Cass. Pen., Sez. V, 22 febbraio 2019 (dep. 17 giugno 2019), n. 26613

Con la sentenza in parola, la Corte di legittimità afferma che l’elemento soggettivo della fattispecie di tenuta irregolare della contabilità di cui al delitto di bancarotta fraudolenta documentale ex art. 216, comma 1, n. 2, l. fall. si sostanzia nel dolo generico. In particolare, esso è costituito dalla coscienza e volontà dell’irregolare o incompleta tenuta delle scritture contabili, con la consapevolezza che ciò renda impossibile la ricostruzione delle vicende del patrimonio dell’imprenditore o del movimento d’affari. Tale ultimo elemento, invece, risulta estraneo al reato di bancarotta semplice ex art. 217, comma 2, I. fall., per cui è richiesto indifferentemente il dolo o la colpa, ravvisabili quando l’agente ometta, con coscienza e volontà o per semplice negligenza, di tenere le scritture contabili (si vedano, sul punto, anche Cass. Pen., Sez. V, 2 ottobre 2019, n. 2900, in C.E.D. Cass., n. 274630; Cass. Pen., Sez. V, 14 novembre 2016, n. 55065, ivi, n. 268867).

Inoltre, la Corte evidenzia che non appare completa la motivazione che si limiti ad una mera affermazione della sussistenza del dolo generico sulla base dell’irreperibilità dell’imprenditore, bensì appare necessario desumere – attraverso un ragionamento logico-inferenziale- l’elemento soggettivo di cui all’art. 216, comma 1, n. 2 l., fall. dalle modalità della condotta di tenuta irregolare della contabilità, tra le quali non vi rientra in alcun modo la circostanza che l’imprenditore si sia reso irreperibile dopo il fallimento, costituendo invero un “posterius” rispetto al fatto-reato.