Il 4 agosto dello scorso anno è entrato in vigore l’articolo 615-ter del codice penale, introdotto dalla legge nota come “Codice rosso”, che punisce la diffusione illecita di immagini sessualmente esplicite, il cosiddetto revenge porn.
La nuova fattispecie ha appena superato non solo il primo anno di vita ma anche la prova del lockdown dovuto alla emergenza sanitaria, che ha determinato un aumento esponenziale delle attività, anche illecite, online.
L’analisi della norma, unita a quella della casistica, molto diversificata e sempre in evoluzione, delinea un concreto campo di applicazione della nuova fattispecie di reato molto più limitato rispetto alle aspettative dei suoi promotori e sostenitori.
L’esperienza di questa procura minorile, particolarmente esposta a questi fenomeni criminali per il largo uso che i minorenni fanno degli strumenti telematici, ha per ora confermato le nostre previsioni.
di Leonardo Tamborini, procuratore presso il tribunale per i minorenni di Trieste, e Margherita Simicich, dottore in giurisprudenza
Sommario: 1. La genesi della nuova norma incriminatrice – 2. Le vicende storiche ispiratrici – 3. Il nucleo essenziale della norma – 4. La clausola di riserva – 5. Le azioni incriminate – 6. La identità della persona rappresentata – 7. Il carattere sessualmente esplicito – 8. La destinazione privata e la mancanza di consenso – 9. Il dolo specifico del secondo comma – 10. Procedibilità – 11. Conclusioni
ABSTRACT
La nuova fattispecie di reato ricalca molto fedelmente le vicende di maggiore risonanza mediatica che hanno preceduto la sua formulazione ed emanazione. Tale corrispondenza ha comportato l’inserimento di alcuni elementi essenziali che ne restringono molto il campo di applicazione; restano, infatti, escluse varie forme di offesa realizzate mediante la diffusione di immagini intime, che l’evoluzione degli strumenti di comunicazione per via telematica continuamente amplia e rinnova.
- LA GENESI DELLA NUOVA NORMA INCRIMINATRICE
Il reato in esame è inserito nella legge 69/2019 in materia di tutela delle vittime di violenza domestica e di genere. Il legislatore italiano, sollecitato dalle norme sovranazionali e dall’opinione pubblica, così come altri prima di lui, ha inteso sanzionare in modo specifico il cosiddetto revenge porn, una delle tante forme di abuso che trovano origine e ragion d’essere nella relazione di coppia. Il termine letteralmente indica la diffusione di immagini intime a scopo di vendetta. Una delle motivazioni più comuni di tale condotta è, infatti, la vendetta del partner dopo la rottura della relazione. Lo stesso termine, però, è utilizzato anche in senso più ampio per indicare offese diverse portate con la stessa modalità.
- LE VICENDE STORICHE ISPIRATRICI
L’intervento legislativo è giunto subito dopo il caso di Tiziana Cantone, che ha avuto una notevole eco nell’opinione pubblica. La donna, dopo la diffusione in Internet contro la sua volontà di alcuni filmati hard di cui era protagonista, era stata oggetto di pesanti e continue offese e aggressioni al suo onore e alla sua reputazione che l’avevano spinta a togliersi la vita il 13 settembre 2016. Il caso aveva rivelato la straordinaria pericolosità del fenomeno, reso incontrollabile dagli strumenti telematici che, non solo rendono pressoché impossibile porre un argine alla diffusione delle immagini e ai commenti, ma consentono anche agli aggressori di colpire in anonimato. Pochi giorni dopo la morte di Tiziana Cantone è stato presentato il primo progetto di legge per l’introduzione di un reato specifico.
Un’altra vicenda, che ha coinvolto la deputata Giulia Sarti, ha ulteriormente accelerato l’iter di approvazione, che si è concluso con la promulgazione della legge 69/2019, nella quale è stato inserito il nuovo reato di cui all’articolo 612-ter c.p.
- IL NUCLEO ESSENZIALE DELLA NORMA
Limitando lo studio agli elementi essenziali contenuti nel primo e secondo comma dell’articolo 612-ter c.p., che rappresentano due reati autonomi, si osserva una struttura complessa e ricca di condizioni, alcune superflue e altre che rischiano di limitarne l’applicazione lasciando a molte condotte simili la sola tutela penale dei “vecchi” reati di diffamazione (art. 595 c.p.), atti persecutori (art. 612-bis c.p.) e diffusione di riprese fraudolente (art. 617-septies c.p.). Tra questi non è più da annoverare il reato previsto dall’articolo 167 d.lgs. 196/2003 (illecito trattamento dei dati personali) completamente ridimensionato dal decreto legislativo 101/2018 che ha adeguato il codice della privacy al nuovo regolamento generale dei dati dell’unione europea sulla protezione dei dai personali (2016/679).
- LA CLAUSOLA DI RISERVA
La disposizione esordisce con l’inciso: “Salvo che il fatto costituisca più grave reato”. Tra i reati più gravi associabili vi è quello di estorsione, che in questo caso assume il nome di sex extortion. Essendo reato contro il patrimonio, però, non pare possa assorbire il reato in esame, con il quale sempre concorrerebbe. L’estorsione, inoltre, si basa comunemente sulla sola minaccia senza diffusione delle immagini e senza violazione, dunque, dell’articolo 612-ter c.p.
La minaccia di diffusione di immagini intime a scopo diverso dall’estorsione, benché potenzialmente produttiva di grave e prolungata sofferenza psicologica, forse avrebbe meritato una previsione speciale, senza la quale resta soggetta alla quasi irrisoria sanzione pecuniaria del primo comma dell’articolo 612 c.p.
Del tutto escluso è l’assorbimento nei reati di violenza sessuale (artt. 609-bis e seguenti c.p.), trattandosi di fatti diversi (violenza / diffusione).
La diffusione di immagini pedopornografiche (art. 600-ter c.p.), invece, è condotta perfettamente sovrapponibile. Tra le due norme incriminatrici, pertanto, vi sarebbe un concorso apparente, che esclude il concorso formale anche in assenza della clausola di riserva.
Il nuovo reato, tuttavia, dà rilevanza penale – ancorché limitata dalla procedibilità a querela – alla diffusione di immagini pedopornografiche autoprodotte (cosiddetti selfie) da parte di chi le riceve e poi le inoltra a terzi senza il consenso della persona ritratta. Tale ulteriore diffusione resta fuori dalla portata dell’articolo 600-ter c.p., che esclude dal proprio campo di applicazione il materiale autoprodotto e cioè realizzato senza “utilizzo” di minori.
La clausola di riserva, invece, opererebbe con i reati di maltrattamenti in famiglia, atti persecutori e istigazione al suicidio aggravata dal suicidio (artt. 572, 612-bis, 580 c.p.), tutti puniti – i primi due grazie all’innalzamento di pena apportato dalla medesima legge 69/2019 – in modo più severo.
La clausola di riserva sembra, dunque, destinata a non avere un esteso campo di applicazione, se non nei casi più gravi, come quello di Tiziana Cantone, con l’effetto – paradossale – di escludere l’applicazione del nuovo reato nei casi più gravi e simili a quello che ne ha ispirato l’introduzione.
La clausola non è replicata al secondo comma, che prevede un reato autonomo, e conseguentemente deve intendersi valere solo per il reato del primo comma.
- LE AZIONI INCRIMINATE
Le azioni incriminate sono indicate con i termini: “invia, consegna, cede, pubblica o diffonde”. L’utilizzo di cinque termini appare da un lato ridondante per l’utilizzo di sinonimi, dall’altro limitativo. Tralasciando il primo problema, va rilevata la mancata considerazione di condotte, del tutto analoghe e altrettanto lesive, come quella di chi, in possesso di immagini sessualmente esplicite, senza il consenso della persona rappresentata le mostra dal proprio dispositivo a uno o più persone determinate. Tale azione senz’altro non rientra nei primi quattro termini, ma non sembra rientrare nemmeno nel concetto di diffusione.
- LA IDENTITÀ DELLA PERSONA RAPPRESENTATA
In mancanza di una specifica disposizione come quella dell’articolo 600-quater1 c.p. (pedopornografia virtuale) non sembra che il reato possa comprendere anche i fotomontaggi e i deepfake. Questi ultimi sono video-montaggi realizzati con programmi di recente creazione e facile accesso, in cui persone reali appaiono compiere azioni e dire cose che non hanno mai fatto o detto. Questa tecnica, già utilizzata nella produzione di materiale pornografico, si presta al revenge porn.
- IL CARATTERE SESSUALMENTE ESPLICITO
La nuova figura di reato richiede che le immagini divulgate abbiano una “contenuto sessualmente esplicito”. Questo è senza dubbio l’elemento della fattispecie dai contorni più sfumati. La giurisprudenza ha già cercato di definirlo con riferimento all’articolo 600-ter c.p., includendo anche la esibizione lasciva dei genitali o della regione pubica o anche della semplice nudità, se idonea a eccitare le pulsioni erotiche del fruitore. Si tratta evidentemente di criteri molto soggettivi poiché la lascivia, come la bellezza, è nell’occhio di chi guarda. Di difficile valutazione è, per esempio, il nudo artistico, nel quale è impossibile separare l’aspetto erotico da quello artistico.
Escluso dall’applicazione della nuova norma è il fenomeno della raccolta, di solito nel deep web e cioè in pagine non accessibili dai comuni motori di ricerca, di immagini neutre, prese anche da social network o in pubblico, di persone ritenute attraenti per caratteristiche fisiche o atteggiamenti. Noto anche in Italia per il caso “Bibbia 3.0”, questo fenomeno è molto pericoloso perché spesso le immagini sono corredate, oltre che da commenti denigratori, da dati personali (nomi, indirizzi e numeri di telefono) che permettono di identificare e rintracciare la persona. Tali immagini, essendo del tutto prive di riferimenti alla sessualità, certamente non ricadono nell’ambito di applicazione dell’articolo 612-ter c.p.
- LA DESTINAZIONE PRIVATA E LA MANCANZA DI CONSENSO
La norma prende in considerazione immagini e video “destinati a rimanere privati” diffusi “senza il consenso delle persone rappresentate”. Le due espressioni sono pressoché equivalenti: attengono entrambe all’atteggiamento psicologico, la prima al tempo precedente e la seconda al momento della diffusione.
Innanzitutto, entrambe non si adattano alle immagini “rubate” in pubblico o comunque all’insaputa della persona ritratta: si può dire che queste abbiano una “destinazione” se le persone ritratte non sono nemmeno a conoscenza della loro esistenza?
Anche sotto il profilo della proava viene da dubitare della opportunità della loro previsione. Se destinazione privata e mancanza di consenso possono essere desunte dal contenuto intimo delle immagini non ve ne è alcuna necessità. Se, poi, possono essere provate con la semplice testimonianza della persona offesa, vale la stessa considerazione. Se, invece, la giurisprudenza dovesse richiedere la prova esplicita e oggettiva (orientamento assai improbabile), la norma incriminatrice verrebbe facilmente paralizzata dalle difese.
- IL DOLO SPECIFICO DEL SECONDO COMMA
Il secondo comma considera la condotta di chi, ricevute le immagini, ulteriormente le “invia, cede…” eccetera.
In questa ipotesi il soggetto commette il reato solo se agisce “al fine di recare nocumento” alla persona rappresentata. Il legislatore non ha ritenuto sufficiente, per dare rilevanza penale alla condotta, la mera consapevolezza di recare nocumento (dolo diretto, che rientra nel dolo generico), ma richiede il dolo specifico e cioè l’intenzione di danneggiare la persona ritratta.
Il dolo specifico mancherà in tutti i casi, che saranno i più frequenti, in cui chi riceve e diffonde le immagini non conosce la persona ritratta oppure, anche conoscendola, le invia a sua volta solo perché le ritiene interessanti.
Il dolo specifico restringe molto l’ambito di applicazione del secondo comma, creando uno squilibrio nella risposta penale tra le due condotte, come dimostra l’esempio che segue. Tizio, partner di Livia e autore delle riprese, invia queste a un’unica persona, l’amico Caio, a scopo esclusivamente ludico. Così facendo commette il reato di cui al primo comma. Caio, anch’egli a scopo esclusivamente ludico, le mette in rete rendendole così accessibili a miliardi di utenti. La condotta di Caio, però, non costituisce il reato di cui al secondo comma perché difetta del dolo specifico.
Il risultato è che, a parità di atteggiamento psicologico, Caio, che commette un danno enormemente maggiore, non è punibile, mentre lo è Tizio, che commette un danno minimo. La reazione penale è tutta condizionata dalla posizione dell’agente: il produttore nonché primo cedente è sanzionato sempre comunque, il cessionario solo se diffonde per danneggiare la persona ritratta. La scelta legislativa mira a tutelare in modo speciale la relazione di coppia, ma è probabilmente dettata anche dalla consapevolezza della impossibilità di identificare e perseguire tutti i cessionari nonché ulteriori cedenti delle immagini.
- PROCEDIBILITÀ
Il quinto comma prevede per entrambi i reati la procedibilità a querela, con alcune deroghe al modello generale sulla falsariga di quanto disposto al precedente articolo 612-bis c.p. (termine di sei mesi, remissione solo processuale). Si procede, invece, l’ufficio “nei casi di cui al quarto comma, nonché”, come disposto al precedente articolo, “quando il fatto è connesso con altro delitto per il quale si procede d’ufficio”.
I casi di cui al quarto comma sono quelli che integrano due aggravanti speciali: quando la vittima è “persona in condizione di inferiorità fisica o psichica” o “una donna in stato di gravidanza”. La ratio del primo caso è quella di tutelare una persona nei confronti della quale il reato è particolarmente odioso e per la quale è più difficile manifestare l’istanza punitiva. Anche nel caso della gravidanza sembra tenere conto del particolare stato di fragilità della persona offesa. Essendo l’aggravante elemento accessorio al fatto-diffusione, infatti, lo stato di gravidanza deve esistere al momento della diffusione e non a quello delle riprese.
Per quanto riguarda la connessione, infine, questa sembra poter riguardare solo il caso della estorsione, poiché per gli altri reati procedibili ufficio (artt. 572, 580 c.p.), come si è detto sopra, l’assorbimento per effetto della clausola di riserva impedisce la contestazione del reato di cui all’articolo 612-ter c.p.
- CONCLUSIONI
La lettura proposta è “al condizionale” per i molteplici nodi interpretativi che la novella contiene e che solo in un futuro non immediato saranno sciolti dalla giurisprudenza. In ogni caso, riteniamo che la nuova fattispecie risenta della vicinanza storica con i gravi fatti che ne hanno indotto la rapida approvazione. Una legge-fotografia rivolta al passato e non in grado di cogliere la varietà e la mutevolezza di un fenomeno dilagante attraverso le infinite applicazioni della tecnologia telematica.
Le considerazioni che precedono sono oggi confermate dalla esperienza della procura presso il tribunale per i minorenni di Trieste. Nel primo anno di applicazione della norma sono stati iscritti soltanto tre procedimenti per il reato di cui all’articolo 612-ter c.p. Tutti hanno riguardato la diffusione non autorizzata di selfie intimi, realizzati senza l’intervento di terzi e volontariamente inviati a persona che, senza il consenso della persona ritratta, li ha poi illecitamente trasmessi ad altre persone. Tale tipo di condotta, come abbiamo meglio spiegato sopra, non aveva una sanzione penale specifica prima dell’introduzione dell’articolo 612-ter del codice penale. Resta, tuttavia, in base alla esperienza di questo ufficio, l’unico per il quale ha finora trovato applicazione il nuovo reato.
Il revenge porn ad un anno dall’entrata in vigore: prime considerazioni
Il 4 agosto dello scorso anno è entrato in vigore l’articolo 615-ter del codice penale, introdotto dalla legge nota come “Codice rosso”, che punisce la diffusione illecita di immagini sessualmente esplicite, il cosiddetto revenge porn.
La nuova fattispecie ha appena superato non solo il primo anno di vita ma anche la prova del lockdown dovuto alla emergenza sanitaria, che ha determinato un aumento esponenziale delle attività, anche illecite, online.
L’analisi della norma, unita a quella della casistica, molto diversificata e sempre in evoluzione, delinea un concreto campo di applicazione della nuova fattispecie di reato molto più limitato rispetto alle aspettative dei suoi promotori e sostenitori.
L’esperienza di questa procura minorile, particolarmente esposta a questi fenomeni criminali per il largo uso che i minorenni fanno degli strumenti telematici, ha per ora confermato le nostre previsioni.
di Leonardo Tamborini, procuratore presso il tribunale per i minorenni di Trieste, e Margherita Simicich, dottore in giurisprudenza
Sommario: 1. La genesi della nuova norma incriminatrice – 2. Le vicende storiche ispiratrici – 3. Il nucleo essenziale della norma – 4. La clausola di riserva – 5. Le azioni incriminate – 6. La identità della persona rappresentata – 7. Il carattere sessualmente esplicito – 8. La destinazione privata e la mancanza di consenso – 9. Il dolo specifico del secondo comma – 10. Procedibilità – 11. Conclusioni
ABSTRACT
La nuova fattispecie di reato ricalca molto fedelmente le vicende di maggiore risonanza mediatica che hanno preceduto la sua formulazione ed emanazione. Tale corrispondenza ha comportato l’inserimento di alcuni elementi essenziali che ne restringono molto il campo di applicazione; restano, infatti, escluse varie forme di offesa realizzate mediante la diffusione di immagini intime, che l’evoluzione degli strumenti di comunicazione per via telematica continuamente amplia e rinnova.
Il reato in esame è inserito nella legge 69/2019 in materia di tutela delle vittime di violenza domestica e di genere. Il legislatore italiano, sollecitato dalle norme sovranazionali e dall’opinione pubblica, così come altri prima di lui, ha inteso sanzionare in modo specifico il cosiddetto revenge porn, una delle tante forme di abuso che trovano origine e ragion d’essere nella relazione di coppia. Il termine letteralmente indica la diffusione di immagini intime a scopo di vendetta. Una delle motivazioni più comuni di tale condotta è, infatti, la vendetta del partner dopo la rottura della relazione. Lo stesso termine, però, è utilizzato anche in senso più ampio per indicare offese diverse portate con la stessa modalità.
L’intervento legislativo è giunto subito dopo il caso di Tiziana Cantone, che ha avuto una notevole eco nell’opinione pubblica. La donna, dopo la diffusione in Internet contro la sua volontà di alcuni filmati hard di cui era protagonista, era stata oggetto di pesanti e continue offese e aggressioni al suo onore e alla sua reputazione che l’avevano spinta a togliersi la vita il 13 settembre 2016. Il caso aveva rivelato la straordinaria pericolosità del fenomeno, reso incontrollabile dagli strumenti telematici che, non solo rendono pressoché impossibile porre un argine alla diffusione delle immagini e ai commenti, ma consentono anche agli aggressori di colpire in anonimato. Pochi giorni dopo la morte di Tiziana Cantone è stato presentato il primo progetto di legge per l’introduzione di un reato specifico.
Un’altra vicenda, che ha coinvolto la deputata Giulia Sarti, ha ulteriormente accelerato l’iter di approvazione, che si è concluso con la promulgazione della legge 69/2019, nella quale è stato inserito il nuovo reato di cui all’articolo 612-ter c.p.
Limitando lo studio agli elementi essenziali contenuti nel primo e secondo comma dell’articolo 612-ter c.p., che rappresentano due reati autonomi, si osserva una struttura complessa e ricca di condizioni, alcune superflue e altre che rischiano di limitarne l’applicazione lasciando a molte condotte simili la sola tutela penale dei “vecchi” reati di diffamazione (art. 595 c.p.), atti persecutori (art. 612-bis c.p.) e diffusione di riprese fraudolente (art. 617-septies c.p.). Tra questi non è più da annoverare il reato previsto dall’articolo 167 d.lgs. 196/2003 (illecito trattamento dei dati personali) completamente ridimensionato dal decreto legislativo 101/2018 che ha adeguato il codice della privacy al nuovo regolamento generale dei dati dell’unione europea sulla protezione dei dai personali (2016/679).
La disposizione esordisce con l’inciso: “Salvo che il fatto costituisca più grave reato”. Tra i reati più gravi associabili vi è quello di estorsione, che in questo caso assume il nome di sex extortion. Essendo reato contro il patrimonio, però, non pare possa assorbire il reato in esame, con il quale sempre concorrerebbe. L’estorsione, inoltre, si basa comunemente sulla sola minaccia senza diffusione delle immagini e senza violazione, dunque, dell’articolo 612-ter c.p.
La minaccia di diffusione di immagini intime a scopo diverso dall’estorsione, benché potenzialmente produttiva di grave e prolungata sofferenza psicologica, forse avrebbe meritato una previsione speciale, senza la quale resta soggetta alla quasi irrisoria sanzione pecuniaria del primo comma dell’articolo 612 c.p.
Del tutto escluso è l’assorbimento nei reati di violenza sessuale (artt. 609-bis e seguenti c.p.), trattandosi di fatti diversi (violenza / diffusione).
La diffusione di immagini pedopornografiche (art. 600-ter c.p.), invece, è condotta perfettamente sovrapponibile. Tra le due norme incriminatrici, pertanto, vi sarebbe un concorso apparente, che esclude il concorso formale anche in assenza della clausola di riserva.
Il nuovo reato, tuttavia, dà rilevanza penale – ancorché limitata dalla procedibilità a querela – alla diffusione di immagini pedopornografiche autoprodotte (cosiddetti selfie) da parte di chi le riceve e poi le inoltra a terzi senza il consenso della persona ritratta. Tale ulteriore diffusione resta fuori dalla portata dell’articolo 600-ter c.p., che esclude dal proprio campo di applicazione il materiale autoprodotto e cioè realizzato senza “utilizzo” di minori.
La clausola di riserva, invece, opererebbe con i reati di maltrattamenti in famiglia, atti persecutori e istigazione al suicidio aggravata dal suicidio (artt. 572, 612-bis, 580 c.p.), tutti puniti – i primi due grazie all’innalzamento di pena apportato dalla medesima legge 69/2019 – in modo più severo.
La clausola di riserva sembra, dunque, destinata a non avere un esteso campo di applicazione, se non nei casi più gravi, come quello di Tiziana Cantone, con l’effetto – paradossale – di escludere l’applicazione del nuovo reato nei casi più gravi e simili a quello che ne ha ispirato l’introduzione.
La clausola non è replicata al secondo comma, che prevede un reato autonomo, e conseguentemente deve intendersi valere solo per il reato del primo comma.
Le azioni incriminate sono indicate con i termini: “invia, consegna, cede, pubblica o diffonde”. L’utilizzo di cinque termini appare da un lato ridondante per l’utilizzo di sinonimi, dall’altro limitativo. Tralasciando il primo problema, va rilevata la mancata considerazione di condotte, del tutto analoghe e altrettanto lesive, come quella di chi, in possesso di immagini sessualmente esplicite, senza il consenso della persona rappresentata le mostra dal proprio dispositivo a uno o più persone determinate. Tale azione senz’altro non rientra nei primi quattro termini, ma non sembra rientrare nemmeno nel concetto di diffusione.
In mancanza di una specifica disposizione come quella dell’articolo 600-quater1 c.p. (pedopornografia virtuale) non sembra che il reato possa comprendere anche i fotomontaggi e i deepfake. Questi ultimi sono video-montaggi realizzati con programmi di recente creazione e facile accesso, in cui persone reali appaiono compiere azioni e dire cose che non hanno mai fatto o detto. Questa tecnica, già utilizzata nella produzione di materiale pornografico, si presta al revenge porn.
La nuova figura di reato richiede che le immagini divulgate abbiano una “contenuto sessualmente esplicito”. Questo è senza dubbio l’elemento della fattispecie dai contorni più sfumati. La giurisprudenza ha già cercato di definirlo con riferimento all’articolo 600-ter c.p., includendo anche la esibizione lasciva dei genitali o della regione pubica o anche della semplice nudità, se idonea a eccitare le pulsioni erotiche del fruitore. Si tratta evidentemente di criteri molto soggettivi poiché la lascivia, come la bellezza, è nell’occhio di chi guarda. Di difficile valutazione è, per esempio, il nudo artistico, nel quale è impossibile separare l’aspetto erotico da quello artistico.
Escluso dall’applicazione della nuova norma è il fenomeno della raccolta, di solito nel deep web e cioè in pagine non accessibili dai comuni motori di ricerca, di immagini neutre, prese anche da social network o in pubblico, di persone ritenute attraenti per caratteristiche fisiche o atteggiamenti. Noto anche in Italia per il caso “Bibbia 3.0”, questo fenomeno è molto pericoloso perché spesso le immagini sono corredate, oltre che da commenti denigratori, da dati personali (nomi, indirizzi e numeri di telefono) che permettono di identificare e rintracciare la persona. Tali immagini, essendo del tutto prive di riferimenti alla sessualità, certamente non ricadono nell’ambito di applicazione dell’articolo 612-ter c.p.
La norma prende in considerazione immagini e video “destinati a rimanere privati” diffusi “senza il consenso delle persone rappresentate”. Le due espressioni sono pressoché equivalenti: attengono entrambe all’atteggiamento psicologico, la prima al tempo precedente e la seconda al momento della diffusione.
Innanzitutto, entrambe non si adattano alle immagini “rubate” in pubblico o comunque all’insaputa della persona ritratta: si può dire che queste abbiano una “destinazione” se le persone ritratte non sono nemmeno a conoscenza della loro esistenza?
Anche sotto il profilo della proava viene da dubitare della opportunità della loro previsione. Se destinazione privata e mancanza di consenso possono essere desunte dal contenuto intimo delle immagini non ve ne è alcuna necessità. Se, poi, possono essere provate con la semplice testimonianza della persona offesa, vale la stessa considerazione. Se, invece, la giurisprudenza dovesse richiedere la prova esplicita e oggettiva (orientamento assai improbabile), la norma incriminatrice verrebbe facilmente paralizzata dalle difese.
Il secondo comma considera la condotta di chi, ricevute le immagini, ulteriormente le “invia, cede…” eccetera.
In questa ipotesi il soggetto commette il reato solo se agisce “al fine di recare nocumento” alla persona rappresentata. Il legislatore non ha ritenuto sufficiente, per dare rilevanza penale alla condotta, la mera consapevolezza di recare nocumento (dolo diretto, che rientra nel dolo generico), ma richiede il dolo specifico e cioè l’intenzione di danneggiare la persona ritratta.
Il dolo specifico mancherà in tutti i casi, che saranno i più frequenti, in cui chi riceve e diffonde le immagini non conosce la persona ritratta oppure, anche conoscendola, le invia a sua volta solo perché le ritiene interessanti.
Il dolo specifico restringe molto l’ambito di applicazione del secondo comma, creando uno squilibrio nella risposta penale tra le due condotte, come dimostra l’esempio che segue. Tizio, partner di Livia e autore delle riprese, invia queste a un’unica persona, l’amico Caio, a scopo esclusivamente ludico. Così facendo commette il reato di cui al primo comma. Caio, anch’egli a scopo esclusivamente ludico, le mette in rete rendendole così accessibili a miliardi di utenti. La condotta di Caio, però, non costituisce il reato di cui al secondo comma perché difetta del dolo specifico.
Il risultato è che, a parità di atteggiamento psicologico, Caio, che commette un danno enormemente maggiore, non è punibile, mentre lo è Tizio, che commette un danno minimo. La reazione penale è tutta condizionata dalla posizione dell’agente: il produttore nonché primo cedente è sanzionato sempre comunque, il cessionario solo se diffonde per danneggiare la persona ritratta. La scelta legislativa mira a tutelare in modo speciale la relazione di coppia, ma è probabilmente dettata anche dalla consapevolezza della impossibilità di identificare e perseguire tutti i cessionari nonché ulteriori cedenti delle immagini.
Il quinto comma prevede per entrambi i reati la procedibilità a querela, con alcune deroghe al modello generale sulla falsariga di quanto disposto al precedente articolo 612-bis c.p. (termine di sei mesi, remissione solo processuale). Si procede, invece, l’ufficio “nei casi di cui al quarto comma, nonché”, come disposto al precedente articolo, “quando il fatto è connesso con altro delitto per il quale si procede d’ufficio”.
I casi di cui al quarto comma sono quelli che integrano due aggravanti speciali: quando la vittima è “persona in condizione di inferiorità fisica o psichica” o “una donna in stato di gravidanza”. La ratio del primo caso è quella di tutelare una persona nei confronti della quale il reato è particolarmente odioso e per la quale è più difficile manifestare l’istanza punitiva. Anche nel caso della gravidanza sembra tenere conto del particolare stato di fragilità della persona offesa. Essendo l’aggravante elemento accessorio al fatto-diffusione, infatti, lo stato di gravidanza deve esistere al momento della diffusione e non a quello delle riprese.
Per quanto riguarda la connessione, infine, questa sembra poter riguardare solo il caso della estorsione, poiché per gli altri reati procedibili ufficio (artt. 572, 580 c.p.), come si è detto sopra, l’assorbimento per effetto della clausola di riserva impedisce la contestazione del reato di cui all’articolo 612-ter c.p.
La lettura proposta è “al condizionale” per i molteplici nodi interpretativi che la novella contiene e che solo in un futuro non immediato saranno sciolti dalla giurisprudenza. In ogni caso, riteniamo che la nuova fattispecie risenta della vicinanza storica con i gravi fatti che ne hanno indotto la rapida approvazione. Una legge-fotografia rivolta al passato e non in grado di cogliere la varietà e la mutevolezza di un fenomeno dilagante attraverso le infinite applicazioni della tecnologia telematica.
Le considerazioni che precedono sono oggi confermate dalla esperienza della procura presso il tribunale per i minorenni di Trieste. Nel primo anno di applicazione della norma sono stati iscritti soltanto tre procedimenti per il reato di cui all’articolo 612-ter c.p. Tutti hanno riguardato la diffusione non autorizzata di selfie intimi, realizzati senza l’intervento di terzi e volontariamente inviati a persona che, senza il consenso della persona ritratta, li ha poi illecitamente trasmessi ad altre persone. Tale tipo di condotta, come abbiamo meglio spiegato sopra, non aveva una sanzione penale specifica prima dell’introduzione dell’articolo 612-ter del codice penale. Resta, tuttavia, in base alla esperienza di questo ufficio, l’unico per il quale ha finora trovato applicazione il nuovo reato.
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La Consulta si pronuncia sulla incompatibilità del G.i.p. a pronunciarsi sulla nuova richiesta di decreto penale di condanna: inammissibili le q.l.c.
Sospensione della pena e non menzione della condanna nel casellario: illegittimità costituzionale parziale.
Foglio di via del Questore: per la Consulta non è necessaria la convalida del giudice.
La Consulta sull’obbligo di testimoniare del prossimo congiunto dell’imputato che sia persona offesa dal reato.
La Consulta si pronuncia sulla incompatibilità del G.i.p. a pronunciarsi sulla nuova richiesta di decreto penale di condanna: inammissibili le q.l.c.
Sospensione della pena e non menzione della condanna nel casellario: illegittimità costituzionale parziale.
Foglio di via del Questore: per la Consulta non è necessaria la convalida del giudice.