Segnalazione giurisprudenziale
Cass., Sez. VI, 13 novembre 2024, n. 41798 (Pres. – De Amicis; Rel. – Rosati)
Abstract: La Cassazione precisa la diversificata articolazione legislativa caratterizzante il sequestro e, dopo aver affermato qual è il profitto del reato nella condotta ex art. 8 d.lgs. 74/2000, stigmatizza il ragionamento decisorio-motivativo sviluppato in parte qua dal provvedimento impugnato… che viene pertanto annullato, con rinvio.
The Court of Cassation clarifies the diversified legislative framework of seizure and, after stating what constitutes the profit of the crime in the conduct referred to in Art. 8 of Legislative Decree 74/2000, criticizes the reasoning and motivational approach developed in this part of the contested measure… which is therefore annulled, with referral.
Sommario: 1. Ritenuto in fatto. – 2. Ricorso difensivo. – 3. Considerato in diritto. – 4. Postilla (minima) a margine.
1. Ritenuto in fatto
Il tribunale respinge l’istanza di riesame avanzata dall’istituto bancario, confermando il decreto di sequestro preventivo disposto dal g.i.p.
L’atto ablativo ha ad oggetto i crediti per interventi edilizi agevolati ex d.l. 34/2020 (conv. in l. 77/2020 – c.d. bonus facciate) che la banca ha ottenuto dalla cedente società X: la quale ultima, secondo l’accusa, “mediante la creazione di documentazione posticcia, relativa a interventi edilizi in realtà mai effettuati, ha creato l’apparenza dell’acquisizione di [siffatti] crediti d’imposta dai falsi committenti”.
A livello procedurale, non risultano indagati né la banca né suoi rappresentanti, amministratori o altre persone fisiche a essa riferibili. Penalmente parlando, si procede – recte si sta procedendo, per ogni presunta operazione fittizia – solamente nei confronti dei rappresentanti di diritto e di fatto della società X, dei tecnici compiacenti e dei falsi committenti dei lavori: relativamente ai reati di emissione di fatture o documenti equivalenti per operazioni inesistenti, ai sensi dell’art. 8 d.lgs. 74/2000.
2. Ricorso difensivo
La difesa ricorre in cassazione per due motivi.
Col primo motivo, si contesta la validità dell’originario decreto di sequestro. In particolare, si assume nullo il provvedimento emanato perché viziato “[dal]l’assenza di motivazione sul periculum in mora con riferimento alla specifica posizione della banca, soggetto non soltanto estraneo al reato ma altresì da esso danneggiato, che ha agito in buona fede e che risulta ampiamente solvibile rispetto all’importo dei crediti” in questione. Manca, si scrive, “qualsiasi giustificazione della necessità di un’ablazione anticipata rispetto alla statuizione definitiva di confisca, [che sarà] eventualmente adottata all’esito del processo”.
Col secondo motivo, si lamenta la violazione dell’art. 321 c.p.p. “per difetto del requisito della pertinenza delle cose sequestrate rispetto alla fattispecie di reato per cui si procede”. Per la precisione, si sostiene che “nei reati tributari il profitto confiscabile consiste nel risparmio di spesa realizzato per effetto dell’omesso versamento di quanto dovuto a titolo d’imposta [e che] il sequestro preventivo finalizzato alla confisca presuppone uno specifico, strutturale e non occasionale nesso strumentale tra la cosa e il reato […] collegamento strumentale tra i crediti sequestrati e il reato di cui all’art. 8 d.lgs. 74/2000 [qua] non ravvisabile, poiché l’utilizzo delle fatture posticce da parte degli indagati, al fine di crearsi l’apparenza di crediti inesistenti, esulerebbe da tale fattispecie criminosa, costituendo una condotta successiva alla relativa consumazione e integrante, semmai, un reato ulteriore (i.e. truffa aggravata ex art. 640-bis c.p.), per il quale tuttavia non si procede [recte non si sta procedendo]”. Da ciò, non essendo la banca la persona offesa del delitto tributario, bensì lo Stato, per l’istituto bancario “ne deriverebbe un duplice e ingiustificabile effetto deteriore: giacché non potrebbe difendersi nel procedimento principale, in quanto relativo a una fattispecie di reato che non la riguarda, né potrebbe esercitare i propri diritti risarcitori a norma dell’art. 104-bis, co. 1-sexies disp. att. c.p.p.”.
3. Considerato in diritto
Infondato il primo motivo di doglianza; accolto viceversa il secondo, ancorché con sviluppi argomentativi differenti da quelli illustrati dalla difesa nel ricorso.
Avuto riguardo all’apparato motivazionale che deve sorreggere l’atto con cui si dispone il sequestro preventivo, altresì nelle ipotesi in cui lo stesso è finalizzato alla confisca, la Cassazione ribadisce l’insegnamento delle Sezioni unite Ellade (Cass., Sez. un., 24.06.2021, n. 36959). È necessaria “la concisa motivazione anche del periculum in mora”, con la spiegazione puntuale delle ragioni per cui “nelle more del giudizio il bene potrebbe essere modificato, disperso, deteriorato, utilizzato o alienato”.
Ad ogni modo, siffatto pericolo – “in linea generale – prescinde dalla disponibilità della res da parte dell’autore del reato, nulla impedendo – in linea di principio – che il sequestro possa essere disposto ed eseguito anche quando il relativo oggetto sia nella disponibilità di terzi o finanche, quantomeno formalmente, sia di loro proprietà”. Ora, dato che, in assenza di un vincolo, la banca avrebbe potuto e potrebbe legittimamente (“e a prescindere dalla malafede dei suoi organi”) negoziare i crediti de quibus sul mercato, i giudici di legittimità ritengono corretto il ragionamento in proposito effettuato dal g.i.p. e successivamente, in conformità coi poteri attribuitigli dall’ordinamento, “solamente integrat[o]” dal tribunale in sede di riesame.
Proseguendo, della decisione esaminata, alla Cassazione “non persuade” l’argomentare che attiene ai presupposti applicativi della misura cautelare reale, dal punto di vista sia formale che sostanziale. Gli Ermellini stigmatizzano la ricostruzione di merito che, “nel suo nucleo essenziale”, può essere così sintetizzata:
i crediti d’imposta generati dalle false fatture costituiscono il profitto del reato
+
la banca cessionaria non può considerarsi soggetto estraneo al reato, poiché ha tratto un vantaggio economico dalla negoziazione di quei crediti (avendone scontato gli importi) e non ha agito incolpevolmente (avendo violato le linee guida dell’Unità informazione finanziaria della Banca d’Italia – U.i.f., che le imponevano una penetrante attività di controllo, invece non effettuata)
=
i crediti possono essere attinti dal sequestro anche se attualmente nella titolarità di soggetto diverso dall’autore del reato/dagli autori del reato.
Sono due, in sostanza, i rilievi critici sollevati dalla Suprema Corte.
1) Anzitutto, un appunto sulla “natura del sequestro”: giacché, leggendo l’ordinanza, “non si comprende bene se quest’ultimo sia stato disposto al fine d’impedire l’aggravamento o la protrazione delle conseguenze del reato o la commissione di altri illeciti (c.d. sequestro impeditivo: art. 321, co. 1 c.p.p.) oppure in funzione anticipatoria dell’eventuale confisca (art. 321, co. 2 c.p.p.), e in questo secondo caso di quale tipo di confisca” (diretta: art. 240 c.p.?; per equivalente: art. 12-bis d.lgs. 74/2000?) si tratti, “oppure, ancora, se esso sia strumentale ad ambedue gli scopi”. E la quaestio, si badi bene, “non è soltanto terminologica, o comunque formale”, perché a seconda che si realizzi/s’intenda realizzare l’una o l’altra specie di sequestro cambia il possibile oggetto.
Col “sequestro impeditivo [si possono] attingere le «cose pertinenti al reato», categoria più ampia del «corpo del reato» ma anche del catalogo previsto dall’art. 240 c.p., poiché comprende non solo le cose sulle quali o a mezzo delle quali il reato fu commesso o che costituiscono il prezzo, il prodotto o il profitto, ma anche quelle legate solo indirettamente alla fattispecie criminosa, salvo che si tratti di collegamento puramente casuale”.
Col “sequestro a fini di confisca, è la natura di quest’ultima che delimita il novero delle cose suscettibili di apprensione anche in fase cautelare. Ne discende che, laddove si dia confisca diretta, esse saranno quelle indicate dall’art. 240 c.p., le quali presuppongono tutte un collegamento più o meno stretto con il reato; e, qualora si tratti di prodotto o profitto di esso, incontrano il limite dell’appartenenza a persona estranea allo stesso. Detto collegamento con il reato, invece, non è necessario in caso di confisca per equivalente, la quale però può colpire solo cose che siano nella disponibilità del reo, quand’anche questi formalmente non ne sia proprietario né abbia sulle stesse un diritto più limitato – reale o personale – di godimento”.
2) A seguire, un ulteriore “profilo che merita di essere rivisto dal Tribunale è quello relativo all’individuazione dei crediti d’imposta oggetto delle false fatturazioni come profitto del reato” – ‘profitto’ da intendersi come “vantaggio economico ricavato in via immediata e diretta dall’illecito”. Sul punto, viene i) richiamata la giurisprudenza in materia (tra le massimate –> Cass., Sez. un., 27.03.2008, n. 26654; Cass., Sez. un., 25.10.2007, n. 10280; tra le non massimate su questo aspetto –> Cass., Sez. un., 30.01.2014, n. 10561; Cass., Sez. un., 25.06.2009, n. 38691; Cass., Sez. un., 24.05.2004, n. 29952; Cass., Sez. un., 24.05.2004, n. 29951; Cass., Sez. un., 17.12.2003, n. 920) e ii) confermato che “il criterio selettivo di ciò che può essere confiscato a titolo di profitto è rappresentato dalla pertinenzialità della cosa rispetto al reato”. Vale a dire che c’è bisogno a) di una correlazione diretta del vantaggio col reato e b) di una stretta affinità con l’oggetto del fatto criminoso: perché altrimenti si cade in una indebita “estensione indiscriminata o dilatazione a qualsiasi vantaggio patrimoniale che possa comunque scaturire dall’illecito”.
Ebbene, qual è il profitto del reato nella condotta di cui all’art. 8 d.lgs. 74/2000? Per chi emette o rilascia fatture o altri documenti per operazioni inesistenti, al fine di consentire a terzi l’evasione delle imposte o sul valore aggiunto, il vantaggio economico sta “nella remunerazione corrispostagli dal beneficiario della fattura medesima oppure – o anche – nel risparmio sull’imposta dovuta, laddove comunque ottenuto”. Se il credito tributario non viene portato in compensazione (parziale o totale) con l’imposta dovuta o non viene altrimenti monetizzato, allora non si ha alcun vantaggio economico inquadrabile nella nozione di “profitto agli effetti penali”.
Guardando alla vicenda storica, il profitto lucrato dalla società X è individuabile “non nei crediti ceduti bensì nella remunerazione corrispostale dalla banca, in corrispettivo della relativa cessione”. E visto che la banca non ha colluso nella commissione dell’illecito criminale, ma tutt’al più ha tenuto un comportamento negligente (epperò penalmente irrilevante), non è possibile disporre il sequestro finalizzato alla confisca di tali crediti nei suoi confronti. Di più, sequestrare ex art. 321, co. 2 c.p.p. “sarebbe pure inutile: il vincolo cautelare sui crediti acquisiti dal cessionario, difatti, comunque non consentirebbe di sottrarre al reo il profitto del reato, avendolo egli già conseguito [allorché] ha ottenuto dal terzo acquirente il corrispettivo della cessione”. È il corrispettivo della cessione, insomma, il profitto del reato in questo caso: e lo stesso non può essere ricercato presso la banca, ché anzi ha corrisposto alla società X – e quindi ha perso – proprio quella somma che costituisce l’illegale vantaggio penalmente rilevante da sequestrare.
Cionondimeno, si chiosa in sentenza (suggestionati da quanto deciso in un precedente arresto, concernente un’accusa di truffa aggravata ai danni dello Stato – Cass., Sez. III, 21.09.2022, n. 40865), “potrebbe residuare uno spazio – al più – per un sequestro impeditivo di quei crediti: potendo questi essere qualificati come prodotto del reato per cui si procede in quanto effetto della falsa fatturazione o, comunque, cose a esso pertinenti; ed essendo possibile che la loro libera disponibilità aggravi le conseguenze del reato, sub specie di riduzione delle entrate fiscali: trattandosi di diritti comunque destinati a essere fatti valere nei confronti dell’Erario dall’ultimo dei cessionari eventualmente successivi”.
A fronte di tutte le considerazioni esposte, poiché è inevitabile “che si pronunci il giudice del merito, all’esito di una compiuta ricostruzione del fatto”, la Suprema Corte dispone l’annullamento dell’ordinanza impugnata con rinvio, per nuovo giudizio, all’autorità competente ex art. 324, co. 5 c.p.p.
4. Postilla (minima) a margine
La pronuncia segnalata ricostruisce in maniera ordinata l’articolata normativa che disciplina il sequestro, fornendo una lettura chiara di una tematica che non si presta affatto a interpretazioni agevoli (v., da ultimo, M. Pisati, Le misure ablative patrimoniali e le tutele dei terzi nel procedimento penale, Milano, 2024, 1-136). Peraltro, il contenuto della sentenza attiene a una problematica – quella della cessione dei crediti per bonus edilizi illegittimamente ottenuti – che, con ogni probabilità, occuperà le aule di giustizia almeno per qualche tempo, a partire dai prossimi mesi…
La disamina offerta, poi, si sviluppa secondo cadenze allineate al princìpio di proporzionalità: princìpio ad oggi sempre più valorizzato all’interno del nostro sistema giuridico (v., sui sequestri: Cass., Sez. un., Botticelli, 2018; Cass., Sez. un. Ellade, 2021; Cass., Sez. un., Cinaglia, 2022).
Infine, e per concludere, è interessante osservare che – nel quinto paragrafo motivativo – Cass., Sez. VI, 13.11.2024, n. 41798 affianca alla pars destruens(decostruttiva, per l’appunto, il provvedimento impugnato) unapars co(n)struens che, a ben vedere, fornisce al tribunale che si vedrà recapitati gli atti ben più di un suggerimento che tornerà utile a stendere esattamente quella “motivazione supplementare” pretesa dagli stessi giudici di legittimità.