1.
E’ prepotentemente tornato di attualità il tema dell’informazione giudiziaria relativa al processo penale.
La materia è declinabile da varie prospettive che pur nella loro diversità di rilievo e di incidenza, di contenuti e di effetti diretti e collaterali, inevitabilmente finiscono per confluire sull’attività del giudice che dovrà pronunciarsi sulla vicenda giudiziaria.
2.
In primo luogo, vanno considerate le esternazioni dei pubblici ministeri titolari delle indagini attraverso le quali si diffondono in termini più o meno dettagliati i profili soggettivi ed oggettivi dell’inchiesta, delineandone i contorni, i contenuti, gli elementi di supporto. Senza sottolineare ulteriori profili patologici di queste esternazioni che richiamano il ruolo dell’accusa e disegnano gli scenari a supporto della colpevolezza, si tratta di una attività destinata ad orientare l’opinione pubblica così da rafforzare il sentimento di sicurezza dei cittadini.
Spesso questa attività di informazione è accompagnata, a volte preceduta, da informazioni sulle indagini della polizia giudiziaria. In quest’ultimo caso è messo in bella mostra il materiale sequestrato, viene rappresentata l’organizzazione criminale attraverso la fotografia degli arrestati ed i loro collegamenti. Il tutto si fregia del logo della singola autorità di p.g. che ha effettuato le indagini.
La questione, già discutibile in relazione all’attività del crimine organizzato diventa fortemente invasiva se si tratta di indicazioni orientate a cerchie ristrette di persone, quando non a singole persone, con riferimento a reati comuni ancorché particolarmente gravi.
Il diritto di informazione e di cronaca, sicuramente necessari in una società democratica, non può diventare l’alibi per l’esposizione mediatica dell’ufficio di procura e dell’attività degli organi investigativi.
Sono stati individuati dal Consiglio Superiore della Magistratura strumenti e mezzi attraverso i quali fornire all’opinione pubblica una corretta e sobria informazione di episodi di criminalità che per la loro rilevanza possono richiedere un supporto informativo.
Si ha la sensazione, tuttavia, che nel valutare i comportamenti che si collocano fuori dal perimetro di una informazione rispettosa dei diritti della presunzione di innocenza, dal riservo delle ulteriori indagini e dal ruolo di garanzia del giudice, non sempre – come recenti episodi hanno evidenziato – le valutazioni degli organismi di controllo siano rette da criteri oggettivi e trasparenti.
In questo contesto, non possono non segnalarsi le implicazioni della qualificazione giuridica del fatto che il pubblico ministero attribuisce al supposto reato, con tutte le conseguenze che ciò determina.
Inevitabilmente, tutto questo risulta fortemente condizionato dall’attività di polizia giudiziaria e dell’organo di accusa e dalla ridotta e mirata selezione del materiale investigativo.
Non mancano, peraltro, anche iniziative degli uffici di procura, come nel caso Bossetti, della completa illustrazione posteriore alla sentenza irrevocabile delle attività di indagine svolte, dei suoi protagonisti e comprimari, dei loro esiti e delle tecniche usate nonché delle dichiarazioni dei soggetti (persone informate) coinvolti.
3.
Il secondo profilo da prendere in considerazione riguarda la diffusione di notizie che dovrebbero rimanere coperte dal segreto, sia che riguardino l’imputato, sia soggetti terzi estranei.
Sul punto basterebbe ricordare che l’art. 111 Cost. prevede che dell’accusa l’imputato debba essere informato riservatamente e l’art. 369 c.p.p. dispone che l’informazione di garanzia sia inviata in busta chiusa raccomandata.
Andrebbero ricordate le disposizioni agli artt. 114 e 115 c.p.p., nonché la disciplina del segreto investigativo di cui all’art. 329 c.p.p., nonché la recente riforma in tema di intercettazioni telefoniche. Si considerino le affermazioni della recente decisione della Corte di Giustizia (relativa ad un caso estone) attinente all’acquisizione dei tabulati telefonici e telematici. Si potrebbe richiamare la disciplina della tutela della riservatezza in relazione ai dati sensibili.
Elementi tutti suscettibili di un ulteriore rafforzamento nel caso in cui – come anticipato – possono riguardare soggetti estranei alle indagini.
Com’è noto, si trattava e si tratta di elementi incidenti anche sulla impostazione bifasica del processo, a tutela della formazione della prova nel dibattimento, sulla garanzia della “verginità” dell’organo giudicante, come emerge dalla disciplina della formazione dei fascicoli (artt. 431 e 433 c.p.p.). Naturalmente questi fatti finiscono per avere significative ricadute umane, sociali, economiche di grave impatto.
Il dato si raccorda anche alle limitate capacità difensive che nella fase procedimentale caratterizzano il ruolo della difesa.
Il dato si raccorda anche con i limiti dei poteri di controllo da parte del giudice, che privo di propri poteri probatori si limiterà al controllo esterno del materiale raccolto e (sapientemente) selezionato e configurato in funzione di sostegno all’accusa.
4.
Il tema coinvolge anche un terzo aspetto: quello legato alle implicazioni del c.d. processo mediatico, quello che si celebra parallelamente a quello delle indagini, del dibattimento e della fase delle impugnazioni.
Invero, sono molte le situazioni che, nell’epoca della comunicazione molto stratificata e diffusa, si interessano delle vicende processuali dando spazio alle vittime, alle persone offese ed agli imputati/indagati.
In tal modo si celebrano, si approfondiscono, si rivivono nei giornali e nelle televisioni le vicende processuali, con l’obiettivo preliminare di influenzare gli orientamenti dell’opinione pubblica e forse anche quello dei giudicanti.
Sono molti gli elementi e le modalità attraverso i quali queste attività si estrinsecano: riproduzione della scena del crimine, criminologi che si confrontano, consulenze tecniche di conforto o di confutazione di quanto sembrerebbe emergere dall’informazione giudiziaria, più o meno orientate dagli organi inquirenti.
Il dato si accentua con la reiterazione delle azioni nei passaggi rilevanti delle cadenze processuali, anche attraverso le mobilitazioni dei media e a volte delle stesse vittime e delle persone sopravvissute.
Queste vicende che spesso si sostanziano anche in manifestazioni di solidarietà alle vittime e di demonizzazione degli accusati-colpevoli, in spregio molto spesso per le loro modalità aggressive, al principio della presunzione di innocenza.
5.
I riferiti elementi inevitabilmente sia singolarmente considerati, sia complessivamente valutati, finiscono per condizionare, rectius possono, meglio ancora, potrebbero condizionare le determinazioni del giudice.
Si tratta delle devastanti conseguenze dell’alterazione dei corretti percorsi processuali legati all’attività del pubblico ministero che non sappia conservare la regolarità dei comportamenti, ovvero di esercitarli con sobrietà, nonché dalla patologica diffusione degli atti di indagine, nel corso della indagine nonché in epoca antecedente al dibattimento.
Invero, non è difficile capire, il quantum di pressione psicologica e di condizionamento che tutto ciò può determinare.
Non è poi agevole capire in quale misura tutto ciò si possa determinare o si sia determinato nella singola decisione.
Il problema va visto da un’altra prospettiva, cioè, quella nella quale il giudice vada di contrario avviso rispetto all’impostazione dell’accusa, la quale si interrogherà sul senso di quelle pronunce.
Da questa prospettiva, si innestano effetti sull’immagine della giustizia penale e sulla sua percezione da parte dell’opinione pubblica.
Per un verso, infatti, il fatto determinerà un senso di sconcerto nella pubblica opinione e per un altro un senso di rigetto e frustrazione da parte delle vittime che ritengano trattarsi di giustizia negata.
Il dato si è di recente plasticamente evidenziato con il comunicato del Collegio della Cassazione che – in relazione al processo di Viareggio – ha indotto la Corte a precisare – in termini rigorosamente giuridici – il preciso significato della propria decisione, così da chiarire il senso del pronunciamento, offrendo un contributo interpretativo e chiarificatore della propria decisione.
Più complessa (e forse inopportuna), invece, una replica del tribunale della libertà o del giudice per le indagini preliminari con la quale si prospetterebbe una precisazione nei confronti delle iniziative incaute e/o infondate dell’accusa. Oltre alle già viste allusioni anticipate dall’accusa, si innesterebbero non poche tensioni fra gli organi di cui il nostro sistema giustizia non ha bisogno.
Informazione giudiziaria relativa al processo penale
1.
E’ prepotentemente tornato di attualità il tema dell’informazione giudiziaria relativa al processo penale.
La materia è declinabile da varie prospettive che pur nella loro diversità di rilievo e di incidenza, di contenuti e di effetti diretti e collaterali, inevitabilmente finiscono per confluire sull’attività del giudice che dovrà pronunciarsi sulla vicenda giudiziaria.
2.
In primo luogo, vanno considerate le esternazioni dei pubblici ministeri titolari delle indagini attraverso le quali si diffondono in termini più o meno dettagliati i profili soggettivi ed oggettivi dell’inchiesta, delineandone i contorni, i contenuti, gli elementi di supporto. Senza sottolineare ulteriori profili patologici di queste esternazioni che richiamano il ruolo dell’accusa e disegnano gli scenari a supporto della colpevolezza, si tratta di una attività destinata ad orientare l’opinione pubblica così da rafforzare il sentimento di sicurezza dei cittadini.
Spesso questa attività di informazione è accompagnata, a volte preceduta, da informazioni sulle indagini della polizia giudiziaria. In quest’ultimo caso è messo in bella mostra il materiale sequestrato, viene rappresentata l’organizzazione criminale attraverso la fotografia degli arrestati ed i loro collegamenti. Il tutto si fregia del logo della singola autorità di p.g. che ha effettuato le indagini.
La questione, già discutibile in relazione all’attività del crimine organizzato diventa fortemente invasiva se si tratta di indicazioni orientate a cerchie ristrette di persone, quando non a singole persone, con riferimento a reati comuni ancorché particolarmente gravi.
Il diritto di informazione e di cronaca, sicuramente necessari in una società democratica, non può diventare l’alibi per l’esposizione mediatica dell’ufficio di procura e dell’attività degli organi investigativi.
Sono stati individuati dal Consiglio Superiore della Magistratura strumenti e mezzi attraverso i quali fornire all’opinione pubblica una corretta e sobria informazione di episodi di criminalità che per la loro rilevanza possono richiedere un supporto informativo.
Si ha la sensazione, tuttavia, che nel valutare i comportamenti che si collocano fuori dal perimetro di una informazione rispettosa dei diritti della presunzione di innocenza, dal riservo delle ulteriori indagini e dal ruolo di garanzia del giudice, non sempre – come recenti episodi hanno evidenziato – le valutazioni degli organismi di controllo siano rette da criteri oggettivi e trasparenti.
In questo contesto, non possono non segnalarsi le implicazioni della qualificazione giuridica del fatto che il pubblico ministero attribuisce al supposto reato, con tutte le conseguenze che ciò determina.
Inevitabilmente, tutto questo risulta fortemente condizionato dall’attività di polizia giudiziaria e dell’organo di accusa e dalla ridotta e mirata selezione del materiale investigativo.
Non mancano, peraltro, anche iniziative degli uffici di procura, come nel caso Bossetti, della completa illustrazione posteriore alla sentenza irrevocabile delle attività di indagine svolte, dei suoi protagonisti e comprimari, dei loro esiti e delle tecniche usate nonché delle dichiarazioni dei soggetti (persone informate) coinvolti.
3.
Il secondo profilo da prendere in considerazione riguarda la diffusione di notizie che dovrebbero rimanere coperte dal segreto, sia che riguardino l’imputato, sia soggetti terzi estranei.
Sul punto basterebbe ricordare che l’art. 111 Cost. prevede che dell’accusa l’imputato debba essere informato riservatamente e l’art. 369 c.p.p. dispone che l’informazione di garanzia sia inviata in busta chiusa raccomandata.
Andrebbero ricordate le disposizioni agli artt. 114 e 115 c.p.p., nonché la disciplina del segreto investigativo di cui all’art. 329 c.p.p., nonché la recente riforma in tema di intercettazioni telefoniche. Si considerino le affermazioni della recente decisione della Corte di Giustizia (relativa ad un caso estone) attinente all’acquisizione dei tabulati telefonici e telematici. Si potrebbe richiamare la disciplina della tutela della riservatezza in relazione ai dati sensibili.
Elementi tutti suscettibili di un ulteriore rafforzamento nel caso in cui – come anticipato – possono riguardare soggetti estranei alle indagini.
Com’è noto, si trattava e si tratta di elementi incidenti anche sulla impostazione bifasica del processo, a tutela della formazione della prova nel dibattimento, sulla garanzia della “verginità” dell’organo giudicante, come emerge dalla disciplina della formazione dei fascicoli (artt. 431 e 433 c.p.p.). Naturalmente questi fatti finiscono per avere significative ricadute umane, sociali, economiche di grave impatto.
Il dato si raccorda anche alle limitate capacità difensive che nella fase procedimentale caratterizzano il ruolo della difesa.
Il dato si raccorda anche con i limiti dei poteri di controllo da parte del giudice, che privo di propri poteri probatori si limiterà al controllo esterno del materiale raccolto e (sapientemente) selezionato e configurato in funzione di sostegno all’accusa.
4.
Il tema coinvolge anche un terzo aspetto: quello legato alle implicazioni del c.d. processo mediatico, quello che si celebra parallelamente a quello delle indagini, del dibattimento e della fase delle impugnazioni.
Invero, sono molte le situazioni che, nell’epoca della comunicazione molto stratificata e diffusa, si interessano delle vicende processuali dando spazio alle vittime, alle persone offese ed agli imputati/indagati.
In tal modo si celebrano, si approfondiscono, si rivivono nei giornali e nelle televisioni le vicende processuali, con l’obiettivo preliminare di influenzare gli orientamenti dell’opinione pubblica e forse anche quello dei giudicanti.
Sono molti gli elementi e le modalità attraverso i quali queste attività si estrinsecano: riproduzione della scena del crimine, criminologi che si confrontano, consulenze tecniche di conforto o di confutazione di quanto sembrerebbe emergere dall’informazione giudiziaria, più o meno orientate dagli organi inquirenti.
Il dato si accentua con la reiterazione delle azioni nei passaggi rilevanti delle cadenze processuali, anche attraverso le mobilitazioni dei media e a volte delle stesse vittime e delle persone sopravvissute.
Queste vicende che spesso si sostanziano anche in manifestazioni di solidarietà alle vittime e di demonizzazione degli accusati-colpevoli, in spregio molto spesso per le loro modalità aggressive, al principio della presunzione di innocenza.
5.
I riferiti elementi inevitabilmente sia singolarmente considerati, sia complessivamente valutati, finiscono per condizionare, rectius possono, meglio ancora, potrebbero condizionare le determinazioni del giudice.
Si tratta delle devastanti conseguenze dell’alterazione dei corretti percorsi processuali legati all’attività del pubblico ministero che non sappia conservare la regolarità dei comportamenti, ovvero di esercitarli con sobrietà, nonché dalla patologica diffusione degli atti di indagine, nel corso della indagine nonché in epoca antecedente al dibattimento.
Invero, non è difficile capire, il quantum di pressione psicologica e di condizionamento che tutto ciò può determinare.
Non è poi agevole capire in quale misura tutto ciò si possa determinare o si sia determinato nella singola decisione.
Il problema va visto da un’altra prospettiva, cioè, quella nella quale il giudice vada di contrario avviso rispetto all’impostazione dell’accusa, la quale si interrogherà sul senso di quelle pronunce.
Da questa prospettiva, si innestano effetti sull’immagine della giustizia penale e sulla sua percezione da parte dell’opinione pubblica.
Per un verso, infatti, il fatto determinerà un senso di sconcerto nella pubblica opinione e per un altro un senso di rigetto e frustrazione da parte delle vittime che ritengano trattarsi di giustizia negata.
Il dato si è di recente plasticamente evidenziato con il comunicato del Collegio della Cassazione che – in relazione al processo di Viareggio – ha indotto la Corte a precisare – in termini rigorosamente giuridici – il preciso significato della propria decisione, così da chiarire il senso del pronunciamento, offrendo un contributo interpretativo e chiarificatore della propria decisione.
Più complessa (e forse inopportuna), invece, una replica del tribunale della libertà o del giudice per le indagini preliminari con la quale si prospetterebbe una precisazione nei confronti delle iniziative incaute e/o infondate dell’accusa. Oltre alle già viste allusioni anticipate dall’accusa, si innesterebbero non poche tensioni fra gli organi di cui il nostro sistema giustizia non ha bisogno.
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