Le novità consistono in un’opportuna rafforzata custodia delle registrazioni a tutela della riservatezza su fatti e circostanze non rilevanti per le indagini, un nuovo rapporto tra l’acquisizione delle registrazioni e la perizia trascrittiva, che diventa disgiunta dall’acquisizione, nel senso che la trascrizione non segue necessariamente l’acquisizione delle comunicazioni ma può essere differita e, sull’accordo delle parti, può addirittura mancare, con ampi poteri lasciati alle parti che possono concordare persino l’ utilizzazione dei “brogliacci”. E’ invece inaccettabile il rafforzamento del ruolo del P.M., a discapito di quello del giudice, e il forte ridimensionamento del diritto di difesa.
The novelties consist in an appropriate reinforced custody of the recordings to protect the confidentiality of those facts and circumstances that are not relevant to the investigation, and in a new relationship between the acquisition of the recordings and the transcriptional expertise, which has now been separated from the acquisition, in the sense that the transcription does not necessarily follow the acquisition of the communications but can be deferred in time and, with the agreement of the parties, may even be missing, with ample powers left to the parties who may even agree to the use of the so-called “brogliacci”, the investigation reports in which the police has summarily transcribed the content of the intercepted conversations. It is, instead, unacceptable the strengthening of the role of the Public Prosecutor, at the expense of the role of the Judge, and the strong resizing of the right of defence.
Introduzione
Dopo circa tre anni e un lungo calvario, finalmente arriva la riforma delle intercettazioni. La “riforma Orlando”, che aveva scontentato pubblici ministeri, avvocati e giornalisti, è stata sostanzialmente abrogata dal d.l. 30 dicembre 2019, n. 161, conv., con mod., dalla l. n. 7/2020[1]. In effetti, il d.lgs. n. 216/2017 aveva creato, a tutela della privacy, un sistema macchinoso di verbalizzazione, selezione e acquisizione delle intercettazioni di dubbia funzionalità. Eppure la legge-delega, ai commi 82 ss. della l. n. 103/2017, aveva indicato corretti e garantisti criteri direttivi, che però non sono stati tradotti adeguatamente in legge. Si è perciò abbandonata sia la delega sia il decreto legislativo di attuazione e si è fatto ricorso alla decretazione d’urgenza, ovviamente con tutti gli inconvenienti che un’affrettata legislazione comporta. La disciplina che emerge dalla legge di conversione non si discosta molto dall’originaria impostazione del codice e, pur con qualche criticità, ha il vantaggio di disporre, su molti punti, di una giurisprudenza ormai consolidata, ancorché spesso poco garantista. In forza del d.l. 30 aprile 2020, n. 28. la nuova disciplina delle intercettazioni si applicherà ai procedimenti penali iscritti dopo il 31 agosto 2020. E’ invece di immediata applicazione il comma 6 dell’art. 2 d.l. n. 161/2019, conv. dalla l. n. 7/2020, secondo il quale “con decreto del Ministro della giustizia, adottato previo accertamento della funzionalità dei servizi di comunicazione, sono stabilite le modalità e i termini a decorrere dai quali il deposito degli atti e dei provvedimenti relativi alle intercettazioni è eseguito esclusivamente in forma telematica, nel rispetto della normativa, anche regolamentare, concernente la sottoscrizione, la trasmissione e la ricezione dei documenti informatici.”.
I casi di intercettazione
All’elenco dei reati suscettibili di intercettazione telefonica e di altre forme di telecomunicazione di cui all’art. 266, comma 1, c.p.p., è stato aggiunto un nuovo caso di intercettazione alla lett. f-quinquies), c.p.p., che riguarda i “delitti commessi avvalendosi delle condizioni previste dall’articolo 416-bis del codice penale ovvero al fine di agevolare l’attività delle associazioni previste dallo stesso articolo”[2]. La nuova ipotesi di intercettazione si aggiunge alla già lunghissima lista dei delitti suscettibili di intercettazione e può riguardare anche reati bagatellari ma aggravati da tale modalità “mafiosa” con una pena che non avrebbe consentito ex se l’intercettazione.
L’intercettazione di conversazioni tra presenti, con o senza captatore informatico, è consentita negli stessi casi nei quali è ammessa l’intercettazione telefonica e di altre forme di telecomunicazione, cioè quelli appena menzionati di cui all’art. 266, comma 1, c.p.p., ma nei luoghi di privata dimora, di norma, essa è ammessa solo se vi è “fondato motivo di ritenere che ivi si stia svolgendo l’attività criminosa” (art. 266, comma 2, c.p.p.).
Fa eccezione l’intercettazione di comunicazioni tra presenti nel domicilio mediante inserimento di captatore informatico su dispositivo elettronico portatile, che “è sempre consentita” nei procedimenti sia per i delitti di cui all’art. 51, commi 3-bis e 3-quater, c.p.p. , sia per quelli dei pubblici ufficiali o degli incaricati di pubblico servizio contro la pubblica amministrazione per i quali è prevista la pena della reclusione non inferiore nel massimo a cinque anni, determinata a norma dell’art. 4 c.p.p., ma per questi ultimi il decreto del G.I.P. deve contenere la “previa indicazione delle ragioni che ne giustificano l’utilizzo anche nei luoghi indicati dall’articolo 614 del codice penale” (art. 266, comma 2-bis, c.p.p.).
Resta immutato l’art. 266-bis, che disciplina le intercettazioni di comunicazioni informatiche o telematiche.
L’autorizzazione all’intercettazione
Come in passato, il P.M. resta il “monopolista” della richiesta al G.I.P. dell’autorizzazione a disporre le operazioni di intercettazione. Al difensore continua invece ad essere negata la legittimazione alla richiesta, anche se talvolta potrebbe avervi interesse a fini difensivi. L’autorizzazione del G.I.P. è data, di regola, con decreto motivato in presenza dei due noti presupposti: i “gravi indizi di reato” (e non di colpevolezza, tratti anche dagli eventuali “informatori di polizia” ma previo loro esame) e che l’intercettazione sia “assolutamente indispensabile ai fini della prosecuzione delle indagini” (pertanto l’intercettazione è l’unico mezzo di ricerca della prova confinato nella fase delle indagini preliminari).
Per i reati di “criminalità organizzata”, tra i quali sono compresi sia i delitti di cui all’art. 54, commi 3-bis e 3-quater c.p.p., sia quelli dei pubblici ufficiali o degli incaricati di pubblico servizio contro la pubblica amministrazione per i quali è prevista la pena della reclusione non inferiore nel massimo a cinque anni, determinata a norma dell’art. 4 c.p.p., l’art. 13 d.l. 13 maggio 1991, n. 152, conv., con mod. dalla l. 12 luglio 1991, n. 203 attenua i requisiti dell’autorizzazione, per cui bastano “sufficienti indizi di reato” e la “necessità dell’intercettazione per lo svolgimento delle indagini”.
Poiché, come si è detto, l’impiego del virus trojan è consentito per tutti i reati suscettibili di intercettazione, questo invasivo mezzo è divenuto un ordinario strumento di investigazione: ma è veramente paradossale che proprio una legge che si propone di tutelare la riservatezza abbia mantenuto un utilizzo così ampio (cioè per ogni reato soggetto ad intercettazione) di un dispositivo che, captando comunque le voci di chiunque si intrattenga con il suo portatore, di qualunque argomento parli e ovunque si trovi, persino negli sconosciuti domicili altrui, è l’antitesi della privacy[3].
Il decreto che autorizza l’intercettazione tra presenti mediante inserimento di captatore informatico su dispositivo elettronico portatile, anche se fuori del domicilio, deve sempre indicare le “ragioni che rendono necessaria tale modalità per lo svolgimento delle indagini”, nonchè “i luoghi e il tempo, anche indirettamente determinati, in relazione ai quali è consentita l’attivazione del microfono”. Ma non occorre tale previa indicazione dei luoghi e del tempo se si procede per i delitti di cui all’art. 51, commi 3-bis e 3-quater e per i delitti dei pubblici ufficiali o degli incaricati di pubblico servizio contro la pubblica amministrazione per i quali è prevista la pena della reclusione non inferiore nel massimo a cinque anni, determinata a norma dell’art. 4 c.p.p. (art. 267, comma 1, c.p.p.).
Il decreto che autorizza l’impiego del virus trojan nel domicilio è soggetto a tre diversi regimi a seconda del reato per cui si procede. Infatti, per i “reati comuni” il decreto autorizzativo deve indicare sia il “fondato motivo” di ritenere che nel domicilio “si stia svolgendo l’attività criminosa” (art. 266, comma 2, secondo periodo, c.p.p.), sia le “ragioni che rendono necessaria tale modalità per lo svolgimento delle indagini” (art. 267, comma 1, terzo periodo, c.p.p.), sia la previa predeterminazione da parte del G.I.P., in sede di autorizzazione, “dei luoghi e del tempo, anche indirettamente determinati, in relazione ai quali è consentita l’attivazione del microfono” (art. 267, comma 1, ult. periodo, c.p.p.). Per i delitti dei pubblici ufficiali o degli incaricati di pubblico servizio contro la pubblica amministrazione per i quali è prevista la pena della reclusione non inferiore nel massimo a cinque anni, determinata a norma dell’art. 4 c.p.p., è imposto al G.I.P. un rafforzato onere motivazionale, perché è vero che egli non deve giustificare il fondato motivo di ritenere la sussistenza della suspicio perdurantis criminis, ma deve indicare sia le ragioni che rendono necessario il ricorso al captatore per lo svolgimento delle indagini (art. 267, comma 1, terzo periodo, c.p.p.), sia le “ragioni che ne giustificano l’utilizzo” anche nel domicilio (art. 266, comma 2-bis, c.p.p.),. Infine per i delitti di cui all’art. 51, commi 3-bis e 3-quater, c.p.p., il decreto autorizzativo non deve indicare né il “fondato motivo” di ritenere la flagranza nel domicilio (art. 266, comma 2-bis, c.p.p.), né la previa predeterminazione “dei luoghi e del tempo, anche indirettamente determinati, in relazione ai quali è consentita l’attivazione del microfono”, ma soltanto le ragioni che rendono necessario per le indagini l’utilizzo del captatore informatico, a prescindere che sia impiegato all’interno o all’esterno del domicilio (art. 267, comma 1, c.p.p.).
Nei casi di urgenza, cioè quando vi è fondato motivo di ritenere che dal ritardo possa derivare “grave pregiudizio alle indagini”, il P.M. può disporre, con decreto motivato, l’intercettazione tra presenti (anche nel domicilio) mediante inserimento di captatore informatico su dispositivo elettronico portatile, ma soltanto nei procedimenti per i delitti di cui all’art. 51, commi 3-bis e 3-quater, c.p.p. e ora anche per i delitti dei pubblici ufficiali o degli incaricati di pubblico servizio contro la pubblica amministrazione per i quali è prevista la pena della reclusione non inferiore nel massimo a cinque anni, determinata a norma dell’art. 4 c.p.p. A tal fine il decreto del P.M. indica, oltre ai “sufficienti indizi di reato” ed alla “necessità dell’intercettazione per lo svolgimento delle indagini”, anche le ragioni di urgenza che rendono impossibile attendere il provvedimento del giudice. Il decreto è trasmesso al giudice, che decide sulla convalida nei termini, con le modalità e gli effetti indicati al comma 2 dello stesso art. 267 c.p.p. (art. 267, comma 2-bis, c.p.p.).
L’esecuzione delle operazioni
La disciplina dell’esecuzione delle operazioni di intercettazione non si discosta molto dal regime vigente.
Come in passato, al fine di garantire la legittimità delle operazioni di intercettazione, queste possono essere compiute esclusivamente per mezzo degli “impianti installati nella Procura della Repubblica”. Tuttavia, quando tali impianti risultano “insufficienti o inidonei ed esistono eccezionali ragioni di urgenza”, il P.M. può disporre, con decreto motivato, il compimento delle operazioni mediante impianti di pubblico servizio o in dotazione alla polizia giudiziaria (art. 268, comma 3, c.p.p.). Le Sezioni Unite della suprema Corte hanno precisato il senso della prescrizione legislativa, affermando che condizione necessaria per l’utilizzabilità delle intercettazioni è che la “registrazione” – che consiste nell’immissione nella memoria informatica centralizzata (server), dei dati captati nella centrale dell’operatore telefonico – sia avvenuta per mezzo degli impianti installati in Procura, anche se le operazioni di “ascolto”, verbalizzazione e riproduzione dei dati registrati siano eseguite negli uffici di polizia giudiziaria[4].
Nulla cambia quando invece si procede a intercettazione di comunicazioni informatiche o telematiche, in quanto il P.M. può disporre che le operazioni siano compiute anche “mediante impianti appartenenti a privati”. Come in passato, specifica attenzione è dedicata alle operazioni di avvio e di cessazione delle registrazioni con captatore informatico su dispositivo elettronico portatile, riguardanti comunicazioni e conversazioni tra presenti, per le quali, data la particolare difficoltà tecnica, l’ufficiale di polizia giudiziaria può avvalersi quali ausiliari di polizia giudiziaria di “persone idonee” di cui all’art. 348, comma 4, c.p.p. (art. 268, comma 3-bis, c.p.p.). I verbali e le registrazioni sono immediatamente trasmessi al P.M. per la conservazione nell’“archivio digitale” delle intercettazioni, dove, entro cinque giorni dalla conclusione delle operazioni, essi devono essere conferiti, insieme ai decreti che hanno disposto, autorizzato, convalidato o prorogato l’intercettazione. Verbali e registrazioni sono poi depositati per i difensori delle parti e sono consultabili per il tempo fissato dal P.M., salvo che il giudice non riconosca necessaria una proroga (art. 268, comma 4, c.p.p.).
Come oggi, è previsto che, se dal deposito “può derivare un grave pregiudizio per le indagini”, il G.I.P. autorizzi il P.M. a ritardarlo “non oltre la chiusura delle indagini preliminari” (art. 268, comma 5, c.p.p.) ed è facile prevedere che, come oggi, questa diventerà la regola.
La documentazione delle operazioni
Come in passato, resta l’obbligo della duplice documentazione dell’attività di intercettazione, cioè sia la registrazione delle comunicazioni, sia la verbalizzazione delle operazioni di captazione (art. 268, comma 1, c.p.p.)[5]. Nel verbale delle operazioni deve essere trascritto, anche sommariamente, il contenuto delle comunicazioni intercettate: si tratta dei cosiddetti “brogliacci d’ascolto” che hanno soltanto una finalità riassuntiva e non certo documentativa del contenuto delle comunicazioni, dal momento che la prova si trova esclusivamente nelle registrazioni stesse (art. 268, comma 2, c.p.p.)[6]. Una nuova prescrizione impone al P.M. di dare indicazioni e vigilare “affinché nei verbali non siano riportate espressioni lesive della reputazione delle persone o quelle che riguardano dati personali definiti sensibili dalla legge, salvo che risultino rilevanti ai fini delle indagini” (art. 268, comma 2-bis, c.p.p.)[7].
Dettagliata regolamentazione sia del contenuto del verbale, sia delle registrazioni delle comunicazioni è dettata nell’art. 89 disp. att. c.p.p., che stabilisce che il verbale delle operazioni di intercettazione contiene l’indicazione degli estremi del decreto che ha disposto l’intercettazione, la descrizione delle modalità di registrazione, l’annotazione del giorno e dell’ora di inizio e di cessazione della intercettazione nonché i nominativi delle persone che hanno preso parte alle operazioni. Quando si procede ad intercettazione delle comunicazioni e conversazioni tra presenti mediante inserimento di captatore informatico su dispositivo elettronico portatile, il verbale indica il tipo di programma impiegato e, ove possibile, i luoghi in cui si svolgono le comunicazioni o conversazioni. Ai fini dell’installazione e dell’intercettazione attraverso captatore informatico in dispositivi elettronici portatili devono essere impiegati soltanto programmi conformi ai requisiti tecnici stabiliti con decreto del Ministro della giustizia.
Nei casi di intercettazione mediante inserimento di captatore informatico, le comunicazioni intercettate sono conferite, dopo l’acquisizione delle necessarie informazioni in merito alle condizioni tecniche di sicurezza e di affidabilità della rete di trasmissione, esclusivamente negli impianti della procura della Repubblica. Durante il trasferimento dei dati sono operati controlli costanti di integrità che assicurino l’integrale corrispondenza tra quanto intercettato, registrato e trasmesso. Quando è impossibile il contestuale trasferimento dei dati intercettati, il verbale dà atto delle ragioni impeditive e della successione cronologica degli accadimenti captati e delle conversazioni intercettate. Al termine delle operazioni si provvede, anche mediante persone idonee di cui all’art. 348 c.p.p., alla disattivazione del captatore con modalità tali da renderlo inidoneo a successivi impieghi e dell’operazione si dà atto nel verbale.
Il “registro riservato” delle intercettazioni
In apposito “registro riservato” gestito, anche con modalità informatiche, e tenuto sotto la direzione e la sorveglianza del Procuratore della Repubblica, sono annotati, secondo un ordine cronologico, i decreti che dispongono, autorizzano, convalidano o prorogano le intercettazioni e, per ciascuna intercettazione, l’inizio e il termine delle operazioni (art. 267, comma 5, c.p.p.). La funzione del registro è quella di consentire al giudice che procede e ai difensori di verificare la legittimità delle intercettazioni, consultando i relativi decreti.
L’acquisizione “ordinaria” dopo concluse le intercettazioni
Il nuovo sistema di acquisizione delle comunicazioni utilizzabili e rilevanti si articola su tre momenti distinti (la selezione, l’acquisizione e la trascrizione), ma si caratterizza per il fatto che all’acquisizione non sempre segue immediatamente né necessariamente la trascrizione, la quale può essere posticipata e anche omessa nel caso in cui le parti si accordino sulle registrazioni utilizzabili e rilevanti per l’accusa e per la difesa.
La selezione e l’acquisizione trovano il loro momento fisiologico subito dopo terminate le operazioni di intercettazione (verosimilmente da intendersi con riferimento ad ogni decreto, fino all’ultima proroga). Pertanto, entro cinque giorni dalla conclusione delle operazioni di intercettazione, ai “difensori delle parti” (cioè, come attualmente, solo della persona sottoposta alle indagini, alla quale l’art. 61, comma 1, c.p.p. estende i diritti e le garanzie della parte-imputato, ma non della persona offesa, che non è una parte) è immediatamente dato avviso che, entro il termine fissato dal P.M. o prorogato dal G.I.P., possono esercitare il diritto di difesa e, per via telematica, hanno facoltà di “esaminare gli atti”, mentre accedendo all’“archivio digitale” delle intercettazioni possono ascoltare le registrazioni ovvero prendere cognizione dei flussi di comunicazioni informatiche o telematiche” (art. 268, comma 6, c.p.p.).
Come conferma l’art. 269, comma 1, c.p.p., successivamente al deposito effettuato ai sensi dell’art. 268 c.p.p., il difensore ha diritto di accesso all’archivio e di ascolto delle conversazioni o comunicazioni registrate e, deve ritenersi, anche di estrarre copia dei decreti di autorizzazione, convalida, proroga e disposizione delle intercettazioni e dei relativi verbali. Il P.M. e i difensori hanno diritto di partecipare allo stralcio e sono avvisati almeno ventiquattro ore prima: la disposizione, oltre a prevedere un’udienza camerale ex art. 127 c.p.p., sembra consentire anche una semplice indicazione cartolare delle parti sulle registrazioni utilizzabili e rilevanti (art. 268, comma 6, c.p.p.).
Scaduto il termine per i difensori, il G.I.P. “dispone l’acquisizione” delle conversazioni o dei flussi di comunicazioni informatiche o telematiche indicati dalle parti, che non appaiano irrilevanti, procedendo anche di ufficio allo stralcio delle registrazioni e dei verbali di cui è vietata l’utilizzazione e di quelli che riguardano categorie particolari di dati personali, sempre che non ne sia dimostrata la rilevanza. All’acquisizione delle comunicazioni può eventualmente, ma non necessariamente, seguire la trascrizione già in questo momento. Infatti, l’art. 242, comma 2, c.p.p. pone la regola generale secondo cui, “quando è acquisita una registrazione, il giudice ne dispone, se necessario, la trascrizione a norma dell’articolo 268, comma 7” c.p.p., cioè al termine delle operazioni di intercettazioni il G.I.P. dispone la “trascrizione integrale” delle registrazioni ovvero la stampa in forma intellegibile delle informazioni contenute nei flussi di comunicazioni informatiche o telematiche da acquisire, osservando le forme, i modi e le garanzie previsti per l’espletamento delle perizie. Le trascrizioni o le stampe sono inserite nel fascicolo per il dibattimento, ma poiché questo non esiste ancora, ovviamente l’acquisizione è provvisoriamente al fascicolo delle indagini preliminari.
Ma prima dell’acquisizione delle comunicazioni utilizzabili e rilevanti i difensori non hanno diritto di estrarre copia delle registrazioni o dei flussi, a tutela della riservatezza, poiché il legislatore diffida del difensore e dubita che (soltanto) lui (non la polizia giudiziaria, non i tecnici ausiliari, non i segretari di Procura, non il P.M.) possa diffondere illegittimamente, in danno della riservatezza, le comunicazioni, conversazioni o i flussi irrilevanti o inutilizzabili e non ancora stralciati (art. 268, comma 6, c.p.p.). Ma basterebbe pensare che oggi, che i difensori non possono estrarre copia, la diffusione delle registrazioni e la pubblicazione sugli organi di informazione è la regola, per comprendere che non sono essi i propalatori !
Il diritto di estrazione di copia delle registrazioni e degli atti, negato ai difensori prima dell’acquisizione e riconosciuto dagli artt. 268, comma 6, c.p.p. e 89-bis, comma 4, disp. att. c.p.p. soltanto dopo l’avvenuta acquisizione delle intercettazioni, si pone in stridente contrasto con l’art. 24, comma 2, Cost. Infatti, la Corte costituzionale ha da tempo affermato che “la mera conoscenza degli atti depositati dal pubblico ministero, non accompagnata dal diritto di estrarne copia, rappresenta una ingiustificata limitazione del diritto di difesa, che nel caso di specie si pone in irrimediabile contrasto con l’art. 24 Cost.”, dal momento che, “se si riflette sulla ratio dell’istituto, il deposito degli atti in cancelleria a disposizione delle parti deve, di regola, comportare necessariamente, insieme al diritto di prenderne visione, la facoltà di estrarne copia. Al contenuto minimo del diritto di difesa, ravvisabile nella conoscenza degli atti depositati mediante la loro visione, deve cioè accompagnarsi automaticamente, salvo che la legge disponga diversamente, la facoltà di estrarne copia, al fine di agevolare le ovvie esigenze del difensore di disporre direttamente e materialmente degli atti per preparare la difesa e utilizzarli nella redazione di richieste, memorie, motivi di impugnazione.”[8].
L’acquisizione “ritardata” dopo concluse le indagini preliminari e l’accordo sulle liste
Qualora non si sia proceduto ai sensi dell’art. 268, commi 4, 5 e 6, c.p.p., cioè dopo terminate le operazioni di intercettazione, il P.M., inviando l’avviso di conclusione delle indagini, deve avvertire l’indagato e il suo difensore (la persona offesa e il suo difensore, anche quando ricevono l’avviso ex art. 415-bis c.p.p., ne sono irragionevolmente esclusi) che hanno facoltà di “esaminare per via telematica gli atti depositati” relativi ad intercettazioni e soltanto “ascoltare le registrazioni” ovvero di prendere cognizione dei flussi di comunicazioni informatiche o telematiche e che possono estrarre copia delle registrazioni o dei flussi indicati come rilevanti dal P.M.[9] L’avviso ex art. 415-bis c.p.p. è quindi il momento ultimo nel quale è consentito al P.M. procedere al deposito delle registrazioni e degli atti relativi, nel senso che, se essi non sono depositati nemmeno con l’avviso di conclusione delle indagini, devono ritenersi inammissibili in un momento successivo e quindi inutilizzabili (salva un’utilizzabilità in bonam partem), non essendo prevista una rimessione in termini se non per caso fortuito o forza maggiore, ex art. 175 c.p.p. La conclusione è così evidente e pacificamente emergente dal sistema che, mentre la Corte di cassazione discetta se trattasi di inutilizzabilità o di nullità intermedia sanabile, la Corte costituzionale, già con la sentenza n. 145/1991 ebbe buon gioco nel ribadire che il P.M. non ha un potere discrezionale di scelta degli atti di indagine da depositare, ma è tenuto a ostendere l’intero e integrale fascicolo[10]. Infatti l’occultamento al giudice e alla difesa di elementi di prova (che potrebbero anche essere a discarico), i quali per legge dovevano essere disvelati tempestivamente, per consentire un corretto giudizio al giudice e l’esercizio del diritto di difesa già al momento della conclusione delle indagini e nelle fasi successive viola la “parità delle armi” e il due process of law, un principio cardinale del sistema accusatorio, riconosciuto nell’ordinamento statunitense già con la sentenza Brady v. Maryland del 1963[11].
Si è appena detto che i difensori hanno soltanto diritto di ascolto e non di copia delle registrazioni: la conferma deriva dall’art. 269, comma 1, c.p.p., secondo cui i “difensori delle parti, successivamente al deposito effettuato ai sensi degli articoli 268 e 415-bis o nel caso previsto dall’art. 454, comma 2-bis, per l’esercizio dei loro diritti e facoltà è consentito l’accesso all’archivio e l’ascolto delle conversazioni o comunicazioni registrate”. Ma la disciplina suscita fondati dubbi di costituzionalità, laddove l’avviso ex art. 415-bis c.p.p. contiene l’avvertimento che la persona sottoposta alle indagini e il suo difensore hanno la facoltà di estrarre copia soltanto delle registrazioni o dei flussi “indicati come rilevanti dal pubblico ministero” (art. 415-bis, comma 2-bis, c.p.p.). In altre parole, nonostante le indagini siano concluse (e quindi anche le intercettazioni compiute) e il deposito abbia ad oggetto tutti gli atti compiuti, per consentire una loro discovery completa e il contraddittorio e la difesa su di essi, è invece preclusa al difensore l’estrazione di copia di tutte le conversazioni e comunicazioni intercettate e conferite nell’“archivio digitale”, con grave lesione del diritto di difesa, nonostante tutti gli atti siano depositati proprio per la difesa. Tale deprecabile scelta legislativa si pone in contrasto persino rispetto alla giurisprudenza prevalente che ormai riconosce da anni il diritto del difensore di estrarre copia di tutte le registrazioni, nel caso il P.M. abbia rinunciato alla procedura di stralcio in favore della discovery totale di cui agli artt. 415-bis e 416 c.p.p.[12].
Il difensore, che ha potuto ascoltare tutte le registrazioni conferite nell’archivio digitale, ma estrarre copia soltanto di quelle indicate dal P.M. come rilevanti (sempre che il loro numero gli consenta di ascoltarle tutte nei venti giorni dall’avviso), può, entro il termine di venti giorni dall’avviso, depositare l’elenco delle ulteriori registrazioni da lui ritenute rilevanti e di cui chiede copia. Pertanto, al momento della conclusione delle indagini preliminari, l’accordo tra P.M. e difensori sulle intercettazioni rilevanti per l’accusa e per la difesa ne consente un’acquisizione concordata, senza necessità né dell’intervento del G.I.P., nè di una perizia. In effetti, l’intervento del G.I.P. è inutile se vi è accordo tra le parti sulle registrazioni da acquisire, salvo accertarne il contenuto con i rispettivi consulenti tecnici ed eventuale successiva perizia in un momento successivo. Non esistendo ancora il fascicolo per il dibattimento, ovviamente l’acquisizione al momento è al fascicolo delle indagini preliminari. Pertanto, se il P.M. concorda con il difensore, le registrazioni indicate nelle rispettive liste sono acquisite senza intervento del G.I.P. e senza perizia. In caso di mancato accordo o di contestazioni sulle indicazioni relative alle registrazioni ritenute rilevanti, il difensore (ma non si comprende perché l’iniziativa non possa essere anche del P.M.) può avanzare al G.I.P. istanza affinché si proceda alla selezione e all’acquisizione ad opera del G.I.P., ai sensi dell’art. 268, comma 6, c.p.p. (art. 415-bis, comma 2-bis, c.p.p.).
L’acquisizione delle intercettazioni nei giudizi speciali
Qualora non abbia proceduto alla selezione “ordinaria” dopo concluse le operazioni di intercettazione, ai sensi dell’art. 268, commi 4, 5 e 6, c.p.p., il P.M., con la richiesta di giudizio immediato “deposita l’elenco delle intercettazioni di comunicazioni o conversazioni o dei flussi di comunicazioni informatiche o telematiche rilevanti ai fini di prova”. Entro quindici giorni dalla notifica del decreto che ha disposto il giudizio immediato, il difensore può depositare l’elenco delle ulteriori registrazioni ritenute rilevanti per la difesa e chiederne copia. È chiaro che, per selezionare le registrazioni ritenute utili alla difesa ed eventualmente contestare quelle elencate dal P.M., il difensore deve poter accedere all’“archivio delle intercettazioni” e l’art. 269, comma 1, c.p.p. gli conferisce il diritto di accesso, precisando che tale accesso e il (solo) ascolto delle conversazioni o comunicazioni registrate ivi custodite è consentito, per l’esercizio dei loro diritti e facoltà, sia al G.I.P., sia ai difensori delle parti ma soltanto “successivamente al deposito effettuato ai sensi degli articoli 268 e 415-bis o nel caso previsto dall’articolo 454, comma 2-bis” c.p.p.
Il difensore ha soltanto quindici giorni per ascoltare (non è ammessa l’estrazione di copie) tutte le registrazioni (che possono essere numerose perché le intercettazioni possono essersi protratte fino a novanta giorni). Anche in questo caso, il divieto per il difensore di estrarre copia di tutte le registrazioni, pur essendo le indagini concluse, comporta una forte lesione del diritto di difesa, come insegna la citata pronuncia n. 192/1997 della Consulta.
Se vi è accordo tra P.M. e difensori sulle registrazioni rilevanti per accusa e difesa, salvo accertarne il contenuto con i rispettivi consulenti tecnici ed eventuale successiva perizia ex art. 242 c.p.p., non vi è necessità dell’intervento del G.I.P. per procedere all’acquisizione e le registrazioni sono concordemente acquisite al momento al fascicolo delle indagini preliminari ma destinate a quello per il dibattimento.
Se, invece, il P.M. non concorda sulla proposta del difensore o vi sono contestazioni sulle indicazioni relative alle registrazioni ritenute rilevanti, il difensore (ma deve ritenersi legittimato anche il P.M.) può avanzare al G.I.P. istanza affinché si proceda alla selezione, a norma dell’art. 268, comma 6, c.p.p. (art. 454, comma 2-bis, c.p.p.). Il termine di quindici giorni può essere prorogato (deve ritenersi da parte del G.I.P.) di dieci giorni su richiesta del difensore: si tratta, però, di un termine fisso, inadeguato (a fronte dei novanta di indagini preliminari) e soprattutto inutile perché il difensore deve, a pena di decadenza, entro il termine, non modificato, di quindici giorni dalla notifica del decreto che ha disposto il giudizio immediato, valutare la scelta del rito abbreviato o di applicazione della pena su richiesta, a norma degli artt. 458, comma 1, e 446, comma 1, c.p.p. Di conseguenza, in questi casi, il difensore dovrebbe scegliere un rito speciale senza aver avuto copia del materiale intercettato e ciò ostacolerà evidentemente il ricorso a riti speciali.
Nulla è previsto per i casi di citazione diretta a giudizio, ma non si intravedono ostacoli ad un’applicazione della disciplina prevista per il giudizio immediato.
In caso di richiesta di giudizio abbreviato o di applicazione della pena su richiesta, l’imputato dà il consenso e accetta il contenuto delle comunicazioni quale risulta dalle registrazioni (infatti la prova sta nella registrazione), per cui non è necessario procedere né alla loro acquisizione, nè alla loro trascrizione, mentre il riassunto del “brogliaccio d’ascolto” rappresenta soltanto l’interpretazione della polizia giudiziaria.
La perizia trascrittiva
L’art. 268, comma 7, c.p.p., con una disposizione generale, destinata ad operare in tutto il corso del procedimento (basti pensare che non è riferita al G.I.P., ma genericamente al “giudice”), disciplina la perizia trascrittiva, sempre possibile se la selezione e l’acquisizione delle registrazioni utilizzabili e rilevanti è già avvenuta in precedenza.
Tale perizia è ammessa anche in una sede sinora inedita, cioè “nel corso delle attività di formazione del fascicolo per il dibattimento ai sensi dell’articolo 431”, per cui, solo se l’acquisizione delle registrazioni rilevanti è già avvenuta, il G.U.P. dispone la perizia immediatamente dopo l’emissione del decreto che dispone il giudizio, allorché provvede, nel contraddittorio delle parti, alla formazione del fascicolo per il dibattimento. Pertanto il G.U.P., impegnato a formare il fascicolo per il dibattimento ai sensi dell’art. 431 c.p.p., dispone “la trascrizione integrale delle registrazioni ovvero la stampa in forma intellegibile delle informazioni contenute nei flussi di comunicazioni informatiche o telematiche da acquisire”, osservando “le forme, i modi e le garanzie previsti per l’espletamento delle perizie”. In questo modo, si sfruttano opportunamente per l’espletamento della perizia i tempi morti tra l’emissione del decreto che dispone il giudizio e l’apertura del dibattimento. Le trascrizioni o le stampe “sono inserite nel fascicolo per il dibattimento.” (art. 268, comma 7, c.p.p.).
Ma, proprio per il carattere generale dell’art. 268, comma 7, c.p.p., la perizia trascrittiva può avvenire in ogni momento (davanti al G.I.P. o allo stesso G.U.P. o nel dibattimento).
Non è ammessa, invece, un’attività di integrazione probatoria del G.U.P. avente ad oggetto conversazioni o comunicazioni intercettate e non acquisite, perché, anche se il G.U.P. ha accesso all’archivio digitale, l’art. 268 c.p.p. riserva all’indicazione delle parti la selezione delle registrazioni rilevanti ed anche perché ubi lex voluit dixit, ubi noluit tacuit (infatti, il d.lgs. n. 216/2017 aveva introdotto un comma 4-bis nell’art. 422 c.p.p., il quale ammetteva tale integrazione probatoria, ma che poi la L. n. 7/2020 ha abrogato).
L’acquisizione delle intercettazioni nel dibattimento
Il nuovo sistema di acquisizione delle comunicazioni intercettate non prevede espressamente che, una volta superata la fase dell’avviso di conclusione delle indagini con il contestuale deposito di tutte le intercettazioni, sia possibile per le parti, nel contraddittorio, procedere alla selezione e all’acquisizione delle comunicazioni rilevanti e utilizzabili, così come formalmente non prevede nemmeno la possibilità per le parti di richiedere l’esclusione di comunicazioni illegittimamente inserita nel fascicolo del dibattimento. Ma siccome l’esperienza dibattimentale dimostra che spesso, soltanto nel corso dell’attività istruttoria, sopraggiunge la rilevanza di comunicazioni che in precedenza, sulla base degli elementi allora conosciuti dalle parti, sembravano irrilevanti o al contrario diventano irrilevanti o sono dichiarate inutilizzabili quelle già acquisite, si tratta di verificare se il nuovo sistema probatorio consenta alle parti di rimettere in discussione il materiale acquisito e tempestivamente depositato tutt’al più al momento della conclusione delle indagini, sia nel senso di poter acquisire nuove comunicazioni ora divenute rilevanti, sia in quello opposto di espungere quelle successivamente rivelatesi acquisite in modo illegittimo. In realtà, il sistema processuale penale, anche dopo la riforma, non contempla una preclusione processuale per momenti successivi a quelli espressamente disciplinati (artt. 268, 415-bis e 454, comma 2-bis, c.p.p.), tale da impedire l’acquisizione di comunicazioni intercettate e custodite nell’“archivio digitale”. Infatti, la prova è costituita dalla registrazione, la quale, se rilevante e utilizzabile, può essere acquisita, a richiesta di parte, in forza della disposizione generale di cui all’art. 242 c.p.p. e il giudice ne dispone, se necessario, la trascrizione a norma dell’art. 268, comma 7, c.p.p. Pertanto, non esiste nel sistema alcuna preclusione per tutte le parti a richiedere, nel corso del dibattimento, l’acquisizione di altre comunicazioni intercettate, ritualmente depositate e non ancora acquisite e conservate nell’archivio di cui all’art. 89-bis disp. att. c.p.p., chiedendone la trascrizione, con le forme della perizia. In questo modo, nella pienezza del contraddittorio tra tutte le parti costituite in giudizio (anche quelle che non vi potevano partecipare in precedenza, come la parte civile costituitasi solo in dibattimento), il giudice, previa indicazione delle parti, procede alla acquisizione di altre comunicazioni rilevanti e, anche d’ufficio, di quelle utilizzabili e alla loro trascrizione. Né si tratta di prove a sorpresa, perché le registrazioni devono essere state tempestivamente depositate per la difesa. A maggior ragione, il giudice, anche d’ufficio, oppure le parti possono chiedere l’espunzione dal fascicolo del dibattimento delle comunicazioni inutilizzabili, dal momento che, a norma dell’art. 191, comma 2, c.p.p. l’inutilizzabilità è rilevabile, anche d’ufficio, in ogni stato e grado del procedimento.
Invece il giudice dibattimentale, pur avendo accesso all’archivio digitale, non può acquisire d’ufficio, ex art. 507 c.p.p., senza alcuna indicazione di parte, le registrazioni ivi custodite, perché il meccanismo disegnato dall’art. 268, comma 6, c.p.p. presuppone che conversazioni o flussi rilevanti siano “indicati dalle parti”.
L’accordo sull’utilizzazione dei “brogliacci”
Opportuna la previsione generale, inserita in sede di conversione in riferimento alla acquisizione “ordinaria”, ma da ritenersi operante anche al di fuori di essa, per cui il giudice, “con il consenso delle parti” (da intendersi, durante le indagini, riferito al P.M. e ai difensori dei soli indagati, ma dall’udienza preliminare in poi coinvolgendo anche la parte civile, il responsabile civile o il civilmente obbligato per la pena pecuniaria, eventualmente costituiti), può disporre l’utilizzazione delle trascrizioni delle registrazioni ovvero delle informazioni contenute nei flussi di comunicazioni informatiche o telematiche effettuate dalla polizia giudiziaria nel corso delle indagini (art. 268, comma 7, c.p.p.). In questo modo, con il consenso delle parti, le “sommarie trascrizioni” effettuate dalla polizia giudiziaria nel corso delle indagini, cioè i “brogliacci d’ascolto” diventano “utilizzabili” non soltanto nel corso delle indagini ma anche nei momenti successivi, in quanto destinati ad entrare, sul già raggiunto accordo delle parti, nel fascicolo per il dibattimento. La norma non è altro che un’applicazione del principio generale enunciato nell’art. 431, comma 2, c.p.p., secondo cui le parti possono concordare l’acquisizione al fascicolo del dibattimento di atti di indagine.
L’“archivio delle intercettazioni” e la distruzione della documentazione
I verbali e le registrazioni, e ogni altro atto ad esse relativo, sono conservati integralmente nell’apposito “archivio digitale” delle intercettazioni gestito e tenuto sotto la direzione e la sorveglianza del Procuratore della Repubblica dell’ufficio che ha richiesto ed eseguito le intercettazioni. Tutti gli atti ivi custoditi sono coperti dal segreto, con l’eccezione soltanto dei verbali e delle registrazioni delle comunicazioni e conversazioni acquisite al fascicolo delle indagini, o comunque utilizzati nel corso delle indagini preliminari (ad esempio, perché posti a sostegno di una richiesta del P.M. di misura cautelare), che non sono invece coperti da segreto. Al G.I.P. è sempre consentito l’accesso all’archivio e l’ascolto delle conversazioni o comunicazioni registrate, mentre ai difensori delle parti tale diritto è riconosciuto, per l’esercizio dei loro diritti e facoltà, soltanto successivamente al deposito per la difesa di verbali e registrazioni. Tale deposito può avvenire in tre casi: dopo la conclusione delle operazioni di intercettazione, ai sensi dell’art. 268 c.p.p., oppure con l’avviso di conclusione delle indagini ex art. 415-bis c.p.p. ovvero nel caso di giudizio immediato richiesto dal P.M. a norma dell’art. 454, comma 2-bis, c.p.p. (art. 269, comma 1, c.p.p.).
Salvo quanto previsto dall’art. 271, comma 3, c.p.p. in riferimento alla distruzione delle intercettazioni inutilizzabili, le registrazioni sono conservate fino alla sentenza non più soggetta a impugnazione. Tuttavia gli interessati (quindi non solo le parti), quando la documentazione non è necessaria per il procedimento, possono chiederne la distruzione, a tutela della riservatezza, al giudice che ha autorizzato o convalidato l’intercettazione. Il giudice decide in udienza camerale a norma dell’art. 127 c.p.p. (art. 269, comma 2, c.p.p.). La distruzione, nei casi in cui è prevista, viene eseguita sotto controllo del giudice e dell’operazione deve essere redatto verbale (art. 269, comma 3, c.p.p.). Una dettagliata regolamentazione dell’“archivio delle intercettazioni” si trova all’art. 89-bis disp. att. c.p.p., che stabilisce che nell’“archivio digitale” istituito dall’art. 269, comma 1, c.p.p., tenuto sotto la direzione e la sorveglianza del Procuratore della Repubblica, sono custoditi i verbali, gli atti e le registrazioni delle intercettazioni a cui afferiscono. L’archivio è gestito con modalità tali da assicurare la segretezza della documentazione relativa alle intercettazioni non necessarie per il procedimento, ed a quelle irrilevanti o di cui è vietata l’utilizzazione ovvero riguardanti categorie particolari di dati personali come definiti dalla legge o dal regolamento in materia. Il Procuratore della Repubblica impartisce, con particolare riguardo alle modalità di accesso, le prescrizioni necessarie a garantire la tutela del segreto su quanto ivi custodito. All’archivio possono accedere, “secondo quanto stabilito dal codice”, il giudice che procede e i suoi ausiliari, il pubblico ministero e i suoi ausiliari, ivi compresi gli ufficiali di polizia giudiziaria delegati all’ascolto, i difensori delle parti, assistiti, se necessario, da un interprete (ma sarebbe stato opportuno ammettere anche i consulenti tecnici delle parti). Ogni accesso è annotato in apposito registro, gestito con modalità informatiche; in esso sono indicate data, ora iniziale e finale, e gli atti specificamente consultati. I difensori delle parti possono ascoltare le registrazioni con apparecchio a disposizione dell’archivio e possono ottenere copia delle registrazioni e degli atti “quando acquisiti” a norma degli artt. 268, 415-bis e 454 c.p.p. Ogni rilascio di copia è annotato in apposito registro, gestito con modalità informatiche; in esso sono indicate data e ora di rilascio e gli atti consegnati in copia.
L’utilizzazione dei risultati dell’intercettazione in un diverso procedimento o per un reato diverso
È confermata la regola per cui i risultati delle intercettazioni telefoniche, di altre forme di telecomunicazione o ambientali senza l’impiego del captatore informatico non possono essere utilizzati in procedimenti diversi da quelli nei quali esse sono stati disposte, e si è solo apparentemente irrobustita la condizione di utilizzabilità nel diverso procedimento perché ora si esige che i risultati “risultino rilevanti e indispensabili” (ma è ovvio che ciò che è “indispensabile” deve necessariamente essere anche “rilevante”) per l’accertamento “di delitti per i quali è obbligatorio l’arresto in flagranza e dei reati di cui all’articolo 266, comma 1, c.p.p.”. L’impiego della congiunzione “e” significa che il legislatore ha voluto indicare due requisiti tra loro cumulativi, per cui l’utilizzazione nel diverso procedimento deve ritenersi ammessa solo se indispensabile per un reato per il quale l’art. 266, comma 1, c.p.p. ammette l’intercettazione e per il quale sia inoltre imposto l’arresto obbligatorio in flagranza (art. 270, comma 1, c.p.p.). Se invece la disposizione fosse intesa come se ammettesse l’utilizzabilità per qualsiasi reato suscettibile di intercettazione, sarebbe incostituzionale in rapporto alla prescrizione, dettata dall’art. 15 Cost., dell’“atto motivato dell’autorità giudiziaria” e rappresenterebbe un’inammissibile “autorizzazione in bianco” ad intercettare, già censurata dalla Corte costituzionale[13]. Inoltre, una tale interpretazione si porrebbe anche contro il principio di recente espresso dalle Sezioni Unite Cavallo del 2020, secondo cui il divieto di utilizzazione dei risultati di intercettazioni di conversazioni in procedimenti diversi, di cui all’art. 270, comma 1, c.p.p., non opera con riferimento ai risultati relativi ai soli reati che risultino connessi ex art. 12 c.p.p. a quelli in relazione ai quali l’autorizzazione era stata ab origine disposta e che inoltre rientrino nei limiti di ammissibilità previsti dalla legge[14].
Pur lasciando ferma la regola per cui i risultati delle intercettazioni non possono essere utilizzati in procedimenti diversi da quelli nei quali esse sono stati disposte, i risultati delle intercettazioni tra presenti operate con captatore informatico su dispositivo elettronico portatile possono essere utilizzati anche per la prova di reati diversi da quelli per i quali è stato emesso il decreto di autorizzazione (se ne deve desumere che i risultati delle intercettazioni compiute senza virus trojan non sono utilizzabili per il diverso reato), qualora “risultino indispensabili per l’accertamento” dei delitti indicati dall’art. 266, comma 2-bis, c.p.p. (cioè i delitti di cui all’art. 51, commi 3-bis e 3-quater, c.p.p. e i delitti dei pubblici ufficiali o degli incaricati di pubblico servizio contro la pubblica amministrazione per i quali è prevista la pena della reclusione non inferiore nel massimo a cinque anni, determinata a norma dell’art. 4 c.p.p.) (art. 270, comma 1-bis, c.p.p.).
Ai fini della utilizzazione, prevista dal comma 1, delle intercettazioni telefoniche, di altre forme di telecomunicazione o ambientali senza l’impiego del captatore informatico, i verbali e le registrazioni delle intercettazioni sono depositati presso l’autorità competente per il diverso procedimento. Si applicano le disposizioni dell’art. 268, commi 6, 7 e 8, c.p.p. (art. 270, comma 2, c.p.p.).
Il P.M. e i difensori delle parti hanno altresì facoltà di esaminare i verbali e le registrazioni in precedenza depositati nel procedimento in cui le intercettazioni furono autorizzate (art. 270, comma 3, c.p.p.).
Intercettazioni e procedimento cautelare
Il P.M., nel richiedere al giudice competente la misura cautelare, gli presenta “gli elementi su cui la richiesta si fonda”, compresi i verbali ed i “brogliacci”, limitatamente alle comunicazioni e conversazioni rilevanti, e comunque conferiti nell’archivio delle intercettazioni, nonché tutti gli elementi a favore dell’imputato e le eventuali deduzioni e memorie difensive già depositate (art. 291, comma 1, c.p.p.). Infatti, tutto ciò che viene posto a base della richiesta del P.M. deve essere conferito nell’“archivio digitale”, al fine di consentirne la conoscenza al giudice e ai difensori[15]. Di conseguenza, il P.M. conferisce nell’“archivio delle intercettazioni” la copia digitalizzata dei files audio e degli atti relativi all’intercettazione, per consentire al giudice, prima di decidere sulla misura cautelare, e poi ai difensori, dopo l’esecuzione o la notificazione dell’ordinanza cautelare, di accedere a tale archivio digitale.
Ai sensi dell’art. 92, comma 1-bis, disp. att. c.p.p., a seguito dell’adozione dell’ordinanza cautelare, il giudice dispone la restituzione al P.M. delle conversazioni ritenute non rilevanti o non utilizzabili, affinché le custodisca nell’archivio di cui all’art. 89-bis disp. att. c.p.p. Pertanto, dopo l’esecuzione o la notificazione dell’ordinanza cautelare, è imposto un deposito “anticipato” per la difesa dell’indagato delle registrazioni delle comunicazioni. Si tratta di un deposito particolare, che non prelude alla selezione delle comunicazioni da acquisire, ma soltanto all’esercizio del diritto di difesa a tutela della libertà personale. Infatti, le ordinanze che hanno applicato misure cautelari, dopo la loro notificazione o esecuzione, sono depositate nella cancelleria del giudice che le ha emesse, insieme alla richiesta del P.M. e agli atti presentati a sostegno della stessa. Avviso del deposito è notificato al difensore della persona sottoposta alle indagini, il quale, come prescritto dalla Corte costituzionale[16], ha il “diritto di esaminare e di estrarre copia dei verbali delle comunicazioni e conversazioni intercettate” poste dal P.M. a fondamento della sua richiesta di misura cautelare, oltre al diritto “in ogni caso” alla trasposizione, su supporto idoneo alla riproduzione dei dati, delle relative registrazioni (art. 293, comma 3, c.p.p.).
In questo modo il legislatore si è attenuto alla sent. n. 336/2008 della Corte costituzionale, che aveva riconosciuto il diritto del difensore di ottenere la trasposizione su idoneo supporto degli atti posti a sostegno della richiesta (cioè verbali digitalizzati e file audio delle conversazioni o comunicazioni intercettate, utilizzate ai fini dell’adozione del provvedimento cautelare, anche se non ancora depositate per i difensori) (art. 293, comma 3, c.p.p.)[17].
Il diritto di difesa si esercita, quindi, oltre che sul contenuto dell’ordinanza già emessa, sulla relativa richiesta del P.M. e su tutti gli atti da lui posti a fondamento di quest’ultima, tra i quali le registrazioni, i verbali e i “brogliacci d’ascolto” “rilevanti” “e comunque conferiti” dal P.M. nell’“archivio digitale”.
La sintetica disciplina lascia tuttavia diverse zone d’ombra. Infatti, non è chiaro se il difensore possa accedere all’“archivio digitale” per ascoltare anche le altre registrazioni che il P.M. non ha trasmesso al giudice a fondamento della sua richiesta cautelare e la risposta più aderente alla lettera della legge è negativa. Resta pure poco chiaro se il difensore possa ottenere la trasposizione su supporto anche degli atti concernenti le comunicazioni e conversazioni intercettate trasmesse dal P.M. con la richiesta di misura cautelare ma ritenute dal giudice non rilevanti o inutilizzabili. In effetti l’art. 293, comma 3, c.p.p. attribuisce al difensore il diritto di esaminare e di estrarre copia degli atti posti dal P.M. a sostegno della sua richiesta cautelare, ma deve ritenersi che il diritto di copia riguardi esclusivamente le registrazioni che il giudice ha ritenuto rilevanti e utilizzabili e perciò ha posto a fondamento dell’ordinanza cautelare e non quelle che il giudice ha stralciato e restituito al P.M., a norma dell’art. 92, comma 1-bis, disp. att. c.p.p.[18]. In entrambi i casi, va comunque osservato che le registrazioni che il G.I.P. ha ritenuto non rilevanti e che perciò sono custodite nell’archivio saranno ascoltabili dal difensore, insieme a tutte le altre non poste a base della richiesta o della misura, quando si instaura il meccanismo di deposito e dell’acquisizione attraverso l’udienza di stralcio o al momento dell’avviso di conclusione delle indagini o della richiesta di giudizio immediato ed egli avrà accesso all’archivio e potrà ascoltare tutte le registrazioni e magari potrà indicarle tra quelle rilevanti per la difesa.
Il previo conferimento nell’“archivio digitale” dei verbali, degli atti e delle registrazioni delle relative intercettazioni è stato costruito dal legislatore come condizione di utilizzabilità degli stessi: infatti l’art. 291, comma 1, c.p.p. esige che gli atti posti dal P.M. a fondamento della sua richiesta siano “comunque conferiti” nell’archivio delle intercettazioni. Tale archivio, da una parte, soddisfa le esigenze di segretezza sulla documentazione relativa alle intercettazioni non necessarie per il procedimento, su quelle irrilevanti e su quelle di cui è vietata l’utilizzazione ovvero riguardanti categorie particolari di dati personali come definiti dalla legge o dal regolamento in materia (art. 89-bis, comma 2, disp. att. c.p.p.), dall’altra, consente al giudice che procede e ai suoi ausiliari, al P.M. e ai suoi ausiliari, ivi compresi gli ufficiali di polizia giudiziaria delegati all’ascolto e ai difensori delle parti di accedere (art. 89-bis, comma 3, disp. att. c.p.p.).
In particolare, mentre nulla si prevede per il giudice che procede (ma, per poter decidere, deve essergli implicitamente consentito l’ascolto), ai difensori delle parti è riconosciuto il diritto di “ascoltare le registrazioni” depositate nell’archivio e, soltanto dopo la loro acquisizione con l’udienza stralcio oppure dopo la conclusione delle indagini ovvero nel giudizio immediato, anche ottenere copia delle registrazioni e degli atti (art. 89-bis, comma 4, disp. att. c.p.p.).
Com’è noto, tale diritto deriva dalla declaratoria di incostituzionalità dell’art. 268 c.p.p. da parte della Corte costituzionale, la quale affermò che, dopo la notificazione o l’esecuzione dell’ordinanza che dispone una misura cautelare personale, il difensore ha diritto di ottenere la trasposizione su nastro magnetico delle registrazioni di conversazioni o comunicazioni intercettate, utilizzate ai fini dell’adozione del provvedimento cautelare, anche se non depositate, in quanto l’accesso diretto alle registrazioni può essere ritenuto necessario, dalla difesa dell’indagato, per valutare l’effettivo significato probatorio delle stesse e per esperire efficacemente tutti i rimedi previsti dalle norme processuali[19]. In materia sono intervenute anche le Sezioni Unite della suprema Corte, che hanno risolto un contrasto giurisprudenziale chiarendo, anzitutto, che la richiesta del difensore volta ad accedere, prima del loro deposito ai sensi dell’art. 268, comma 4, c.p.p. alle registrazioni di conversazioni o comunicazioni intercettate e sommariamente trascritte dalla polizia giudiziaria nei c.d. brogliacci di ascolto, utilizzati ai fini dell’adozione di un’ordinanza di custodia cautelare, deve essere presentata al P.M. e non al G.I.P. che ha emesso il provvedimento cautelare. Le stesse Sezioni Unite hanno aggiunto che la menzionata richiesta del difensore determina l’obbligo per il P.M. di provvedere in tempo utile a consentire l’esercizio del diritto di difesa nel procedimento incidentale de libertate, obbligo il cui inadempimento può dar luogo a responsabilità disciplinare o penale del magistrato del P.M.[20].
Il divieto di pubblicazione delle intercettazioni non acquisite e la pubblicabilità dell’ordinanza cautelare
L’art. 114, comma 2-bis, c.p.p. stabilisce che è “sempre” vietata la pubblicazione, “anche parziale”, del contenuto delle intercettazioni “non acquisite” ai sensi degli artt. 268, 415-bis o 454 c.p.p.[21]
Si è voluto in questo modo rafforzare la privacy e ribadire il divieto di pubblicazione, anche parziale, del contenuto delle intercettazioni conferite nell’“archivio digitale” ed ivi giacenti perché non acquisite in esito all’”udienza stralcio” (ai sensi dell’art. 268 c.p.p.) o a seguito della selezione dopo l’avviso di conclusione delle indagini, ex art. 415-bis c.p.p., o anche in seguito all’acquisizione nel giudizio immediato richiesto dallo stesso P.M., a norma dell’art. 454 c.p.p. (art. 114, comma 2-bis, c.p.p.). Pertanto, tutto il materiale relativo alle intercettazioni, custodito nell’archivio perché non acquisito, anche se depositato e accessibile ai difensori (e che pertanto non sarebbe più coperto dal segreto investigativo a norma dell’art. 329, comma 1, c.p.p.) resta però protetto da un inedito “segreto a tutela della riservatezza” che comporta il divieto assoluto (nel tempo e nel contenuto) di pubblicazione ex art. 114, comma 2-bis, c.p.p. e rende applicabili le sanzioni penali di cui all’art. 326 c.p. in caso di violazione. Un qualche contrasto potrebbe, però, ravvisarsi tra tale divieto di pubblicazione del contenuto delle intercettazioni non acquisite e la pubblicabilità, ex art. 114, comma 1, c.p.p., dell’ordinanza che dispone la misura cautelare (s’intende, dopo la sua esecuzione o notificazione), per il fatto che questa potrebbe contenere “brani essenziali delle comunicazioni e conversazioni intercettate”, e quindi utilizzate ma non ancora acquisite.
L’art. 114, comma 2-bis, c.p.p., dunque, nell’operare un bilanciamento tra diritti costituzionalmente garantiti, assicura preminenza al diritto alla riservatezza dei soggetti coinvolti dalle intercettazioni – senza distinzione di ruoli (indagato, persona offesa o terzo interlocutore) – rispetto al diritto all’informazione, ponendosi in conflitto con il diritto di cronaca e quindi potendo apparire come un “bavaglio alla stampa”.
Invece, le registrazioni acquisite dal giudice, siccome utilizzabili e rilevanti per le indagini, non essendo più coperte dal segreto investigativo possono essere pubblicate solo nel loro “contenuto”, a norma dell’art. 114, comma 7, c.p.p. e non nel loro “testo” e tale divieto permane fino a che le trascrizioni non siano state inserite nel fascicolo per il dibattimento, come indicato dalla Corte costituzionale nella sentenza n. 59/1995[22].
La disciplina “speciale” in materia di intercettazioni.
In ordine alle deroghe alla disciplina ordinaria[23], va premesso che dapprima l’art. 6, d.lgs. n. 216/2017 e poi l’art. 2, comma 7, d.l. n. 161/2019 hanno completamente equiparato i reati dei “colletti bianchi” alla criminalità organizzata, per cui nei procedimenti per i delitti dei pubblici ufficiali o degli incaricati di pubblico servizio contro la pubblica amministrazione puniti con la pena della reclusione non inferiore nel massimo a cinque anni, determinata a norma dell’art. 4 c.p.p., si applicano le disposizioni di cui all’art. 13, d.l. 13 maggio 1991, n. 152, conv., con mod. dalla l. 12 luglio 1991, n. 203.
L’art. 13 cit., che originariamente si riferiva solamente alle indagini “in relazione ad un delitto di criminalità organizzata o di minaccia col mezzo del telefono”, ha introdotto una disciplina speciale, che apporta diverse deroghe rispetto alla disciplina ordinaria. Inoltre la disciplina speciale è stata progressivamente estesa dal legislatore a diverse fattispecie di reato. Un punto fermo è stato posto dalle Sezioni Unite della suprema Corte, che sono intervenute, dapprima, chiarendo che la nozione di “criminalità organizzata” deve intendersi riferibile non solo ai reati di criminalità mafiosa ed assimilata e ai delitti associativi previsti da norme incriminatici speciali, ma anche a qualsiasi tipo di “associazione per delinquere”, ex art. 416 c.p., correlata alle attività criminose più diverse, con l’ovvia esclusione del mero concorso di persone nel reato, atteso che in tali ipotesi manca il requisito dell’organizzazione[24]. E poi, ribadendo l’inclusione del delitto di cui all’art. 416 c.p. tra i reati di criminalità organizzata, si è precisato ancora che, per “delitti di criminalità organizzata, anche terroristica”, devono intendersi quelli “elencati nell’art. 51, commi 3-bis e 3-quater, c.p.p., nonché quelli comunque facenti capo a un’associazione per delinquere, con esclusione del mero concorso di persone nel reato”[25].
Esaminando le deroghe alla disciplina ordinaria, la prima riguarda, anzitutto, i presupposti dell’autorizzazione: infatti l’autorizzazione ad eseguire intercettazioni viene concessa allorché le stesse appaiano “necessarie” (non “indispensabili”) in presenza di “sufficienti” (e non “gravi”) indizi di reato, “per lo svolgimento delle indagini” (e non per “la prosecuzione”).La seconda deroga consiste nel fatto che è previsto un termine di durata di quaranta giorni (e non quindici) con successive proroghe di venti giorni (e non di quindici).Ulteriore deroga è rappresentata dalla previsione che nei “casi d’urgenza” provvede lo stesso P.M. alla proroga dell’intercettazione, dovendosi poi osservare le disposizioni dell’art. 267, comma 2, c.p.p. per la convalida (art. 13, comma 2, d.l. 13 maggio 1991, n. 152, conv. dall’art. 1, l. 12 luglio 1991, n. 203).
Ancora altra deroga alla disciplina ordinaria consiste nel fatto che l’intercettazione nel domicilio è consentita anche se non vi è “fondato motivo di ritenere che ivi si stia svolgendo l’attività criminosa” (art. 13, comma 1, d.l. 13 maggio 1991, n. 152, cit.). Infine, ultima deroga consiste nel fatto che il P.M. e l’ufficiale di polizia giudiziaria possono farsi coadiuvare, nelle operazioni di intercettazione, da agenti di polizia giudiziaria.
Conclusioni
In conclusione, evidenti ragioni di premura, oltre che di divergenze all’interno della stessa maggioranza di governo, hanno impresso un’accelerazione al procedimento di conversione del decreto-legge, impedendone una meditata e riflessiva ponderazione. Tale affrettata approvazione ha lasciato quindi diverse lacune, lasciate all’interpretazione giurisprudenziale, non sempre garantista, e sconta diversi punti critici che sicuramente presteranno il fianco a censure di incostituzionalità. Soprattutto è criticabile il rafforzamento dei poteri del P.M. e un indebolimento, da una parte, del ruolo del G.I.P. (che dovrebbe invece essere il garante della legittimità anche delle intercettazioni), dall’altra, dei poteri della difesa. Tra l’altro si sono lasciate insolute diverse questioni cruciali, che da anni attendono risposta. Ad esempio, il problema dell’esternalizzazione della gestione delle intercettazioni a società private e la subalternità sinora dimostrata dal ministero della giustizia alle loro logiche tecniche ed economiche. Ma anche il problema della delocalizzazione dei sistemi cloud di archiviazione in Paesi non soggetti alla nostra giurisdizione. Per non parlare della consuetudine dei consulenti tecnici del P.M. di non cancellare i dati, una volta terminati gli incarichi conferiti loro dalle Procure, accumulando così enormi ma ignoti archivi, paralleli a quelli blindati presso le procure, e che la cronaca ci ha mostrato come siano stati spesso utilizzati per commercializzare illecitamente conversazioni compromettenti. Tale mercato clandestino rivende e diffonde illegalmente la gran massa delle conversazioni e comunicazioni intercettate, mentre nel processo se ne utilizza la minima parte. Intanto, il legislatore ha perso l’occasione per disciplinare sia le già invalse pratiche di polizia, come il G.P.S., l’“agente segreto attrezzato per il suono”, le riprese visive nel domicilio o i “code catcher ”, che negli U.S.A. sono impiegati dalla polizia da almeno venticinque anni per registrare le informazioni provenienti da tutti i cellulari che si trovano in una certa area[26] e sono da tempo usati anche in Italia tanto che se ne è interessata pure la Corte di cassazione[27], sia le più recenti tecniche d’intercettazione, come l’impiego dei droni per finalità di intercettazione di comunicazioni e di riprese visive.
La lunga e tormentata odissea della riforma delle intercettazioni, realizzata con il d.lgs. n. 216/2017, ma rinviata, di anno in anno, fino al 2019, quando il D.L. n. 161/2019 l’ha sostanzialmente abrogata e sostituita con una disciplina in gran parte sovrapponibile a quella precedente, oltre a evidenziare le incertezze del legislatore, dimostra che, come abbiamo sostenuto da anni, non era necessaria tanto una riforma normativa, quanto piuttosto far sì che le vigenti disposizioni, già di per sé esaustive anche se per lo più risalenti all’impianto originario del codice del 1988, non fossero stravolte dalla giurisprudenza, eludendo il diritto di difesa, ma semplicemente interpretate alla luce della Costituzione e delle convenzioni sovranazionali.
* Il presente contributo è stato sottoposto alla valutazione di un revisore, con esito favorevole.
[1] Per un quadro complessivo della materia v. gli atti del convegno dell’Associazione tra gli studiosi del processo penale, Le intercettazioni di conversazioni e comunicazioni. Un problema cruciale per la civiltà e l’efficienza del processo e per le garanzie dei diritti, Milano, 2007. Sul tema, in generale, v. T. BENE (a cura di), L’intercettazione di comunicazioni, Bari, 2018 ; A. CAMON, Le intercettazioni nel processo penale, Milano, 1996; F. CAPRIOLI, Intercettazione e registrazione di colloqui tra persone presenti nel passaggio dal vecchio al nuovo codice di procedura penale, in Riv. it. dir. e proc. pen., 1991, p. 143 ss.; G. ILLUMINATI, La disciplina processuale delle intercettazioni, Milano, 1983; F. RUGGERI, Divieti probatori e inutilizzabilità nella disciplina delle intercettazioni telefoniche, Milano, 2001; A. VELE, Le intercettazioni nel sistema processuale penale tra garanzie e prospettive di riforma, Padova, 2011. Sia infine consentito rinviare anche a L.FILIPPI, L’intercettazione di comunicazioni, Milano, 1997.
Sul ruolo del giudice v. G. SPANGHER, Intercettazioni: il “nuovo” ruolo del giudice, in Quotidiano giuridico, 11.1.2018.
[2] In proposito v. il principio di diritto enunciato da Cass., Sez. un., 3 marzo 2020 (ud. 19 dicembre 2019), Chioccini, n. 8545, secondo cui l’aggravante agevolatrice dell’attività mafiosa prevista dall’art. 416 bis.1 c.p. ha natura soggettiva ed è caratterizzata da dolo intenzionale; nel reato concorsuale si applica al concorrente non animato da tale scopo, che risulti consapevole dell’altrui finalità.
[3] In generale, sul tema v. M. BONTEMPELLI, Il captatore informatico in attesa della riforma, in Dir. pen. contemp., 20.12.2018; P.BRONZO, Intercettazione ambientale tramite captatore informatico: limiti di ammissibilità, uso in altri processi e divieti probatori, p. 235, in Nuove norme in tema di intercettazioni. Tutela della riservatezza, garanzie difensive e nuove tecnologie informatiche, a cura di G. Giostra e R. Orlandi, Torino, 2018; F. CAPRIOLI, Il “captatore informatico” come strumento di ricerca della prova in Italia, in Revista brasileira de direito processual penal, 2017, p. 483; M. TORRE, Il captatore informatico. Nuove tecnologie investigative e rispetto delle regole processuali, Milano, 2017.
[4] Cass., Sez. un., 26 giugno 2008, Carli, in Cass. pen., 2009, 30.
[5] In argomento v. A. CAMON, Forme, destinazione e regime della documentazione, in Nuove norme in tema di intercettazioni. Tutela della riservatezza, garanzie difensive e nuove tecnologie informatiche, cit., p. 63.
[6] Sulle modifiche introdotte dalla “riforma Orlando”, v. C. CONTI, Le nuove norme sulla riservatezza delle intercettazioni: anatomia di una riforma discussa, in Giur. it., 2018.
[7] F.R. DINACCI, Intercettazioni e riservatezza tra ampliamenti di disciplina, inconcludenze operative e restrizioni difensive, in Le nuove intercettazioni ( a cura di O. Mazza). Torino, 2018, p. 27 ss.
[8] Corte cost. 24 giugno 1997, n. 192.
[9] F. ALONZI, Contenuti e limiti del diritto di difesa, in Nuove norme in tema di intercettazioni. Tutela della riservatezza, garanzie difensive e nuove tecnologie informatiche, cit., p. 93.
[10] Corte cost. 20 marzo 1991, n. 145.
[11] Corte suprema U.S.A., 13 maggio 1963, Brady v. Maryland (373 U.S. 83, 87 (1963) affermò il principio per cui “withholding of evidence violates due process where the evidence is material either to guilt or to punishment”. La violazione della Brady rule si verifica quando l’omessa discovery della prova priva l’accusato del due processo of law, garantito dal XIV Emendamento alla Costituzione.
[12] Cass., Sez. V, 12 aprile 2017, P.M. in proc. Almaviva, n. 38409, in CED, n. 271118; Cass., Sez. IV, 15 novembre 2017, Zekthi e altri, n. 57195, ivi, 271701; Cass., Sez. VI, 21 marzo 2018, P.M. in proc. Gallo e altri, n. 18082, in questa Rivista, 2018, 756.
[13] Corte cost. 10 febbraio 1994, n. 63, e, già in precedenza, Corte cost. 11 luglio 1991, n. 366.
[14] Cass., Sez.un., ud. 28 novembre 2019 (dep. 2 gennaio 2020), Cavallo, n. 51, sulla quale v. G. ILLUMINATI, Utilizzazione delle intercettazioni in procedimenti diversi: le Sezioni unite ristabiliscono la legalità costituzionale, in Sistema penale, 30.1.2020.
[15] Sul diritto di difesa nel procedimento cautelare, v. F.R. DINACCI, Prova per intercettazioni e diritto di difesa nell’incidente cautelare, in Arch. pen., 2018, n. 3.
[16] Corte cost. 8 ottobre 2008, n. 336.
[17] L. GIULIANI, Intercettazioni, tutela della riservatezza e procedimento de libertate, in Nuove norme in tema di intercettazioni. Tutela della riservatezza, garanzie difensive e nuove tecnologie informatiche, cit., p. 31.
[18] G. SPANGHER, La riforma sconta due mesi di proroga, in vigore dal 1 maggio, in Guida dir., 2020, n. 13, p. 34 ss.
[19] Corte cost. 8 ottobre 2008, n. 336, cit.
[20] Cass., Sez.un., 22 aprile 2010, Lasala e Ciani, n. 20300, in Cass. pen., 2011, 461 (in motivazione, la Corte ha precisato che, al fine di porre il P.M. in grado di adempiere tale obbligo, è del pari necessario che la richiesta del difensore venga tempestivamente proposta rispetto alle cadenze temporali indicate dalle norme processuali). Infine le Sezioni Unite hanno affermato che l’ingiustificato rifiuto da parte del P.M. di consegnare al difensore la trasposizione su supporto informatico delle registrazioni poste a base della misura cautelare, non inficia l’attività di ricerca della prova ed il risultato probatorio, in sé considerati, ma determina – a causa della illegittima compressione del diritto di difesa – una nullità di ordine generale a regime intermedio, ai sensi dell’art. 178, comma 1, lett. c), c.p.p., pertanto soggetta alla deducibilità ed alle sanatorie di cui agli artt. 180, 182 e 183 c.p.p. Di conseguenza, qualora tale vizio sia stato ritualmente dedotto in sede di riesame (ed il tribunale non abbia potuto acquisire d’ufficio il relativo supporto fonico entro il termine perentorio di cui all’art. 309, comma 9, c.p.p.), il giudice non può utilizzare le suddette registrazioni come prova. La Corte ha altresì precisato che l’eventuale annullamento del provvedimento cautelare, per le ragioni testé indicate, non preclude al P.M. la possibilità di reiterare la richiesta ed al giudice per le indagini preliminari di accogliere la nuova richiesta, se corredata dal relativo supporto fonico.
[21] G.GIOSTRA, Il segreto estende i suoi confini e la sua durata, in Nuove norme in tema di intercettazioni. Tutela della riservatezza, garanzie difensive e nuove tecnologie informatiche, cit., p. 115.
[22] Corte cost. 20 febbraio 1995, n. 59.
[23] G. VARRASO, Le intercettazioni e i regimi processuali differenziati per i reati di “grande criminalità” e per i delitti dei pubblici ufficiali contro la pubblica amministrazione, in Le nuove intercettazioni, a cura di O. Mazza, Torino 2018. p. 139 ss.
[24] Cass., Sez. un., 11 maggio 2005, Petrarca ed altri, in Cass. pen., 2005, 2916.
[25] Cass., Sez. un., 28 aprile 2016, Scurato, in Cass. pen., 2016, 3536.
[26] Il code-catcher è un apparecchio portatile, delle dimensioni d’una valigetta, che può essere portato a mano, caricato in macchina, installato su un drone o su un aereo e sfruttando alcune vulnerabilità delle reti di comunicazione, in particolare quelle che adoperano lo standard GSM, finge di essere un ponte radio, in modo da indurre i cellulari nei dintorni ad agganciarsi e carpirne i codici identificativi, sia il codice IMSI (International Mobile Subscriber Identity) della Sim card, sia il codice IMEI (International Mobile Equipment Identity) del cellulare. La cattura dei codici del dispositivo è operazione propedeutica a controlli ulteriori, quali l’inoculazione d’un trojan horse o un’intercettazione nei confronti di un telefono di cui ancora non si conosce il numero o anche un “pedinamento elettronico” (una volta che il codice identificativo del bersaglio sia stato ottenuto, esso viene inserito nello Stingray, che a questo punto è in grado di seguirne gli spostamenti) : v. in proposito A.CAMON, Il cacciatore di IMSI, in Arch. pen,, 2020, n. 1 .
[27] Cass., sez. IV, 12 giugno 2018, Chirico e altro, n. 41385, in CED 273929.