La considerazione che Messina Denaro sia stato catturato attraverso le intercettazioni telefoniche non rafforza la tesi della loro necessità, conferma la logica della proporzionalità dello strumento: più gravi i reati più debole la tutela individuale, meno gravi i reati più forti le tutele individuali.
Infatti, mentre l’art. 13 del d.l. n. 152 del 1991 conv. l. n. 205 del 1991 per i reati di criminalità organizzata per la richiesta e la concessione dell’autorizzazione all’attività di intercettazione fa riferimento alla necessità dello svolgimento delle indagini, l’art. 267 c.p.p. fissa le condizioni generali per la richiesta e la concessione nella assoluta indispensabilità del mezzo e nella necessità della prosecuzione delle indagini.
Questi elementi spesso vengono trascurati. Ricordo un solo caso di annullamento per difetto dei presupposti della concessione delle intercettazioni telefoniche.
Per materializzare queste condizioni nel provvedimento autorizzativo è necessario che il giudice sia in possesso del fascicolo. Non ci sono ostacoli sotto il profilo della segretezza, a differenza della richiesta di misure cautelari, non prevedendosi nessun deposto a favore della difesa.
Sarebbe poi necessario che nella richiesta delle proroghe il giudice sia messo nelle condizioni di capire l’esito delle intercettazioni intercorse, per evitare proroghe in bianco senza limiti di durata. Se dalle intercettazioni disposte non emergono risultati investigativi le richieste di proroghe vanno respinte.
Un secondo profilo attiene alla ricaduta della qualificazione giuridica del fatto per il quale le intercettazioni sono richieste così da ritenere integrate le condizioni di cui all’art. 266 c.p.p. Ora è possibile che il p.m. ed il giudice si orientino in termini espansivi, ma nell’eventualità che all’esito del dibattimento il fatto non possa essere ricondotto tra le ipotesi che consentono le intercettazioni; a differenza di quanto sostiene la giurisprudenza, i risultati dovrebbero essere dichiarati inutilizzabili.
Un ulteriore profilo di criticità della disciplina delle intercettazioni è costituito dalle attività di captazione svolte nei confronti del difensore, in relazione allo svolgimento dell’attività difensiva. Sono note le problematiche che dovrebbero condurre all’interruzione della attività da parte della p.g. (in qualche modo riconosciuta invece come possibile, se pur eccezionalmente, dall’art. 103 c.p.p.: in alternativa si potrebbe prevedere l’esclusione del numero telefonico del legale con conseguente impossibilità di ascolto. La previsione certamente non esclude l’attività de qua, come indicato nello stesso art. 103 c.p.p., nel caso di un difensore che risulti indagato.
Va ricordato a tale proposito la sentenza della Corte europea dei diritti dell’uomo in un caso riguardante la condanna della Norvegia, relativamente al sequestro di uno smartphone dell’imputato contenente la messagistica con il difensore.
E’ spesso presente nella disciplina delle intercettazioni la previsione della inutilizzabilità che accompagna la violazione di alcune previsioni (art. 271 c.p.p.). Va tuttavia sottolineato come si tratta spesso di una sanzione più apparente che reale, considerato che comunque i dati captati, se non sono prove, costituiscono spunto per l’avvio dell’attività investigativa.
Sotto questa prospettiva va segnalato il progressivo ampliamento delle intercettazioni preventive: integrate dalla recente modifica introdotta dall’art. 1, comma 684 della l. n. 197 del 2022, all’art. 4 della l. n. 144 del 2005. Si segnalano al riguardo le intercettazioni preventive investigative di cui all’art. 226 disp. att. c.p.p., quelle del codice antimafia; quelle relative ai colloqui investigativi di prevenzione e quelle dei colloqui investigativi processuali.
Un ulteriore profilo di criticità della disciplina è quella relativa alla utilizzabilità dei risultati delle intercettazioni di un diverso procedimento (art. 240 c.p.p.). Com’è noto, sul punto si erano pronunciate le Sezioni Unite Cavallo, chiarendo il senso di una previsione tesa ad assicurare il divieto di utilizzazione e non già ad aumentare il loro utilizzo in altri procedimenti.
La norma è stata modificata dalla l. n. 7 del 2020 di conversione del d.l. n. 161 del 2019. snaturando completamente il senso della previsione che si configurava come preclusiva dell’utilizzabilità mancando un collegamento tra i reati, evidenziando il rischio di una autorizzazione in bianco o i risultati dell’intercettazione autorizzata (seppur nei limiti dell’arresto obbligatorio e delle ipotesi di cui all’art. 266 c.p.p.).
Appare opportuno che il legislatore ritorni alla originaria previsione come ricostruita nella giurisprudenza del Collegio riunito nella sua più alta composizione.
Quanto alle questioni connesse alla diffusione dei risultati intercettativi va sottolineato come si evidenzi che il deposito dei verbali, escluso il caso che sia applicata una misura cautelare, avverrà, dietro autorizzazione del giudice, soltanto alla fine delle indagini ex art. 415 bis c.p.p., i cui termini sono significativamente prorogati ai sensi dell’art. 415 ter c.p.p. (introdotto dalla riforma Cartabia).
E’ evidente come il prolungamento dei termini di conservazioni aumenti il rischio della diffusione dei dati, anche considerando la presenza di possibilità di diffusioni sui social anche di altri paesi.
Tra gli elementi di criticità va segnalato anche l’orientamento giurisprudenziale (Cass. n. 11655 del 2015; Cass. Sez. VI, 3 aprile 2020; Cass. Sez. III, 24 marzo 2022, n. 18245) della c.d. “droga parlata” cioè il giudizio di responsabilità per traffico di stupefacenti in relazione ad una intercettazione nella quale si parla della sostanza senza che l’attività di perquisizione abbia consentito di rinvenire la droga, risultando sufficienti riscontri soggettivi dei soggetti intercettati.
Va altresì sottolineato come debba essere garantito e disciplinato sull’uso del trojan sia in relazione alle modalità di acquisizione dei suoi dati, essendo emersi inquietanti profili sulla modalità applicative, sia sulle attività di lettura, sia su quelle di investigazione, per evitare usi patologici dello strumento, assicurando garanzie sulla certezza dei dati che si ritengono riconducibili.
Ancorché si tratti di un elemento tangenziale alle intercettazioni, va sottolineato che il legislatore non ha dato attuazione alla sentenza della Corte di Giustizia in tema di ubicazione e di geolocalizzazione di cui alla sentenza della Corte di Giustizia nel caso dell’Estonia e tanto meno alla sentenza sempre della Corte di Giustizia contro l’Irlanda dove il tema dei tabulati telefonici è analizzato in una dimensione ampia e largamente contrastante con la disciplina italiana.