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Sulla inammissibilità delle impugnazioni via pec

La notizia della decisione adottata dalla prima sezione penale della Corte di Cassazione era stata pubblicata tempestivamente in quanto relativa ad una questione nuova, ed aveva subito suscitato fibrillazione e scalpore.

Alla questione “se, sotto il vigore dell’art. 24 decreto-legge 28 ottobre 2020, n. 137, sia ammissibile la proposizione tramite posta elettronica certificata di motivi nuovi ex art. 585, comma 4, e 311, comma 4, c.p.p.” è stata data risposta negativa.

La soluzione: “in considerazione della natura tassativa delle modalità di presentazione delle impugnazioni nonché in mancanza della previsione, nel decreto direttoriale previsto dall’art. 24, comma 4 DL n. 137 del 2020 emesso dal direttore generale dei sistemi informativi automatizzati in data 2/11/2020, dell’indirizzo elettronico abilitato alla ricezione e delle specifiche tecniche relative ai formati degli atti che possono essere trasmessi tramite PEC.”

Pubblichiamo oggi la motivazione che non mancherà di alimentare ulteriormente le incertezze legate alle disposizioni emergenziali emanate nel decreto “Ristori”.

  1. La decisione rimarca la giurisprudenza in tema di inammissibilità di impugnazioni e motivi nuovi ed il principio di tassatività e inderogabilità delle forme previste dal codice.
  2. Viene poi richiamato il decreto-legge sulla digitalizzazione (n. 193 del 2009), norma primaria, che escludeva la diretta applicazione nel processo penale del Codice dell’amministrazione digitale (CAD) approvato con d.lgs. n. 28 del 2005.
  3. Inoltre, poiché la questione della identificazione del sottoscrittore dell’atto rileva ai fini della legittimazione a proporre l’impugnazione, la Corte afferma che “la posta elettronica certificata non attribuisce la paternità del documento trasmesso, svolgendo unicamente la funzione di certificare la provenienza del messaggio dalla casella di posta del mittente e la ricezione di esso da parte del destinatario”.
  4. A prescindere da tali rilievi, viene poi esaminata la normativa d’urgenza posta in essere per fronteggiare l’emergenza epidemiologica da COVID-19; in particolare l’art. 24  D.L. 137/2020 relativo al deposito degli atti.
  • Il dato più rilevante è che la Corte conclude nel senso che la disposizione concernente il deposito telematico è rivolta espressamente al solo settore penale e, in particolare, al deposito degli atti relativi alla fase ex art. 415-bis cod. proc. pen. presso gli uffici della Procura della Repubblica a ciò abilitati.
  • Ambito di applicazione. Interrogandosi, poi su quale sia il significato e la portata dei commi 4 e 5 dell’art. 24 citato che sembrano invece consentire il deposito di «tutti gli atti, documenti e istanze comunque denominati» mediante posta elettronica certificata, la Corte ritiene che la disposizione derogatoria sia da intendersi applicabile soltanto per il deposito negli (altri) uffici della Procura che non siano dotati del portale.

In proposito afferma che “se il legislatore avesse voluto prevedere l’uso della pec come modalità di deposito generalizzata di tutti gli atti del processo penale a qualunque ufficio indirizzati, avrebbe manifestato in modo chiaro tale volontà, anteponendo le norme contenute nei commi 4 e 5 dell’art. 24 DL n. 137 del 2020 alla modalità di deposito tramite portale, che rivestirebbe perciò applicazione residuale, sia con riferimento alla tipologia di ufficio cui si riferisce (alcuni uffici di Procura), sia con riguardo alla elencazione degli atti oggetto di deposito telematico (solo quelli della fase ex art. 415-bis cod. proc. pen.)”.

La decisione, resa all’udienza in data 3 novembre 2020, precede la pubblicazione del provvedimento del direttore generale dei sistemi informativi del ministero della giustizia, pure previsto dalla norma, tuttavia la motivazione dubita che un provvedimento dirigenziale di natura tecnica possa derogare a precise previsioni di rango primario che regolano il deposito di significativi atti del processo penale.

  1. La motivazione si sofferma, quindi, sulla gerarchia delle fonti (al punto 2.5.1) rilevando come la disposizione di livello primario (art. 4 DL n. 193 del 2009) non risulta espressamente derogata, quanto all’uso della pec, dal DL n. 137 del 2020.

Le previsioni contenute nelle norme emergenziali, secondo la decisione in commento non esplicano efficacia derogatoria, né, tanto meno, si potrebbe attribuire alcun raggio di azione al provvedimento emesso dall’autorità tecnica che intervenga in questa materia.

  • Tipologia di atti. Infine, dunque, l’unico ambito di applicazione della previsione normativa d’urgenza sarebbe costituito dalla regolamentazione delle modalità di deposito degli atti di parte per i quali il codice di rito non disponga modalità e forme particolari.
  1. L’argomento successivo, da considerarsi ulteriore rispetto alle motivazioni precedenti, riguarda il difetto di una previsione normativa che, in deroga al codice di rito consenta di attribuire valore legale agli atti trasmessi con la pec, non essendo state emanate (alla data della decisione) le specifiche chiamate ad abilitare, tra l’altro, l’uso della firma digitale in modo da assicurare la provenienza certa dell’atto dal soggetto di cui deve essere verificata la legittimazione a proporre impugnazione.

La decisione affronta una puntuale disamina delle disposizioni in materia concludendo che, inoltre, non risulta allo stato individuato, per la maggior parte degli uffici giudiziari penali, l’archivio elettronico e i sistemi di gestione documentale per l’inserimento e la conservazione dell’atto telematico.

Appare evidente che la decisione sia destinata ad ulteriori approfondimenti ed auspicabili chiarimenti normativi. La soluzione anticipata dalla sentenza in esame sembra finalizzata a prevenire possibili ulteriori conseguenze derivanti, non solo dalla situazione emergenziale, ma, soprattutto, dalle enigmatiche disposizioni normative adottate sino ad ora.

Cass. sez. 1 penale n. 32566/2020

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