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Integra il concorso nel reato di furto la condotta della moglie che, alla guida dell’autovettura, accompagna il marito a rubare

Cass., Sez. V,11 dicembre 2020, n. 5212

È esclusa la configurabilità di una connivenza non punibile quando la presenza del concorrente nel luogo è necessaria o utile alla commissione del fatto tipico, non solo per mera compagnia, integrando il contributo concorsuale sotto il profilo materiale (la moglie guidava l’autovettura attraverso cui il marito, privo di patente,  si spostava per commettere una serie di furti; ed era inequivocabile la consapevolezza del contributo apportato per l’osservazione preventiva dei luoghi e delle persone, per la presenza durante le spedizioni predatorie, per l’occultamento dei proventi nei luoghi disponibili anche al partecipe), oltre che sotto il profilo morale del rafforzamento dell’altrui proposito criminoso.

La vicenda in commento trae origine dai fatti commessi da un uomo sorpreso a rubare che, privo della patente di guida, veniva accompagnato nei luoghi dei furti dalla moglie. Nella sequenza criminosa può distinguersi da un lato la condotta della conducente dell’auto che trasportava il marito, prima per l’osservazione di luoghi e persone, poi per commettere i delitti; dall’altro la condotta dell’uomo, che giunto a destinazione, perpetrava una serie di furti e, al termine delle spedizioni, portava con sé la refurtiva occultandola in auto o presso la propria abitazione.

Nella sentenza in esame, la Corte di Cassazione ha ritenuto integrato il concorso nel reato di furto da parte della moglie, poiché la presenza nei luoghi del delitto è apparsa necessaria o comunque utile alla commissione del fatto tipico, tale da apportare un contributo determinante alla realizzazione dell’illecito sia sotto il profilo materiale che morale, non potendosi ritenere, al contrario, una mera compagnia.

Secondo il percorso motivazionale, infatti, nel caso di specie non sussistono i presupposti affinché l’accompagnamento in auto dell’autore (per la mancanza della patente di guida) e la consapevolezza dell’attività delittuosa svolta dall’agente possano integrare la connivenza non punibile.

La questione giuridica affrontata richiede, pertanto, una disamina preliminare circa la distinzione tra  il concorso di persone nel reato e la c.d. mera connivenza.

Il concorso di persone nel reato consta di quattro elementi: pluralità di persone, realizzazione di un fatto di reato, contributo causale della condotta atipica, consapevolezza e volontà di contribuire causalmente alla realizzazione del fatto.

Presupposto fondamentale è che la condotta atipica abbia esercitato un’influenza causale sul fatto concreto tipico realizzato da altri. Al contrario, non sussisterebbe alcun contributo all’offesa del bene giuridico immanente al fatto principale.

Nel silenzio della legge, la dottrina e la giurisprudenza distinguono due diverse forme di collegamento causale tra condotta del partecipe e fatto principale: il concorso materiale e il concorso morale, a seconda che esso attenga all’esecuzione della fattispecie oggettiva di un reato, ovvero alla volontà di chi lo commette (v. Dolcini e Della Bella, sub art. 110, in Comm. Crespi, Forti, Zuccalà, 2008, 417).

Coerentemente con le suesposte indicazioni dottrinali, la giurisprudenza assume che il concorso materiale si verifica quando la condotta atipica di aiuto è stata condizione necessaria per l’esecuzione del fatto concreto (ex multis cfr. Sez. V, 13 aprile 2004 – 5 maggio 2004, n. 21082, in C.E.D. Cass. n. 229200; sez. V, 16 luglio 2015, n. 3971, in C.E.D. Cass. n. 265864), mentre il concorso morale sussiste in comportamenti esteriori tali da far nascere in altri il proposito di commettere il fatto, ovvero ne rafforzano l’intento già esistente (ex multis cfr. Sez. III, 26 marzo 2003 – 30 maggio 2003, 23916, in C.E.D. Cass. n. 224771; sez. VI, 5 luglio 2013 – 20 settembre 2013, n. 39030, in C.E.D. Cass. n. 256608; Sez. V, 12 luglio 2019, n. 40061, in C.E.D. Cass. n. 278314-01) .

Per quanto riguarda l’elemento soggettivo della fattispecie concorsuale, la dottrina e la giurisprudenza prevalenti individuano il c.d. dolo di partecipazione nella coscienza e volontà del fatto criminoso, accompagnato dalla consapevolezza di concorrere con altri alla realizzazione del reato (v. MANTOVANI, Diritto Penale parte generale, X ed., Cedam, 2017, 532). È sufficiente che la coscienza del contributo fornito all’altrui condotta esista unilateralmente, con la conseguenza che essa può indifferentemente manifestarsi come previo concerto o come intesa istantanea ovvero come semplice adesione all’opera di un altro che rimane ignaro (ex multis Sez. Unite, 22 novembre 2000, n. 31, in R.P. 2001, 619; Sez. I, 09 dicembre 2014, n. 15860, in C.E.D. Cass. n. 263089; Sez. II, 17 ottobre 2019, n. 44859, in C.E.D. Cass. n. 277773-03).

Alla luce delle sopraesposte argomentazioni, occorre valutare la punibilità della mera connivenza come presenza o consapevolezza dell’altrui delitto ogni qualvolta si realizzi una partecipazione c.d. trascurabile.

Nei casi di concorso morale si configura una mera connivenza penalmente irrilevante in presenza di attività espressive solo di semplice adesione o approvazione del disegno criminoso altrui non accompagnate da alcuna concreta e specifica cooperazione all’illecito. Integra, invece, il concorso di persone nel reato la presenza del partecipe che ha determinato un’influenza psichica decisiva tale da consentire o agevolare la commissione del delitto.

Con particolare riguardo alla distinzione tra la connivenza non punibile e il concorso nel reato, la giurisprudenza maggioritaria ravvisa che, mentre la prima postula che l’agente mantenga un comportamento meramente passivo, nel concorso di persone ex art. 110 c.p., è invece richiesto un consapevole contributo che può manifestarsi anche in forme che agevolino il proposito criminoso del concorrente, garantendogli una certa sicurezza o, anche implicitamente, una collaborazione sulla quale poter contare (cfr. Sez. IV , 20 novembre 2020 , n. 34754, in C.E.D. Cass. 2021; v. anche Sez. VI, 27 aprile 2017, n. 27787, in Quotidiano giuridico 2017; Sez. III, 22 settembre 2015, n. 41055, in C.E.D. Cass. n. 265167).

In particolare, per la configurabilità del concorso di persone nel reato è necessario che il concorrente abbia posto in essere un comportamento esteriore idoneo ad arrecare un contributo apprezzabile alla commissione del reato mediante il rafforzamento del proposito criminoso o l’agevolazione dell’opera degli altri concorrenti e che il partecipe abbia aumentato la possibilità della produzione del reato (cfr. Sez. VI, 6 dicembre 2016 – 17 gennaio 2017, n. 1986, in C.E.D. Cass. n. 268972). Al contrario,  la semplice condotta omissiva e connivente non è sufficiente a fondare un’affermazione di responsabilità a titolo di concorso nel reato, occorrendo, a tal fine, che sussista un contributo materiale o psicologico che abbia consentito una più agevole commissione del delitto, stimolando o rafforzando il proposito criminoso del concorrente (cfr. Sez. VI, 26 novembre 2002 – 8 gennaio 2003, n. 61, in C.P. n. 3401-03).

In conclusione, la Corte nella sentenza in esame ha ritenuto il comportamento del partecipe non meramente passivo, poiché la condotta atipica della moglie che accompagnava il marito nei luoghi del delitto si è rivelata un contributo determinante e non fungibile alla commissione del reato, integrando sia la forma del concorso materiale che morale.

In particolare, oltre al contributo materiale agevolativo, sussiste per la moglie il dolo partecipativo consistente nella rappresentazione e volontà di fornire un aiuto necessario all’autore, perché non titolare della patente di guida; e nell’adesione all’iniziativa delittuosa del marito mediante l’occultamento della refurtiva nella propria auto e abitazione.

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