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L’estorsione contrattuale e le perduranti incertezze interpretative sui concetti di minaccia penalmente rilevante e di danno patrimoniale

Abstract. Il saggio coglie, in una recente sentenza della Cassazione del 2022, l’occasione per affrontare i temi della minaccia penalmente rilevante e del danno patrimoniale, riproponendoli in una veste definitoria del tutto originale, al fine di contribuire al superamento delle attuali incertezze dottrinali e giurisprudenziali, e alla semplificazione, concettuale e probatoria, dell’accertamento giudiziale della sussistenza in concreto del reato di estorsione.

The essay seizes, in a recent sentence of the Supreme Court of 2022, the opportunity to explore the issues of criminally relevant threat and pecuniary damage, proposing them according to a completely innovative definition. This will help to overcome the current doctrine and case law uncertainties, and to simplify, from a conceptual and evidential point of view, the judicial assessment of the actual existence of the crime of extortion.

SOMMARIO: 1. Piena conformità della sentenza in commento con i consolidati principi giurisprudenziali della varietà delle forme della minaccia e del cd. danno in re ipsa. Insufficienza di entrambi i principi e loro diretta connessione con gli attuali e perduranti disorientamenti ricostruttivi dei concetti di minaccia penalmente rilevante e di danno patrimoniale. – 2. Revisione critica di due approcci interpretativi largamente seguiti in dottrina e giurisprudenza, che possono definirsi come teoria della coercizione e come teoria dello sviamento del fine, e che si appalesano quali dirette premesse concettuali della dissoluzione del concetto di minaccia nell’effetto coercitivo e, rispettivamente, nello scopo illecito perseguito dall’agente, con conseguente alterazione della stessa struttura dell’estorsione come reato a forma vincolata, e, più in generale, della fondamentale concezione analitica del reato. – 3. L’interpretazione costituzionalmente orientata delle norme incriminatrici, alla luce del principio di legalità e dei suoi ineludibili corollari della tassatività, determinatezza e precisione della fattispecie penale, come corretta impostazione metodologica per superare le distorsioni concettuali derivanti dalle odierne posizioni dottrinali e giurisprudenziali. Incompatibilità del diritto penale con l’indiscriminata categoria dell’antigiuridicità e con la peculiare figura della minaccia di esercitare un diritto ex art. 1438 c.c. Proposta di definire la minaccia penalmente rilevante come preannuncio della volontà di commettere un reato ai danni del coartato. – 4. Ricostruzione del concetto di danno patrimoniale come perdita di utilità soggettiva, cui non corrisponde necessariamente una lesione monetaria, e conseguente superamento della fuorviante formula dottrinale del cd. squilibrio sinallagmatico e dell’impreciso criterio giurisprudenziale del cd. danno in re ipsa. – 5. Conclusioni. L’apprezzabile contributo che una più precisa definizione della minaccia penalmente rilevante (come preannuncio di commettere un reato) e una migliore determinazione del concetto di danno patrimoniale (ancorata al criterio dell’utilità soggettiva) possono apportare per il superamento delle attuali incertezze dottrinali e giurisprudenziali, anche sul piano della semplificazione concettuale e probatoria della verifica giudiziale della sussistenza in concreto del reato di estorsione.

1. Piena conformità della sentenza in commento con i consolidati principi giurisprudenziali della varietà delle forme della minaccia e del cd. danno in re ipsa. Insufficienza di entrambi i principi e loro diretta connessione con gli attuali e perduranti disorientamenti ricostruttivi dei concetti di minaccia penalmente rilevante e di danno patrimoniale

Con la recente sentenza del 12 gennaio 2022, n. 2924, la Suprema Corte di Cassazione è tornata a pronunciarsi in tema di cd. estorsione contrattuale([1])ed, in particolare, sulle nozioni di minaccia penalmente rilevante e di danno patrimoniale, rispetto alle quali, in realtà, il S.C. non ha fatto altro che ribadire i due rispettivi orientamenti interpretativi già ampiamente consolidati. Nello specifico, ha confermato il principio della varietà delle forme della minaccia, tanto da includere nella relativa nozione, oltre alla minaccia «esplicita, palese e determinata», anche quella manifestata «in maniera indiretta, ovvero implicita ed indeterminata, purché… idonea… a coartare la volontà del soggetto passivo»([2]). Inoltre, ha fatto proprio il principio del cd. danno in re ipsa, sostenuto da larga parte della giurisprudenza di legittimità([3]) (ma fortemente criticato in dottrina)([4]), secondo cui, in caso di estorsione contrattuale, il danno patrimoniale – quale elemento specializzante della fattispecie delineata dall’art. 629 c.p. rispetto alla più generica ipotesi della violenza privata prevista all’art. 610 c.p.([5]) – deve ritenersi implicito nel fatto stesso che al contraente-coartato, con l’imposizione del vincolo contrattuale non voluto, è stato impedito, «in violazione della propria autonomia negoziale, […] di perseguire i propri interessi economici nel modo e nelle forme ritenute più confacenti ed opportune»([6]).

Ebbene, entrambi i suddetti principi – nonostante i primi commenti decisamente positivi riscossi dalla sentenza testé richiamata([7]) – risultano, ad un’attenta lettura critica, profondamente insufficienti e, persino, ambigui, confermando in pieno le ormai inveterate incertezze ricostruttive dei fondamentali concetti di minaccia penalmente rilevante e di danno patrimoniale. Nel presente lavoro, invece, tracciata una serrata revisione delle più consolidate posizioni dottrinali e giurisprudenziali, si avrà modo di riproporre tali nozioni in una veste definitoria totalmente rinnovata, ben più perspicua ed in linea con le esigenze garantistiche sottese al principio di legalità, in grado di superare le cennate aporie in cui dottrina e giurisprudenza – come confermato dalla Cassazione nel suddetto arresto e dai relativi commenti – restano, tuttora, profondamente impantanate([8]).

2.  Revisione critica di due approcci interpretativi largamente seguiti in dottrina e giurisprudenza, che possono definirsi come teoria della coercizione e come teoria dello sviamento del fine, e che si appalesano quali dirette premesse concettuali della dissoluzione del concetto di minaccia nell’effetto coercitivo e, rispettivamente, nello scopo illecito perseguito dall’agente, con conseguente alterazione della stessa struttura dell’estorsione come reato a forma vincolata, e, più in generale, della fondamentale concezione analitica del reato.

Sul versante della minaccia, occorre rilevare che, a fronte del richiamo al presupposto, di per sé corretto, dell’estrema mutevolezza delle forme con cui le espressioni minacciose possono manifestarsi in concreto([9]), la statuizione posta dal S.C. echeggia chiaramente quella concezione – sostenuta dal più diffuso orientamento giurisprudenziale e da ampia parte della dottrina([10]), e che può definirsi come teoria della coercizione – secondo la quale, in definitiva, il nucleo definitorio comune a tutte le possibili forme di minaccia, allorché questa sia inclusa tra gli elementi di una più ampia fattispecie delittuosa (come nel caso, per l’appunto, dell’estorsione)([11]), si ridurrebbe fondamentalmente (se non esclusivamente) all’effetto coattivo potenzialmente prodotto nella psiche del soggetto passivo. In altri termini, seguendo la cennata teoria, l’efficienza causale di un certo contegno([12]) a determinare nella vittima un effetto costrittivo costituirebbe il principale (se non unico) dato identificativo del contegno stesso come minaccia penalmente rilevante([13]). Una tale impostazione, però, comporta a ben vedere diverse distorsioni. In primo luogo, essa tende a dissolvere il concetto di minaccia nell’effetto che questa è diretta a produrre, e, quindi, a confondere il mezzo (la minaccia) con l’effetto (la coazione), ossia la condotta tipica del reato con uno dei suoi eventi([14]), sicché, in pratica, la stessa struttura dell’estorsione come reato a forma vincolata ne risulta totalmente stravolta vedendosi trasformare surrettiziamente in una fattispecie a forma libera([15]). Peraltro, la svalutazione della condotta tipica come momento selettivo delle modalità penalmente rilevanti di aggressione al patrimonio altrui costituisce un allarmante vulnus al principio di legalità e alle sottese istanze garantistiche([16]).

E così, mentre alcune pronunce della Cassazione hanno portato la teoria della coercizione alle sue più estreme, ma coerenti conseguenze, finendo (consapevolmente o meno) per identificare la minaccia con un generico e vago concetto di ricatto([17]), tanto che un arresto del 2007 è arrivato a sussumere nel paradigma dell’estorsione persino talune peculiari forme di pressione psicologiche basate sulla mera prospettazione della «revoca di legami affettivi»([18]), la dottrina, da parte sua – pur prendendo, in genere, le distanze da questi più arditi esiti([19]) – non sembra sia stata in grado, finora, di superarne i limiti concettuali o, quantomeno, di elaborare i giusti correttivi: infatti, sebbene continui a dividersi sull’annosa questione – definita «a ragione, il capitolo più difficile della teoria della minaccia»([20]) – dell’ingiustizia come requisito (necessario o meno) del male prospettato dall’agente([21]), ha poi di fatto unanimemente svuotato di effettivo rilievo tale questione, orientandosi comunque nel senso che, a determinate condizioni, anche la minaccia di esercitare un diritto o, più in generale, la prospettazione di un danno giusto possa rilevare ai fini dell’integrazione del reato di estorsione([22]). Stando a questa impostazione, che può definirsi, alla luce della terminologia impiegata dalla ricorrente dottrina, come teoria dello sviamento del fine([23]) – la minaccia di far uso di strumenti giuridici di per sé non antigiuridici, in quanto rispondenti all’esercizio di «un diritto o di una facoltà riconosciuta dall’ordinamento» ovvero all’adempimento «di un dovere imposto da una norma giuridica»([24]), diverrebbe ingiusta allorché l’agente ne facesse uso per scopi diversi da quelle per cui tali strumenti sono stati accordati dalla legge o, più esattamente, «col proposito di coartare la volontà di altri, e… soddisfare scopi personali non conformi a giustizia»([25]).

Anche la giurisprudenza ha mostrato di seguire il medesimo percorso motivazionale, alimentando, peraltro, una casistica vastissima, non priva di forti elementi di incertezza([26]). Anzi, ha ulteriormente vanificato il requisito dell’ingiustizia del male, adottando, per l’individuazione dei casi di «esercizio anormale»di un diritto([27]) da ricondurre al concetto di condotta estorsiva, un duplice criterio, non solo quello del perseguimento, da parte dell’agente, di «un obiettivo diverso (e confliggente)» con lo scopo tipico([28]), nell’ottica, per l’appunto, dello sviamento del fine([29]), ma anche quello, alternativo al primo, della esorbitanza o sproporzione del vantaggio perseguito rispetto a quello realizzabile mediante un uso normale del diritto([30]).

Orbene, anche a voler sottacere l’imponderabile elasticità intrinseca di entrambi i criteri – che, pertanto, a dire il vero, dovrebbero considerarsi già di per se stessi incompatibili con il principio di legalità e con i suoi diretti corollari garantistici di tassatività, determinatezza e precisione delle fattispecie incriminatrici([31]) – non dovrebbe sfuggire che, per effetto della teoria dello sviamento del fine, minaccia e coazione sono, invero, ridotte a pura evanescenza, senza alcun significato concretamente verificabile. Quanto alle ricadute pratiche, infatti, vi ha l’evidente espansione, potenzialmente indiscriminata, dell’ambito applicativo del grave reato di estorsione a tutti quei casi in cui il soggetto agente, imponendo alla controparte l’alternativa tra due mali, persegua «un risultato iniquo»([32]), mentre, dal punto di vista concettuale, ancora una volta, si confonde il mezzo (la minaccia) con il fine (l’ingiusto profitto)([33]) e, vanificando del tutto la portata tipizzante della minaccia come elemento centrale della fattispecie incriminatrice([34]), si altera la fisionomia del reato complesso (in senso lato)([35]), trasformandolo da reato incentrato sulla condotta, cioè su una particolare modalità di aggressione al patrimonio altrui (cd. reato a forma vincolata) in una fattispecie incentrata sull’evento (cd. reato a forma libera)([36]). Lo stesso concetto di coercizione svapora del tutto e diventa impossibile distinguerlo da altre situazioni, quali la semplice proposta o l’induzione([37]), o il mero approfittamento dell’altrui stato di bisogno([38]). Infine, affiora persino, sullo sfondo, l’inquietante erosione di uno dei cardini del diritto penale moderno, che è la concezione analitica e razionale del reato, per la quale la sussistenza in concreto del fatto punibile dipende dalla verifica di tutti i singoli elementi di cui si compone la fattispecie legale (soggetto, condotta, evento, nesso causale, ecc.). Al contrario, l’eccessiva enfasi posta sul momento finalistico (l’ingiusto profitto), in cui, in definitiva, risulta assorbito l’intero disvalore del fatto, sembra sottacere una concezione unitaria del reato, il cui disvalore giuridico (o peggio ancora morale o sociale) dev’essere colto, intuito nel suo insieme, senza l’intralcio di oziose categorie concettuali([39]).

3. L’interpretazione costituzionalmente orientata delle norme incriminatrici, alla luce del principio di legalità e dei suoi ineludibili corollari della tassatività, determinatezza e precisione della fattispecie penale, come corretta impostazione metodologica per superare le distorsioni concettuali derivanti dalle odierne posizioni dottrinali e giurisprudenziali. Incompatibilità del diritto penale con l’indiscriminata categoria dell’antigiuridicità e con la peculiare figura della minaccia di esercitare un diritto ex art. 1438 c.c. Proposta di definire la minaccia penalmente rilevante come preannuncio della volontà di commettere un reato ai danni del coartato.

Per uscire dalle strettoie degli orientamenti teorici sin qui sottoposti a revisione critica, s’impone, anzitutto, un’adeguata scelta metodologica, che consiste nell’approcciare le problematiche interpretative delle norme incriminatrici tenendo presente, da una parte, le peculiarità del diritto penale, quali derivano dal principio di legalità e dai suoi imprescindibili corollari di tassatività, determinatezza e precisione della fattispecie penale, e, dall’altra, la necessità di ancorare l’attività esegetica a detti principi – tutti di indubbio rilievo costituzionale, in quanto insiti nella stessa disposizione di cui all’art. 25, co. 1, Cost. – per cui, a fronte di eventuali diverse opzioni interpretative, deve necessariamente adottarsi quella che renda la norma compatibile con i dettami costituzionali (cd. interpretazione costituzionalmente orientata)([40]).

Impostato in questi termini il metodo di indagine, occorre svilupparne gli esiti, anzitutto sul piano del corretto intendimento della qualifica di ingiustizia del male (o danno) prospettato([41]). Al riguardo, sulla scia della dottrina civilistica, può dirsi che ingiusto è quel danno che si arreca contra ius o, più esattamente, sine iure: esso, in pratica, coincide (in via di prima approssimazione) con l’area dell’illecito civile (contrattuale o da inadempimento ex art. 1218 c.c. ovvero extracontrattuale o aquiliano ex art. 2043 c.c.) e dà luogo al relativo obbligo di risarcimento([42]). Sennonché, ai fini della ricostruzione del concetto di minaccia penalmente rilevante, occorre riconoscere che l’assoluta identificazione è preclusa dai cennati principi di tassatività, determinatezza e frammentarietà, a meno di non voler trasformare l’art. 612 c.p. (e ogni altra disposizione incriminatrice comunque incentrata sulla minaccia),in una sorta di norma penale in bianco, atta a recepire, in ambito penalistico, l’illecito civile in tutta la sua «magmatica»([43]) ampiezza. Invero, atipicità dell’illecito e diritto penale sono tra loro incompatibili: difatti, se il legislatore penale non descrive con sufficiente precisione ogni elemento costitutivo della fattispecie incriminatrice, il precetto non può dirsi predeterminato per legge, non può considerarsi davvero preesistente rispetto alla condotta né conoscibile dall’agente prima della sua azione([44]). Per queste ragioni, deve escludersi che, ai fini del diritto penale, l’ingiustizia possa essere apprezzata, come per l’illecito civile, alla luce dell’intero ordinamento giuridico. Le cennate esigenze di rango costituzionale impongono, invece, di ricercarla all’interno del sistema penale, cioè in base alle stesse norme incriminatrici, sicché, in definitiva, l’ingiustizia che il concetto di minaccia penalmente rilevante presuppone risulta correttamente identificabile non con l’antigiuridicità genericamente intesa, ma con la più specifica e limitata dimensione dell’illiceità penale. Ciò significa che, ai fini dell’art. 612 c.p. e di ogni altra norma incriminatrice che ne presuppone la nozione, la minaccia rilevante è soltanto quella che consiste nel preannuncio della commissione di un reato, cioè della lesione di un interesse tutelato da una determinata norma incriminatrice([45]). Quindi, minaccia di commettere un illecito penale, non un qualsiasi illecito: è in questo modo che l’agente realizza quell’atto sopraffattorio che autorevole dottrina ha condivisibilmente indicato come l’essenza della minaccia penale([46]).

Per il resto, il limite dell’ingiustizia non può essere travalicato invocando l’art. 1438 c.c.([47]), che rimanderebbe semplicemente alla già censurata dottrina dello sviamento del fine e agli effetti distorsivi che ad essa conseguono([48]). A ciò si aggiunga che, essendo destinata ad operare nelle ipotesi in cui l’agente persegua «vantaggi ingiusti», tale disposizione non farebbe altro, come si è già osservato per l’art. 612 c.p., che ricacciare l’interprete dinanzi all’indiscriminata categoria dell’antigiuridicità, questa volta riferita non alla lesione dell’altrui interesse, ma ai vantaggi che il soggetto agente intende conseguire minacciando altrimenti l’esercizio di un diritto([49]), e si è già dimostrato sopra che l’individuazione di una condotta penalmente rilevante non può essere ancorata – a ciò ostando l’interpretazione costituzionalmente orientata delle norme incriminatrici – alla pressocché infinita e non predeterminabile categoria dell’antigiuridicità genericamente intesa. Ma la situazione è destinata ad intorpidirsi ulteriormente se si considera, tra l’altro, che la teoria dello sviamento del fine dovrebbe coerentemente ammettere che lo sfruttamento atipico di un diritto soggettivo, non può farsi coincidere automaticamente con la sua illiceità, ciò potendo derivare soltanto dalla eventuale immeritevolezza degli interessi, giusto il principio sancito dall’art. 1322, co. 2, c.c., la cui incompatibilità con il diritto penale appare financo superfluo evidenziare.

4. Ricostruzione del concetto di danno patrimoniale come perdita di utilità soggettiva, cui non corrisponde necessariamente una lesione monetario, e conseguente superamento della fuorviante formula dottrinale del cd. squilibrio sinallagmatico e dell’impreciso criterio giurisprudenziale del cd. danno in re ipsa.

Come anticipato([50]), anche l’altro profilo trattato dalla sentenza citata, quello attinente al danno patrimoniale, riesce non meno controverso. Il criterio del cd. danno in re ipsa, infatti, oltre alle oscillazioni interne alla stessa giurisprudenza([51]), è stato fortemente criticato in dottrina([52]), osservando che esso porterebbe ad una sorta di dematerializzazione([53])o smaterializzazione([54])del concetto di danno patrimoniale, così da decretarne, nell’ambito della fattispecie oggettiva del reato di estorsione (o di truffa)([55]), la sostanziale abrogazione([56]). Si è ritenuto, pertanto, che la configurazione di un’effettiva deminutio patrimonii([57]) postulerebbe un quid pluris, ossia la sproporzione di valore economico della prestazione imposta alla parte coartata rispetto alla controprestazione (di valore considerevolmente inferiore) che la stessa è destinata a ricevere in cambio (cd. squilibrio sinallagmatico)([58]).

Ma, in realtà, questa, dello sbilanciamento del sinallagma contrattuale come le diverse formule utilizzate in giurisprudenza, del danno implicito o dell’assunzione non necessaria, traggono la loro origine da labili fondamenti di scienza economica ed, in particolare, dall’assenza di un’adeguata nozione di beni economici([59]). Ed, invero, è atavico e molto diffuso l’equivoco di considerare i beni economici come se fossero dotati di un qualche intrinseco valore oggettivo, che, in genere, si pretende di identificare con il valore monetario([60]),e di ritenere che gli scambi avvengano sul presupposto di un’asserita equivalenza economica tra prestazione e controprestazione([61]).

Deve considerarsi, invece, che la scienza economica, nelle sue migliori espressioni, ha chiarito che il valore delle cose non corrisponde a una loro qualità intrinseca, ma rimanda, in ultima istanza, alle specifiche valutazioni individuali, che si traducono nel concetto di utilità soggettiva([62]), alla quale, peraltro, non necessariamente si accompagna un apprezzabile valore monetario. L’utilità soggettiva, infatti, corrisponde a ciò che la dottrina economica ha tradizionalmente definito come valore d’uso, distinguendolo ma non contrapponendolo al valore di scambio([63]), nel senso che la valutazione soggettiva dell’utilità di un bene ne determina un maggiore o minore valore d’uso, e questo, a sua volta, incidendo sul livello, maggiore o minore, della relativa domanda, concorre a determinare, secondo «quella legge venerabile e eternamente vera, la legge della domanda e dell’offerta»([64]), il prezzo del bene (o valore monetario, appunto), che, a sua volta, esprime il cd. valore di scambio (o valore di mercato)([65]).

Dal valore soggettivo dei beni deriva, con ogni evidenza, che le stesse operazioni di scambio avvengono non, come si afferma comunemente, sulla base di una supposta equivalenza economica delle reciproche prestazioni, ma proprio perché ciascuna delle parti dello scambio, effettuando una valutazione del tutto soggettiva dell’utilità dei beni coinvolti, giudica per sé più utile e, quindi, di maggior valore, il bene che acquista (ad es. un chilo di pane) rispetto al bene che cede (ad es. una certa somma di denaro)([66]).

Ne consegue che un soggetto – ogni qual volta viene costretto, mediante violenza o minaccia, a privarsi di un certo bene (si pensi ancora a una data somma di denaro, che deve versare a titolo di prezzo o di salario) scambiandolo con quello fornitogli dall’altrui prestazione, lì dove, in assenza di costrizione, non avrebbe effettuato lo scambio – si ritrova innegabilmente a subire il danno patrimoniale derivante dal minor valore soggettivo della controprestazione ricevuta rispetto alla prestazione che ha dovuto eseguire([67]). Ciò significa che le cennate formule giurisprudenziali che si richiamano al carattere «non necessario» di un’assunzione ovvero, più ampiamente, alla lesione dell’autonomia negoziale del soggetto passivo, sono sostanzialmente corrette ma imprecise. Esse, infatti, non chiariscono che l’unico criterio economicamente fondato per valutare la necessità di un’assunzione è quello dell’utilità soggettiva e, più in generale, non colgono che, nella lesione dell’autonomia negoziale, è insito di regola anche il danno economico, poiché la vittima che ha effettuato lo scambio solo perché oggetto dell’altrui condotta minacciosa o violenta (o ingannevole, in caso di truffa), evidentemente considerava l’operazione in termini non necessari o, comunque, non vantaggiosi per sé, ma di perdita di utilità, ed è in questa perdita che consiste, per l’appunto, la deminutio patrimoni([68]). Ovviamente, tale perdita, necessaria e sufficiente per ravvisare la lesione patrimoniale, dovrà essere valutata anche sotto il profilo dell’ulteriore nozione del valore di scambio, ma ciò ai soli fini della quantificazione monetaria del risarcimento del danno materiale([69]). Sotto questo profilo, il valore monetario potrà anche rivelarsi di entità minima o nulla([70]), cionondimeno il danno patrimoniale, inteso come perdita di utilità soggettiva, potrà escludersi a sua volta soltanto qualora risulti del tutto indifferente per il soggetto passivo che lo scambio sia avvenuto alle condizioni e con la controparte che gli sono state imposte([71]). Dunque, la formula giurisprudenziale del danno in re ipsa (il cui ampio significato assorbe l’ulteriore criterio dell’assunzione non necessaria)([72])va perfezionata in questi termini: non è la lesione in sé dell’autonomia negoziale a rilevare ai fini della produzione del danno, ma il decremento di utilità soggettiva che ad essa normalmente consegue, salvo il limite, come si è detto, della cennata situazione di assoluta indifferenza economica. Peraltro, tale formula, così rimodulata, è posta al riparo dalla diffusa obiezione dottrinale secondo cui essa avrebbe determinato l’indebito mutamento dell’oggetto giuridico del reato, identificabile non più nel patrimonio ma nella libertà contrattuale([73]).

Di contro, non appare in alcun modo recuperabile la formula dottrinale dello squilibrio contrattuale, troppo dipendente dal preteso valore oggettivo dei beni economici. Né si obietti che, in tal modo, ponendo l’accento sul criterio dell’utilità soggettiva, si finisca per ancorare la punibilità del fatto «al capriccio della vittima»([74]), così da minare lo stesso principio di tassatività (e le sottese esigenze di certezza giuridica) delle fattispecie di reato fondate sul concetto di danno patrimoniale([75]). Ed, invero, a tale obiezione può agevolmente replicarsi osservando: in primo luogo, l’indubbia elasticità del concetto di utilità soggettiva, che inevitabilmente imporrà un giudizio caso per caso, non può essere addotta come valido motivo per inseguire un preteso valore oggettivo delle cose, in realtà inesistente o, comunque, non rilevante nell’ambito delle scelte economiche individuali; in secondo luogo, tutti in dottrina, persino i sostenitori del valore oggettivo, non mancano di sottolineare la necessità di far ricorso, accanto al criterio monetario, anche a «criteri particolaristici» in grado di far emergere «la valutazione soggettiva del disponente» e con essa «un valore diverso…[rispetto a quello rigorosamente monetario] più particolaristico… commisurato al raggiungimento di speciali effetti o risultati, determinando così un fenomeno di soggettivizzazione che trasforma il valore economico [rectius: monetario] in interesse individuale»([76]), salvo poi dover precisare, nella preoccupazione di porre un limite ad «un esasperato soggettivismo»([77]), che la valutazione individuale dev’essere sottoposta al vaglio in base al «comune senso pratico»([78]) o «al giudizio ragionevole di un osservatore obiettivo»([79]) oppure «secondo il metro della considerazione sociale»([80]) o, ancora, «secondo i normali canoni di considerazione e di apprezzamento sociale»([81]) o di «una generalità di soggetti»([82]), o di «un sentimento diffuso o apprezzato dai consociati»([83]) o, persino, del fantomatico “uomo medio”([84]). Orbene, non occorre un particolare accanimento critico per rilevare l’assoluta vaghezza di tutte le suddette formule, il cui unico, prevedibile effetto sarebbe, se prese alla lettera, quello di sostituire, al paventato capriccio dell’interessato, l’arbitraria valutazione dell’interprete. In realtà, non può essere impedito ad un soggetto di attribuire una certa utilità per sé a determinate cose, né, per quanto questa valutazione possa essere eccentrica (si pensi al collezionista di cose prive di valore monetario, per es. di tappi di bottiglie), tali cose possono legittimamente essere escluse dal novero dei beni economici: valore economico non vuol dire necessariamente valore monetario, e mentre quest’ultimo dipende dal valore di scambio e si determina sul mercato secondo la legge della domanda e dell’offerta, il primo si fonda sul valore d’uso, che, per sua natura, è del tutto soggettivo([85]).

5. Conclusioni. L’apprezzabile contributo che una più precisa definizione della minaccia penalmente rilevante (come preannuncio di commettere un reato) e una migliore determinazione del concetto di danno patrimoniale (ancorata al criterio dell’utilità soggettiva) possono apportare per il superamento delle attuali incertezze dottrinali e giurisprudenziali, anche sul piano della semplificazione concettuale e probatoria della verifica giudiziale della sussistenza in concreto del reato di estorsione.

I chiarimenti fin qui proposti sui concetti di minaccia penalmente rilevante (intesa come il preannuncio, da parte dell’agente, di voler commettere un reato contro il soggetto passivo)([86])e di danno patrimoniale (definito come perdita di utilità soggettiva)sembra possano contribuire a delineare in termini molto più precisi la fattispecie dell’estorsione e il relativo ambito di operatività. Si è già visto che le incertezze definitorie in tema di minaccia([87]) ne hanno alimentato un’indebita e incerta elefantiasi, tale da mettere a rischio valori fondanti come il principio di legalità e la stessa concezione analitica del reato. Al contrario, la qualificazione della minaccia come minaccia di commettere un reato assicura un immediato e limpido criterio operativo per l’interprete (in primo luogo, il giudice), che potrà ravvisarne la sussistenza – come fatto delittuoso punito ex se ovvero come elemento di una più ampia fattispecie complessa – tutte le volte in cui l’agente prospetta alla vittima di commettere un reato ai suoi danni. In questo modo, l’accertamento giudiziale del reato non è ancorato a generiche formule, che ossequiano il principio di legalità solo formalisticamente, ma alla verifica se il male prospettato dall’agente corrisponda o meno ad una qualche fattispecie di reato delineata da una determinata norma incriminatrice, in ciò consistendo molto semplicemente il necessario requisito dell’ingiustizia.

Ma non meno importante appare il contributo che una più chiara nozione di danno patrimoniale può arrecare non solo sul piano teorico ma anche dal punto di vista pratico, ad oggi segnato da una giurisprudenza non poco ondivaga nel tracciare in concreto la distinzione tra ipotesi di estorsione contrattuale e ipotesi di violenza privata([88]). Così, ad esempio, in una pronuncia del 2013, il S.C., richiamandosi al filone interpretativo del danno implicito, addirittura qualificandolo espressamente come ius receptum,censurava il giudice di merito, su ricorso del Procuratore Generale, annullando con rinvio la sentenza impugnata per aver riqualificato come mera minaccia l’intimidazione volta ad ottenere l’assunzione di un dipendente originariamente contestata all’imputato come tentata estorsione([89]). Esattamente al contrario, in altro e più recente arresto, la Cassazione accoglieva la doglianza dell’imputato sul presupposto che le sentenze di condanna a suo carico (di primo e di secondo grado) non avevano adeguatamente dato conto della natura eventualmente “non necessaria” dell’assunzione imposta al soggetto passivo([90]).

Ebbene, siffatte incertezze, dismessi gli evanescenti concetti di assunzione non necessaria e di squilibrio sinallagmatico([91]), appaiono facilmente superabili alla luce del criterio dell’utilità soggettiva, per effetto del quale l’accertamento giudiziale della sussistenza dell’estorsione contrattuale risulterebbe del tutto semplificata dal punto di vista concettuale e probatorio, dovendo il giudice verificare semplicemente se la controprestazione ottenuta dal soggetto passivo corrisponda o meno a quanto avrebbe potuto indifferentemente conseguire, in cambio della propria prestazione, da chiunque altro. Ovviamente, solo in caso di accertata indifferenza, il giudicante potrà escludere la configurabilità di un effettivo danno patrimoniale (inteso come perdita di utilità soggettiva) e, quindi, del reato di estorsione contrattuale, a vantaggio della più lieve ipotesi delittuosa di cui all’art. 610 c.p.([92]).

In conclusione, non pare superfluo osservare che una più precisa fisionomia del reato di estorsione, se, per un verso, assicura le imprescindibili esigenze garantistiche più volte richiamate in questo lavoro, dall’altra non va a pregiudicare le legittime istanze repressive. Anzi, i chiarimenti proposti restituiscono l’estorsione contrattuale come figura finalmente dai contorni sufficientemente perspicui, così da potersi proporre come efficace ed affidabile strumento di lotta alla criminalità economica, spesso anche di matrice mafiosa([93]).

Bibliografia

Articoli

  1. ALLETTO Mario, Estorsione contrattuale: la Suprema Corte fa chiarezza sulla fattispecie tipica, 21 febbraio 2022, in www.studioscicchitano.it.
  2. AMARELLI Giuseppe, L’aggravante speciale del delitto di estorsione delle “più persone riunite”: per le Sezioni unite è necessaria la contestuale presenza al momento della commissione del reato, nota a Cass. S.U. 29 marzo 2012 (dep. 5 giugno 2012), n. 21837, in Diritto Penale Contemporaneo, 3-4/2012, p. 114s.
  3. BARCELLONA Mario, L’abuso del diritto: dalla funzione sociale alla regolazione teleologicamente orientata del traffico giuridico, in studiolegale.leggiditalia.it, 2014, p. 1s. (tratto da Riv. dir. civ., 2014, 2, p. 10467s.)
  4. BARILLÀ Luca, Estremi del danno e del profitto e limiti di configurabilità della c.d. “estorsione contrattuale”, in Dir. Pen. e Processo, 2003, 12, p. 1537s.
  5. BERNARDI Silvia, Sulla minaccia di un “male giusto nel delitto di estorsione, tra abuso del diritto e approfittamento dell’altrui soggezione, nota critica a Cass. 17 febbraio 2017, n. 11979, in Diritto Penale Contemporaneo, 2/2018, p. 190s.
  6. CAMARDI Carmelita, Brevi riflessioni sull’argomentazione per principi nel diritto privato, in Riv. dir. civ., 2017, 5, p. 1130s.
  7. CESARIS Laura, In tema di condotta e danno nel reato di truffa, in Indice pen., 1977, p. 117s.
  8. CORBETTA Stefano, Osservatorio Corte di Cassazione – Diritto penale – Estorsione e truffa aggravata dalla prospettazione di un pericolo immaginario: quale differenza, nota a Cass. Sez. II, 6 maggio 2014, n. 20656, in studiolegale.leggiditalia.it (tratto da Dir. Pen. e Processo, 2014, 6, p. 692s.)
  9. DI TULLIO D’ELISIIS Antonio, Cosa distingue il reato di truffa aggravata dall’essere stato ingenerato nella persona offesa il timore di un pericolo immaginario da quello di estorsione, commento a Cass., II sez., 2 novembre 2021, n. 39289, in www.diritto.it., 11 novembre 2021
  10. DI TULLIO D’ELISIIS Antonio, In tema di estorsione contrattuale, l’elemento dell’ingiusto profitto con altrui danno può essere desunto implicitamente, in www.diritto.it., 7 febbraio 2022
  11. HEINITZ Ernst., Il danno patrimoniale nella truffa, in Arch. pen., 1953, 1, p. 357s.
  12. IANNUCCILLI Loris, L’interpretazione secundum Constitutionem tra Corte costituzionale e giudici comuni. Brevi note sul tema. Seminario del 6 novembre 2009 tenutosi a Palazzo della Consulta,pubblicato in www.cortecostituzionale.it
  13. MEREU Andrea, Minaccia di azione giudiziaria formulata nel corso delle trattative per la stipulazione di un mutuo fondiario: estorsione?, in Giur. merito, fasc. 1, 2002, p. 131s.
  14. NESSO Federico, La condotta tipica nel delitto di estorsione. Contributo alla teoria della violenza e della minaccia nel sistema penale, in Dirittifondamentali.it, 17 giugno 2020 – Fascicolo 2/2020, p. 955s.
  15. NESSO Federico, Gli effetti “intermedi” della condotta estorsiva. La costrizione del soggetto passivo e il conseguente atto di disposizione patrimoniale, in Gazzetta Forense, settembre – ottobre 2020, p. 746s.
  16. NESSO Federico, L’estorsione contrattuale. Contributo alla teoria del danno patrimoniale nel sistema penale, in Gazzetta Forense, marzo- aprile 2021, p. 272s.
  17. NESSO Federico, Il profitto nel delitto di estorsione, in Dirittifondamentali.it, 13 luglio 2021, Fascicolo 2/2021, p. 443s.
  18. PAGLIARO Antonio, Truffa e danno patrimoniale, in Riv. it. dir. e proc. pen., 1963, p. 1204
  19. PAIUSCO Sara, Violenza privata e parcheggio riservato ai disabili, nota a Cass. pen. Sez. V Sentenza, 23 febbraio 2017, n. 17794, in studiolegale.leggiditalia.it (tratto da Giur. it., 2017, 11, p. 2494s.)
  20. PEDRAZZI Cesare, Estorsione mediante minaccia di comportamento omissivo?, nota a Cass. Penale, Sez. II – 13 maggio 1980, in Riv. it. dir. e proc. pen., 1980, p. 1445s.
  21. PIOVESANA Anna, Commette estorsione l’imprenditore che impone ai lavoratori retribuzioni “fantasma” e dimissioni in bianco, nota a Cass. pen. Sez. VI, 01 luglio 2010, n. 32525, in Lavoro nella Giur., 2010, 11, p. 1085s.
  22. SACCO Rodolfo, Abuso del diritto, in studiolegale.leggiditalia.it (tratto da Dig. disc. priv., sez. civ., Torino, 2012, p. 1s.
  23. SAVI Riccardo, Truffa aggravata ed estorsione nel caso di assenza di pericolo di realizzazione del male minacciato, nota a Cass., Sez. II, 29 gennaio 2015, n. 8170, in studiolegale.leggiditalia.it (tratto da Dir. Pen. e Processo, 2015, 10, p. 1259s.)
  24. SPINA Michele, Ai confini della minaccia estorsiva: l’ingiustizia del male e la sua dipendenza dalla volontà dell’autore, nota a Cass. 2 febbraio 2017, in Arch. pen., 2/2017, p. 1s.
  25. TARANTINO Dora, La strumentalizzazione del diritto di cronaca per finalità contra ius: estorsione?, nota a Cass. 20 ottobre 2011, n. 43317, in Diritto Penale Contemporaneo, 13 febbraio 2012

Manuali

  1. ANTOLISEI Francesco, Manuale di diritto di diritto penale. Parte speciale, I, dodicesima edizione integrata e aggiornata, Cedam, Milano,1996
  2. BACCAREDDA BOY Carlo – LALOMIA Stefano, I delitti contro il patrimonio mediante violenza. Trattato di diritto penale. Parte speciale. Diretto da Giorgio Marinucci e Emilio Dolcini, vol. ottavo, Cedam, Padova, 2010
  3. BIGLIAZZI GERI Lina e altri, Diritto civile. 1.1 Norme, soggetti e rapporto giuridico, Utet, Torino, 1987
  4. CARMONA Angelo, I reati contro il patrimonio, in Questioni fondamentali della parte speciale del diritto penale, a cura di FIORELLA Antonio, seconda edizione, G. Giappichelli editore, Torino, 2016
  5. fiandaca Giovanni ­ musco Enzo, Diritto penale. Parte speciale, II, 2. I delitti contro il patrimonio (settima ed.), Zanichelli, Bologna, 2015
  6. FIORE Carlo – FIORE Stefano, Diritto Penale. Parte generale, quarta ed., Wolters Kluwer Italia s.r.l., Milanofiori Assiago (MI), 2013
  7. GAZZONI Francesco, Manuale di diritto privato, XVI edizione aggiornata e con riferimenti di dottrina e di giurisprudenza, Edizioni Scientifiche Italiane, Napoli, 2013
  8. MANTOVANI Ferrando, Diritto Penale. Parte generale, quarta ed., Cedam, Padova, 2001
  9. MANTOVANI Ferrando, Diritto Penale. Parte speciale II: Delitti contro il patrimonio, sesta ed., Cedam – Wolters Kluwer, Vicenza, 2016
  10. MAZZAROLLI L. e altri, a cura di, Diritto Amministrativo, I-II vol., terza edizione, Monduzzi Editore, Bologna, 2001
  11. PADOVANI Tullio, Diritto penale, X edizione, Giuffré, Milano, 2012

Monografie e trattati

  1. DONISI Carmine, Il contratto con se stesso, Edizioni Scientifiche Italiane, Napoli, 1992
  2. GATTA Gian Luigi, La minaccia. Contributo allo studio delle modalità della condotta penalmente rilevante. Aracne editrice s.r.l., Roma, settembre 2013
  3. MAGGINI Attilio, La truffa, Cedam, Padova, 1988
  4. MANCI Filippo, La truffa nel Codice penale italiano. Studio teorico- pratico, Fratelli Boccia editore, Torino, 1930
  5. MARINI Giuliano, Profili della truffa nell’ordinamento penale italiano, Giuffré, Milano, 1970
  6. PECORARO ALBANI Antonio, Il concetto di violenza nel diritto penale, Giuffré, Milano, 1962
  7. PEDRAZZI Cesare, Inganno ed errore nei delitti contro il patrimonio, Giuffré, Milano, 1955
  8. PINTO Margherita, I delitti contro il patrimonio mediante violenza alle persone, Wolters Kluwer Italia, Milanofiori Assago, 2009
  9. RAGNO Giuseppe, Il delitto di estorsione. Lineamenti dommatici, Giuffré, Milano, 1966
  10. SACCO Rodolfo – DE NOVA Giorgio, Il contratto, IV edizione, Utet giuridica, Milanofiori Assago, 2016
  11. SAMMARCO Giorgio, La truffa contrattuale, Giuffré, Milano, 1970
  12. SGUBBI Filippo, Il diritto penale totale. Punire senza legge, senza verità, senza colpa. Venti tesi, con Prefazione di Tullio Padovani e Postfazione di Gaetano Insolera, Il Mulino, Bologna, 2019
  13. VIGANÒ Francesco, La tutela penale della libertà individuale. Vol. 1: L’offesa mediante violenza, Giuffré, Milano, 2002

Opere e articoli di carattere economico

  1. BESANKO David A. – BRAEUTIGAM Ronald R., Microeconomia, edizione italiana a cura di Giam Pietro Cipriani, Paolo Coccorese e Stefania Ottone, McGraw-Hill Education (Italy) s.r.l., Quarta ed., Milano, 2020
  2. BOLLETTINO Marco, Valore e Scambio: tre diversi approcci, 13 settembre 2007, in www.ariannaeditrice.it.
  3. BUTLER Eamonn, La scuola austriaca di economia. Un’introduzione, 2010, trad. it., IBL Libri, Torino, 2014
  4. CINGOLI Giorgio, La teoria del valore-lavoro dopo Sraffa, FrancoAngeli, Milano, 2006
  5. GATTO Antonino – MIGLIARDO Carlo – MIGLIARDO Carmelo, L’essenziale della microeconomia, Cisalpino. Istituto Editoriale Universitario, Milano, 2012
  6. LEONI Bruno, Il “Capitale” di Carlo Marx, cent’anni dopo, 1966, in Il pensiero politico moderno e contemporaneo di Bruno Leoni, a cura di Antonio Masala, Liberilibri, Macerata, 2008, p. 257s.
  7. MENGER Carl, La teoria del denaro, tratto da Principi di Economia Politica, 1871, trad. it., in COTRONEO Alessio, a cura di, Inflazione e moneta. Mises, Hayek, Menger e altri, Istituto Liberale, Poland, 2019
  8. RICARDO David, Sui principi dell’economia politica e della tassazione, 1817, trad. it., Oscar Studio Mondadori, Cles, 1979
  9. ROTHBARD Murray N., Contro Adam Smith, trad. it., Rubbettino-Leonardo Facco, Soveria Mannelli-Treviglio, 2007
  10. ROTHBARD Murray N., I contributi fondamentali di Ludwig Von Mises, trad. it., in Ludwig von Mises, Libertà e proprietà, Rubbettino-Leonardo Facco, Soveria Mannelli-Treviglio, 2007
  11. ROTHBARD Murray N., Cosa ha fatto lo Stato con i nostri soldi. Riprendiamoci la moneta e altri saggi, 1963, 1995, trad. it., Leonardo Facco-goWare, Polonia, 2018
  12. SMITH Adam, Indagine sulla natura e le cause della ricchezza delle nazioni, 1776, trad. it., ISEDI, Milano, 1973
  13. VON MISES Ludwig, Il calcolo economico, in Burocrazia,1944, trad. it., Rubbettino editore, Soveria Mannelli, 2009-2011
  14. VON MISES Ludwig, L’azione umana. Trattato di economia, 1949, trad. it., Rubbettino editore, Soveria Mannelli, 2016

Opere di carattere generale e filosofico

  1. ARISTOTELE, Etica Nicomachea, trad. it. di Carlo Natali, con testo greco a fronte, Editori Laterza, Bari-Roma, 1999
  2. ARISTOTELE, Politica, Editori Laterza, Bari-Roma, 2005
  3. CRISOSTOMO Giovanni, Commento a Giobbe, trad. it., Città Nuova Editrice, Roma 2018
  4. TOMMASO d’Aquino, Commento alla Politica di Aristotele, trad. it., Edizioni Studio Domenicano, Bologna, 1996
  5. TOMMASO d’Aquino, Summa Teologica, in www.edizionistudiodomenicano.it

Opere di carattere psicologico/psichiatrico

  1. American Psychiatric Association, Manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali. Quinta edizione. DSM-5, edizione italiana a cura di Massimo Biondi, Raffaello Cortina Editore, Azzate (Varese), 2014

Opere di carattere storico

  1. BAZZICHI Oreste, Alle radici del capitalismo. Medioevo e scienza economica, Effatà Editrice, Cantalupa, 2010

Voci enciclopediche

  1. CONTI Luigi, Estorsione, in Enc dir., 1966, p. 995s.
  2. MANTOVANI Ferrando, Estorsione, in Enc. giur. Treccani, XIII, Roma, 1989, p. 1s.
  3. MARINI Giuliano, Estorsione, in Dig. Pen., IV, Torino, 1990, p. 377s.
  4. MARINI Giuliano, Truffa, in studiolegale.leggiditalia.it (tratto da Dig. Pen., XIV, Torino, 1999, p. 387s.)
  5. MILITELLO Vincenzo, Patrimonio (delitti contro il), in studiolegale.leggiditalia.it, 2019, p. 1s. (tratto da Dig. disc. pen.¸ IX, 1995, p. 287s.)
  6. SALVINI Angelo., Estorsione e sequestro di persona a scopo di rapina o di estorsione, in Noviss. Dig. it., VI, Torino, 1975, p. 1000s.

Decisioni

Corte di Cassazione*

  1. Cass. 9.2.1970, n. 273, Rv. 115339
  2. Cass. 11.5.1973, n. 2704, Rv. 126643
  3. Cass. 30.4.1982, n. 10703, Rv. 156074
  4. Cass. 22.4.1993, n. 1683, Rv. 194418
  5. Cass. 27.10.1997, n. 9958, Rv. 208938
  6. Cass. 5.2.2001, n. 10463, Rv. 218433
  7. Cass. 13.3.2002, n. 36942, Rv. 227317
  8. Cass., II sez. civ., 5.7.2002, n. 9740, Rv. 555533
  9. Cass. 24.9.2004, n. 39903, Rv. 230139
  10. Cass. 3.11.2005, n. 5639, Rv. 233837
  11. Cass. 3.12.2007, n. 7482, Rv. 239014
  12. Cass. 13.5.2010, n. 18158, in www.jusabili.org
  13. Cass. 28.9.2011, n. 38661, Rv. 251052
  14. Cass. 28.11.2013, n. 48461, Rv. 258168
  15. Cass. 20.1.2016, n. 8639, Rv. 266079
  16. Cass. 13.10.2016, n. 9429, Rv. 269364
  17. Cass. 11.7.2018, n. 34242, Rv. 273542
  18. Cass. 12.7.2018, n. 39722, Rv. 273810
  19. Cass. 17.5.2019, n. 27555, Rv. 276118
  20. Cass. 19.2.2020, n. 12434, Rv. 278998
  21. Cass. 12.1.2022, n. 2924, in www.italgiure.giustizia.it (non massimata)

[1]) Si rammenti che, secondo la consolidata formula definitoria – alla quale espressamente si richiama anche la sentenza testé menzionata (p. 4) – l’estorsione contrattuale (o anche detta negoziale o patrimoniale) si definisce come l’ipotesi delittuosa «che si realizza quando al soggetto passivo sia imposto di porsi in rapporto negoziale di natura patrimoniale con l’agente o con altri soggetti» (Cass. 13.10.2016, n. 9429, Rv. 269364).

[2]) Cass. 12.1.2022, n. 2924, p. 4: «Va ricordato… che la minaccia costitutiva del delitto di estorsione, oltre che essere esplicita, palese e determinata, può essere manifestata anche in maniera indiretta, ovvero implicita ed indeterminata, purché sia idonea ad incutere timore ed a coartare la volontà del soggetto passivo, in relazione alle circostanze concrete, alla personalità dell’agente, alle condizioni soggettive della vittima ed alle condizioni ambientali in cui opera (Sez. 2, n. 8477 del 20/2/2019, Scialpi, Rv. 275613, in motivazione; Sez. 2, n. 11107 del 14/02/2017, Tessitore, Rv. 269905; Sez. 2, n. 677 del 10/10/2014, dep. 2015, Di Vincenzo, Rv. 261553; Sez. 2, n. 11922 del 12/12/2012, dep. 2013, Lavitola, Rv. 254797)». Per ulteriori richiami giurisprudenziali nonché per ampie indicazioni dottrinali sul tema della varietà delle forme della minaccia, sia consentito rinviare a NESSO F., La condotta tipica nel delitto di estorsione, in Dirittifondamentali.it, fasc. 2/2020, p. 979, nota 80. Per alcune considerazioni critiche riguardo alla tradizionale tematica del timore (cd. metus) e della relativa, pretesa necessità, v. NESSO F., Gli effetti “intermedi” della condotta estorsiva, in Gazzetta Forense, settembre – ottobre 2020, p. 752.

[3]) Cf. da ultimo Cass. 19.2.2020, n. 12434, Rv. 278998. Negli stessi termini si esprimevano già Cass. 30.4.1982, n. 10703, Rv. 156074, e, più di recente, ex multis Cass. 5.2.2001, n. 10463, Rv. 218433, Cass. 13.10.2016, n. 9429, Rv. 269364 e Cass. 12.7.2018, n. 39722, Rv. 273810. Contra, Cass. 17.5.2019, n. 27555, Rv. 276118.

[4]) V. per tutti BARILLÀ L., Estremi del danno e del profitto, 2003, p. 1537.

[5]) In ordine al distinguo tra estorsione e violenza privata fondata, per l’appunto, sul criterio del danno patrimoniale (e dell’ingiusto profitto), v. infra nota 88, ma si veda anche, per le indicazioni bibliografiche, giurisprudenziali e dottrinali, NESSO F., L’estorsione contrattuale, in Gazzetta Forense, marzo-aprile 2021, p. 274, nota 14.

[6]) Cass. 12.1.2022, n. 2924, p. 4, ove si richiamano numerose altre pronunce di legittimità del tutto analoghe. Per ulteriori indicazioni giurisprudenziali riguardanti il concetto di danno in re ipsa e per le relative critiche da parte della dottrina – secondo la quale il danno patrimoniale postulerebbe, oltre alla lesione dell’autonomia negoziale, un quid pluris, ossia lo squilibrio di valore tra la prestazione imposta e quella, dal valore decisamente inferiore o addirittura nullo, che il soggetto passivo riceve in cambio (cd. squilibrio sinallagmatico) – v. retro note 3 e 4.

[7]) ALLETTO M., Estorsione contrattuale, 21 febbraio 2022, in www.studioscicchitano.it, DI TULLIO D’ELISIIS A., In tema di estorsione contrattuale, 7 febbraio 2022, in diritto.it, i quali sottolineano concordemente che si sarebbe trattato di una sentenza dalla positiva portata chiarificatrice.

[8]). È il caso evidenziare che il presente articolo riprende e sintetizza quanto già più ampiamente espresso nei miei precedenti lavori La condotta tipica nel delitto di estorsione, in Dirittifondamentali.it, fasc. 2/2020, p. 955s. e L’estorsione contrattuale, in Gazzetta Forense, marzo- aprile 2021, p. 272s.

[9]) Sulla varietà delle forme della minaccia, v. BACCAREDDA BOY-LALOMIA, I delitti contro il patrimonio mediante violenza, 2010, p. 522s., nonché FIANDACA-MUSCO, I delitti contro il patrimonio, 2015, p. 157, che parla di «infinite forme», tante «quante sono le escogitazioni dell’ingegno volto a far del male», e GATTA G. L., La minaccia, 2013, p. 230, che fa riferimento a «innumerevole varietà delle forme (al limite della fantasia)». Per ampie indicazioni giurisprudenziali, v. PINTO M., I delitti contro il patrimonio mediante violenza alle persone, 2009, p. 140-141.

[10]) Per la giurisprudenza, cf., ex pluribus, Cass. 3.12.2007, n. 7482, Rv. 239014, che, in tema di delitto di minaccia a pubblico ufficiale ex art. 336 c.p., espressamente qualifica la minaccia come «qualsiasi coazione, anche morale… purché sussista la idoneità a coartare la libertà di azione del pubblico ufficiale», e, per un’ulteriore, ampia rassegna di pronunce, anche di merito, con specifico riferimento al reato di estorsione, v. PIOVESANA A., Commette estorsione l’imprenditore che impone ai lavoratori retribuzioni “fantasma” e dimissioni in bianco, in Lavoro nella Giur., 2010, 11, p. 1085s., nonché GATTA G. L., La minaccia, 2013, p. 135-136. Quanto alla dottrina, secondo MANTOVANI F., Delitti contro il Patrimonio, 2016, p. 56: «…la minaccia può essere effettuata in tutte le forme e i modi psicologicamente idonei a coartare l’altrui volontà» (la sottolineatura è mia). Alle medesime conclusioni giungono anche FIANDACA­MUSCO, I delitti contro il patrimonio, 2015, p. 157, e, in sede di analisi della particolare ipotesi della minaccia di mancata restituzione della refurtiva (cd. cavallo di ritorno), BACCAREDDA BOY-LALOMIA, I delitti contro il patrimonio mediante violenza, 2010, p. 539-541. In argomento, v. anche, sia pure con note critiche, TARANTINO D., La strumentalizzazione del diritto di cronaca, in Diritto Penale Contemporaneo, 13 febbraio 2012, p. 10s.

[11]) Si rammenti che, in dottrina, la minaccia posta come condizione, al fine di costringere la vittima a tenere un certo comportamento, viene definita minaccia motivante, che si distingue dalla cd. minaccia fine, punita dall’art. 612 c.p., la quale, viceversa, si verifica allorché l’agente la utilizza non per condizionare l’agire del soggetto passivo, ma come strumento fine a se stesso, teso semplicemente a lederne l’integrità psichica. In argomento, anche per le opportune indicazioni bibliografiche, v. NESSO F., La condotta tipica nel delitto di estorsione, in Dirittifondamentali.it, fasc. 2/2020, p. 959s.

[12]) Trattasi evidentemente di un contegno verbale – cioè di parole o frasi che l’agente pronuncia all’indirizzo della vittima – o, comunque comunicativo, quale può essere un gesto o persino un silenzio significativo, secondo il già menzionato principio della varietà delle forme.

[13]) Per tutti, v. CONTI L., Estorsione, in Enc dir., 1966, p. 998: «Ciò che conta in sostanza è l’idoneità del comportamento a coartare la libertà di determinazione» della vittima, sebbene, in nota, lo stesso Autore precisi che il comportamento, per le circostanze concrete del fatto, debba comunque rivestire «un intrinseco contenuto di minaccia», senza, tuttavia, avvedersi che la questione è proprio quella di definire, in maniera appropriata e precisa, in cosa consista tale “contenuto”. Analoga ambiguità può cogliersi in RAGNO G., Il delitto di estorsione, 1966, p. 37 allorché afferma che: «Essenziale è solo che [l’agente] ponga in aspettativa un male e contenga, così, una condizione» (la sottolineatura è mia).

[14]) Distingue attentamente tra mezzo ed effetto, sia pure in relazione all’analogo tema della violenza motivante, RAGNO G., Il delitto di estorsione, 1966, p. 2: «Nella denominazione “mezzo per coartare” si trova già una separazione tra violenza e coazione, che spesso inesattamente vengono fatte equivalere. Coazione è negazione della libertà… del soggetto su cui la violenza è esercitata. La violenza, invece, è solo mezzo allo scopo». Sulla nozione di violenza, si veda la preziosa monografia di PECORARO ALBANI A., Il concetto di violenza nel diritto penale, 1962, nonché VIGANÒ F., L’offesa mediante violenza, 2002, e più sommessamente NESSO F., La condotta tipica nel delitto di estorsione, in Dirittifondamentali.it, fasc. 2/2020, p. 961s. Si rammenti, per il resto, che la dottrina individua pacificamente la condotta tipica del reato di estorsione (non nel procurare “a sé o ad altri un ingiusto profitto con altrui danno”, o nel costringere “taluno a fare o ad omettere qualche cosa”, giacché né il procurare un profitto né il cagionare un danno e neppure il costringere costituiscono comportamenti, rappresentando piuttosto gli obiettivi intermedi e finali che l’agente si propone di realizzare con la propria condotta, ma, per l’appunto,) nella minaccia o anchenella violenza motivanti, cioèfinalizzate a perseguire detti scopi (in tal senso, v. per tutti MARINI G., Estorsione, in Dig. Pen., IV, 1990, p. 379). Viceversa, gli altri elementi della fattispecie, sopra menzionati, ne costituiscono il quadruplice evento (MANTOVANI F., Delitti contro il patrimonio, 2016, p. 192) ovvero, più specificatamente, i primi due (coazione psichica e comportamento coartato) gli eventi intermedi e gli altri due (danno e ingiusto profitto) gli eventi finali (fiandaca­musco, I delitti contro il patrimonio, 2015, p. 159, 161).

[15]) Sulla distinzione tra reati a forma vincolata e reati a forma libera, v. MANTOVANI F., Diritto Penale. Parte generale, 2001, p. 134.

[16]) In argomento, v. PEDRAZZI C., Inganno ed errore nei delitti contro il patrimonio, 1955, dove le considerazioni sull’importanza del mezzo – cioè della condotta tipica, come principium individuationis del singolo reato tra quelli appartenenti «all’ampia famiglia dei reati patrimoniali» (p. 26), osservando che «È… il “mezzo” il momento più originale e significativo delle fattispecie dei delitti patrimoniali, quando si confrontino l’una all’altra» (p. 39) – si coniugano con la più ampia preoccupazione per il riaffiorare persino di rigurgiti irrazionalistici sottesi alle più arcaiche concezioni del diritto penale nonché per lo svuotamento del principio di legalità: «…lo spirito liberale non potrebbe accontentarsi di una riaffermazione farisaica del nullum crimen sine lege, proclamato a parole, ma poi aggirato sottobanco mediante l’introduzione di clausole onnicomprensive sul tipo di quelle del diritto civile» (p. 29).

[17]) Non è difficile scorgere, alla base di questo orientamento, un chiaro intento di politica criminale (BACCAREDDA BOY-LALOMIA, I delitti contro il patrimonio mediante violenza, 2010, p. 346), teso ad ampliare il più possibile l’ambito di tutela della persona, adottando una nozione di minaccia sufficientemente sfumata da potervi ricondurre, così da assoggettarli a sanzione penale, tutti quei comportamenti ritenuti, a torto o a ragione, «suscettibili di un giudizio negativo sul piano morale o sociale» (BACCAREDDA BOY-LALOMIA, I delitti contro il patrimonio mediante violenza, 2010, p. 538). E non è certamente un caso che i più ampi spazi applicativi di siffatta impostazione si siano aperti in materie particolarmente suscettibili di istanze legate alla ricerca di una pretesa “giustizia sostanziale” come la locazione e il lavoro subordinato, ove il rifiuto di stipulare il contratto se non a condizioni ritenute deteriori per la controparte debole, aspirante all’affitto dell’immobile per uso abitativo o all’assunzione, è stato talvolta ricondotto al paradigma dell’estorsione contrattuale, ignorando il fatto che sull’agente (potenziale locatore o datore di lavoro) non gravava alcun obbligo di contrarre e confondendo visibilmente la coercizione con l’approfittamento dell’altrui stato di bisogno. Per l’indicazione delle decisioni, anche di merito, che hanno fatto propria la posizione in esame, e delle relative critiche da parte della dottrina maggioritaria, v. PINTO M., I delitti contro il patrimonio mediante violenza alle persone, 2009, p. 140s., BACCAREDDA BOY-LALOMIA, I delitti contro il patrimonio mediante violenza, 2010, p. 543s. (la “minaccia del locatore”) e p. 553s. (la minaccia del datore di lavoro: il c.d. “salario ridotto”), nonché PEDRAZZI C., Estorsione mediante minaccia di comportamento omissivo?, in Riv. it. dir. e proc. pen., 1980, p. 1445s. Per quanto concerne l’obbligo di contrarre e, più, in genere, di attivarsi per impedire l’evento dannoso (art. 40 cpv. c.p.) quale necessario presupposto dell’estorsione mediante omissione, v. NESSO F., La condotta tipica nel delitto di estorsione, in Dirittifondamentali.it, fasc. 2/2020, p. 979.

[18]) Si tratta di Cass. 12.7.2007, n. 35484, Rv. 237805 (che parrebbe tuttora isolata nel panorama giurisprudenziale), seguita dalle condivisibili critiche da parte di PINTO M., I delitti contro il patrimonio mediante violenza alle persone, 2009, p. 142-143, e di BACCAREDDA BOY-LALOMIA, I delitti contro il patrimonio mediante violenza, 2010, p. 519-520, che correttamente riconduce il fatto al delitto di cui all’art. 643 c.p. Sul punto, v. anche SPINA M., Ai confini della minaccia estorsiva, in Arch. pen., 2/2017, p. 4. In giurisprudenza, allo stesso modo, qualifica l’approfittamento della solitudine di una persona psicologicamente fragile come circonvenzione d’incapace, Cass. 13.5.2010, n. 18158, in www.jusabili.org.

[19]) V. retro nota 17.

[20]) GATTA G. L., La minaccia, 2013, p. 174.

[21]) Sostengono la necessità del requisito dell’ingiustizia, MANTOVANI F., Delitti contro il Patrimonio, 2016, p. 55, CONTI L., Estorsione, in Enc dir., 1966, p. 997, SALVINI A., Estorsione e sequestro di persona,in Noviss. Dig. it., 1975, p. 1001 e, per la dottrina più recente, BACCAREDDA BOY-LALOMIA, I delitti contro il patrimonio mediante violenza, 2010, p. 349 (in tema di rapina) e p. 519 (in tema di estorsione), nonché MEREU A., Minaccia di azione giudiziaria, in Giur. merito, 2002, p. 131s. Sono contrari, MARINI G., Estorsione, in Dig. Pen., IV, 1990, p. 381, FIANDACA­MUSCO, I delitti contro il patrimonio, 2015, p. 157, e CARMONA A., I reati contro il patrimonio, 2016, p. 197. Si rammenti che, per il resto, la minaccia è pacificamente qualificata come prospettazione di un male futuro, dipendente dalla volontà dell’agente. Sul punto, sia consentito rinviare a NESSO F., La condotta tipica nel delitto di estorsione, in Dirittifondamentali.it, fasc. 2/2020, parag. 2.2, p. 975s. Per approfondire il tema della dipendenza del male preannunciato dalla volontà dell’agentecome criterio atto a tracciare il confine fra estorsione e concussione da una parte e truffa aggravata ex art. 640, co. 2, n. 2, c.p. (cd. truffa vessatoria) dall’altra, v. MARINI G., Estorsione, in Dig. Pen., 1990, p. 389, e dello stesso Autore, Truffa, in studiolegale.leggiditalia.it, p. 21 e nota 238, nonché SAVI R., Truffa aggravata ed estorsione, in studiolegale.leggiditalia.it, 2015, DI TULLIO D’ELISIIS A., Cosa distingue il reato di truffa aggravata, in diritto.it, 11 novembre 2021, e, per le ulteriori indicazioni bibliografiche, anche giurisprudenziali, CORBETTA S., Estorsione e truffa aggravata, in studiolegale.leggiditalia.it, 2014.

[22]) Emblematica, da questo punto di vista, è la posizione assunta da GATTA G. L., La minaccia, 2013, il quale – nel perseguire dichiaratamente il condivisibile proposito di conseguire una più rigorosa definizione del concetto di minaccia, così da arginarne l’indebita elefantiasi (p. 11-12) – pur avendo affermato, in prima battuta, l’imprescindibilità del requisito dell’ingiustizia quale risulta dall’art. 612 c.p., cui riconosce portata definitoria generale, valevole anche per i reati complessi che comprendono, nella loro struttura, una condotta minacciosa (p. 175-176), ha poi anch’egli ammesso che il concetto di minaccia-mezzo vada esteso in base ad un «un criterio addizionale» ricavabile dall’art. 1438 c.c., per effetto del quale, in definitiva, la «qualifica di “ingiusto” può… essere attribuita alla prospettazione di un male di per sé giusto, allorché… la sua prospettazione non rappresenta un mezzo riconosciuto dall’ordinamento per raggiungere il fine che l’agente ha di mira, cioè il risultato che intende conseguire attraverso l’altrui coazione» (p. 187-188).

[23]) Parla di “torsione dei fini” GATTA G. L., La minaccia, 2013, p. 155, per indicare quell’atto «indubbiamente lecito e rispondente a una propria libertà» e tuttavia «diretto verso il traguardo di un vantaggio illecito». In senso analogo, RAGNO G., Il delitto di estorsione, 1966, p. 52, che utilizza l’espressione «distorsione dal fine riservato al diritto». D’altra parte, fermo restando la validità anche dei termini torsione o distorsione, sembra preferibile la locuzione sviamento dei fini in quanto connotata da un maggiore spessore tecnico-giuridico, essendo tratta dall’ampia elaborazione, da parte della dottrina amministrativistica, dell’affine concetto di sviamento del potere, in tema di illegittimità degli atti amministrativi. In argomento, v. MAZZAROLLI, Diritto amministrativo, 2001, p. 1519s., nonché, per una feconda applicazione alla teoria dei contratti del concetto di sviamento di potere, DONISI C., Il contratto con se stesso, 1992, p. 141s.

[24]) BACCAREDDA BOY-LALOMIA, I delitti contro il patrimonio mediante violenza, 2010, p. 521.

[25]) SALVINI A., Estorsione e sequestro di persona,in Noviss. Dig. it., 1975, p. 1001-1002: «…il male minacciato, giusto obiettivamente – prosegue l’Autore – diventa ingiusto per il fine cui è diretto».

[26]) Particolarmente significativa, al riguardo, è la vicenda trattata da Cass. 12.4.1999, n. 1281, Rv. 216825, dove, in relazione alla minaccia di licenziamento a carico di una dipendente sorpresa a rubare qualora non si fosse dimessa, si è passati dalla condanna del datore, in primo grado, per estorsione all’assoluzione in Cassazione per irrilevanza penale del fatto, passando per la derubricazione in esercizio arbitrario delle proprie ragioni ex art. 393 c.p. da parte della Corte di appello. Per le ampie indicazioni bibliografiche in ordine alla vastissima casistica giurisprudenziale menzionata nel testo, v. NESSO F., La condotta tipica nel delitto di estorsione, in Dirittifondamentali.it, fasc. 2/2020, p. 993-994, con particolare riguardo alla nota 139.

[27]) SACCO R., Abuso del diritto, in studiolegale.leggiditalia.it, 2012, p. 15. La sottolineatura è mia.

[28]) BACCAREDDA BOY-LALOMIA, I delitti contro il patrimonio mediante violenza, 2010, p. 558. Il corsivo è mio.

[29]) Così, in particolare, Cass. 16.1.2003, n. 16618, Rv. 224399, dopo aver affermato, in motivazione, che: «La minaccia necessaria per integrare la fattispecie della estorsione (o della tentata estorsione) non può esaurirsi nella mera prospettazione di un male ma richiede che il male prospettato sia ingiusto» (la sottolineatura è mia), conclude affermando che: «In tema di estorsione, anche la minaccia di esercitare un diritto – come l’esercizio di un’azione giudiziaria o esecutiva – può costituire illegittima intimidazione idonea ad integrare l’elemento materiale del reato quando tale minaccia sia finalizzata al conseguimento di un profitto ulteriore, non giuridicamente tutelato» (la sottolineatura è mia). Cf., in senso conforme, ex pluribus Cass. 13.3.2002, n. 36942, Rv. 227317 e, più di recente, Cass. 11.7.2018, n. 34242, Rv. 273542. Si vedano anche i numerosi riferimenti giurisprudenziali in BACCAREDDA BOY-LALOMIA, I delitti contro il patrimonio mediante violenza, 2010, p. 557s., cui si rinvia per l’ampia trattazione del tema della minaccia di esercitare o di azionare un diritto quale possibile modalità della condotta estorsiva.

[30]) Parla di «un risultato iniquo, perché ampiamente esorbitante», Cass. 13.3.2002, n. 36942, Rv. 227317, oppure di una «manifesta sproporzione», Cass. 24.9.2004, n. 39903, Rv. 230139, o di una pretesa risarcitoria «del tutto sproporzionata [rispetto] alla entità del diritto leso, Cass. 9.2.1970, n. 273, Rv. 115339 o, persino, in termini ancora più generici, di «vantaggi… non dovuti nell’an o nel quantum, Cass. 11.7.2018, n. 34242, Rv. 273542. Le sottolineature sono mie. In dottrina, GATTA G. L., La minaccia, 2013, p. 196-199, propone di qualificare lo sviamento del fine come criterio qualitativo,e l’esorbitanza o sproporzione della pretesa come criterio quantitativo, e, sulla scia di autorevole dottrina civilistica (SACCO), maturata in sede di interpretazione dell’art. 1438 c.c., si oppone senz’altro all’applicazione, ai fini penali, di questo secondo criterio, che, per l’appunto, «dovrebbe… entrare in scena nell’eventualità che sussista un nesso di inerenza/strumentalità», cioè quando non vi è sviamento del fine. In giurisprudenza, rigetta il criterio quantitativo Cass. Sez. II, 8 febbraio 1974, cit. in BACCAREDDA BOY-LALOMIA, I delitti contro il patrimonio mediante violenza, 2010, p. 560, in nota.

[31]) Avverte i rischi sottesi ad un’eccessiva enfasi del momento finalistico, BARCELLONA M., L’abuso del diritto, in studiolegale.leggiditalia.it, 2014, p. 8, il quale opportunamente segnala che la funzionalizzazione dei diritti può costituire «strumento di un interventismo giudiziale destinato ad implementare istanze di carattere politico, etico, ecc., e comunque lo strumento della sovrapposizione di una logica eteronoma alle autonome determinazioni degli individui privati». Sui principi di determinatezza e tassatività della fattispecie penale, quali articolazioni interne del principio di legalità, v. FIORE, Diritto Penale. Parte generale, 2013, p. 72s., ove si menziona, altresì (p. 86, nota 26), l’autorevole parere di chi (MARINUCCI-DOLCINI) propone di affiancarvi il distinto principio di precisione, inteso come l’esigenza, anch’essa derivante dal principio di legalità, che la norma garantisca «una descrizione chiara e precisa del fatto e delle sue conseguenze». Si vedano anche PADOVANI T., Diritto penale, 2012, p. 17s., e MANTOVANI F., Diritto Penale. Parte generale, 2001, p. 42s.

[32]) BACCAREDDA BOY-LALOMIA, I delitti contro il patrimonio mediante violenza, 2010, p. 559.

[33]) Il risultato ultimo che il soggetto agente, nel reato di estorsione, mira a realizzare ha natura necessariamente economica, per cui si qualifica specificamente come profitto. Sul concetto di profitto in senso rigorosamente economico e sul requisito della relativa ingiustizia, si ammetta il rinvio a NESSO F., Il profitto nel delitto di estorsione, in Dirittifondamentali.it, fasc. 2/2021, p. 443s.

[34]) Si rammenti che si è già detto sopra, in questo paragrafo, dell’analoga confusione tra la minaccia, come mezzo coercitivo, e la coazione, che ne rappresenta il potenziale effetto. Per quanto attiene, invece, alla minaccia (e alla violenza) come condotta tipica del reato di estorsione, e all’importanza della condotta come elemento caratterizzante i singoli reati contro il patrimonio, v. retro nota 16.

[35]) Sul concetto di reato complesso in senso lato, v. MANTOVANI F., Diritto Penale. Parte Generale, 2001, p. 500, e FIORE, Diritto Penale. Parte generale, 2013, p. 647. Quanto all’estorsione, è evidente che ad essa spetti correttamente la qualificazione dogmatica di reato latamente complesso in quanto, agli elementi di per sé costituenti reato come minaccia (art. 612 c.p.) o violenza alla persona (artt. 581, 582 c.p., ecc.), aggiunge gli ulteriori elementi della costrizione a compiere l’atto di disposizione patrimoniale, con profitto per l’agente e correlativo danno economico per la vittima, di per sé penalmente irrilevanti.

[36]) Sulla distinzione tra reati a forma libera e reati a forma vincolata, v. retro nota 15.

[37]) Per le difficoltà in tema di distinzione tra minaccia concussiva e induzione (oggi rilevante ai fini della sussistenza dell’autonomo reato di cui all’art. 319-quater c.p.), v. GATTA G. L., La minaccia, 2013, p. 211s.

[38]) Si è visto sopra (in particolare, nota 16) che l’eccessiva enfasi posta sull’eventuale, accentuata debolezza contrattuale di una parte di cui l’altra, in ipotesi, abbia approfittato, ha talvolta indotto la giurisprudenza, specie in materia di locazione abitativa e di rapporto di lavoro subordinato, a ravvisare, in caso di rifiuto di stipulare il contratto se non a determinate condizioni ritenute ingiuste, il reato di estorsione, pur a fronte della palese insussistenza di un qualunque obbligo di contrarre in capo al potenziale contraente forte.

[39]) Sulla concezione analitica o unitaria del reato,v. MANTOVANI F., Diritto Penale. Parte Generale, 2001, p. 105s. Esprime particolare sensibilità e preoccupazione a fronte del fenomeno in corso di forte (e, spesso, indiscriminata) espansione, anche per via interpretativa, del diritto penale, alla ricerca di una pretesa tutela penale della persona senza vuoti, così andando a sedimentare un diritto penale totale dove frammentario non è più il sistema punitivo ma il penalmente indifferente o, addirittura, la libertà stessa, l’interessante saggio di SGUBBI F., Il diritto penale totale, 2019, con prefazione di Tullio Padovani, che è qui pertinente segnalare anche per la lucida denuncia degli afflati irrazionalistici ed emozionali degli odierni orientamenti interpretativi (p. 30s.).

[40]) Sulla necessità dell’interpretazione costituzionalmente orientata come obbligo per l’interprete e, segnatamente, per il giudice, v., sulla base delle pronunce della stessa Corte Costituzionale, IANNUCCILLI L., L’interpretazione secundum Constitutionem, 2009, nonché CAMARDI C., Brevi riflessioni sull’argomentazione per principi nel diritto privato, in Riv. dir. civ., 2017, p. 1130s. Sul principio di legalità e le sue articolazioni interne (determinatezza e tassatività della fattispecie penale, v. retro nota 31. Per un’ampia riflessione sui rapporti tra l’attività esegetica (letterale e logico-sistematica) ed «il principio di legalità nella duplice accezione della precisione-determinatezza della condotta punibile e del divieto di analogia in malam partem», v. AMARELLI G., L’aggravante speciale del delitto di estorsione delle “più persone riunite”, in Diritto Penale Contemporaneo, 3-4/2012, p. 114s.

[41]) Si rammenti che risulta pacificamente ammesso che il danno, cui si riferisce espressamente l’art. 612 c.p. in tema di minaccia, abbia il medesimo significato del male menzionato dall’art. 1435 c.c. in materia di vizi del consenso (GATTA G. L., La minaccia, 2013, p. 152).

[42]) In questi termini, GATTA G. L., La minaccia, 2013, p. 179s.

[43]) L’espressione è tratta da GATTA G. L., La minaccia, 2013, p. 184, che definisce «magmatica» la materia del danno risarcibile. Per le annose difficoltà interpretative dell’art. 2043 c.c., v. SACCO-DE NOVA, Il contratto, 2016, p. 569. Sul concetto di norma penale in bianco, v. FIORE, Diritto Penale. Parte generale, 2013, p. 97s., PADOVANI T., Diritto penale, 2012, p. 24s. e MANTOVANI F., Diritto Penale. Parte Generale, 2001, p. 51s., sebbene, deve osservarsi, che tutti inquadrano la problematica delle norme penali in bianco unicamente sotto il profilo della riserva di legge e, quindi, dei limiti di ammissibilità costituzionale dell’integrazione della fonte legislativa da parte di fonte normative secondarie, e non anche sotto il profilo – che, invero, appare non meno delicato – della sufficiente determinatezza e precisione della singola norma incriminatrice.

[44]) Il riferimento evidentemente è al principio della conoscibilità del precetto penale sancito dall’art. 5 c.p., così come reinterpretato dalla giurisprudenza costituzionale, in particolare da Corte Cost. 24 marzo 1988, n. 364 che ne ha dichiarato l’illegittimità costituzionale «nella parte in cui non esclude dall’inescusabilità della ignoranza della legge penale l’ignoranza inevitabile».

[45]) Per quanto il parallelismo tra violenza e minaccia – colto anche da GATTA G. L., La minaccia, 2013, p. 230 – possa certamente costituire un argomento non poco suggestivo, non ho ravvisato ragioni né logiche né di ordine strettamente normativo per limitare ulteriormente il concetto di minaccia al preannuncio di voler commettere un reato (non di qualsiasi indole, ma solo) di natura violenza.

[46]) GATTA G. L., La minaccia, 2013, p. 144-145, 153, 225-226, 230, 290. È appena il caso evidenziare che le considerazioni appena svolte – che mi hanno portato a concludere che solo chi minaccia di commettere un reato ai danni di altri realizza una minaccia penalmente rilevante – non hanno alcuna attinenza, neppure a livello di mera suggestione, con la disciplina della minaccia da parte del codice penale tedesco, il cui § 241 limita il concetto di minaccia-fine alla sola «minaccia di commettere un reato», né sono destinate a mutare allorché si consideri non la minaccia-fine ma la minaccia strumentale alla coercizione (cd. minaccia-mezzo), non avendo alcuna portata dirimente il dato letterale del mancato riferimento, da parte di norme come gli artt. 610, 628 e 629 c.p., al requisito dell’ingiustizia. Su tali aspetti, v. NESSO F., La condotta tipica nel delitto di estorsione, in Dirittifondamentali.it, fasc. 2/2020, p. 990, nota 128, e p. 991-992.

[47]) È stato osservato che si tratterebbe di una norma che «il penalista non può ignorare» (GATTA G. L., La minaccia, 2013, p. 194-195), ma, come si è visto, ciò che non può essere ignorato è la specificità del diritto penale, quale deriva dai suoi fondamentali principi di determinatezza, tassatività e precisione delle fattispecie incriminatrici. Del resto, lo stesso Autore, nell’intento di scongiurare un’eccessiva dilatazione del concetto di minaccia penalmente rilevante., aderisce ad un’interpretazione restrittiva dell’art. 1438 c.c. Sul punto, v. quanto riportato in NESSO F., La condotta tipica nel delitto di estorsione, in Dirittifondamentali.it, fasc. 2/2020, p. 992, nota 133.

[48]) V. retro parag. 2.

[49]) La dottrina civilistica (SACCO-DE NOVA, Il contratto, 2016, p. 578; GAZZONI F., Manuale di diritto privato, 2013, p. 252) chiarisce che l’art. 1438 c.c. contempla, non un’ipotesi di esercizio anomalo di un diritto, ma piuttosto un vero e proprio contratto (atipico) dove il titolare del diritto soggettivo, in cambio dell’impegno a non esercitarlo, ottiene dalla controparte una determinata prestazione, da cui derivano, in ipotesi, quei vantaggi ingiusti che causano l’annullabilità del contratto stesso.

[50]) V. supra parag. 1, ove si è, altresì, già accennato alle critiche dottrinali mosse al criterio del danno implicito (cd. danno in re ipsa).

[51]) A parte alcune pronunce che hanno respinto, più o meno esplicitamente, il criterio del danno implicito (cf. Cass. 27.10.1997, n. 9958, Rv. 208938, Cass. 28.9.2011, n. 38661, Rv. 251052, ma soprattutto e più di recente, Cass. 17.5.2019, n. 27556, Rv. 276118), il S.C. ha spesso fatto ricorso, in particolare in tema di assunzioni coartate, al diverso criterio dell’assunzione «non necessaria» (ex pluribus Cass. 3.11.2005, n. 5639, Rv. 233837 e, più di recente, Cass. 20.1.2016, n. 8639, Rv. 266079) ovvero anche, in un caso, al criterio dell’intuitu personae in ragione della particolare delicatezza delle mansioni (Cass. 19.2.2020, n. 12434, Rv. 278998). Coglie l’evidente incertezza giurisprudenziale sul tema del danno patrimoniale, BARILLÀ L., Estremi del danno e del profitto, 2003, p. 1537, incertezza che, invece, pare sia sfuggita a MANCI F., La Truffa, 1930, p. 61, allorché osserva che l’orientamento della Cassazione, pur nella diversità delle formule utilizzate, sarebbe sostanzialmente univoco. Deve osservarsi, piuttosto – e il dato appare piuttosto singolare – che, dall’analisi delle varie sentenze che si inscrivono o nell’uno o nell’altro orientamento, non sembra mai rilevabile alcuna espressa presa di posizione critica avverso l’opposto filone interpretativo, sicché i due orientamenti finiscono quasi per costituire due autonomi e paralleli binari, dove l’uno semplicemente ignora l’altro senza mai incrociarlo, e viceversa. Persino Cass. 17.5.2019, n. 27556, Rv. 276118, che pure nega espressamente che il danno patrimoniale possa ravvisarsi nella mera compressione dell’autonomia contrattuale della vittima, non si è prodotta in alcuno sforzo argomentativo per censuare detto filone interpretativo, e nemmeno cita taluna delle pronunce che lo sostengono.

[52]) Per tutti, BARILLÀ L., Estremi del danno e del profitto, 2003, p. 1537s., ma v. anche BACCAREDDA BOY-LALOMIA, I delitti contro il patrimonio mediante violenza, 2010, p. 580-581, MANTOVANI F., Estorsione, in Enc. giur. Treccani, 1989, p. 4. Decisamente contro tendenza, nel panorama dottrinale, PINTO M., I delitti contro il patrimonio mediante violenza alle persone, 2009, p. 193-194, che mostra di aderire «alla chiave di lettura della Cassazione».

[53]) fiandaca­musco, I delitti contro il patrimonio, 2015, p. 191, BACCAREDDA BOY-LALOMIA, I delitti contro il patrimonio mediante violenza, 2010, p. 23.

[54]) SAMMARCO G., La truffa contrattuale, 1970, p. 39.

[55]) Sulla reciproca ampia convergenza strutturale tra estorsione e truffa, v. infra nota 57.

[56]) Lamenta espressamente il pericolo di interpretatio abrogans PAGLIARO A., Truffa e danno patrimoniale, in Riv. it. dir. e proc. pen., 1963, p. 1204.

[57]) Per la pacifica qualificazione del danno patrimoniale come deminutio patrimonii, v.ANTOLISEI F., Manuale di diritto di diritto penale. Parte speciale, I, 1996, p. 387, e, per la giurisprudenza, Cass. 22.4.1993, n. 1683, Rv. 194418. È bene anche ricordare che il concetto di perdita patrimoniale si articola, altrettanto pacificamente, in “perdita subìta” (cd. danno emergente) e “mancato guadagno” (cd. lucro cessante), come osservano MAGGINI A., La truffa,p. 25, MARINI G., Profili della truffa, 1970, p. 193, e, più di recente, BACCAREDDA BOY-LALOMIA, I delitti contro il patrimonio mediante violenza, 2010, p. 578, fiandaca­musco, I delitti contro il patrimonio, 2015, p. 161. Sulle nozioni di danno emergente e lucro cessante, v. BIGLIAZZI GERI L., Diritto civile. 1.1 Norme, soggetti e rapporto giuridico, 1987, p. 143. Non stupiscano il lettore i frequenti riferimenti di ordine bibliografico al delitto di truffa, attesa l’evidente similitudine strutturale che corre tra l’estorsione e la truffa (v. BARILLÀ L., Estremi del danno e del profitto, 2003, p. 1537).

[58]) Per tutti, v. BARILLÀ L., Estremi del danno e del profitto, 2003, p. 1537s., anche per le cospicue indicazioni bibliografiche, dottrinali e giurisprudenziali. Tale orientamento rispecchia quella diffusa opinione dottrinale che, volendo recuperare un apprezzabile substrato economico del concetto di danno patrimoniale, lo qualifica, in definitiva, come saldo negativo, cioè come differenza patrimoniale svantaggiosa che si ottiene considerando la differenza di valore del patrimonio della vittima prima e dopo il prodursi degli effetti della condotta dell’agente. In quest’ottica, SAMMARCO G., La truffa contrattuale, 1970, p. 32-33, che osserva: «…se la perdita ha una compensazione corrispondente non può parlarsi di danno: potrebbe verificarsi una combinazione operativa di vantaggio-svantaggio, sufficiente di per sé ad elidere ogni disequilibrio», nonché PAGLIARO A., Truffa e danno patrimoniale, in Riv. it. dir. e proc. pen., 1963, p. 1202, che esclude il danno in caso di «equivalenza economica delle prestazioni».

[59]) Per una mia più ampia trattazione delle problematiche attinenti al danno patrimoniale, con riferimento ai concetti di patrimonio, comeoggetto di tutela penale, e di bene in senso economico, che ne costituisce, per così dire, il substrato materiale, v. NESSO F., L’estorsione contrattuale, in Gazzetta Forense, marzo-aprile 2021, p. 272s.

[60]) Identifica l’utilità in senso economico delle cose (tali da qualificarle come beni economici) con la suscettibilità di valutazione monetaria, CORTESE G., La struttura della truffa, 1968, p. 218 quando osserva che: «Si ha danno patrimoniale solo quando viene leso un bene o interesse di natura economica cioè un interesse che sia valutabile in denaro» (la sottolineatura è mia). In senso analogo, MANCI F., La Truffa, 1930, p. 135-136, MANTOVANI F., Delitti contro il Patrimonio, 2016, p. 19.

[61]) Le idee del valore intrinseco dei beni (a sua volta identificato con il lavoro che è stato necessario per produrli: cd. teoria del valore-lavoro) e dello scambio a condizione di pari valore economico, trovano origine in Adam Smith, Indagine sulla natura e le cause della ricchezza delle nazioni, p. 32, ove si afferma che i beni «contengono il valore di una certa quantità di lavoro che noi scambiamo con ciò che in quel momento si ritiene ne contenga una quantità uguale», e fu ripresa già nell’opera di Ricardo, Sui principi dell’economia politica e della tassazione, p. 7. Sugli ulteriori sviluppi, si veda una breve ma efficace sintesi critica in BOLLETTINO M., Valore e Scambio: tre diversi approcci, 13 settembre 2007, in www.ariannaeditrice.it, ovvero, più diffusamente, CINGOLI G., La teoria del valore-lavoro dopo Sraffa, 2006. L’idea del valore intrinseco delle cose appare, tuttavia, già quantomeno implicita nella teoria dello scambio equo elaborata da Aristotele, Etica Nicomachea, V, 8 e ripresa da Tommaso d’Aquino, Somma Teologica, II-II, q. 77, secondo cui lo scambio avviene perché il valore delle cose in questione si equivale. Per una serrata critica all’idea del valore intrinseco delle cose, evidenziando che, invero, si tratta di un dato solo soggettivo, v. ROTHBARD M., Contro Adam Smith, 2007, p. 77s., ROTHBARD M., I contributi fondamentali di Ludwig Von Mises, 1973, p. 67s., LEONI B., Il “Capitale” di Carlo Marx, cent’anni dopo, 1966, p. 257s.

[62]) È stato giustamente osservato (VON MISES L., L’azione umana, 1949, p. 161-163; il corsivo è mio) che «le cose sono valutate esclusivamente in base alla loro utilità», cioè all’attitudine che il singolo individuo riconosce ad esse «come mezzi per la rimozione di un disagio». A fronte di ciò, l’individuo non compie mai «un giudizio accademico o filosofico concernente il valore “assoluto”», di questo o di quell’altro bene: «Ciò che soltanto conta per la sua scelta effettiva è se, nelle condizioni esistenti, egli considera la soddisfazione diretta o indiretta che ad esempio cento once di oro potrebbero dargli maggiore o minore della soddisfazione diretta o indiretta che potrebbe ottenere ad esempio da cento tonnellate di ferro». In breve, «Si limita a scegliere fra due soddisfazioni, di cui non può allo stesso tempo beneficiare». In termini del tutto analoghi, cf. MENGER C., La teoria del denaro, 1871, p. 32, VON MISES L., Il calcolo economico, 1944, p. 51-52, BUTLER E., La scuola austriaca di economia, 2014, p. 34-35, nonché ROBINSON J., Ideologie e scienza economica, trad. it., 1966, cit. in GATTO-MIAGLIARDO, L’essenziale della microeconomia, 2012, p. 35: «quello di utilità è un concetto metafisico di una circolarità inafferrabile; l’utilità è quella qualità dei beni che fa sì che gli individui desiderano acquistarli, e il fatto che gli individui desiderano acquistare i beni dimostra che questi hanno utilità». Ad un più alto livello sapienziale, Giovanni Crisostomo, Commento a Giobbe, affermava: «Per questo motivo Dio ci ha creati nudi in origine e ci ha fatto mortali perché anche così sappiamo che ciò che ci circonda rimane al di fuori di noi. Perciò ce ne andremo così laggiù; perciò le ricchezze sono chiamate beni d’uso in quanto ci sono date per farne uso qui» (la sottolineatura è mia).

[63]) La distinzione tra valore d’uso e valore di scambio appare già in Aristotele, Politica, I, 9, ed è ripresa da Adam Smith, Indagine sulla natura e le cause della ricchezza delle nazioni, p. 31 e da Ricardo, Sui principi dell’economia politica e della tassazione, p. 7. Sull’argomento, si vedano anche ROTHBARD M., Contro Adam Smith, 2007, p. 77s. (La teoria del valore), nonché VON MISES L., L’azione umana, 1949, p. 445 (Lo scambio indiretto).

[64]) ROTHBARD M., Cosa ha fatto lo Stato con i nostri soldi, 1963, p. 26.

[65]) ROTHBARD M., I contributi fondamentali di Ludwig Von Mises, 1973, p. 70-72, LEONI B., Il “Capitale” di Carlo Marx, cent’anni dopo, 1966, p. 268s., nonché ROTHBARD M., Contro Adam Smith, 2007, p. 77s., il quale, peraltro, opportunamente segnala come, a partire da Adam Smith, la scienza economica moderna abbia a lungo smarrito la consapevolezza della forte incidenza dell’utilità soggettiva nei meccanismi di formazione dei prezzi, cioè della profonda connessione tra valore d’uso e valore di scambio. Eppure si trattava di concetti già magistralmente elaborati – sviluppando le intuizioni di Aristotele, riprese da Tommaso nella Summa nonché nel suo Commento alla Politica di Aristotele – dai teologici medievali di scuola francescana, come evidenziato da BAZZICHI O., Alle radici del capitalismo, 2010, p. 105, che segnala i contributi di Autori come Pietro di Giovanni Olivi (1248-1298), Antonino da Firenze (1389-1459) e Bernardino da Siena (1380-1444) o lo stesso Giovanni Duns Scoto (1266-1308), nel suo Opus Oxoniense. Per le opportune precisazioni in ordine al rapporto tra prezzo di mercato e valore di scambio, v. BUTLER E., La scuola austriaca di economia, 2014, p. 47 e, più diffusamente, MENGER C., La teoria del denaro, 1871, p. 56s. Sulla legge della domanda e dell’offerta, v. BESANKO-BRAEUTIGAM, Microeconomia, 2020, p. 19s., GATTO-MIGLIARDO, L’essenziale della microeconomia, 2012, p. 95s.

[66]) In tal senso, ROTHBARD M., Cosa ha fatto lo Stato con i nostri soldi, 1963, p. 13: «Chiaramente uno scambio volontario si verifica perché entrambe le parti se ne attendono un beneficio. Uno scambio è un accordo tra A e B per trasferire beni o servizi di un individuo per i beni e i servizi dell’altro. Ovviamente entrambi ne beneficiano perché ognuno valuta quello che riceve in cambio più di quello che cede… Da Aristotele a Marx, gli uomini [rectius: gli studiosi, giacché l’uomo comune, consapevolmente o meno, ha sempre nei fatti evitato tale equivoco]hanno erroneamente creduto che uno scambio richieda una sorta di eguaglianza di valore, che se un barile di pesce è scambiato per dieci travi, c’è qualche sorta di sottostante uguaglianza tra di loro. In realtà lo scambio è stato fatto proprio perché ogni parte ha valutato i due prodotti differentemente». Negli stessi termini, v. LEONI B., Il “Capitale” di Carlo Marx, cent’anni dopo, 1966, p. 268, MENGER C., La teoria del denaro, 1871, p. 32, nonchéVON MISES L., L’azione umana, 1949, p. 447-448.

[67]) Richiamando la già segnalata corrispondenza reciproca tra le fattispecie dell’estorsione e della truffa (v. retro nota 57), non appare superfluo evidenziare che le considerazioni appena svolte in ordine al danno valgono, non solo per l’estorsione contrattuale, ma anche per la cd. truffa contrattuale, con la differenza che, nel primo caso, si tratta di costrizione mediante violenza o minaccia ed il soggetto passivo è già consapevole di non aver un interesse sufficiente (o di non aver affatto interesse) alla controprestazione che gli viene offerta, mentre, nel caso della truffa, la condotta tipica dell’agente consiste negli artifizi e raggiri, a fronte dei quali la vittima, cadendo in errore, è indotta a credere, almeno inizialmente, che lo scambio sia per lei vantaggioso.

[68]) Sembra cogliere, invece, lucidamente l’essenza del danno patrimoniale come decremento dell’utilità soggettiva una risalente pronuncia di legittimità (Cass. 11.5.1973, n. 2704, Rv. 126643), secondo cui: «In tema di truffa cosiddetta contrattuale… la sussistenza del danno patrimoniale non è limitata all’ipotesi di palese squilibrio fra i valori delle controprestazioni ma si estende a quella dell’equivalenza fra il valore della cosa ricevuta e il prezzo pagato a seguito della conclusione del negozio per effetto dell’errore indotto mediante artifizi o raggiri; in tal caso, il danno derivante dallo scambio di un bene con un altro è rappresentato dal pregiudizio di ordine economico, per il soggetto passivo, rappresentato dall’acquisto di cose non indispensabili, anteponendo, nella gerarchia dei valori e nella priorità delle esigenze cui destinare il danaro disponibile, l’acquisto di cose prive di concreta utilità nei confronti di più urgenti necessità da soddisfare».

[69]) Non deve sfuggire, quindi, la netta distinzione concettuale tra danno patrimoniale e danno risarcibile: non tutti i danni patrimoniali sono anche risarcibili, ciò dovendosi escludere nel caso in cui la lesione afferisca a beni (bensì caratterizzati da un più o meno elevato valore d’uso, e tuttavia)privi di apprezzabile valore di scambio (si pensi ai beni di mero valore affettivo); parimenti, non ogni danno risarcibile attiene alla lesione del patrimonio, appartenendo anche alla sfera dei danni morali o alla lesione di diritti di natura personale.

[70]) Sui beni di mero valore affettivo o, comunque, privi o quasi del tutto privi di valore monetario, e sulla loro corretta qualificazione come beni economici, v. NESSO F., L’estorsione contrattuale, in Gazzetta Forense, marzo-aprile 2021, parag. 2.1, p. 276s.

[71]) Si pensi al gestore di un bar che si veda costretto con minaccia a servire alcolici a persona palesemente ubriaca, che, tuttavia, offra di pagare immediatamente il prodotto allo stesso prezzo praticato al pubblico. A conclusione opposta dovrebbe, invece, pervenirsi qualora l’agente pretendesse di acquistare a credito, nel qual caso – come in ogni ipotesi di assunzione a lavoro o di qualunque altro rapporto di durata – l’identità del debitore non potrebbe mai considerarsi indifferente, se non altro per la sua maggiore o minore affidabilità.

[72]) Nel senso che, se il danno deve ritenersi implicito nel fatto stesso della stipula coartata, a fortiori il danno non può certo escludersi quando la controprestazione sia del tutto inutile per il coartato.

[73]) Per tutti, BARILLÀ L., Estremi del danno e del profitto, 2003, p. 1537s.

[74]) In questi termini, SAMMARCO G., La truffa contrattuale, 1970, p. 39, ripreso anche da BARILLÀ L., Estremi del danno e del profitto, 2003, p. 1539. Parimenti fiandaca­musco, I delitti contro il patrimonio, 2015, p. 192 lamenta il pericolo che, a dar rilievo all’utilità soggettiva del bene, «si finirebbe con l’accordare tutela penale al capriccio e all’arbitrio di ognuno».

[75]) In tal senso, MANTOVANI F., Delitti contro il Patrimonio, p. 22.

[76]) SAMMARCO G., La truffa contrattuale, 1970, p. 34, 36.

[77]) SAMMARCO G., La truffa contrattuale, 1970, p. 37.

[78]) SAMMARCO G., La truffa contrattuale, 1970, p. 36.

[79]) fiandaca­musco, I delitti contro il patrimonio, 2015, p. 192.

[80]) PAGLIARO A., Truffa e danno patrimoniale, in Riv. it. dir. e proc. pen., 1963, p. 1204-1205: ai fini della valutazione del danno patrimoniale, «Il momento oggettivo è sempre predominante… Non bisogna, però, neppure cadere nell’eccesso opposto, di accogliere una nozione di danno così rigorosamente oggettiva, da escludere ogni rapporto con la situazione concreta del soggetto titolare dell’interesse. Vero è che il danno è lesione di un bene; ma il bene è tale, come insegnano le leggi economiche, in quanto è dotato di utilità per un soggetto. Di conseguenza, il soggetto resta il punto di riferimento per accertare il danno; ma la valutazione, anziché essere quella subiettiva del singolo, è quella della collettività… secondo il metro della considerazione sociale” (la sottolineatura è mia).

[81]) MILITELLO V., Patrimonio, 1995, p. p. 4. In termini analoghi, CESARIS L., In tema di condotta e danno nel reato di truffa, in Indice pen., 1977, p. 122, il quale, rapportandosi ad una sentenza di legittimità del 1963, ivi compiutamente citata, osserva: «…pur facendo sempre riferimento al soggetto passivo, si deve tener conto della valutazione obiettiva della collettività; in parole più semplici: si deve valutare, secondo le esperienze proprie della collettività… se un danno si sia verificato» (la sottolineatura è mia).

[82]) CORTESE G., La struttura della truffa, 1968, p. 219.

[83]) MANTOVANI F., Delitti contro il Patrimonio, 2016, p. 22, secondo cui «la strumentalità patrimoniale meritevole di tutela» andrebbe accertata «con parametri oggettivo-soggettivi».

[84]) CORTESE G., La struttura della truffa, 1968, p. 216.

[85]) A fronte di tale valutazione soggettiva, il compito dell’interprete e, segnatamente, del giudice, sarà semplicemente quello di accertare, caso per caso, se il soggetto passivo avesse destinato la cosa di cui lamenta la lesione (ad es. perché gli è stata sottratta) ad una propria soggettiva utilità, ravvisando, in tal caso, la deminutio patrimonii (intesa, per l’appunto, come perdita di utilità soggettiva) e procedendo a verificare se essa risulti altresì risarcibile in quanto corrisponda ad un certo valore di mercato, che, in realtà, potrebbe anche risultare quasi o del tutto nullo (come nell’esempio della collezione di tappi). Quanto all’ipotesi che la valutazione soggettiva risulti viziata da un’eventuale accertata psicopatologia, quale potrebbe essere, ad es., quella del cd. accumulatore compulsivo (in argomento, v. DSM-5, p. 271s., che lo inquadra tra i disturbi ossessivo-compulsivi), il giudice dovrà pur sempre distinguere tra cose che sono realmente utili al soggetto in questione (si pensi agli utensili da cucina dell’accumulatore) da quelle che sono per lui stesso del tutto inutili (come i meri rifiuti di cui l’accumulatore evita patologicamente di disfarsi).

[86]) Si tratta delle più comuni forme di minaccia, del tipo: “Ti ammazzo” (ove si minaccia l’omicidio), “Ti rompo la testa” (ove si minaccia un’aggressione fisica), “Ti brucio la casa” (ove si minaccia un danneggiamento), ecc.

[87]) V. retro parag. 2. Per le analoghe difficoltà relative al concetto di violenza, v. NESSO F., La condotta tipica nel delitto di estorsione, in Dirittifondamentali.it, fasc. 2/2020, p. 955s.

[88]) Sul pianto teorico, il distinguo tra estorsione e violenza privata è pacificamente fondato sul danno patrimoniale e sull’ingiusto profitto, che evidentemente caratterizzano, come elementi specializzanti, la prima fattispecie rispetto alla seconda, posta più genericamente a tutela della libertà di autodeterminazione del soggetto passivo (in questi termini, Cass. 22.4.1993, n. 1683, Rv. 194418). Cf. anche Cass. 28.9.2011, n. 38661, Rv. 251052, Cass. 17.5.2019, n. 27555, Rv. 276118. e. con specifico riferimento all’ingiusto profitto, Cass. 6.12.2019, n. 50733, Rv. 277718. Per la dottrina, v. per tutti, trattandosi di questione assolutamente pacifica, MANTOVANI F., Estorsione, in Enc. giur. Treccani, 1989, p. 7, BARILLÀ L., Estremi del danno e del profitto, 2003, p. 1537s.

[89]) Cass. 28.11.2013, n. 48461, Rv. 258168.

[90]) Cass. 20.1.2016, n. 8639, Rv. 266079.

[91]) Per la critica al criterio, proposto in dottrina, dello squilibrio sinallagmatico, si è già detto sopra al parag. 4. Quanto alla diffusa formula giurisprudenziale dell’assunzione non necessaria, non appare superfluo evidenziare l’inaffidabilità del concetto. Ci si deve chiedere, infatti, come possa stabilirsi se una data assunzione sia o non sia “necessaria”, se essa presupponga o meno l’intuitus personae ed in relazione a quali aspetti, ad es. in relazione soltanto alle qualità strettamente professionali ovvero anche all’aspetto fisico. Ancora una volta, il rischio è quello di sostituire, nell’apprezzamento del danno economico, i genuini criteri soggettivi e il conseguente giudizio che solo il diretto interessato può legittimamente esprimere con arbitrarie valutazioni da parte di terzi (il giudice o l’interprete in generale) asseritamente “oggettivi”. Un problema analogo si è posto in tema di assunzioni carpite con l’inganno allorché l’agente sia comunque adeguatamente qualificato rispetto alle mansioni che gli sono affidate (v. HEINITZ E., Il danno patrimoniale nella truffa, in Arch. pen., 1953, p. 360-361).

[92]) Non è fuori di luogo osservare che, in tal modo, si realizza (ma in maniera concettualmente corretta) quella «semplificazione probatoria» che talvolta la dottrina (BARILLÀ L., Estremi del danno e del profitto, 2003, p. 1537) ha contestato alla giurisprudenza come una sorta di ratio occulta del criterio interpretativo del danno in re ipsa.

[93]) La casistica giurisprudenziale, infatti, registra numerose ipotesi nelle quali l’intimidazione ai danni dell’imprenditore, in genere al fine di imporre determinate assunzioni, era connotata dal metodo mafioso (v. Cass. 5.2.2001, n. 10463, Rv. 218433, Cass. 3.11.2005, n. 5639, Rv. 233837, Cass. 28.11.2013, n. 48461, Rv. 258168 e, più di recente, Cass. 20.1.2016, n. 8639, Rv. 266079), ma, come si è visto, le decisioni adottate scontano le difficoltà concettuali ravvisabili a fondamento dei due cennati orientamenti interpretativi (del danno implicito e dell’assunzione non necessaria).

*) Ove non è precisato si tratta di Cassazione penale.

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