrontate dalle diverse pronunce che hanno trattato la materia de qua.
La prima afferisce al rispetto del principio di offensività e proporzionalità. Il richiamo è alla sentenza “Sinigaglia” che ha evidenziato come “possano essere punite soltanto quei comportamenti che costituiscano indice di una persistente pericolosità e non qualsiasi défaillance comportamentale”.[4]
Altra problematica riguarda la legittimità delle prescrizioni previste per il sorvegliato speciale alla luce della necessità di tutelate diritti costituzionalmente garantiti. Questione già affrontata dai Giudici di Strasburgo, nella nota sentenza De Tommaso, che hanno espresso preoccupazione per il fatto che “misure previste dalla legge comprendano l’assoluto divieto di partecipare a pubbliche riunioni”.[5]
Dapprima viene richiamata la sentenza “Pellegrini” che ha ritenuto che il rinvio espresso nella disposizione di cui all’art. 75, co. 2, non potesse ricomprendere il divieto di partecipare a pubbliche riunioni, stante l’indeterminatezza della suddetta formulazione e la conseguente mancanza di tassatività della fattispecie.[6]
Un ulteriore orientamento, espresso nella sentenza “Lo Giudice”, ha, invece, ribadito che il divieto, di cui all’art. 8, co. 2, riguardasse qualsiasi riunione di più persone in luogo pubblico o aperto al pubblico.[7]
Altro indirizzo ancora, invece, contenuto nella sentenza “Sassano”, ha affermato che il Giudice avesse l’obbligo di indicare le ragioni per cui la prescrizione de qua si renda necessaria in funzione di controllo della pericolosità sociale del prevenuto al fine di evitare compressioni generalizzate di una libertà costituzionale.[8]
Nessuna delle tre soluzioni viene integralmente accolta dalle Sezioni Unite. La Suprema Corte non ritiene convincenti le motivazioni espresse dalla pronuncia “Pellegrini”. La sentenza, infatti, non verifica la possibilità di individuare una nozione di pubblica riunione valida per tutte le norme che la contengano.
La pronuncia suddetta disapplica una norma interna in contrasto con la CEDU. In questi casi, invece, avrebbe dovuto rivolgersi alla Consulta, organo giurisdizionale deputato alla dichiarazione di illegittimità della disposizione interna in contrasto con l’art. 117 della Costituzione di cui la CEDU costituisce parametro interposto. In altre parole, punto debole della soluzione “Pellegrini” è quello di aver adottato la medesima operazione tassativizzante sperimentata dalle Sezioni Unite Paternò in relazione ad una prescrizione del tutto diversa e fatta oggetto di una differente censura da parte della Corte Europea.[9] Mentre, infatti, gli obblighi di “vivere onestamente” e “di rispettare le leggi” non possono considerarsi vere e proprie prescrizioni aventi contenuto precettivo, non imponendo comportamenti specifici ma ammonimenti morali, valevoli per qualsiasi consociato; il divieto de quo rappresenta un comando specifico, rivolto solo a particolare tipi di individui, che è connesso alle finalità di prevenzione, in quanto la partecipazione alle pubbliche riunioni rende più difficile il controllo del prevenuto.
Neppure convincente appare la soluzione espressa nella sentenza “Lo Giudice”. Il risultato di tale linea interpretativa, infatti, è una nozione ampia e non delimitata della prescrizione che lascia spazio alla discrezionalità del Giudice e, si legge, “si disinteressa del tema della conoscibilità della norma penale da parte del destinatario e della conseguente prevedibilità delle conseguenze della sua azione”.[10]
Quanto all’orientamento formulato dalla sentenza “Sassano”, la Suprema Corte ritiene si tratti di una “soluzione forzata, non necessaria e superflua”.[11] Appare ragionevole, infatti, l’impiego della sanzione penale, in caso di violazione di quelle prescrizioni che, in quanto significative, siano applicate in ragione della pericolosità del Sorvegliato. Altresì, l’individuazione di una nozione condivisa di pubbliche riunioni permette di colpire, in ossequio al principio di offensività, solamente quelle condotte che possano elidere la sorveglianza del prevenuto.
Le Sezioni Unite accolgono una soluzione interpretativa che precisa gli spazi applicativi della prescrizione esaminanda
La norma cui fare riferimento è contenuta nell’art. 17 della Costituzione, come interpretato dalla Corte Costituzionale nella sentenza numero 27 del 5 maggio del 1959. In quell’occasione, la Consulta aveva affermato che l’art.17 Cost. consente il divieto delle pubbliche riunioni per comprovati motivi di sicurezza e di incolumità pubblica, in questo modo riconducendo la nozione di pubbliche riunioni all’ipotesi prevista dal terzo comma che fa riferimento alle riunioni in luogo pubblico.[12]
L’assolutezza di questa affermazione, tuttavia, viene mitigata da quelle ipotesi “estreme”[13] in cui il precetto penale non possa ritenersi integrato, nonostante la partecipazione del prevenuto ad una pubblica riunione.[14]
Il sorvegliato, infatti, ben potrà chiedere al Tribunale l’autorizzazione a partecipare ad una riunione pubblica e, se chiamato a rispondere della sua violazione, avrà l’onere di dimostrare che la sua condotta sia stata inoffensiva. Non si tratta, si badi, di una probatio diabolica perché il tribunale potrà valutare i motivi giustificativi con gli accertamenti effettuati dalla Polizia giudiziaria all’uopo delegata. In mancanza di allegazioni e prove concrete, non sembra vi sia spazio per il Giudice della prevenzione di ritenere la relativa condotta inoffensiva. La valutazione di quel comportamento, infatti, è stata già effettuata, ex ante, dal legislatore che ha ritenuto necessaria quella prescrizione al fine di limitare la pericolosità sociale del prevenuto. Tuttavia, l’Autorità Giudiziaria potrà ritenere giustificata quella stessa partecipazione se dall’analisi del caso concreto emerga la non offensività della violazione e la non meritevolezza della sanzione penale.
Tale interpretazione, pur riducendo l’ambito applicativo della prescrizione esaminanda, escludendo, infatti, le riunioni in luogo aperto al pubblico, non indebolisce la misura di prevenzione irrogata. Sulla base di quanto previsto dall’articolo 8, comma 5, del Codice Antimafia, infatti, il Tribunale potrà imporre tutte “le prescrizioni che riterrà necessarie, avuto riguardo alle esigenze di difesa sociale, sulla base di una motivazione adeguata che tenga conto delle esigenze del caso concreto”. Ben potrebbe, ad esempio, il Giudice vietare al prevenuto la partecipazione a qualsiasi riunioni o manifestazioni. In questo si sarebbe fatto entrare dalla finestra ciò che è uscito dalla porta. Tale supposizione è, tuttavia, erronea.[15]
Per prima cosa, non tiene in considerazione il fatto che, in ossequio al principio di tassatività e precisione, il Giudice non potrà utilizzare formule vaghe e indeterminate che riproporrebbero tutte le problematiche che la giurisprudenza ha, di volta in volta, risolto.[16] L’Autorità Giudiziaria, altresì, dovrà individuare i presupposti di fatto e le ragioni giuridiche che impongono al soggetto controllato ulteriori obblighi o divieti al fine di contenere le pulsioni antisociali del prevenuto. Tali prescrizioni, infatti, dovendo essere adottate in contraddittorio tra le parti, dovranno garantire non solo una scelta equilibrata del Tribunale chiamato a pronunciarsi ma anche l’imposizione di obblighi o divieti “personalizzati” e “individualizzati” alla pericolosità del proposto.
In definitiva, il principio di diritto che deve essere affermato è il seguente “la prescrizione di non partecipare a pubbliche riunioni, che deve essere in ogni caso dettata in sede di applicazione della misura di prevenzione della Sorveglianza speciale di pubblica sicurezza ai sensi dell’articolo 8, comma 4, Decreto Legislativo nr. 159 del 2011, si riferisce esclusivamente alle riunioni in luogo pubblico”.
3.Possibili soluzioni interpretative: de jure condendo
Dalla pronuncia in commento possono farsi alcune considerazioni che avrebbero suggerito ai Giudici una soluzione diversa sul piano metodologico.[17]
Per un verso, se la disposizione controversa fosse stata rispondente ai canoni di precisione e determinatezza ma foriera di interpretazioni tra loro contrastanti, sarebbe stato più corretto rivolgersi ai Giudici della nomofilachia per dipanare il contrasto.
Dall’altra, invece, nel caso in cui gli Ermellini avessero dubitato del rispetto della norma ai parametri di precisione, offensività e proporzionalità sarebbe stato utile rivolgersi alla Corte Costituzionale affinché ne dichiarasse la illegittimità per contrasto al principio di legalità.[18]
L’ordinanza di rimessione, pur evidenziando delle criticità sulla formulazione della disposizione esaminanda, sceglie di adire il Supremo Consesso della Cassazione piuttosto che la Consulta. La via della questione di legittimità costituzionale, invece, sarebbe stata preferibile in ragione della vicenda, del tutto sovrapponibile, che ha riguardato le prescrizioni di “vivere onestamente” e di “rispettare la legge”.
In quel caso, le Sezioni Unite[19] avevano optato per una interpretazione convenzionalmente conforme alla CEDU attraverso l’eliminazione, in via ermeneutica, dall’area del penalmente rilevante, delle due ipotesi che, nonostante fossero ricomprese nel tenore letterale della disposizione di cui all’art. 75, co. 2, risultavano estranee ai principi immanenti al diritto penale. Il precetto penale, ex art. 75 co. 2, risultava, pertanto, essere stato abrogato parzialmente, seppur in via interpretativa, nella parte in cui prevedeva potesse costituire reato la violazione delle prescrizioni suddette.[20]
Il 26 ottobre 2017, tuttavia, la seconda sezione penale ha sollevato questione di legittimità costituzionale avente ad oggetto la normativa che era stata già esaminata, pochi mesi addietro, dalle Sezioni Unite.[21]
La scelta della rimessione della eadem quaestio alla Consulta risulta giustificata dal fatto che solo una pronuncia di illegittimità potesse assicurare una adeguata garanzia sia nei confronti di coloro che sono stati già condannati in ragione della violazione dei suddetti obblighi sia per orientare, in funzione generalpreventiva, le condotte dei consociati senza timore di doversi difendere da un ulteriore revirement giurisprudenziale.
L’orientamento espresso dalla Suprema Corte rappresenta pur sempre una interpretazione giurisprudenziale che è estranea ai meccanismi che regolano la successione delle leggi penali del tempo, di cui all’articolo 2 cod. pen.[22] Una pronuncia di illegittimità, invece, non solo avrebbe effetti erga omnes ma anche eliminerebbe una disposizione che, in contrasto con i principi della nostra Carta fondamentale, non potrebbe essere più applicata. In altre parole, un conto è una sentenza che riforma quella impugnata per un sopravvenuto ius supervenies suscettibile però di mutare nel corso del tempo con effetti inter partes; altro è una pronuncia del Giudice delle leggi che, in virtù di quanto specificato dall’articolo 136 della Costituzione, cancella dal nostro ordinamento una disposizione affetta da invalidità genetica.
Nel caso di specie, le Sezioni Unite, ma ancora prima i giudici remittenti, avrebbero potuto sollevare questione di illegittimità costituzionale dell’art. 75, co. 2, in combinato disposto con l’art. 8 comma 4, per violazione degli artt. 25 e 117 alla luce dell’art. 2 del relativo Protocollo numero 4.[23]
Sulla scia della pronuncia Paternò, in alternativa, il Collegio avrebbe potuto formulare una interpretazione “abrogante” (la cosiddetta interpretatio abrogans) il comma 2 dell’art. 75 nella parte in cui punisce il sorvegliato speciale che violi la prescrizione di non partecipare a pubbliche riunioni. Il precetto de quo, infatti, viziato da eccessiva genericità, non potrebbe essere preso in considerazione dall’Autorità Giudiziaria per una eventuale condanna.[24]
La strada intrapresa, invece, è stata quella di formulare una interpretazione “tassativizzante”, id est, mantenere salva l’applicazione del divieto ma precisarlo al fine di renderlo compatibile con il principio di conoscibilità del precetto penale.
È compito ineludibile del giudice, infatti, quello di interpretare le locuzioni ampie e polisenso alla luce del contesto normativo in cui sono inserite. L’utilizzo di tali espressioni generali, infatti, “non comporta un vulnus del parametro costituzionale evocato, quando la descrizione complessiva del fatto incriminato consenta comunque al giudice – avuto riguardo alle finalità perseguite dall’incriminazione ed al più ampio contesto ordinamentale in cui essa si colloca – di stabilire il significato di tale elemento mediante un’operazione interpretativa non esorbitante l’ordinario compito a lui affidato”[25].
La norma così applicata dal giudice, infatti, non è destinata, semplicemente, a fornire il criterio di giudizio per il caso concreto sottoposto alla sua attenzione ma si candida ad operare come possibile parametro di decisione per analoghi casi futuri. Molto efficacemente,“ogni giudice (…) non ricerca soltanto la soluzione avvertita come “giusta” nel caso concreto, ma è ben cosciente della necessità di fondare la decisione su un criterio –una regola– pensata già in origine come generalizzabile a tutti i casi futuri che presenteranno analoghe caratteristiche.[26]
Secondo diversa dottrina invece, l’opzione preferibile sarebbe stata quella di interrogare la Consulta e ciò per due ragioni.[27] In primo luogo perché il legislatore costituente, nel collegare la disciplina della libertà delle riunioni al luogo del loro svolgimento, avrebbe esplicitamente scartato la dicotomia “riunioni pubbliche-riunioni private”, in quanto non sufficientemente univoca (sulla base di tale distinzione, infatti, potrebbe considerarsi pubblica, ad es., anche una riunione in luogo privato composta da un gran numero di partecipanti, ovvero una riunione avente per oggetto tematiche di interesse pubblico); dall’altro, la stessa Corte di Strasburgo sembra aver posto l’accento, nel passo della sentenza De Tommaso poco sopra riportato, sul difetto di determinatezza e, dunque, sulla scarsa prevedibilità della prescrizione e della norma incriminatrice, più che sull’ampiezza dell’orizzonte semantico della locuzione in discorso: il che comporta una problematica compatibilità della prescrizione in parola con il principio di legalità convenzionale.
4. E dopo… Corte di Cassazione, sezione prima penale, 16 febbraio 2021 nr. 6089, Presidente Casa, relatore Renoldi
L’indirizzo ermeneutico scelto dalle Sezioni Unite della Corte di Cassazione, come fino ad ora esposto, è stato seguito da una più recente pronuncia.
Il ricorrente era stato tratto a giudizio davanti al Tribunale di Bergamo, per rispondere del reato di cui al D. lgs. 159/11, art. 75, co. 1, per avere partecipato ad una presentazione della sua squadra di calcio, violando il divieto di presenziare a pubbliche riunioni impostogli con il provvedimento applicativo della misura di prevenzione della sorveglianza speciale di pubblica sicurezza, emesso dallo stesso Tribunale in data 11/2/2016, per la durata di un anno e sei mesi. Con sentenza del Tribunale di Bergamo in data 11/1/2019, fu però assolto da tale imputazione, con la formula “perché’ il fatto non sussiste”.
Avverso la sentenza di appello proponeva ricorso per Cassazione il Procuratore della Repubblica deducendo, al contrario che he la nozione di partecipazione a pubbliche riunioni risultasse chiara tanto nel riferimento al contesto (“pubbliche”) quanto nell’oggetto (“riunioni”), facendo essa rinvio a qualsiasi situazione in cui possa intervenire un numero elevato e indeterminato di persone, tale da rendere più difficile il controllo dei presenti e più agevole la commissione di reati.
La Corte di Cassazione ritiene il ricorso infondato e richiama le argomentazioni contenute dal supremo consesso della corte di legittimità. “Le Sezioni unite hanno precisato che la suddetta prescrizione si riferisce esclusivamente alle riunioni “in luogo pubblico”, con la conseguente esclusione delle riunioni in luoghi “aperti al pubblico”, come, ad esempio, le manifestazioni sportive in luoghi come gli stadi o i palasport, rispetto alle quali, come è stato nel frangente osservato, vige la autonoma normativa dettata dalla L. 13 dicembre 1989, n. 401, che contempla anche la misura di prevenzione del divieto di accesso alle manifestazioni sportive”.[28] Nel caso qui in rilievo lo stadio nel quale si svolgeva l’incontro di presentazione della squadra di calcio doveva essere qualificato come “luogo aperto al pubblico” e, pertanto, non si realizzavano gli elementi oggettivi della violazione di cui all’art.75 del Codice Antimafia.
5.Breve conclusione rebus sic stantibus
In conclusione, si può affermare che le Sezioni Unite abbiano dipanato un contrasto giurisprudenziale tra le corti e che tale impostazione sia stata, al momento, seguita dalle pronunce successive.
È indubbio che la soluzione accolta dalle Sezioni Unite garantisca maggiormente la posizione del sorvegliato speciale in ordine a eventuali ingiustificate limitazioni della sua libertà di movimento poco chiare e prevedibili. In questo senso, il proposto non potrà mai prendere parte a riunioni in luogo pubblico, salvo in quelle ipotesi estreme già viste, mentre potrà partecipare a quelle aperte al pubblico, a meno che il giudice lo vieti espressamente in ragione della pericolosità e delle caratteristiche personologiche del proposto.
[1]Cfr. “In ogni caso, (il Tribunale) prescrive di vivere onestamente, di rispettare le leggi, e di non allontanarsi dalla dimora senza preventivo avviso all’autorità locale di pubblica sicurezza; prescrive, altresì, di non associarsi abitualmente alle persone che hanno subito condanne e sono sottoposte a misure di prevenzione o di sicurezza, di non rincasare la sera più tardi e di non uscire la mattina più presto di una data ora e senza comprovata necessità e, comunque, senza averne data tempestiva notizia all’autorità locale di pubblica sicurezza, di non detenere e non portare armi, di non partecipare a pubbliche riunioni”.
[2]Cfr. La sentenza De Tommaso vs Italia emessa dalla Corte EDU il 23 febbraio 2017 ha duramente criticato la formulazione delle disposizioni contenute nel Codice Antimafia I Giudici di Strasburgo affermano che “la loi n. 1423/1956 –la cui disciplina è stata trasposta nel D. lgs 159/2011– ètait libellèe des termes vagues et excessivement gènèraux (…) ni le contenu de certaines de ces mesures n’ètaient dèfinis avec une prècision et une clartè suffisantes, §104-105.
[3]La prescrizione del divieto di partecipare a pubbliche riunioni è stata più volte oggetto di attenzione della Corte Costituzionale. In particolare, con sentenza 27 del 18 febbraio 1959, la Consulta ne ha affermato la compatibilità con gli artt.2 e 17 della Costituzione dalla quale sarebbe ricavabile un principio di prevenzione e sicurezza sociale. Con sentenza 126 del 21 aprile 1983, ancora, si è ritenuto insussistente il contrasto tra l’imposizione de qua e gli articoli 21 e 49 della Costituzione in quanto, seppur vero che il divieto suddetto possa comportare un’ingiustificata ingerenza su diritti costituzionalmente garantiti al prevenuto, tale limitazione sarebbe addebitale non già alla previsione legale nella sua astratta formulazione ma alla sua concreta applicazione. Spetterebbe al Giudice, infatti, determinare i concreti elementi di fatto che concorrono, di volta in volta, a realizzare la fattispecie penale di trasgressione agli obblighi della sorveglianza speciale.
[4] Corte di Cassazione, Sezioni Unite penali, numero 32923 del 2014. La vicenda riguardava la violazione della prescrizione di cui all’articolo 8 comma 7 da parte del sorvegliato speciale di portare con sé la carta di permanenza, p. 15. Più approfonditamente, si rinvia a M.C. UBIALI, Le sezioni unite sulla violazione dell’obbligo, per il sorvegliato speciale, di esibire la carta di permanenza, in www.dirittopenalecontemporaneo.it, 18 settembre 2014.
[5] Cfr. § 123 e 124. La Corte EDU, si legge, altresì, “è anche preoccupata (…) che la legge non specifica alcun limite temporale o spaziale di questa libertà fondamentale, la cui restrizione è lasciata interamente alla discrezionalità del Giudice”. Come indicato, tuttavia, dalla sentenza in commento, si tratta di un accenno poco chiaro. Il Tribunale, infatti, né ha la discrezionalità di modulare il divieto di partecipare a pubbliche riunione né sono necessari ulteriori specificazioni per l’applicazione della prescrizioni suddetta da parte del Giudice, p. 8.
[6] Cfr. Corte di Cassazione, sezione Prima penale, numero 31322 del 09 aprile 2018
[7] Cfr. Corte di Cassazione, Sezione Prima penale, numero 28261 del 08 maggio 2018
[8] Cfr. Corte di Cassazione, Sezione Prima Penale, numero 49731 del 06 giugno 2018
[9] Così S. FINOCCHIARO, Le Sezioni Unite sul reato di trasgressione al divieto di partecipare a pubbliche riunioni imposto con la misura di prevenzione della Sorveglianza speciale (art. 75 codice antimafia), in www.sistemapenale.it, p.5
[10] §16, p. 18
[11] §17, p. 19
[12] L’articolo 17 della Costituzione prevede che “I cittadini hanno diritto di riunirsi pacificamente e senz’armi. Per le riunioni, anche in luogo aperto al pubblico, non è richiesto preavviso. Delle riunioni in luogo pubblico deve essere dato preavviso alle autorità, che possono vietarle soltanto per comprovati motivi di sicurezza o di incolumità pubblica”. Per riunione in luogo privato si deve intendere quella che si svolge in uno spazio fisico delimitato, fra persone determinate che vi accedano in forza della loro ammissione da parte di chi legalmente dispone del luogo; Per riunione in luogo aperto al pubblico deve intendersi quella che si svolge in uno spazio delimitato cui possa accedere chiunque, liberamente o condizionatamente, secondo la volontà del soggetto che legalmente dispone del luogo; riunione in luogo pubblico, ovvero quella che si svolge in uno spazio accessibile da chiunque e destinato, di diritto o di fatto, al pubblico uso.
[13] Cfr. § 17, p. 19
[14] Così S. FINOCCHIARO, Le Sezioni Unite sul reato di trasgressione al divieto di partecipare a pubbliche riunioni imposto con la misura di prevenzione della Sorveglianza speciale (art. 75 codice antimafia), cit., p. 7.
[15] Alcuni autori hanno rilevato un profilo di contraddizione laddove le Sezioni Unite, dopo aver limitato il concetto di pubbliche riunioni alle sole riunioni in luogo pubblico, ammettono che il giudice, attraverso la clausola di cui all’art.8, co. 5, possa vietare al sorvegliato speciale, alla luce delle circostanze del caso concreto, di prendere parte ad assembramenti che si svolgono in luogo aperto al pubblico. Delle due l’una: o l’art.17 Cost. consente di comprimere in via preventiva la libertà di riunione solo qualora essa sia esercitata in luogo pubblico e allora non sembra possibile utilizzare lo strumento delle prescrizioni discrezionali per limitare tale diritto quando le riunioni si tengano in luoghi diversi, oppure dalla suddetta norma costituzionale non è possibile ricavare una tutela così intensa del diritto di riunione, ed allora limitazioni ulteriori rispetto a quelle costituzionalmente previste-ad esempio attraverso l’art.8, co.5, Cod. Ant.- sono ammissibili in E. ZUFFADA, Per le sezioni unite il divieto di partecipare a pubbliche riunioni imposto al sorvegliato speciale è da considerarsi limitato alle sole riunioni “in luogo pubblico”, 05.12.2021, in www.dirittopenaleuomo.it, p. 7
[16] Il Giudice non potrebbe vietare al sorvegliato speciale la partecipazione alle riunione in luogo pubblico e ad “altre manifestazioni”. Quest’ultima risulterebbe una espressione vuota che accentuerebbe la discrezionalità del Giudice nel valutare la violazione del divieto nel caso concreto, in barba ai principi di tassatività e legalità.
[17] E. ZUFFADA, Alle Sezioni Unite una nuova questione relativa alla configurabilità del reato di cui all’ art.75 Cod. Antimafia, questa volta in caso di trasgressione del divieto di partecipare a pubbliche riunioni, in www.dirittopenalecontemporaneo.it, 6 marzo 2019, pp. 5 ss
[18] In virtù di quanto previsto dall’articolo 25, infatti, le pene devono essere irrogate sulla base di criteri che devono tenere conto non solo della riserva di legge ma anche della tassatività e determinatezza delle fattispecie criminose. La volontà del legislatore, pertanto, deve esprimersi in maniera chiara e univoca al fine di permettere non solo ai singoli di comprendere quali siano le condotte lecite da quelle non ammesse ma anche di evitare che l’Autorità Giurisdizionale possa utilizzare la sua attività discrezionale nell’interpretare, in modo arbitrario, la legge penale.
[19] Cfr. Cassazione Sezioni Unite 40076 del 27 aprile 2017 “Paternò”
[20] Per un approfondimento della questione si rinvia a G. BIONDI, Le Sezioni Unite Paternò e le ricadute della sentenza Corte EDU De Tommaso c. Italia sul delitto ex art.75, comma 2, D. Lgs n. 159/2011: luci ed ombre di una sentenza attesa, in www.dirittopenalecontemporaneo.it, 10/2017, pp.165 ss. e F. VIGANO’, Le Sezioni Unite ridisegnano i confini del delitto di violazione delle prescrizioni inerenti alla misura di prevenzione alla luce della sentenza De Tommaso: un rimarchevole esempio di interpretazione conforme alla CEDU di una fattispecie di reato, in www.dirittopenalecontemporaneo.it, settembre 2017, pp. 146 ss.
[21] F. VIGANO’, Ancora sull’indeterminatezza delle prescrizioni inerenti alle misure di prevenzione: la seconda sezione della Cassazione chiama in causa la Corte Costituzionale, in www.dirittopenalecontemporaneo.it, 10/2017, pp. 272 ss.
[22] È bene precisare, per completezza che, negli ordinamenti di civil law, come il nostro, non vige la regola dello stare decisis, in forza del quale l’Autorità Giudicante è obbligata a conformarsi alla decisione adottata in una precedente pronuncia, nel caso in cui la fattispecie portata al suo esame sia identica a quella già trattata nel caso in essa deciso. Ciò comporta che, i Giudici, essendo soggetti solo alla legge ed essendo liberi nella valutazione delle prove e degli argomenti di prova prodotti dalle parti in corso di causa, possano discostarsi da un precedente orientamento interpretativo. Un caso, invero, in cui sarebbero obbligati ad aderire al principio di diritto sotteso è previsto dall’articolo 627 cod. proc. pen., così formulato “Il giudice di rinvio si uniforma alla sentenza della Corte di Cassazione per ciò che concerne ogni questione di diritto con essa decisa.”
[23] Paradossalmente sarebbe questo il suggerimento offerto dal collegio della prima sezione penale in sede di rimessione. Questi, infatti, affermano che “il raggiungimento di un assetto applicativo rispettoso di determinati canoni, più in particolare di correlazione individualizzata tra la prescrizione imposta e la pericolosità manifestata dal soggetto nel rispetto del canone di proporzionalità delle limitazioni delle facoltà costituzionalmente protette, potrebbe essere estraneo ai contenuti di una mera operazione nomofilattica ma ciò non toglie che simile opzione vada rimessa alle valutazioni dell’organo di risoluzione del conflitto interpretativo”, p. 7. In altre parole, Il Collegio rimettente avverte una ipotesi di legittimità costituzionale ma lascia alle Sezioni Unite decidere se sia o meno opportuno interpellare la Corte Costituzionale.
[24] Va precisato che le Sezioni Unite Paternò avevano escluso che la violazione delle prescrizioni sottoposte alla loro attenzione potessero integrare il precetto penale ma le stesse, però, potevano rilevare in sede di aggravamento della misura, ex art. 11 comma 2 Codice Antimafia.
[25] Così Corte Cost., sent. 7-23 luglio 2010, n. 282, in Giur. cost., 2010, pp. 3535 ss., con nota di A. TESAURO, Corte costituzionale e sorveglianza speciale: una breve analisi filosofico-giuridica tra uguaglianza e ragionevolezza.
[26] F. VIGANO’, Il diritto giurisprudenziale nella prospettiva della Corte costituzionale, in Sistema penale, 19 gennaio 2021, p. 2.
[27] E. ZUFFADA, Per le sezioni unite il divieto di partecipare a pubbliche riunioni imposto al sorvegliato speciale è da considerarsi limitato alle sole riunioni “in luogo pubblico”, cit., p. 7
[28] § 4
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La Consulta si pronuncia sulla incompatibilità del G.i.p. a pronunciarsi sulla nuova richiesta di decreto penale di condanna: inammissibili le q.l.c.
Sospensione della pena e non menzione della condanna nel casellario: illegittimità costituzionale parziale.
Foglio di via del Questore: per la Consulta non è necessaria la convalida del giudice.
La Consulta sull’obbligo di testimoniare del prossimo congiunto dell’imputato che sia persona offesa dal reato.
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