L’articolo propone una prima lettura critica del nuovo delitto di indebita destinazione di denari o cose mobili. A tal fine, l’autore analizza l’evoluzione dei rapporti tra i concetti di appropriazione e distrazione, le modifiche normative e gli orientamenti di dottrina e giurisprudenza in ordine ai delitti di peculato e abuso d’ufficio, per concludere che la nuova fattispecie non pare porsi in relazione di continuità normativa con il reato abrogato, quanto sottrarre all’art. 314 c.p. una porzione del suo ambito applicativo. Tuttavia, segnala pure che la clausola di riserva determinata con la quale si apre il testo dell’art. 314 bis c.p. sembra rendere inapplicabile la stessa norma, senza che questa sia la conseguenza peggiore.
THE NEW ART. 314 BIS C.P.: A DISCOURAGING FIRST READING
The article offers a first critical analysis of the new offense of improper allocation of money or movable property. To this end, the author examines the evolution of the relationship between the concepts of appropriation and diversion, legislative changes, and the positions of legal scholars and case law regarding the offenses of embezzlement and abuse of office. The author concludes that the new provision does not appear to maintain continuity with the repealed offense but rather removes a portion of its applicability from Art. 314 of the Penal Code. However, the author also points out that the reservation clause with which the text of Art. 314-bis begins seems to render the new provision inapplicable, without this being the worst consequence.
Sommario: 1. Il nuovo art. 314 bis c.p. – 2. Distrazione e appropriazione: una convivenza non sempre agevole. – 3. I vari tipi di distrazione e le ragioni della riforma del 1990 – 4. L’indebita destinazione di denaro o cose mobili quale sottofattispecie del peculato. – 5. Il capoverso dell’art. 314 bis c.p. – 6. La clausola di riserva determinata. Possibili conseguenze sull’ambito applicativo della fattispecie.
1. Il nuovo art. 314 bis c.p.
Nato col malcelato[1] scopo di evitare probabili reprimende da parte dell’Unione europea per l’improvvida abrogazione del delitto di abuso d’ufficio[2] (che sarebbe avvenuta di lì a brevissimo attraverso la L. 9.8.2024, n. 114, c.d. legge Nordio)[3], il nuovo art. 314 bis c.p. (“Indebita destinazione di denaro o cose mobili”) al comma 1, recita: “Fuori dei casi previsti dall’articolo 314, il pubblico ufficiale o l’incaricato di un pubblico servizio, che, avendo per ragione del suo ufficio o servizio il possesso o comunque la disponibilità di denaro o di altra cosa mobile altrui, li destina ad un uso diverso da quello previsto da specifiche disposizioni di legge o da atti aventi forza di legge dai quali non residuano margini di discrezionalità e intenzionalmente procura a sé o ad altri un ingiusto vantaggio patrimoniale o ad altri un danno ingiusto, è punito con la reclusione da sei mesi a tre anni”. La norma è stata introdotta con il “multiuso” D.L. 4.7.2024, n. 92 (c.d. decreto Carceri o anche Svuota carceri) la cui legge di conversione (L. 8.8.2024, n. 112), ha annesso, a ulteriore dimostrazione dei veri motivi sottesi alla sua creazione, un secondo comma: “La pena è della reclusione da sei mesi a quattro anni quando il fatto offende gli interessi finanziari dell’Unione europea e l’ingiusto vantaggio patrimoniale o il danno ingiusto sono superiori ad euro 100.000”. Con quest’ultima sono state pure emendate alcune amnesie, forse causate dall’urgenza con la quale il Governo ha introdotto la fattispecie: oltre all’art. 322 bis c.p., ora sia l’art. 323 bis c.p. sia l’art. 25 D.Lgs. 8.6.2001, n. 231, contengono un espresso rinvio all’indebita destinazione di denaro o cose mobili.
Come appare evidente, il tenore del nuovo precetto costituisce una crasi degli elementi costitutivi del delitto di peculato e dell’ultima versione, prima dell’abrogazione, del delitto di abuso d’ufficio[4] di cui conserva la struttura di reato di evento.
Accostando le tre fattispecie, si nota che quella appena varata mutua: dall’art. 314 c.p. tutta la prima parte: “Il pubblico ufficiale o l’incaricato di un pubblico servizio, che, avendo per ragione del suo ufficio o servizio il possesso o comunque la disponibilità di denaro o di altra cosa mobile altrui”; dall’art. 323 c.p. (post riforma del 2020) il riferimento alle “specifiche disposizioni di legge [nella norma abrogata si parlava di “specifiche regole di condotta espressamente previste dalla legge”] o da atti aventi forza di legge dai quali non residuano margini di discrezionalità e intenzionalmente procura a sé o ad altri un ingiusto vantaggio patrimoniale o ad altri un danno ingiusto”.
Lasciando per il momento in un angolo la clausola di riserva (“Fuori dei casi previsti dall’articolo 314”) e la condotta tipica (destinazione dei beni ad un uso diverso da quello previsto per legge), da questa triangolazione di fattispecie emerge che quella di nuovo conio si pone, quantomeno in parte, in rapporto di specialità[5] reciproca (sia per aggiunta che per specificazione) rispetto alle altre due, seppur, ovviamente, per profili diversi. L’art. 314 bis c.p., al delitto di peculato (reato di mera condotta)[6], aggiunge l’evento e la specificazione dell’elemento soggettivo (il procurare “intenzionalmente […] a sé o ad altri un ingiusto vantaggio patrimoniale o ad altri un danno ingiusto”) anche se, va ricordato, l’ingiusto profitto è correttamente considerato un requisito implicito dell’art. 314 c.p.[7]. In relazione all’ormai abrogato abuso d’ufficio, aggiunge il previo possesso o la disponibilità giuridica del bene e, inoltre, specifica che quest’ultimo può essere solo “mobile”[8] (a sua volta, l’art. 323 c.p. associava una condotta omissiva nei casi di conflitto di interesse, del tutto pretermessa nella nuova disposizione)[9]; peraltro, la condotta tipica, come detto, nella fattispecie recentemente introdotta appare più generica in quanto è stato cassato il riferimento alle “specifiche regole di condotta espressamente previste dalla legge”, anche se il mantenimento dell’assenza di “margini di discrezionalità” sembra ricondurre obbligatoriamente a comportamenti specifici (si noti come, non si sa quanto volontariamente, l’aggettivo sia passato dal connotare la condotta [art. 323 c.p.] a qualificare la legge violata [art. 314 bis c.p.]).
Minimo comun denominatore delle tre fattispecie – coerente con il loro raggruppamento nel capo I del titolo II del Libro II del codice penale – è la qualifica dei soggetti attivi che devono essere pubblici ufficiali o incaricati di un pubblico servizio.
2. Distrazione e appropriazione: una convivenza non sempre agevole.
Non è dubbio che la condotta tipica disegnata nell’art. 314 bis c.p. – ovverosia la destinazione ad un uso diverso – richiami il concetto di distrazione, contegno, come è noto, oggetto di modifiche (almeno mediate) all’interno del codice penale e di interpretazioni varie, soprattutto in tema di rapporti con la nozione di appropriazione.
Gioverà pertanto intraprendere, in via preliminare, un breve excursus dell’argomento.
La distrazione consiste nell’imprimere alla cosa posseduta una destinazione diversa da quella cui era originariamente destinata, nel senso che con essa si modificano le finalità inerenti alla ragione del possesso, deviate verso altri obiettivi.
All’interno della cornice dell’art. 646 c.p. si trova pacificamente in rapporto di specialità con la condotta appropriativa, di cui costituisce una delle forme classiche di manifestazione, accanto alla consumazione, alla distruzione (per coloro che la reputano un aspetto del diritto di proprietà e non la sua negazione), all’alienazione (sia a titolo oneroso che gratuito) e alla ritenzione. Per questo motivo, anche la condotta distrattiva presuppone, al pari delle altre, che il soggetto attivo si comporti, nei confronti del denaro o della cosa mobile altrui di cui ha il possesso, uti dominus, cioè come se ne fosse il proprietario e, di conseguenza, oltrepassando le facoltà di disposizione del bene concessegli dal titolo in virtù del quale ha, appunto, il possesso.
Tuttavia, sotto la vigenza dell’originario delitto di peculato, quello precedente alla riforma attuata tramite la L. 26.4.1990, n. 86, la distrazione ivi inclusa, almeno secondo taluni, aveva un’accezione diversa e più ampia rispetto a quella di cui all’art. 646 c.p., tanto da essere qualificata, addirittura, concetto di genere rispetto all’appropriazione. Ciò in virtù della formulazione del precetto che, allora, prevedeva, a seconda della fattispecie[10], la punizione di colui il quale, si “appropria, ovvero (…) distrae” (art. 314 c.p.) oppure “si appropria o, comunque, distrae” (art. 315 c.p.), il denaro o la cosa mobile posseduti per ragioni di ufficio o servizio. La riproduzione di entrambi i termini (appropriazione e distrazione) separati da una congiunzione disgiuntiva o da un avverbio faceva ritenere, in modo particolare per quest’ultima locuzione (art. 315 c.p.), non solo che si trattasse di due concetti (almeno parzialmente) differenti ma che l’appropriazione, nei due delitti contro la P.A., si trovasse in rapporto di specialità rispetto alla più generica distrazione. Sta di fatto che, in tal modo, coesistevano, opinabilmente, due nozioni di distrazione (o, se si preferisce, due diversi rapporti con l’appropriazione) all’interno del codice penale. Correlativamente, si rinveniva pure la presenza di due diverse condotte di appropriazione: l’una, più ampia, caratterizzante il delitto contro il patrimonio; l’altra, meno vasta e species della distrazione, integrativa degli artt. 314 e 315 c.p. E tutto ciò riguardava tre figure di reato (peculato e malversazione a danno di privati da un lato, appropriazione indebita dall’altro) assolutamente affini[11].
Il nuovo statuto penale dei reati contro la P.A. del 1990 ha, come è noto, formalmente espunto dall’alveo del delitto di peculato le condotte distrattive, attraverso la soppressione del relativo lemma. Scopo del legislatore era quello di far confluire la distrazione all’interno del meno grave (e anch’esso riformato) delitto di abuso d’ufficio.
Sennonché, come è stato messo in rilievo, prima dalla dottrina e poi dalla giurisprudenza, la materiale cancellazione della condotta de qua impediva la riproposizione della vecchia esegesi dell’art. 314 c.p. (per la quale, come detto, la distrazione si trovava in rapporto di genere a specie con l’appropriazione), rimanendo invece in piedi solo quella storica e universalmente accolta per il delitto di cui all’art. 646 c.p., per la quale, come visto, i termini della relazione tra le due condotte sono capovolti. Di talché, la distrazione perdeva l’autonomia concettuale riconosciutale in virtù dei precedenti artt. 314 e 315 c.p. e, per così dire, tornava ad esse solo una delle forme in cui poteva estrinsecarsi l’appropriazione[12] (v. infra).
3. I vari tipi di distrazione e le ragioni della riforma del 1990.
Per comprendere le ragioni che avevano indotto il legislatore a cancellare dal testo dell’art. 314 c.p.[13] la condotta distrattiva (ragioni che torneranno utili nell’interpretazione dell’ambito della condotta appropriativa in quest’ultimo delitto) bisogna premettere che precedentemente venivano identificate almeno tre differenti forme di distrazione, a seconda che l’utilizzo del denaro (o di altra cosa mobile) avvenisse:
- in violazione delle norme interne che ne prescrivono la destinazione, ma pur sempre per finalità inerenti all’ente di appartenenza[14];
- per obiettivi avulsi da quelli propri dell’ente ma, comunque, di interesse pubblico;
- per fini del tutto estranei a quelli pubblici.
Accadeva (prima della riforma) che anche i casi di cui al punto a) venissero considerati penalmente rilevanti da una certa giurisprudenza[15], con la conseguenza di sanzionare gravemente comportamenti solo formalmente scorretti, senza alcun pregiudizio per la P.A. o per terzi, alcun indebito profitto di chicchessia e alcun contegno uti dominus ad opera del pubblico ufficiale o dell’incaricato di un pubblico servizio[16]. Di qui la drastica decisione dell’espunzione (anche se un’opportuna alternativa poteva essere quella di meglio definire il concetto, circoscrivendolo alle sole distrazioni a profitto privato) del termine, con lo scopo di far confluire la distrazione nell’alveo dell’art. 323 c.p., laddove sussistenti gli altri elementi, peraltro successivamente arricchiti prima dalla L. 16.7.1997, n. 234 e, poi, dal D.L. 16.7.2020, n. 76 (convertito dalla L. 11.9.2020, n. 120).
Il legislatore ha raggiunto il suo scopo? La risposta è probabilmente no o, comunque, non del tutto.
Vi fu chi ritenne che sostanzialmente, sotto questo profilo[17], nulla fosse cambiato e che la distrazione fosse ancora (id est: dopo la riforma del 1990) riconducibile – nell’ambito dei delitti contro la P.A. – al delitto di peculato. Due i principali argomenti addotti: 1) l’abolizione della distrazione dall’art. 314 c.p. aveva fatto venir meno l’unico dato letterale che consentisse di sostenere che tale contegno fosse diverso dalla (rectius: non rientrasse nell’alveo della) appropriazione. Infatti, come già accennato, la distrazione era ed è pacificamente considerata una species dell’appropriazione nel delitto di cui all’art. 646 c.p.; 2) l’introduzione, al comma 2 dell’art. 314 c.p., del c.d. peculato d’uso – considerata una forma di distrazione – che avrebbe addirittura ampliato lo spettro applicativo della condotta appropriativa, anche rispetto all’art. 646 c.p., il quale, come è noto, non si estende a coprire (e punire) l’appropriazione indebita d’uso.
Una differente opinione ermeneutica propose una distinzione tra i possibili obiettivi delle condotte distrattive: quelle “a profitto altrui” avrebbero integrato (sussistendone tutti gli elementi) l’abuso d’ufficio mentre quelle orientate a conseguire un “profitto proprio” sarebbero rimaste punibili ai sensi dell’art. 314 c.p. (salvo quando queste ultime “si concretizzi[no] semplicemente in un uso indebito del bene che non comporti la perdita dello stesso e la conseguente lesione patrimoniale a danno dell’avente diritto”)[18]. Si era tuttavia obiettato che questa distinzione non avesse un solido fondamento giuridico poiché anche le distrazioni a profitto altrui possono coincidere con l’appropriazione, visto che il soggetto agente considera la cosa a tal punto propria da permettersi di destinarla ad altri.
La soluzione ormai quasi universalmente accolta, da un lato tiene conto delle ragioni sottese alla riforma del 1990 e, dall’altro, individuando un significato comune di appropriazione (e di distrazione) all’interno dell’ordinamento penalistico, si apprezza per la coerenza sistematica. Sotto questo profilo nessuna rilevanza penale, nemmeno ai sensi di una fattispecie diversa da quella del peculato, si profila nell’ipotesi di distrazione di cui al punto a), posto che la destinazione del bene per finalità pubbliche, sì in contrasto con le norme regolamentari interne, ma pur sempre nell’ambito di quelle proprie dell’ente al quale appartiene l’agente, esclude qualsiasi disvalore che non sia adeguatamente fronteggiabile con una sanzione amministrativa o disciplinare o contabile[19]. Anzi, a dire il vero, in siffatti casi non pare nemmeno configurabile alcuna distrazione, intesa, come ora deve essere anche all’interno dei delitti contro la P.A, quale species dell’appropriazione, mancando all’evidenza (e quantomeno) alcuna espropriazione del titolare del bene[20].
Anche l’ipotesi in cui il denaro o la cosa altrui posseduti in ragione del proprio ufficio o servizio (v. supra, sub b) venga rivolto a finalità anche estranee a quelle di competenza dell’ente di cui fa parte l’agente, ma mantenga un oggettivo interesse pubblico, non dovrebbe rientrare nel perimetro del peculato, almeno sotto il profilo dell’offesa al buon andamento e all’imparzialità della P.A. (art. 97 Cost.)[21]. Ferma restando l’illiceità amministrativa, tale contegno potrebbe, forse, trovare un residuo spazio sanzionatorio nel reato (ormai abrogato) di abuso d’ufficio, anche se l’ingiustizia caratterizzante l’evento e il dolo intenzionale che deve animare il soggetto attivo appaiono di difficile se non impossibile configurazione in una condotta distrattiva che non tradisca il pubblico interesse. D’altronde, la giurisprudenza che ravvisa in questi casi la consumazione dell’art. 323 c.p. appare concentrarsi più sulla illegalità della condotta che non su quella dell’evento, come se quest’ultima discendesse automaticamente dalla prima e potesse coesistere, allo stesso livello valoriale, con una finalità pubblicistica[22]. Tanto che si parla di condotta distrattiva nella quale la destinazione del bene, pur viziata per opera dell’agente, conserva la propria natura pubblica senza favorire interessi estranei alla P.A.[23]. Epperò non si comprende bene come l’osservanza (e il perseguimento) di fini pubblici possa, al contempo, colorare di illiceità il vantaggio patrimoniale o il danno. Al contrario, il preservare comunque l’interesse pubblicistico, seppur all’interno di un comportamento violativo delle regole prescriventi il corretto utilizzo dei beni mobili posseduti, non pare integrare né il peculato né, in assenza di un evento ingiusto, l’abuso d’ufficio (ovviamente l’argomento viene proposto, nonostante l’abrogazione di quest’ultimo delitto, in relazione all’eventuale continuità normativa con la fattispecie in commento).
Minori problemi sembrano porsi dinanzi alla distrazione di beni immobili o di energie lavorative, insuscettibili fisiologicamente di integrare l’art. 314 c.p. e, pertanto, tendenzialmente rientranti nell’abuso d’ufficio[24].
Diverso, se non opposto, il caso della destinazione dei beni mobili a scopi assolutamente estranei alla P.A. (sub c): impossibile non catalogarla tra le forme di appropriazione, dal momento che il pubblico agente si comporta uti dominus, disponendo della cosa talmente al di fuori dai suoi poteri da trattarla come sua, così espropriando il titolare, chiunque esso sia; e, inoltre, ledendo macroscopicamente non solamente l’imparzialità e il buon andamento della P.A. ma anche l’interesse patrimoniale del proprietario, secondo taluni bene giuridico tutelato, insieme a quello discendente dall’art. 97 Cost., dalla fattispecie di cui all’art. 314 c.p.[25].
Tale ultima e condivisibile opzione ermeneutica è stata fatta propria anche dalle Sezioni Unite che hanno affermato come “In giurisprudenza si ritiene che l’eliminazione della parola “distrazione” dal testo dell’art. 314 c.p., operata dalla L. n. 86 del 1990, non ha determinato puramente e semplicemente il transito di tutte le condotte distrattive poste in essere dall’agente pubblico nell’area di rilevanza penale dell’abuso d’ufficio. Qualora, infatti, mediante la distrazione del denaro o della cosa mobile altrui, tali risorse vengano sottratte da una destinazione pubblica ed indirizzate al soddisfacimento di interessi privati, propri dello stesso agente o di terzi, viene comunque integrato il delitto di peculato. La condotta distrattiva, invece, può rilevare come abuso d’ufficio nei casi in cui la destinazione del bene, pur viziata per opera dell’agente, mantenga la propria natura pubblica e non vada a favorire interessi estranei alla p.a.” [26].
Va pure rievocata una decisione della Corte costituzionale (sorprendentemente trascurata)[27] la quale, nel dichiarare, per contrasto con l’art. 3 Cost., l’illegittimità dell’art. 215 c.p.m.p. (peculato militare) limitatamente alla distrazione a profitto proprio o altrui e in virtù dell’abolizione di tale condotta nell’art. 314, comma 1, c.p., precisò che la distrazione conservava rilevanza penale solo in due casi: quello rientrante nel “peculato d’uso” e quello “di destinazione indebita di risorse pubbliche al di fuori dei fini istituzionali dell’ente”. Quest’ultimo, a detta della Corte, non integrerebbe però il delitto di cui all’art. 314, comma 1, c.p. bensì quello di cui all’art. 323 c.p. Dunque, il tenore letterale della sentenza sembrerebbe escludere dall’ambito del peculato pure le ipotesi annoverate al superiore punto c). Ma si tratta di una teoria estrema, non condivisibile (per quanto appena osservato) e non seguita, a quanto pare, dalla giurisprudenza di legittimità.
Dato conto velocemente (e con inevitabile approssimazione) delle tesi che si sono susseguite sul significato della nozione di distrazione all’interno dei delitti contro la P.A. dopo la formale cancellazione dal testo dell’art. 314 c.p., deve ribadirsi che non pare revocabile in dubbio che il pubblico ufficiale o l’incaricato di un pubblico servizio che destini il denaro o altra cosa mobile, che possiede – o di cui ha la disponibilità – per ragioni di ufficio o di servizio, verso finalità estranee a quelle, anche latamente intese, di matrice pubblicistica, cioè, per dirla in altri termini, per scopi privatistici, integri il delitto di peculato. E ciò, si ribadisce, anche dopo la riforma del 1990. È d’altronde indubitabile che la distrazione (rectius: la destinazione) di beni (mobili) per fini egoistici, del tutto avulsi da quelli pubblici costituenti il titolo del possesso (o della disponibilità), altro non sia che una forma emblematica di appropriazione, posto che l’agente si comporta a tal punto uti dominus da indirizzare quei beni fuori da ogni ambito di pubblico interesse (ad esempio, il pubblico ufficiale che destini i denari che possiede in ragione dell’ufficio all’acquisto di un monile per un suo congiunto).
La giurisprudenza sul punto, già in parte segnalata, appare giustamente granitica e parla espressamente di “peculato per distrazione” (o anche “distrazione/appropriazione” o “distrazione appropriativa”) laddove, come detto, il denaro (o altra cosa mobile) sia destinato a scopi inconciliabili con il perseguimento di finalità di interesse pubblico[28].
4. L’indebita destinazione di denaro o cose mobili quale sottofattispecie del peculato.
Da quanto osservato nel paragrafo precedente discendono delle conclusioni abbastanza scontate, per quanto sorprendenti dal punto di vista della tecnica legislativa: il nuovo art. 314 bis c.p., lungi dal porsi in rapporto di continuità normativa, anche parziale, con l’eliminato art. 323 c.p., altro non sembra che una fattispecie che ritaglia, dentro una nuova cornice normativa ed edittale, una parte delle condotte rientranti nel delitto di peculato. In altre parole, il nuovo delitto sanziona dei contegni pacificamente integranti, come già visto, l’art. 314 c.p.
Invero, all’identità dei soggetti attivi (pubblico ufficiale e incaricato di un pubblico servizio) e del presupposto della condotta e dell’oggetto materiale (il possesso o la disponibilità di cosa mobile per ragioni di ufficio o servizio) si congiunge anche la parziale sovrapponibilità di quest’ultima, nel senso che la destinazione ad un uso diverso si pone in rapporto di specialità unilaterale con l’appropriazione contraddistinguente il delitto di peculato. È chiaro, infatti, che il destinare le cose possedute “ad un uso diverso da quello previsto da specifiche disposizioni di legge o da atti aventi forza di legge dai quali non residuano margine di discrezionalità” altro non sia che una distrazione[29]. Tipologia di distrazione configurante, però, una vera e propria appropriazione, considerato che da essa consegue un “ingiusto” vantaggio patrimoniale e/o un “ingiusto” danno[30], cioè due eventi contraddistinti da un’autonoma valutazione di illiceità. Inoltre, se ciò non bastasse, la caratterizzazione dell’elemento soggettivo in termini di dolo intenzionale significa, mutuando il concetto dall’esegesi incontestata del depennato art. 323 c.p., che l’ingiusto vantaggio patrimoniale o l’ingiusto danno sono l’obiettivo principale dell’agente, il quale, quindi, ha proprio e pressoché esclusivamente di mira il conseguimento di questo risultato[31].
È tuttavia necessario ricordare l’opinione per la quale l’introduzione dell’art. 314 bis c.p. “(…) determina senza soluzione di continuità la rilevanza penale delle condotte di peculato per distrazione prima riconducibili (per giurisprudenza consolidata) alla fattispecie dell’abuso d’ufficio e aventi ad oggetto denaro o cose mobili. L’introduzione del nuovo delitto di cui all’art. 314 bis c.p. si giustifica infatti proprio per conservare rilevanza penale ai fatti di peculato per distrazione anche dopo l’abrogazione dell’abuso d’ufficio (…) il legislatore, in “zona Cesarini”, ha sottratto all’abolitio criminis una classe di fatti prima riconducibili all’abuso d’ufficio impedendo così un’abolizione integrale di quel reato”[32]. La teoria è forgiata sulla base dell’orientamento giurisprudenziale (v. supra, par. 3) per il quale la distrazione di un bene in contrasto con norme di legge ma che persegua comunque un interesse pubblico integra(va) l’abuso d’ufficio e non il peculato. A parere di chi scrive, tale orientamento, il quale, a dire il vero, tende(va) a sanzionare penalmente fatti solo amministrativamente illeciti (ampliando, così, i casi di distrazione punibile, ricomprendendo anche quelli prima individuati nella lett. a) del par. 3), andrebbe riconsiderato. Infatti, l’inclusione nel paradigma dell’abrogato art. 323 c.p. di alcuni fatti di distrazione di beni mobili, cozza con la struttura della fattispecie che richiede (anche) l’intenzionale produzione di vantaggi patrimoniali o danni ingiusti, i quali, tuttavia, appaiono inconciliabili con qualsiasi interesse pubblico[33], che non può ontologicamente essere contra ius.
Detto in altri termini, una distrazione che produce un fatto illecito non può non rientrare nel concetto di appropriazione: il soggetto pubblico che dalla destinazione illegale del bene vuole e ottiene un risultato ingiusto evidentemente si comporta uti dominus. All’opposto, una destinazione sì illegittima ma non infedele all’interesse pubblico non può causare alcuna conseguenza ingiusta e, pertanto, non può integrare (oltre che il peculato) l’abuso d’ufficio. Semplificando (eccessivamente): o è peculato (nella prima ipotesi) o non è illecito penale[34] (nella seconda).
Ne deriva, se si condivide la teoria esposta, che la “classe di fatti” disciplinati dall’indebita destinazione di denaro o cose mobili erano e sono riconducibili, a causa della richiesta ingiustizia dell’evento, al peculato, non all’abuso d’ufficio[35]. Il quale avrebbe probabilmente continuato a conservarsi in parte, all’interno dell’art. 314 bis c.p., se quest’ultimo non avesse circoscritto ai soli beni mobili il suo oggetto materiale.
È verosimile che il proposito del legislatore fosse proprio quello di far sopravvivere, all’abrogazione dell’art. 323 c.p., la punibilità delle condotte distrattive (prima) rientranti nell’alveo di quest’ultima fattispecie, ma l’intenzione sembra essere rimasta tale e lo scopo non pare raggiunto, anzi[36]. A parere di chi scrive, l’abrogazione dell’art. 323 c.p. operato dalla legge Nordio costituisce (purtroppo) una abolitio criminis globale e non parziale[37].
Va però soggiunto, si apprende che il servizio di novità della Suprema corte ha comunicato che Cass. pen., Sez. VI, 23.10.2024 (di cui non si conoscono ancora le motivazioni) ha ritenuto che «il nuovo reato di indebita destinazione di denaro o cose mobili di cui all’art. 314-bis cod. pen. sanziona le condotte distrattive che la giurisprudenza di legittimità riferiva all’abrogata fattispecie di abuso di ufficio».
Riepilogando le scansioni principali della condotta disegnata dall’art. 314 bis c.p.: la destinazione (rectius: distrazione) di denaro o altra cosa mobile è in sé illegittima (poiché espressamente in contrasto con specifiche disposizioni legislative inderogabili, tanto da non lasciare alcuna discrezionalità all’agente) e procura un vantaggio patrimoniale o un danno altrettanto (e indipendentemente dalla violazione di legge contrassegnante la distrazione) illegittimi, conseguenza quest’ultima che rappresenta il proposito principale se non unico del soggetto attivo pubblico. Pare dunque trattarsi di un comportamento integrante il peculato per distrazione di cui all’art. 314 c.p., visto che il soggetto attivo si comporta da padrone esclusivo del bene a tal modo da volere e ottenere un vantaggio patrimoniale o un danno che, in quanto ingiusti in sé, non possono evidentemente perseguire alcuna finalità di interesse pubblico.
Ci si trova, pertanto, di fronte ad una delle modalità di consumazione concretamente più grave del reato di cui all’art. 314 c.p. con, in più, il tangibile conseguimento dell’effetto egoistico/privatistico (in astratto non essenziale nel peculato in quanto, differentemente dall’art. 314 bis c.p., reato di mera condotta, perlomeno secondo l’opinione prevalente).
Ciononostante, il legislatore ha previsto una pena notevolmente (e incoerentemente) più mite. Infatti, il delitto di indebita destinazione di denaro o cose mobili è punito con la reclusione da sei mesi a tre anni (quattro nell’ipotesi del comma 2) a fronte della reclusione da quattro anni a dieci anni e sei mesi stabilita nell’art. 314 c.p.
Orbene, se la fattispecie fosse concretamente applicabile, ciò di cui si dubita fortemente (v. infra, par. 6), il risultato sarebbe un clamoroso quanto ingiustificato indebolimento della risposta sanzionatoria a fronte di una delle manifestazioni più intense del delitto di peculato. Come è stato giustamente paventato, “Uno dei rischi principali di tale opzione legislativa sembra essere quello di veder inquadrate, da parte della giurisprudenza, nel futuro non molto prossimo, le condotte più gravi di peculato distrattivo all’interno della fattispecie appartenente al microsistema di peculato punita in modo più blando (art. 314-bis c.p.: da 6 mesi a 3 anni di reclusione)”[38]. Con l’ulteriore paradosso, si può aggiungere, della previsione di una pena considerevolmente più bassa a fronte di una caratterizzazione soggettiva del fatto più grave, essendo come visto richiesto (a differenza della fattispecie madre), il dolo intenzionale.
Ancora più distopica, eppure assolutamente realistica, è l’osservazione per la quale la norma de qua potrebbe configurare un “presidio penale delle distrazioni punibili, così espungendole dal paradigma dell’art. 314: l’art. 314-bis funge da interpretazione autentica dell’art. 314, sottraendogli ogni condotta diversa dall’appropriazione e successivamente distinguendo tra distrazioni punibili e non punibili in quanto commesse in violazione di poteri discrezionali”[39].
5. Il capoverso dell’art. 314 bis c.p.
Come già esposto, la legge di conversione n. 112 dell’8.8.2024 ha aggiunto, all’originario testo varato tramite il D.L. 4.7.2024, n. 92, un capoverso: “La pena è della reclusione da sei mesi a quattro anni quando il fatto offende gli interessi finanziari dell’Unione europea e l’ingiusto vantaggio patrimoniale o il danno ingiusto sono superiori ad euro 100.000”. L’introduzione era stata caldeggiata da chi aveva fatto notare che il testo originario del decreto legge (che conteneva solo il comma 1 dell’art. 314 bis c.p.) si poneva in contrasto con l’art. 7 della Direttiva UE 2017/1371 (per quanto riguarda la pena massima che non doveva essere inferiore a quattro anni e il valore del profitto o del danno che doveva essere superiore ai 100.000 euro)[40].
Sembrerebbe trattarsi, almeno prima facie, di una circostanza aggravante nella quale gli elementi specializzanti sarebbero costituiti (1) dall’offesa agli interessi finanziari dell’Unione europea “e” – quindi, contemporaneamente – (2) dall’entità, superiore a 100.000 euro, del vantaggio patrimoniale o del danno ingiusti.
Ora si potrebbe anche discutere se il tasso soglia che fa scattare il comma 2 si ponga in rapporto di specialità[41] con il valore indeterminato del primo comma ma non sembra il caso di specillare il tema, essendoci, a parere di chi scrive, altre incognite maggiormente significative. Fermo restando che, se si trattasse di una circostanza aggravante, soggiacerebbe al regime dell’art. 69 c.p. e sarebbe, pertanto, (facilmente) neutralizzabile, almeno due problemi interpretativi appaiono stagliarsi all’orizzonte.
Il primo: è richiesto che il fatto tipico offenda gli interessi finanziari dell’Unione europea. Ora, l’offesa nel nostro ordinamento ha, come è noto, un significato più ampio di quello inerente alla mera lesione, essendo ricompresa anche la messa in pericolo di un interesse protetto. Ma, nella fattispecie che ci occupa, l’evento è certamente di danno, visto che il “vantaggio” e il “danno” non solo devono essere ingiusti ma anche sussistere concretamente. Di talché, il bene giuridico deve subire una effettiva lesione e non una semplice minaccia. Il ricorso al sintagma offesa appare pertanto quantomeno impreciso[42].
Secondariamente, il parametro economico del superamento dei 100.000 euro, se non sembra porre incertezze in relazione al primo dei due eventi previsti (il vantaggio patrimoniale), non appare di immediata adattabilità al danno ingiusto[43]. Infatti, quest’ultimo, a differenza del primo evento, non è circoscritto ad una dimensione patrimoniale potendo anche prescindere da essa e, quindi, non essere suscettibile (almeno direttamente) di una valutazione economica[44].
Per carità, non è che le indeterminatezze lessicali evidenziate non siano superabili in via interpretativa (ben altra portata ha, secondo chi scrive, quella discendente dalla clausola di riserva di cui si tratterà nel prossimo paragrafo) ma non pare proprio che la proposizione sia nel complesso un felice esempio di tecnica legislativa. Anche perché, quale che sia la sua qualificazione giuridica, il trattamento sanzionatorio non è certo così disuguale, rispetto alla previsione del comma 1, da giustificare una sua autonoma rilevanza (il minimo edittale è lo stesso e il massimo è superiore di un anno).
6. La clausola di riserva determinata. Possibili conseguenze sull’ambito applicativo della fattispecie.
A complicare o (a questo punto non si sa più bene) a semplificare le cose interviene l’incipit della nuova fattispecie – “Fuori dei casi previsti dall’articolo 314” – che si era in precedenza volutamente e momentaneamente tenuto da parte per non intralciare oltremodo l’analisi degli altri elementi strutturali del delitto in commento.
In primis, va premesso che la clausola di riserva (o di sussidiarietà espressa), nel rinviare specificatamente all’art. 314 c.p. (clausola di riserva determinata), costituisce un’ulteriore dimostrazione che la nuova disposizione sia in parte sovrapponibile al delitto di peculato[45], rimanendo altrimenti priva di senso la sua previsione. È pur vero che sarebbe stato incongruo forgiare la clausola di riserva facendo riferimento espresso all’art. 323 c.p. (che, seppur ancora vigente, sarebbe stato abolito il giorno dopo l’approvazione della legge di conversione del D.L. 4.7.2024, n. 92), ma è anche vero che, non essendoci un rapporto di specie a genere tra l’art. 323 c.p. e l’art. 314 c.p.[46], i fatti ricompresi nella fattispecie abolita non conservano rilevanza penale ai sensi della seconda. A tacer d’altro, le condotte distrattive differenzianti le due fattispecie si trovano in relazione di incompatibilità, posto che una mantiene (meglio: manteneva) una destinazione pubblicistica (art. 323 c.p.)[47] mentre l’altra (art. 314 c.p.) la esclude radicalmente.
Ciò detto, la clausola di cui si discute, almeno letteralmente, rende inapplicabile lo stesso delitto che la ospita. Infatti se, come pare dimostrato nei paragrafi che precedono, l’indebita destinazione di denaro o cose mobili per finalità privatistiche si declina sempre in una sottofattispecie del delitto di peculato, la clausola di riserva de qua scatterà inevitabilmente ogniqualvolta la nuova fattispecie sarà perfezionata.
La norma, in sostanza e a seguire la tesi qui propugnata, è come se dicesse pressappoco questo: sono puniti alcuni fatti di peculato salvo che costituiscano il delitto di peculato. Come è stato detto[48] richiamando il celebre romanzo di Carlo Emilio Gadda, un “pasticciaccio brutto”, che rischia di suscitare la riprensione dell’Europa. Per evitare la quale, la giurisprudenza, con una dubbia operazione ermeneutica e allo scopo di salvare l’insalvabile, potrebbe tentare di sottrarre al perimetro applicativo dell’art. 314 c.p. una qualche marginale ipotesi da sanzionare più tenuamente. Compito assai arduo ma nel quale la stessa giurisprudenza si è già, in parte, cimentata, quando, ad esempio, ha dovuto individuare uno spazio indipendente all’art. 2 L. 23.12.1986, n. 898 (c.d. frode comunitaria)[49] e all’art. 316 ter c.p. (indebita percezioni di erogazioni pubbliche)[50] rispetto all’art. 640 bis c.p., alla luce della clausola di sussidiarietà espressa (relativa proprio alla truffa aggravata per il conseguimento di erogazioni pubbliche) contraddistinguente le prime due fattispecie. Non è certo questa la sede per riesumare le difficoltà esegetiche che hanno segnato i primi periodi di convivenza dei delitti menzionati[51] ma, mentre, seppur non agevolmente, si può sostenere, ricorrendo al principio di sussidiarietà, che le disposizioni de quibus disciplinino i casi contrassegnati dalla mancanza di induzione in errore dell’ente erogatore (in quanto tali) estranee al paradigma della truffa, altrettanto non sembra possibile affermare nella relazione sussistente tra l’art. 314 c.p. e l’art. 314 bis c.p. Nel senso che quest’ultima fattispecie non pare proprio avere alcuna vita autonoma al di “fuori dei casi previsti dall’articolo 314”. A meno che non si individui un concetto minore di distrazione/destinazione che non costituisca una forma di appropriazione. Vale a dire, una destinazione del bene ad un uso sì violativo di norme di legge cogenti ma che non comporti la perdita dello stesso bene da parte della P.A., nel senso che quest’ultima non ne venga espropriata (e non sussista l’impropriazione da parte dell’agente). Tuttavia, si tratta di un’esegesi francamente complicata: a costo di essere ripetitivi, la concreta e intensamente voluta realizzazione di un vantaggio patrimoniale ingiusto o di un danno altrettanto ingiusto non appare conciliabile col perseguimento di un interesse (soprattutto) pubblico, non potendo questo essere rivolto alla produzione di un fatto oggettivamente illegale. Tra l’altro, si dubita che la nozione di appropriazione presupponga necessariamente la perdita definitiva del bene, potendo la stessa essere anche temporanea e dar comunque vita ad una figura tipica di appropriazione, come dimostra il comma 2 dell’art. 314 c.p.[52].
Tirando le fila, ad una prima lettura (come tale suscettibile di ripensamenti) l’alternativa sembra essere quella tra una fattispecie insensata e inapplicabile e una (forse la peggiore) distonica e contraddittoria (perché punisce fatti più gravi in maniera più tenue); il nuovo art. 314 bis c.p.[53] corre il rischio di risolversi in un mero specchietto per le allodole, la cui popolazione in Europa deve essere evidentemente ritenuta dal nostro legislatore sufficientemente numerosa.
[1] Privo di alcun significato reale è l’apodittico incipit del D.L. 4.7.2024, n. 92: “Ritenuta la straordinaria necessità e urgenza di definire, anche in relazione agli obblighi euro-unitari, il reato di indebita destinazione di beni ad opera del pubblico agente”. Per una ragionevole critica sull’utilizzo, nel caso di specie, dello strumento del decreto legge v. G.L. Gatta, Morte dell’abuso d’ufficio, recupero in zona Cesarini del ‘peculato per distrazione’ (art. 314-bis c.p.) e obblighi (non pienamente soddisfatti) di attuazione della direttiva UE 2017/1371, in Sist. Pen., 7-8/2024, 135 ss.; A. Manna, Sull’abolizione dell’abuso d’ufficio e gli ulteriori interventi in tema di delitti contro la P.A.: note critiche, in Sist. Pen., 6.8.2024.
[2] Molti autori hanno commentato, tendenzialmente in maniera (più o meno) critica, l’abolizione dell’abuso d’ufficio. Senza alcuna pretesa di completezza: Gius. Amato, Abolito il reato, tutela in bilico contro l’azione illecita intenzionale, in Guida al dir., 32-33/2024, 98 ss.; E. Amodio, Il fine vita dell’abuso di ufficio: uno scudo per la gestione libera di fondi europei?, in disCrimen, 2/2023, 247 s.; D. Brunelli, Eliminare l’abuso d’ufficio: l’uovo di Colombo o un ennesimo passaggio a vuoto?, in Arch. pen., 2023, 3, 4; A. Cariola, Abuso d’ufficio e conflitto di interessi: un’esercitazione su norme obbligatorie e merito costituzionale , in Sist. Pen., 25.7.2024; A. Cisterna, Via l’abuso d’ufficio, una svolta radicale che modifica l’assetto dei poteri italiani, in Guida al dir., 25/2023, 10 s.; Id, Abuso d’ufficio: “gioie e dolori” di una abrogazione avventata, in Guida al dir., 34/2024, 10 ss.; C. Cudia, Appunti su abuso d’ufficio e discrezionalità amministrativa: un’alternativa (interpretativa) alla abrogazione dell’art. 323 c.p. sarebbe stata possibile, in Sist. Pen., 29.7.2024; C. Cupelli, La fine (temporanea) dell’abuso d’ufficio, in disCrimen, 1/2024, 289 s.; M. Donini, Gli aspetti autoritari della mera cancellazione dell’abuso d’ufficio, in Sist. Pen., 23 giugno 2023; Id, Abrogare i reati per risolvere problemi del processo. Dal falso in bilancio all’abuso di ufficio, in Sist. Pen., 15.7.2024; M. Gambardella, Considerazioni sulle “ultime” proposte legislative di modifica dei reati di abuso d’ufficio e traffico di influenze illecite, in Giur. Pen. Web, 2023, 5, 6 s.; Id, L’abrogazione dell’abuso d’ufficio e la riformulazione del traffico d’influenze nel “disegno di legge Nordio”, in Sist. Pen., 26 settembre 2023; R. Garofoli, La annunciata riforma dell’abuso d’ufficio: le preoccupazioni dei sindaci tra PNRR e rilancio della macchina dello Stato, in Sist. Pen., 2023, 12; G.L. Gatta, L’annunciata riforma dell’abuso di ufficio: tra “paura della firma”, esigenze di tutela e obblighi internazionali di incriminazione, in Sist. Pen., 5/2023, 168 ss.; Id, Abuso d’ufficio e traffico d’influenze dopo la L. 114/2024: il quadro dei problemi di diritto intertemporale e le possibili questioni di legittimità costituzionale, in Sist. Pen., 7-8/2024, 187 ss.; V. Manes, Contestazioni in eccesso e la fine dell’abuso d’ufficio, in N&T Plus, 23 giugno 2023, 2; A. Manna, L’abolizione dell’abuso d’ufficio: “cronaca di una morte annunciata”?, in disCrimen, 2/2023, 251 s.; Id, Sull’abolizione dell’abuso d’ufficio, cit.; B. Musolino, Prospettive per una nuova riforma dell’abuso d’ufficio: è l’abrogazione dell’art. 323 c.p. la soluzione definitiva per superare la “paura della firma”?, in PDP, 2/2023, 265; A. Natalini, Nuovo abuso d’ufficio, il rischio è un’incriminazione ‘fantasma’, in Guida al dir., 42/2020, 76 ss.; C. Pagella, L’abuso d’ufficio nella giurisprudenza massimata della Corte di cassazione: un’indagine statistico-criminologica su 500 sentenze, in Sist. Pen., 6/2023, 236; M. Parodi Giusino, In memoria dell’abuso d’ufficio?, in Sist. Pen., 7-8/2021, 74; R. Rampioni, Il lamento funebre, le prefiche e l’abrogazione del delitto di abuso di ufficio, in Dir. di Dif., 23.7.2024; M. Ravenna, L’omicidio (tentato?) del delitto di abuso d’ufficio, in PDP, 1/2024, 73 ss.; L. Salvato, Sulle proposte di legge in tema di abuso d’ufficio e traffico di influenze illecite, in Giur. Pen. Web, 2023, 5, 1 s.; M. Zaniolo, Abuso d’ufficio: a che punto siamo?, in PDP, 3/2023, 7 s.
[3] E sul quale cominciano ad addensarsi concreti dubbi di legittimità costituzionale: v. G.L. Gatta, Abolizione dell’abuso d’ufficio: a Firenze una prima ordinanza di rimessione alla Consulta. Esiste un obbligo convenzionale di non decriminalizzazione (o di stand-still)?, in Sist. Pen., 25.9.2024.
[4] M. Gambardella, Peculato, abuso d’ufficio e nuovo delitto di “indebita destinazione di denaro o cose mobili” (art. 314-bis c.p.). i riflessi intertemporali del decreto legge n. 92/2024, in Sist. Pen., 17.7.2024, parla appropriatamente di “reato composto” e, pure, di “hircocervus: per metà peculato e per metà abuso d’ufficio”. Cfr. anche S. Seminara, Sui possibili significati del nuovo art. 314-bis c.p., in Sist. Pen., 19.7.2024.
[5] M. Parodi Giusino, L’abolizione dell’abuso d’ufficio e la contestuale previsione del nuovo delitto di indebita destinazione di denaro o cose mobili: il “pasticciaccio brutto” di via Arenula, in Giust. Ins., 25.7.2024.
[6] In realtà c’è chi, motivatamente, inserisce il peculato tra i delitti di evento. Cfr. G. Cocco, Il peculato come delitto di evento. Dalla dogmatica alla pratica, in Resp. civ. prev., 2019, 374 ss.
[7] Cfr. Cass. pen., Sez. Un., 20.12.2012 (dep. 2.5.2013), n. 19054: “Nell’esercizio effettivo di una o più facoltà spettanti solo all’autentico dominus si realizza quella “conversione della cosa a profitto proprio o altrui” che, tradizionalmente indicata come ricompresa nel concetto stesso di appropriazione, non può non emergere anche là dove, come nell’art. 314 c.p., e diversamente da quanto avviene per il delitto di appropriazione indebita (dove, previsto come “ingiusto”, compare quale finalizzazione del dolo specifico), il profitto proprio o altrui non risulti testualmente menzionato dalla norma”.
[8] Molti hanno notato e censurato la delimitazione, non presente nel vecchio art. 323 c.p., ai soli beni mobili, che lascia fuori, ove mai la fattispecie risultasse effettivamente applicabile, la distrazione avente ad oggetto beni immobili o energie lavorative.
[9] M. Gambardella, Peculato, abuso d’ufficio, cit., sostiene che “La mancanza della relazione normativa di genere a specie fra l’abrogato art. 323 c.p. e il nuovo art. 314-bis c.p. (strutturalmente eterogenei fra loro) impedisce così di ravvisare gli estremi della continuità normativa che, ai sensi dell’art. 2, comma 4, c.p. consente al giudice di riqualificare i fatti, già integranti gli estremi di una norma speciale oramai abolita, ai sensi di altra norma generale applicabile. Siamo al cospetto di un caso di discontinuità normativa: con l’abrogazione dell’abuso di ufficio non si riespande il delitto di indebita destinazione di denaro o cose mobili altrui”.
[10] Come è noto, allora, il fatto di peculato era disciplinato all’interno di due fattispecie omologhe: il peculato (art. 314 c.p.) che aveva ad oggetto beni appartenenti alla P.A. e la malversazione a danno di privati (art. 315 c.p.) che riguardava, invece, quelli non appartenenti alla P.A. Dopo la riforma del 1990, che ha abrogato quest’ultima fattispecie, il delitto di peculato ricomprende i beni altrui tout court.
[11] Per quanto non sarebbe corretto affermare drasticamente che il peculato (e, allora, la malversazione a danno di privati) sia semplicemente una appropriazione indebita commessa da un soggetto pubblico, è anche vero che gli elementi in comune (soprattutto la condotta) sono ben maggiori di quelli divergenti. Tanto è vero che appare difficile negare l’esistenza di un rapporto di specialità (dove il reato contro il patrimonio è fattispecie generale).
[12] Sul punto si rinvia a V. Militello, Gli abusi nel patrimonio di società controllate e le relazioni fra appropriazione e distrazione, in RIDPP, 1991, 275 ss.; S.T. Cagli, voce Peculato e malversazione, in Digesto disc. pen., IX, Torino, 1995, 334 ss.
[13] Va ricordato, in estrema sintesi, che il delitto di peculato, nel 1990, ha subito le seguenti modifiche: 1) soppressione dell’art. 315 c.p. (malversazione a danno dei privati) il cui fatto confluisce ora – seppur con qualche variazione – nell’art. 314 c.p. che sanziona l’appropriazione di un bene genericamente altrui (prima della riforma, invece l’art. 314 era limitato ai beni appartenenti alla P.A. e l’art. 315 concerneva i beni non appartenenti alla P.A.); 2) espunzione della condotta di distrazione a profitto proprio o altrui; 3) aggiunta, al possesso, della disponibilità; 4) creazione della nuova figura del c.d. peculato d’uso.
[14] Per motivi si semplicità espositiva si presupporrà sempre l’ipotesi del pubblico ufficiale che fa parte (e possiede per conto) di un ente, anche se vi sono casi in cui questo legame non sussiste, come nell’esempio del notaio.
[15] Ex plurimis, Cass. pen., Sez. Un., 21.6.1989, n. 10.
[16] Per questo motivo alcuni provvedimenti clemenziali ricomprendevano nell’amnistia o nell’indulto anche il peculato per distrazione nell’ambito o per finalità non estranee alla P.A.: art. 5, D.P.R. 22.5.1970, n. 283; art. 7, D.P.R. 4.8.1978, n. 413.
[17] A. Pagliaro, M. Parodi Giusino, Principi di diritto penale, Parte speciale, I, Delitti contro la Pubblica Amministrazione, Milano, 2008, p 48 ss.
[18] Cass. pen., Sez. II, 11.2.2010 (dep. 13.5.2010), n. 18160. Cfr. pure S.T. Cagli, Peculato e malversazione, cit., p. 341.
[19] Ex plurimis, Cass. pen., Sez. VI, 13.4.2023 (dep. 9.6.2023), n. 25173: “(…) la regolarità contabile attiene esclusivamente al profilo della liceità amministrativa e può, eventualmente, determinare una responsabilità risarcitoria in capo ai pubblici amministratori, senza che ne consegua necessariamente anche una responsabilità di tipo penale. Ove i fondi pubblici non vengano destinati a finalità privatistiche, pur se utilizzati in violazione della normativa contabile, il delitto di peculato non può configurarsi in quanto viene meno l’elemento tipico dell’appropriazione dei beni o, comunque, della destinazione a finalità incompatibile con quelle del perseguimento di un interesse di natura pubblicistica”.
[20] È noto che l’appropriazione è composta da due distinti momenti, logicamente e cronologicamente separati: l’espropriazione, consistente nel non riconoscimento o nella negazione del diritto altrui sul bene; l’impropriazione, integrata dall’affermazione del proprio dominio di fatto sul bene medesimo. La prima può sussistere anche senza la seconda; quest’ultima, invece, non può esistere senza l’espropriazione ma è da questa separata logicamente e cronologicamente (nel senso che è necessariamente successiva).
[21] Tuttavia, secondo Cass. pen., Sez. VI, 12.1.2018 (dep. 13.3.2018), n. 11374, sarebbe “configurabile il delitto di peculato, e non quello di abuso d’ufficio, quando “l’utilizzazione della somma avvenga per finalità che, pur genericamente di interesse pubblico, non siano espressamente riconducibili alle attribuzioni e competenze della specifica funzione istituzionale svolta ma a quelle di altre funzioni, attribuite a soggetti pubblici distinti” poiché in tal caso “lo stravolgimento della connessione funzionale determina lo stravolgimento del sistema organizzativo – istituzionale che priva di ogni legittimazione la concreta spendita della somma di cui si ha la disponibilità, materiale o giuridica” (Sez. 6, sent. n. 33069 del 12/05/2003 Tretter, Rv. 226531 a prescindere dalla decisione sul caso concreto; Sez. 6 sent. n. 10908 del 01/02/ 2006, Caffaro, Rv. 234105; Sez. 6, sent. n. 352 del 07/11/2000, Cassetti P, Rv. 219085; Sez. 6 sent. n. 25502, Gerolin e altri del 08/02/2017 non mass.)”. Negli stessi identici termini Cass. pen., Sez. VI, 2.3.2016 (dep. 25.3.2016), n. 12658).
[22] A detta di Cass. pen., Sez. VI, 7.6.2018 (dep. 3.8.2018), n. 37768, “L’utilizzo di denaro pubblico per finalità diverse da quelle previste integra il reato di abuso d’ufficio qualora l’atto di destinazione avvenga in violazione delle regole contabili, sebbene sia funzionale alla realizzazione, oltre che di indebiti interessi privati, anche di interessi pubblici obiettivamente esistenti e per i quali sia ammissibile un ordinativo di pagamento o l’adozione di un impegno di spesa da parte dell’ente; mentre, integra il più grave delitto di peculato l’atto di disposizione del denaro compiuto – in difetto di qualunque motivazione o documentazione, ovvero in presenza di una motivazione meramente “di copertura” formale – per finalità esclusivamente private ed estranee a quelle istituzionali dell’ente (così, da ultimo, Sez. 6, sent. n. 41768 del 22.06.2017, Rv. 271283)”.
[23] Cfr. Cass. pen., Sez. VI, 23.1.2018 (dep. 4.5.2018), n. 19484.
[24] Tra le altre, Cass. pen., Sez. VI, 1°.10.2020 (dep. 22.12.2020), n. 37074: “L’utilizzo (indebito) di manodopera della (…), non può integrare il reato di peculato, in difetto degli elementi necessari ad integrare la fattispecie dell’appropriazione di “denaro o di cosa mobile altrui” (Sez. 6, n. 10015 del 16/05/1991, Burgaretta, Rv. 188243), vertendosi in una ipotesi di abuso di ufficio realizzato attraverso la distrazione della manodopera retribuita dalla (…) per svolgere una prestazione lavorativa priva di correlazione con gli scopi sociali dell’ente e al fine di arrecare intenzionalmente ad altri un ingiusto vantaggio patrimoniale”.
[25] Tra i molti, M. Romano, I delitti contro la Pubblica Amministrazione, I delitti dei pubblici ufficiali, Artt. 314 – 335 bis cod. pen., Milano, 2006, 20 s. Naturalmente, ciò presuppone che si accolga la tesi della possibile esistenza di reati plurioffensivi.
[26] Cass. pen., Sez. Un., 20.12.2012 (dep. 2.5.2013), n. 19054 (a proposito dell’uso del telefono d’ufficio per fini personali, che reputa integrare il peculato d’uso). In senso conforme, v. Cass. pen., Sez. VI, 23.1.2018 (dep. 4.5.2018), n. 19484 e, in precedenza, Cass. Pen., Sez. VI, 24.10.2002 (dep. 27.11.2002), n. 40148.
[27] Si tratta di Corte cost. 13.12.1991, n. 448.
[28] Solo per menzionarne alcune (oltre a quelle già citate): Cass. pen., Sez. VI, 13.4.2023 (dep. 9.6.2023), n. 25173; Cass. pen., Sez. VI, 17.11.2022 (dep. 16.3.2023), n. 11341; Cass. pen., Sez. II, 15.12.2021 (dep. 23.2.2022), n. 6537; Cass. pen., Sez. VI, 9.3.2021 (dep. 21.5.2021), n. 20348; Cass. pen., Sez. VI, 2.3.2021 (dep. 10.11.2021), n. 40595; Cass. pen., Sez. VI, 30.9.2020 (dep. 18.12.2020), n. 36496; Cass. pen., Sez. VI, 18.11.2019 (dep. 3.6.2020), n. 16765; Cass. pen., Sez. VI, 3.7.2019 (dep. 11.10.2019), n. 41979; Cass. pen., Sez. VI, 19.9.2017 (dep. 23.11.2017), n. 53331.
[29] M. Parodi Giusino, L’abolizione dell’abuso d’ufficio, cit., sottolinea l’imprecisione della locuzione “uso diverso”, suscettibile, tra l’altro, di creare confusione con il c.d. peculato d’uso.
[30] Sempre M. Parodi Giusino, L’abolizione dell’abuso d’ufficio, cit., evidenzia l’ulteriore improprietà lessicale nell’uso del verbo procurare, anziché arrecare, in riferimento al danno.
[31] Ex pluribus: Cass. pen., Sez. II, 5.5.2021 (dep. 25.5.2021), n. 20789; Cass. pen., Sez. II, 5.5.2015 (dep. 29.5.2015), n. 23019.
[32] G.L. Gatta, Abuso d’ufficio e traffico d’influenze, cit., 191, il quale, giustamente, sottolinea pure come la ratio della nuova disposizione vada individuata nella “necessità (della quale il Governo si è avveduto solo all’ultimo minuto) di evitare una procedura di infrazione” europea. Nello stesso senso M. Parodi Giusino, L’abolizione dell’abuso d’ufficio, cit., che parla di continuità normativa tra l’abuso d’ufficio e il nuovo art. 314 bis c.p.
[33] In questi termini, Gius. Amato, Con la nuova fattispecie di peculato dubbi su sistematicità e utilità, in Guida al dir., 29/2024, 108 ss.: “(…) la formulazione dell’articolo 314-bis del Cp costruisce la rilevanza penale della condotta distrattiva solo allorquando questa sia indirizzata a soddisfare un interesse privatistico, perché́ diversamente non avrebbe senza il collegamento eziologico di tale condotta con l’evento del procurare a sé o ad altri «un ingiusto vantaggio patrimoniale o ad altri un danno ingiusto»”.
[34] Perlomeno, ai sensi delle fattispecie in oggetto.
[35] S. Seminara, Sui possibili significati, cit., avverte che “(…) la tesi che intende l’art. 314-bis come una specifica forma di abuso d’ufficio [può] ribaltarsi anche nel suo contrario, cioè nell’idea che l’art. 314 bis miri a erodere l’ambito applicativo dell’art. 314 e ad assicurare un trattamento sanzionatorio di favore per fatti distrattivi tipizzati alla stregua, appunto, di un abuso d’ufficio. In sostanza, lungi dal costituire un “contrappeso” all’abrogazione dell’art. 323, la nuova norma serve a blindare la riforma, estendendo i suoi devastanti effetti”.
[36] Per D. Micheletti, La “distrazione” gioca brutti scherzi. Sulle ricadute intertemporali del nuovo art. 314-bis c.p., in disCrimen, 8.7.2024, 2, “La nuova – si fa per dire – fattispecie incriminatrice, lungi dall’occupare il posto dell’abrogato abuso d’ufficio, altro non è infatti che un “peculato per distrazione”, che da tempo la giurisprudenza della VI Sezione della cassazione ha preteso di riportare nell’alveo applicativo dell’art. 314 c.p. Qualunque penalista sa bene che i propositi della legge n. 86 del 1990 – la quale aveva deliberatamente eliminato il riferimento alla distrazione originariamente previsto dalla disposizione sul peculato per «trasferire… l’ipotesi di distrazione, in quanto rilevante, nel nuovo reato di abuso d’ufficio» – sono stati sostanzialmente ribaltati dal diritto vivente. Tanto che la Cassazione ha ricondotto costantemente al peculato qualunque forma di condotta distrattiva del denaro o di altri beni pubblici che si traduca nel soddisfacimento di interessi privatistici, lasciando all’(ora abrogato) abuso d’ufficio solo l’utilizzo indebito del bene da parte del pubblico ufficiale o dell’incaricato di pubblico servizio, che pur realizzando un profitto individuale, non ne comporti la perdita ai danni dell’ente”.
[37] Va però soggiunto che il servizio di novità della Suprema corte ha comunicato che Cass. pen., Sez. VI, 23.10.2024 (di cui non si conoscono ancora le motivazioni) ha ritenuto, in contrasto con la teoria che qui si espone, che «il nuovo reato di indebita destinazione di denaro o cose mobili di cui all’art. 314-bis cod. pen. sanziona le condotte distrattive che la giurisprudenza di legittimità riferiva all’abrogata fattispecie di abuso di ufficio» (Cfr., Sist. Pen., 24.10.2024). Nello stesso senso v. anche M. Morra, Abrogazione dell’abuso di ufficio e introduzione dell’art. 314-bis cod. pen.: parziale abolitio criminis ed effetti successori che non interessano il peculato., in Giur. pen. web, 2024, 12, 9 ss.
[38] Così M. Gambardella, Peculato, abuso d’ufficio, cit., il quale aggiunge “Non vorrei che l’art. 314-bis c.p. andasse a punire quelle ipotesi gravissime in cui l’agente pubblico distrae (sottraendoli) fondi, energie, beni e li destini a finalità che non sono quelle della pubblica amministrazione”. Lo stesso Autore ipotizza anche il rischio opposto e, cioè, che “la giurisprudenza (nel futuro) includa invece nella più afflittiva forma di peculato ex comma 1 dell’art. 314 c.p. i meno offensivi comportamenti distrattivi dei pubblici agenti, non trovando più gli stessi una fattispecie incriminatrice – quale l’abuso d’ufficio – in cui essere sussunti e non potendo essere ricondotti neppure al nuovo delitto di “indebita destinazione di denaro o cose mobili” per l’evidente mancanza di “tipicità” delle condotte concrete poste in essere”.
[39] Così, S. Seminara, Sui possibili significati, cit., il quale tuttavia precisa che “così avverrebbe in assenza della clausola di esordio dell’art. 314-bis”.
[40] G.L. Gatta, Morte dell’abuso d’ufficio, cit., 139, il quale, però, sembrava suggerire un emendamento che più congruamente modificasse la fattispecie base. Cfr. Gius. Amato, Dubbi sulla portata applicativa del nuovo peculato per distrazione, in Guida al dir., 32-33/2024, 59 ss.
[41] Come è noto, il primo (non l’unico) criterio per stabilire la struttura circostanziale o autonoma di una fattispecie rispetto ad un’altra risiede nella natura speciale della circostanza.
[42] L’art. 4, comma 3, della più volte richiamata Direttiva UE 2017/1371 (5.7.2017) recita: “Ai fini della presente direttiva, s’intende per «appropriazione indebita» l’azione del funzionario pubblico, incaricato direttamente o indirettamente della gestione di fondi o beni, tesa a impegnare o erogare fondi o ad appropriarsi di beni o utilizzarli per uno scopo in ogni modo diverso da quello per essi previsto, che leda gli interessi finanziari dell’Unione”.
[43] Senza considerare che, come paventa Gius. Amato, Con la nuova fattispecie, cit., 109, “(…) la distrazione “in danno” è ipotesi che, francamente, sembra di scuola e la casistica che la norma dovrebbe “coprire” può̀ azzardarsi come prognosticamene inesistente”.
[44] Va però precisato che l’art 7, comma 3, della Direttiva UE 2017/1371 parla espressamente di danno superiore ai 100.000 euro.
[45] Cfr. D. Micheletti, La “distrazione” gioca brutti scherzi,cit., 3 s., il quale, tra l’altro, reputa siffatta clausola di sussidiarietà “del tutto pleonastica”.
[46] G.L. Gatta, Abuso d’ufficio e traffico d’influenze, cit., 189 s.
[47] Secondo il menzionato orientamento giurisprudenziale che non si condivide.
[48] M. Parodi Giusino, L’abolizione dell’abuso d’ufficio, cit.
[49] Cfr. Corte cost. 26.1.1994 (dep. 10.2.1994) n. 25; Corte cost. 14.12.1998 (dep. 23.12.1998), n. 433; Cass. pen., Sez. Un., 24.1.1996 (dep. 15.3.1996), n. 2780.
[50] Cfr. Corte cost. 8.3.2004 (dep. 12.3.2004), n. 95; Cass. pen., Sez. Un., 19.4.2007 (dep. 27.4.2007), n. 16568.
[51] Per una chiara ed esaustiva analisi del tema si rinvia a G. Putzu, Art. 640 bis, in M. Ronco, S. Ardizzone, B. Romano (a cura di), Codice penale ipertestuale, 3° edizione, Torino, 2009, 3117 ss.
[52] Per tutti v. D. Guidi, Il delitto di peculato, Milano, 2007, 201 ss.
[53] Sul quale, peraltro, S. Seminara, Sui possibili significati, cit., individua diversi profili di illegittimità costituzionale.