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Imputato in fuga: effettività di conoscenza del giudizio e condizioni per un nuovo processo

            Decidendo su di un rinvio pregiudiziale della Procura specializzata della Bulgaria, con riferimento al processo in contumacia (assenza), la  Corte di Giustizia IV Sezione 19 maggio 2022, nella causa C – 569/20 ha stabilito che “gli articoli 8 e 9 della direttiva UE 2016/343 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 9 marzo 2016, sul rafforzamento di alcuni aspetti della presunzione di innocenza e del diritto di presenziare al processo nei procedimenti penali, devono essere interpretati nel senso che un imputato che le autorità nazionali competenti, nonostante i loro ragionevoli sforzi, non riescono a rintracciare e al quale dette autorità non sono riuscite, per tale motivo, a comunicare le informazioni sul processo svolto nei suoi confronti, può essere oggetto di un processo e, se del caso, di una condanna in contumacia, ma deve in tale caso, in linea di principio, avere la possibilità, a seguito della notifica di tale condanna, di far valere direttamente il diritto, riconosciuto da tale direttiva, di ottenere la riapertura del processo o l’accesso a un mezzo di ricorso giurisdizionale equivalente che conduca ad un nuovo esame del merito della causa in sua presenza. Tale diritto può tuttavia essere negato a detto imputato qualora da indizi precisi e oggettivi risulti che quest’ultimo ha ricevuto informazioni sufficienti per essere a conoscenza del fatto che si sarebbe svolto un processo nei suoi confronti e, con atti deliberati e al fine di sottrarsi all’azione della giustizia, ha impedito alle autorità di informarlo ufficialmente di tale processo.

            Ancorché al punto 28 la Corte precisi che l’art. 8 paragrafo 4 e l’art. 9 della citata direttiva UE 2016/343, relativa alla presunzione di innocenza e al diritto dell’imputato di partecipare personalmente al processo, enuncino in modo incondizionato e sufficientemente preciso l’ambito del diritto ad un nuovo processo, sicché  “le stesse devono essere considerate come aventi efficacia diretta” e “chiunque abbia diritto a un nuovo processo può opporre tale diritto allo Stato membro interessato, dinanzi ad un giudice nazionale, sia quando lo Stato membro abbia omesso di trasporre tale direttiva nell’ordinamento giuridico nazionale entro i termini imputatigli, sia quando l’abbia recepita in modo non corretto”, il dato resta subordinato al mancato rispetto delle condizioni di cui al paragrafo 2 dell’art. 8 della stessa direttiva, cioè, al mancato rispetto delle condizioni in presenza delle quali il procedimento si può considerare legittimamente celebrato.

            Sotto questo profilo, anche in considerazione del fatto che il tema, come emerge dalla stessa situazione del processo all’imputato I.R., si presta a molte possibili “variabili”, l’elemento di fondo è costituito dalla necessità che l’imputato sia informato, con congruo tempo rispetto alla celebrazione del giudizio, dell’accusa elevata a suo carico.

            A tale proposito, secondo i giudici europei, anche un atto invalido, per ragioni formali, cioè, non legate all’accusa, ancorché successivamente reiterato e non conosciuto dall’imputato, potrebbe essere considerato adeguato. Invero, questo aspetto suscita non poche riserve, perché se pur l’imputato/indagato sa di essere tale, non è in grado di conoscere il giorno dell’udienza.

            Si ha la sensazione che la conoscenza della sottoposizione a processo nella visione europea implichi doveri comportamentali a carico dell’imputato ispirati alla correttezza e lealtà. Il dato emerge dai riferimenti ad atti “volontariamente”,  “spontaneamente” e “deliberatamente” intesi alla sottrazione al processo.

            La conclusione sembra trovare riscontro in quei “passaggi” della decisione nei quali si evidenzia il comportamento manipolativo dell’imputato: mancate comunicazioni e false indicazioni del luogo dove possa essere rintracciato.

            L’elemento è ulteriormente confermato dal riferimento alla volontaria sottrazione al processo, come nel caso della latitanza, cioè, nel caso del soggetto che si sia dato alla fuga, intesa in senso ampio.

            Anche relativamente alla nomina del difensore d’ufficio, la decisione pare distinguere tra le situazioni di conoscenza iniziale (il mandato) e gli sviluppi successivi ritenuti irrilevanti, come nel caso di un marcato successivo contatto, risultando sufficiente il primo elemento.

            In altri termini, se è vero che l’imputato ha diritto alla conoscenza del processo (ed alla partecipazione, con la conseguenza di poter usufruire, una volta raggiunto dal procedimento esecutivo, di un nuovo processo, di cui il giudice definirà, sotto il profilo dei gradi e della rinnovazione probatoria le condizioni, tuttavia questo “diritto” va bilanciato da un dovere di lealtà processuale, non potendo la funzione giurisdizionale essere condizionata da atteggiamenti che ne pregiudicano la funzione.

            Non è chiaro, mancando il dato, come sembra trasparire però dalla motivazione, se basti un’informativa iniziale ovvero se il dato conoscitivo debba essere reiterato.

            La prima chiave di lettura sembrerebbe questa privilegiata dai giudici europei, anche se non si manca di sottolineare che lo Stato debba mettere in campo concretamente “ragionevoli” sforzi per portare comunque l’imputato a conoscenza del processo, tenendo anche conto di eventuali particolari condizioni di vulnerabilità dei destinatari (minori, soggetti con patologie mentali e fisiche).

            Un’opera di bilanciamento tra esigenze di tutela della collettività e diritti soggettivi, di cui il giudice richiesto della rinnovazione dovrà farsi carico con la sua decisione.

            Com’è noto, sulla tematica attualmente delineata dagli artt. 420 bis – 420 quinquies c.p.p. in relazione al procedimento in assenza (come interpretati da Cass., Sez. un. 17 aprile 2020, n. 23948) e dall’art. 629 bis c.p.p. (come riformato dalla l. n. 103 del 2017 che ha abrogato l’art. 625 ter c.p.p.) relativamente alla rescissione del giudicato, dovrebbero intervenire nuove previsioni in attuazione della l. delega n. 1234 del 2021 (c.d. riforma Cartabia) secondo le direttive di cui all’art. 1 commi 6 e 7.

            Proprio al fine di dare attuazione alla citata direttiva UE 2016/343, in breve sintesi il legislatore dovrà prevedere oneri informativi e comportamentali a carico dell’imputato al fine di rendere garantite le notificazioni che lo riguardano (comma 6, lett. a, b, c) nonché, ai fini del riconoscimento della condizione di assenza, che questa sia possibile solo quando sussistano elementi idonei a dare certezza del fatto che egli è a conoscenza della pendenza del processo e che la sua assenza è dovuta a una sua scelta volontaria e consapevole (comma 7, lett. a, b, c, d).

            A completamento di quanto detto si prevede altresì che – da un lato – in caso di accertamento dell’impossibilità di procedere in assenza sia pronunciata sentenza inappellabile di non doversi procedere, siano continuate le ricerche, sia riavviato il procedimento ove venga riaperto (comma 7, lett. e) e dall’altro prevedere l’introduzione di una disciplina derogatoria dei rimedi successivi a favore dell’imputato e del condannato in assenza in mancanza di una effettiva conoscenza del procedimento (comma 7, lett. g (così espressamente specificato, proprio in relazione a quanto previsto dalla direttiva europea).

            Va significativamente sottolineata, sempre nella prospettiva qui considerata, anche la direttiva di cui all’art. 1, comma 7, lett. h della cit. l. n. 134 del 2021 ove si prevede – proprio al fine di evitare il rischio della mancata conoscenza del procedimento – che il difensore dell’imputato assente possa proporre impugnazione solo se munito di specifico mandato rilasciato dopo la pronuncia della sentenza e si prevede che con lo specifico mandato ad impugnare l’imputato dichiari o elegga il domicilio per il giudizio di impugnare, nonché si preveda per il difensore dell’imputato assente un ampliamento del termine per impugnare.

            In termini più generali, sempre al fine di evitare il rischio della rescissione del giudicato per mancata conoscenza del procedimento di impugnazione l’art. 1 comma 13 lett. a prevede che “con riferimento al soggetto assente, si debba stabilire che con l’atto di impugnazione, a pena di inammissibilità, sia depositata dichiarazione o elezione di domicilio ai fini della notificazione dell’atto introduttivo del giudizio di impugnazione”.

            Va sottolineato che il reiterato riferimento (insistito) nella motivazione alla figura del latitante sembra trascendere i puntuali riferimenti dell’impostazione codicistica del nostro sistema processuale prospettando una dimensione più larga riconducibili alla figura del “fuggitivo”, del soggetto “in fuga”, cioè del soggetto che volontariamente si sottrae al processo.

            Anche per questa ragione, nel considerare la posizione dell’assente, la citata legge delega prevede all’art. 1, comma 7, lett. f, una disciplina derogatoria per il processo nei confronti dell’imputato latitante, consentendo di procedere in sua assenza anche quando non si abbia certezza dell’effettiva conoscenza della citazione a giudizio e della rinuncia dell’imputato al suo diritto a comparire al dibattimento, stante la possibilità di un rimedio successivo ai sensi della lett. g); rivedere la disciplina della latitanza, di cui agli artt. 295 e 296 c.p.p., al fine di assicurare che la dichiarazione di latitanza sia sorretta da specifica motivazione circa l’effettiva conoscenza della  misura cautelare e la volontà del destinatario di sottrarvisi.

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