- Le differenti chiavi di lettura della riforma Cartabia.
Una riforma come quella strutturata dalla l. n. 134 del 2021 ha sicuramente molte chiavi di lettura sia trasversali, riconducibili, cioè, a interventi strutturali operanti nelle varie fasi e nelle loro interazioni, sia quelle più strettamente connesse al ruolo dei soggetti e delle parti ed alla rimodulazione, anche significativa, dei vari istituti singoli o complessivi (riti speciali ed impugnazioni).
Non mancano neppure, pur nella parzialità dell’intervento, scelte più profonde, valoriali e di sistema, nelle quali le varie tessere del mosaico si inseriscono in un tentativo di dare anima e spessore alla vocazione culturale e politica della riforma.
Il dato non sempre emerge con chiarezza ove si consideri, soprattutto, che non può escludersi anche una certa, causale, convergenza dei diversi elementi, non necessariamente iscrivibili ad una volontaria scelta aprioristica.
Quale che ne sia stata la ragione, l’interprete non può sottrarsi alla prospettazione della presenza nei diversi criteri di delega di chiari riferimenti a alcune decisioni delle Sezioni Unite che hanno inciso profondamente – proprio perché espressione della funzione nomofilattica – sulla trama normativa e interpretativa del rito processuale.
Una loro lettura potrebbe suggerire qualche riflessione delle ragioni di questa scelta, trattandosi, come si vedrà, di decisioni di deciso rilievo e spesso anche controverse, nonché additate come espressione di quella che criticamente viene definita come “giurisprudenza creativa”.
Non avendo questo elemento nessun preciso significato sarà possibile seguire l’ordine nel quale, nella sequenza delle direttive, il riferito dato emerge e si evidenzia.
A) Definizione, iscrizione e controllo della notizia di reato, anche soggettiva.
Seppur indirettamente, è riconducibile a quanto deciso dalle Sezioni Unite l’indicazione di cui all’art. 1, comma 9 lett. p) e g) della l. n. 134 del 2021 con riferimento alle questioni attinenti alla tempestività dell’iscrizione del reato nell’art. 335 c.p.p.
Sul punto, le Sezioni Unite affrontando la questione dei poteri del giudice in tema di verifica della tempestività da parte del pubblico ministero della iscrizione della notizia di reato nel registro di cui all’art. 335 c.p.p. avevano affermato che l’eccessiva discrezionalità del p.m. in ordine alla tempistica della iscrizione sarebbe il frutto della negligenza del legislatore che non delinea chiaramente gli spazi di intervento del giudice in questo settore (così Sez. un. 24.9.2009, Lattanzi; v., successivamente, anche 21.6.2000, Tammaro).
Secondo il Supremo Collegio, infatti, occorrerebbe una espressa previsione normativa che disciplinasse non soltanto le attribuzioni processuali da conferire ad un determinato organo della giurisdizione sulla tempestività della iscrizione, ma anche il rito secondo il quale inscenare un simile accertamento incidentale (Sez. un. 23.4.2009, Fruci).
A tale riguardo, la citata direttiva prevede, così, che siano precisati i presupposti per l’iscrizione nel registro di cui all’art. 335 c.p.p. della notizia di reato e del nome della persona cui lo stesso è attribuito, in modo da soddisfare le esigenze di garanzia, certezza e uniformità delle iscrizioni; nonché che il giudice, su richiesta motivata dell’interessato, accerti la tempestività dell’iscrizione nel registro di cui all’art. 335 c.p.p. della notizia di reato e del nome della persona alla quale lo stesso è attribuito e la retrodati nel caso di ingiustificato e inequivocabile ritardo; ancora, che sia fissato un termine, a pena di inammissibilità, per la proposizione della richiesta, a decorrere dalla data in cui l’interessato ha facoltà di prendere visione degli atti che imporrebbero l’anticipazione dell’iscrizione della notizia a suo carico; infine, che, a pena di inammissibilità dell’istanza, l’interessato che chiede la retrodatazione dell’iscrizione della notizia di reato abbia l’onere di indicare le ragioni che sorreggono la richiesta.
B) Verso la (auspicata) formulazione d’imputazione chiara e precisa.
Particolarmente significativa nella prospettiva qui analizzata si presenta il comma n. 9, lett. n) dell’art. 1 cit. ove si prevede che in caso di violazione dell’art. 417, comma 1, lett. b), c.p.p. il giudice, sentite le parti, quando il p.m. non provvede alla riformulazione dell’imputazione, dichiari, anche d’ufficio, la nullità e restituisca gli atti; nonché, che, al fine di consentire che il fatto, le circostanze aggravanti e quelle che possono comportare l’applicazione di misure di sicurezza, nonché i relativi articoli di legge, siano indicati in termini corrispondenti a quanto emerge dagli atti, il giudice, sentite le parti, ove il pubblico non provveda alle necessarie modifiche, restituisca anche d’ufficio gli atti al pubblico ministero.
La direttiva è riconducibile a quanto la Cassazione sul punto ebbe ad affermare con la pronuncia delle Sezioni Unite Battistella (20.12.2007).
In quell’ occasione la Corte affermò che deve ritenersi abnorme il provvedimento con il quale il g.i.p. dichiara la nullità della richiesta di rinvio a giudizio per indeterminatezza dell’imputazione con restituzione degli atti al pubblico ministero.
Secondo la Cassazione infatti è abnorme e pertanto ricorribile per cassazione il provvedimento con cui il giudice dell’udienza preliminare dispone la restituzione degli atti al p.m. per la genericità o l’indeterminatezza dell’imputazione, senza avergli previamente richiesto di precisarla (nella specie la S.C. ha altresì precisato che nella diversa ipotesi in cui il p.m., dopo essere stato ritualmente sollecitato all’integrazione dell’atto punitivo, rimanda inerte, il medesimo giudice è invece legittimato ad adottare un provvedimento restitutorio che determini la regressione del procedimento, sulla falsariga di quanto previsto dall’art. 521, comma 2 c.p.p., onde consentire il nuovo esercizio dell’azione penale in modo aderente alle effettive risultanze d’indagine.
Pur nella doverosa attesa della declinazione della direttiva nei decreti legislativi non possono non sottolinearsi le possibili implicazioni che, in materia, discendono dalla sentenza n. 16 del 2022 della Corte costituzionale con la quale, con riferimento alla situazione del g.i.p. che, richiesto di un decreto penale di condanna aveva restituito gli atti al p.m. per la riformulazione della imputazione, ha dichiarato l’incompatibilità del decidente a pronunciarsi nuovamente sulla richiesta riformulata.
C) L’ulteriore riforma del procedimento in assenza.
Sono direttamente riconducibili al tema delle notificazioni e dell’assenza le lett. a), b), c) e d) del comma 7 dell’art. 1 della l. n. 134 del 2021 alcune decisioni del Collegio Riunito.
Con la sentenza delle Sezioni Unite Ismail (28.11.2019), il Supremo Collegio ha affermato che ai fini della dichiarazione di assenza non può considerarsi presupposto idoneo la sola elezione di domicilio presso il difensore d’ufficio, da parte dell’indagato, dovendo il giudice in ogni caso, verificare, anche in presenza di altri elementi, che vi sia stata l’effettiva instaurazione di un rapporto professionale tra il legale domiciliatario e l’indagato, tale da fargli ritenere con certezza che quest’ultimo abbia avuto conoscenza del procedimento ovvero si sia sottratto volontariamente alla stessa.
In linea con queste indicazioni, nel contesto peraltro di più stringenti regole in materia di notificazione, non disgiunti da oneri per il difensore e lo stesso indagato, dovranno essere ridefiniti i casi in cui l’imputato si deve ritenere presente o assente nel processo, prevedendo che il processo possa svolgersi in assenza dell’imputato solo quando esistono elementi idonei a dare certezza del fatto che egli è a conoscenza della pendenza del processo e che la sua assenza è dovuta a una sua scelta volontaria e consapevole; nonché provvedere che a tal fine l’imputato sia tempestivamente citato per il processo a mani proprio o con altre modalità comunque idonee a garantire che lo stesso venga a conoscenza della data e del luogo del processo e del fatto che la decisione potrà essere presa anche in sua assenza: conseguentemente, proprio in linea con le riportate indicazioni delle Sezioni Unite prevedere che, quando non si abbia certezza dell’effettiva conoscenza della citazione a giudizio o della rinuncia dell’imputato a comparire, si possa comunque procedere in assenza dell’imputato quando il giudice, valutate le modalità di notificazione e ogni altra circostanza del caso concreto, ritenga provato che l’imputato ha conoscenza della pendenza del processo e che la sua assenza è dovuta a una scelta volontaria e consapevole; nonché prevedere che, se all’udienza preliminare o, quando questa manca, alla prima udienza fissata per il giudizio, l’imputato è assente e non impedito a comparire, il giudice verifichi la sua rinuncia a comparire o, in mancanza, l’effettiva conoscenza dell’atto introduttivo oppure la sussistenza delle condizioni di cui alla lett. c) che legittimano la prosecuzione del procedimento in assenza dell’imputato.
D. Il “ripensamento” della garanzia dell’immediatezza
Centrale nella prospettiva qui considerata si prospetta la questione della rinnovazione del dibattimento in conseguenza della sostituzione dei giudici del collegio nella situazione di cui all’art. 525, comma 2, c.p.p.
Com’è noto, sul punto si erano pronunciate le Sezioni unite Bajrami (30.05.2019), con le quali si era affermato che l’intervenuto mutamento della composizione del giudice attribuisce alle parti il diritto di chiedere sia prove nuove sia, indicandone specificamente le ragioni, la rinnovazione di quelle già assunte dal giudice di originaria composizione, fermi restando i poteri di valutazione del giudice di cui agli artt. 190 e 495 c.p.p. anche con riguardo alla non manifesta superfluità della rinnovazione stessa. Secondo il Supremo Collegio, la facoltà per le parti di richiedere, in caso di mutamento del giudice, la rinnovazione degli esami testimoniali presuppone la necessaria previa indicazione, da parte delle stesse, dei soggetti da riesaminare nella lista ritualmente depositata di cui all’art. 468 c.p.p.
Comunque, in caso di rinnovazione del dibattimento per mutamento del giudice, il consenso delle parti alla lettura degli atti già assunti dal giudice di originaria composizione non è necessario con riguardo agli esami testimoniali la cui ripetizione non abbia avuto luogo perché non richiesta, non ammessa o non più possibile.
Intervenendo sul punto l’A.C. 2435 prevedeva che la regola di cui all’art. 190 bis, comma 1, c.p.p. fosse estesa nei procedimenti di competenza del tribunale, anche nei casi nei quali, a seguito di mutamento della persona fisica di uno dei componenti del collegio, è richiesto l’esame di un testimone o di una delle persone indicate nell’art. 210 c.p.p. e queste hanno già resto dichiarazioni nel dibattimento svolto dinanzi al collegio diversamente composto nel contraddittorio con la persona nei cui confronti le dichiarazioni medesime saranno utilizzate.
In materia sul punto si era pronunciata più volte la Corte costituzionale (v., fra le altre, C. Cost. n. 17 del 1994 e ordinanze n. 205 del 2010, n. 318 del 2008, n. 67 del 2007, n. 418 del 2004, n. 73 del 2003, n. 59 del 2002, nn. 431 e 399 del 2001) nel senso della infondatezza, ma da ultimo (C. Cost. n. 132 del 2019), pur confermando questo orientamento, si era affermato che “resta aperta per il legislatore la possibilità di introdurre ragionevoli eccezioni al principio dell’identità tra giudice avanti al quale è assunta la prova e giudice che decide ( …) in presenza di meccanismi “compensativi” funzionali (…) come ad esempio le videoregistrazioni delle prove dichiarative quanto meno nei dibattimenti più articolati …”.
Recependo questa indicazione, con la direttiva prevista alla lett. a) del comma 8 dell’art. 1 già indicato si indica al legislatore delegato l’impegno a disporre che la registrazione audiovisiva quale forma ulteriore di documentazione dell’interrogatorio che non si svolga in udienza e della prova dichiarativa, salva la contingente indisponibilità degli strumenti necessari o degli ausiliari tecnici, mentre alla lett. b) si prevedono i casi in cui debba essere prevista almeno l’audioregistrazione dell’assunzione di informazioni dalle persone informate sui fatti, senza obbligo di trascrizione.
Conseguentemente, alla lett. d) del comma 10 dell’art. 1 indicato è previsto che, nell’ipotesi di mutamento del giudice o di uno o più componenti del collegio, il giudice disponga, a richiesta di parte, la riassunzione della prova dichiarativa già assunta; stabilire che, quando la prova dichiarativa è stata verbalizzata tramite videoregistrazione, nel dibattimento svolto innanzi al giudice diverso o al collegio diversamente composto, nel contraddittorio con la persona nei cui confronti le dichiarazioni medesime saranno utilizzate, il giudice disponga la riassunzione della prova solo quando lo ritenga necessario sulla base di specifiche esigenze.
E) L’accentuazione della specificità motivazionale dell’atto d’appello.
E’ sicuramente riconducibile al presente schema anche il riferimento alle Sezioni Unite Galtelli (27.07.2016) da parte della lett. e) del comma 13 dell’art. 1 citato in cui si afferma che deve essere prevista “l’inammissibilità dell’appello per mancanza di specificità dei motivi quando nell’atto manchi la puntuale ed esplicita enunciazione dei rilievi critici rispetto alle ragioni di fatto e di diritto espresse nel provvedimento impugnato”.
Com’è noto, superando il contrasto interpretativo che si era prospettato, l’appello, al parti del ricorso per cassazione, è inammissibile per difetto di specificità dei motivi quando non risultano esplicitamente enunciati e argomentati i rilievi critici rispetto alle ragioni di fatto o di diritto poste a fondamento della decisione impugnata, fermo restando che tale onere di specificità, a carico dell’impugnante, è direttamente proporzionale alla specificità con cui le predette ragioni sono state esposte nel provvedimento impugnato.
Anche in questo caso in attesa della declinazione della norma che, tuttavia, appare vincolata, non può non segnalarsi che la Commissione Lattanzi, dopo aver escluso la legittimazione ad appellare del p.m. aveva prospettato la possibilità che l’appello dell’imputato fosse esperibile secondo motivi predeterminati.
Venuta meno l’esclusione della legittimazione del p.m. è caduta, in quanto a questa correlata, la proposta volta alla strutturazione dell’appello quale mezzo a critica vincolata.
F) La riscrittura della rinnovazione dell’istruzione dibattimentale in caso di appello avverso la sentenza di proscioglimento.
Anche il tema della rinnovazione nel giudizio d’appello trova preciso riscontro al comma 13 lett. l) dell’art. 1 menzionato, ove si prevede di modificare l’art. 603, comma 3 bis, c.p.p., prevedendo che, nel caso di appello contro una sentenza di proscioglimento per motivi attinenti alla valutazione della prova dichiarativa, la rinnovazione dell’istruzione dibattimentale sia limitata ai soli casi di prove dichiarative assunte in udienza nel corso del giudizio di primo grado.
In questo caso, la previsione è finalizzata, invero, a superare quanto deciso dalle Sez. un. Patalano 19.1.2017 (in precedenza Sez. un. Dasgupta 24.4.2016) con la quale si era affermato che l’obbligo di rinnovazione in appello sussiste anche nel caso in cui la sentenza di assoluzione giunga all’esito di giudizio abbreviato.
Si era trattato, invero, di una questione che aveva visto fortemente contrapposte le posizioni nel Supremo Collegio, ritenendosi da alcune sezioni che il rito abbreviato non condizionato non imponesse l’obbligo della rinnovazione protonica in caso di appello del p.m. contro la sentenza di assoluzione.
Va fatto notare che in questo caso non è prevista la possibilità per l’imputato di proporre appello incidentale, non essendo legittimato ad appellare in via principale.
Il limite opererà anche a seguito della direttiva in esame, con effetti ancora più discutibili.
G) La (ri)definizione giuridica innanzi al giudice di legittimità.
Il tema della modifica dell’imputazione è, invece, alla base dell’art. 1, comma n. 13, lett. m), ove si precisa che si dovrà prevedere che, ove la Corte di cassazione intenda dare al fatto una definizione giuridica diversa, instauri preventivamente il contraddittorio nelle forme previste per la celebrazione dell’udienza. A tale proposito lo stesso criterio di delega prevede che la trattazione dei ricorsi davanti alla Corte di cassazione avvenga con contraddittorio scritto senza l’intervento dei difensori, salva, nei casi non contemplati dall’art. 611 c.p.p., la richiesta delle parti di discussione orale in pubblica udienza o in camera di consiglio partecipata e aggiunge di prevedere che, negli stessi casi, la Corte di cassazione possa disporre, anche in assenza di una richiesta di parte, la trattazione con discussione orale in pubblica udienza o in camera di consiglio partecipata.
La precisazione appare strettamente connessa alle vicende legate alla condanna dell’Italia da parte della Cedu, nella nota vicenda Drassich.
Ancorché non definita dalle Sezioni Unite, la modifica appare significativa: si tratta di ovviare ad un patologico comportamento del Supremo Collegio, che impose all’imputato l’avvio di una complessa azione a tutela del suo legittimo diritto, soprattutto in ragione del fatto che esso era stato leso in modo surrettizio, con ricadute anche in punto di reformatio in peius.
Secondo il Collegio, infatti, può farsi ricorso alla procedura straordinaria di cui all’art. 625 bis c.p.p. per dare esecuzione ad una sentenza della Corte eur. dir. uomo che ha rilevato una violazione del diritto di difesa occorsa nel giudizio di legittimità e che abbia reso iniqua la sentenza della corte di cassazione, indicando nella riapertura del procedimento, su richiesta dell’interessato, la misura interna per porre rimedio all’accertata violazione contestata (nel caso di specie, la S.C., facendo ricorso all’art. 625 bis c.p.p. ha revocato una sua precedente sentenza, limitatamente alla diversa e più grave qualificazione giuridica del fatto, ostativa alla declaratoria d’estinzione per prescrizione, operata ex officio in sede di legittimità, senza aver consentito alla difesa il contraddittorio sulla diversa imputazione).
H) Nuovi rimedi per l’esecuzione delle pronunce della CEDU.
Il comma 13, lett. o) dell’art. 1 cit. impone di introdurre un mezzo di impugnazione straordinario davanti alla Corte di cassazione al fine di dare esecuzione alla sentenza definitiva della Corte europea dei diritti dell’uomo in caso di violazione delle regole del giusto processo.
Si supera in tal modo quanto deciso dalla Corte costituzionale con la sentenza n. 113 del 2011, che, anche per ovviare all’inerzia del legislatore, ha dichiarato l’incostituzionalità dell’art. 630 c.p.p. nella parte in cui non prevede di introdurre un mezzo di impugnazione straordinario davanti alla Corte di cassazione al fine di dare esecuzione alla sentenza definitiva della Corte europea dei diritti dell’uomo, proponibile dal soggetto che abbia presentato il ricorso, entro un termine perentorio; attribuendo alla stessa Corte di cassazione il potere di adottare i provvedimenti necessari disciplinando l’eventuale procedimento successivo e coordinando il rimedio con quello della rescissione del giudicato, individuando per quest’ultimo una coerente collocazione sistematica, e con l’incidente di esecuzione di cui all’art. 670 c.p.p.
Il riconoscimento alla funzione nomofilattica del Supremo Collegio nel contesto del dialogo fra le Corti, nel quadro del sistema multilivello dei diritti, costituisce il fondamento di una scelta che evita i percorsi più complessi della procedura di revisione, dando sistemicità ai rimedi di impugnazione straordinari, già evidenziatasi con la riforma della rescissione del giudicato (art. 629 bis c.p.p.).
L. n. 134 del 2021: dal diritto giurisprudenziale alla legge ordinaria.
Una riforma come quella strutturata dalla l. n. 134 del 2021 ha sicuramente molte chiavi di lettura sia trasversali, riconducibili, cioè, a interventi strutturali operanti nelle varie fasi e nelle loro interazioni, sia quelle più strettamente connesse al ruolo dei soggetti e delle parti ed alla rimodulazione, anche significativa, dei vari istituti singoli o complessivi (riti speciali ed impugnazioni).
Non mancano neppure, pur nella parzialità dell’intervento, scelte più profonde, valoriali e di sistema, nelle quali le varie tessere del mosaico si inseriscono in un tentativo di dare anima e spessore alla vocazione culturale e politica della riforma.
Il dato non sempre emerge con chiarezza ove si consideri, soprattutto, che non può escludersi anche una certa, causale, convergenza dei diversi elementi, non necessariamente iscrivibili ad una volontaria scelta aprioristica.
Quale che ne sia stata la ragione, l’interprete non può sottrarsi alla prospettazione della presenza nei diversi criteri di delega di chiari riferimenti a alcune decisioni delle Sezioni Unite che hanno inciso profondamente – proprio perché espressione della funzione nomofilattica – sulla trama normativa e interpretativa del rito processuale.
Una loro lettura potrebbe suggerire qualche riflessione delle ragioni di questa scelta, trattandosi, come si vedrà, di decisioni di deciso rilievo e spesso anche controverse, nonché additate come espressione di quella che criticamente viene definita come “giurisprudenza creativa”.
Non avendo questo elemento nessun preciso significato sarà possibile seguire l’ordine nel quale, nella sequenza delle direttive, il riferito dato emerge e si evidenzia.
A) Definizione, iscrizione e controllo della notizia di reato, anche soggettiva.
Seppur indirettamente, è riconducibile a quanto deciso dalle Sezioni Unite l’indicazione di cui all’art. 1, comma 9 lett. p) e g) della l. n. 134 del 2021 con riferimento alle questioni attinenti alla tempestività dell’iscrizione del reato nell’art. 335 c.p.p.
Sul punto, le Sezioni Unite affrontando la questione dei poteri del giudice in tema di verifica della tempestività da parte del pubblico ministero della iscrizione della notizia di reato nel registro di cui all’art. 335 c.p.p. avevano affermato che l’eccessiva discrezionalità del p.m. in ordine alla tempistica della iscrizione sarebbe il frutto della negligenza del legislatore che non delinea chiaramente gli spazi di intervento del giudice in questo settore (così Sez. un. 24.9.2009, Lattanzi; v., successivamente, anche 21.6.2000, Tammaro).
Secondo il Supremo Collegio, infatti, occorrerebbe una espressa previsione normativa che disciplinasse non soltanto le attribuzioni processuali da conferire ad un determinato organo della giurisdizione sulla tempestività della iscrizione, ma anche il rito secondo il quale inscenare un simile accertamento incidentale (Sez. un. 23.4.2009, Fruci).
A tale riguardo, la citata direttiva prevede, così, che siano precisati i presupposti per l’iscrizione nel registro di cui all’art. 335 c.p.p. della notizia di reato e del nome della persona cui lo stesso è attribuito, in modo da soddisfare le esigenze di garanzia, certezza e uniformità delle iscrizioni; nonché che il giudice, su richiesta motivata dell’interessato, accerti la tempestività dell’iscrizione nel registro di cui all’art. 335 c.p.p. della notizia di reato e del nome della persona alla quale lo stesso è attribuito e la retrodati nel caso di ingiustificato e inequivocabile ritardo; ancora, che sia fissato un termine, a pena di inammissibilità, per la proposizione della richiesta, a decorrere dalla data in cui l’interessato ha facoltà di prendere visione degli atti che imporrebbero l’anticipazione dell’iscrizione della notizia a suo carico; infine, che, a pena di inammissibilità dell’istanza, l’interessato che chiede la retrodatazione dell’iscrizione della notizia di reato abbia l’onere di indicare le ragioni che sorreggono la richiesta.
B) Verso la (auspicata) formulazione d’imputazione chiara e precisa.
Particolarmente significativa nella prospettiva qui analizzata si presenta il comma n. 9, lett. n) dell’art. 1 cit. ove si prevede che in caso di violazione dell’art. 417, comma 1, lett. b), c.p.p. il giudice, sentite le parti, quando il p.m. non provvede alla riformulazione dell’imputazione, dichiari, anche d’ufficio, la nullità e restituisca gli atti; nonché, che, al fine di consentire che il fatto, le circostanze aggravanti e quelle che possono comportare l’applicazione di misure di sicurezza, nonché i relativi articoli di legge, siano indicati in termini corrispondenti a quanto emerge dagli atti, il giudice, sentite le parti, ove il pubblico non provveda alle necessarie modifiche, restituisca anche d’ufficio gli atti al pubblico ministero.
La direttiva è riconducibile a quanto la Cassazione sul punto ebbe ad affermare con la pronuncia delle Sezioni Unite Battistella (20.12.2007).
In quell’ occasione la Corte affermò che deve ritenersi abnorme il provvedimento con il quale il g.i.p. dichiara la nullità della richiesta di rinvio a giudizio per indeterminatezza dell’imputazione con restituzione degli atti al pubblico ministero.
Secondo la Cassazione infatti è abnorme e pertanto ricorribile per cassazione il provvedimento con cui il giudice dell’udienza preliminare dispone la restituzione degli atti al p.m. per la genericità o l’indeterminatezza dell’imputazione, senza avergli previamente richiesto di precisarla (nella specie la S.C. ha altresì precisato che nella diversa ipotesi in cui il p.m., dopo essere stato ritualmente sollecitato all’integrazione dell’atto punitivo, rimanda inerte, il medesimo giudice è invece legittimato ad adottare un provvedimento restitutorio che determini la regressione del procedimento, sulla falsariga di quanto previsto dall’art. 521, comma 2 c.p.p., onde consentire il nuovo esercizio dell’azione penale in modo aderente alle effettive risultanze d’indagine.
Pur nella doverosa attesa della declinazione della direttiva nei decreti legislativi non possono non sottolinearsi le possibili implicazioni che, in materia, discendono dalla sentenza n. 16 del 2022 della Corte costituzionale con la quale, con riferimento alla situazione del g.i.p. che, richiesto di un decreto penale di condanna aveva restituito gli atti al p.m. per la riformulazione della imputazione, ha dichiarato l’incompatibilità del decidente a pronunciarsi nuovamente sulla richiesta riformulata.
C) L’ulteriore riforma del procedimento in assenza.
Sono direttamente riconducibili al tema delle notificazioni e dell’assenza le lett. a), b), c) e d) del comma 7 dell’art. 1 della l. n. 134 del 2021 alcune decisioni del Collegio Riunito.
Con la sentenza delle Sezioni Unite Ismail (28.11.2019), il Supremo Collegio ha affermato che ai fini della dichiarazione di assenza non può considerarsi presupposto idoneo la sola elezione di domicilio presso il difensore d’ufficio, da parte dell’indagato, dovendo il giudice in ogni caso, verificare, anche in presenza di altri elementi, che vi sia stata l’effettiva instaurazione di un rapporto professionale tra il legale domiciliatario e l’indagato, tale da fargli ritenere con certezza che quest’ultimo abbia avuto conoscenza del procedimento ovvero si sia sottratto volontariamente alla stessa.
In linea con queste indicazioni, nel contesto peraltro di più stringenti regole in materia di notificazione, non disgiunti da oneri per il difensore e lo stesso indagato, dovranno essere ridefiniti i casi in cui l’imputato si deve ritenere presente o assente nel processo, prevedendo che il processo possa svolgersi in assenza dell’imputato solo quando esistono elementi idonei a dare certezza del fatto che egli è a conoscenza della pendenza del processo e che la sua assenza è dovuta a una sua scelta volontaria e consapevole; nonché provvedere che a tal fine l’imputato sia tempestivamente citato per il processo a mani proprio o con altre modalità comunque idonee a garantire che lo stesso venga a conoscenza della data e del luogo del processo e del fatto che la decisione potrà essere presa anche in sua assenza: conseguentemente, proprio in linea con le riportate indicazioni delle Sezioni Unite prevedere che, quando non si abbia certezza dell’effettiva conoscenza della citazione a giudizio o della rinuncia dell’imputato a comparire, si possa comunque procedere in assenza dell’imputato quando il giudice, valutate le modalità di notificazione e ogni altra circostanza del caso concreto, ritenga provato che l’imputato ha conoscenza della pendenza del processo e che la sua assenza è dovuta a una scelta volontaria e consapevole; nonché prevedere che, se all’udienza preliminare o, quando questa manca, alla prima udienza fissata per il giudizio, l’imputato è assente e non impedito a comparire, il giudice verifichi la sua rinuncia a comparire o, in mancanza, l’effettiva conoscenza dell’atto introduttivo oppure la sussistenza delle condizioni di cui alla lett. c) che legittimano la prosecuzione del procedimento in assenza dell’imputato.
D. Il “ripensamento” della garanzia dell’immediatezza
Centrale nella prospettiva qui considerata si prospetta la questione della rinnovazione del dibattimento in conseguenza della sostituzione dei giudici del collegio nella situazione di cui all’art. 525, comma 2, c.p.p.
Com’è noto, sul punto si erano pronunciate le Sezioni unite Bajrami (30.05.2019), con le quali si era affermato che l’intervenuto mutamento della composizione del giudice attribuisce alle parti il diritto di chiedere sia prove nuove sia, indicandone specificamente le ragioni, la rinnovazione di quelle già assunte dal giudice di originaria composizione, fermi restando i poteri di valutazione del giudice di cui agli artt. 190 e 495 c.p.p. anche con riguardo alla non manifesta superfluità della rinnovazione stessa. Secondo il Supremo Collegio, la facoltà per le parti di richiedere, in caso di mutamento del giudice, la rinnovazione degli esami testimoniali presuppone la necessaria previa indicazione, da parte delle stesse, dei soggetti da riesaminare nella lista ritualmente depositata di cui all’art. 468 c.p.p.
Comunque, in caso di rinnovazione del dibattimento per mutamento del giudice, il consenso delle parti alla lettura degli atti già assunti dal giudice di originaria composizione non è necessario con riguardo agli esami testimoniali la cui ripetizione non abbia avuto luogo perché non richiesta, non ammessa o non più possibile.
Intervenendo sul punto l’A.C. 2435 prevedeva che la regola di cui all’art. 190 bis, comma 1, c.p.p. fosse estesa nei procedimenti di competenza del tribunale, anche nei casi nei quali, a seguito di mutamento della persona fisica di uno dei componenti del collegio, è richiesto l’esame di un testimone o di una delle persone indicate nell’art. 210 c.p.p. e queste hanno già resto dichiarazioni nel dibattimento svolto dinanzi al collegio diversamente composto nel contraddittorio con la persona nei cui confronti le dichiarazioni medesime saranno utilizzate.
In materia sul punto si era pronunciata più volte la Corte costituzionale (v., fra le altre, C. Cost. n. 17 del 1994 e ordinanze n. 205 del 2010, n. 318 del 2008, n. 67 del 2007, n. 418 del 2004, n. 73 del 2003, n. 59 del 2002, nn. 431 e 399 del 2001) nel senso della infondatezza, ma da ultimo (C. Cost. n. 132 del 2019), pur confermando questo orientamento, si era affermato che “resta aperta per il legislatore la possibilità di introdurre ragionevoli eccezioni al principio dell’identità tra giudice avanti al quale è assunta la prova e giudice che decide ( …) in presenza di meccanismi “compensativi” funzionali (…) come ad esempio le videoregistrazioni delle prove dichiarative quanto meno nei dibattimenti più articolati …”.
Recependo questa indicazione, con la direttiva prevista alla lett. a) del comma 8 dell’art. 1 già indicato si indica al legislatore delegato l’impegno a disporre che la registrazione audiovisiva quale forma ulteriore di documentazione dell’interrogatorio che non si svolga in udienza e della prova dichiarativa, salva la contingente indisponibilità degli strumenti necessari o degli ausiliari tecnici, mentre alla lett. b) si prevedono i casi in cui debba essere prevista almeno l’audioregistrazione dell’assunzione di informazioni dalle persone informate sui fatti, senza obbligo di trascrizione.
Conseguentemente, alla lett. d) del comma 10 dell’art. 1 indicato è previsto che, nell’ipotesi di mutamento del giudice o di uno o più componenti del collegio, il giudice disponga, a richiesta di parte, la riassunzione della prova dichiarativa già assunta; stabilire che, quando la prova dichiarativa è stata verbalizzata tramite videoregistrazione, nel dibattimento svolto innanzi al giudice diverso o al collegio diversamente composto, nel contraddittorio con la persona nei cui confronti le dichiarazioni medesime saranno utilizzate, il giudice disponga la riassunzione della prova solo quando lo ritenga necessario sulla base di specifiche esigenze.
E) L’accentuazione della specificità motivazionale dell’atto d’appello.
E’ sicuramente riconducibile al presente schema anche il riferimento alle Sezioni Unite Galtelli (27.07.2016) da parte della lett. e) del comma 13 dell’art. 1 citato in cui si afferma che deve essere prevista “l’inammissibilità dell’appello per mancanza di specificità dei motivi quando nell’atto manchi la puntuale ed esplicita enunciazione dei rilievi critici rispetto alle ragioni di fatto e di diritto espresse nel provvedimento impugnato”.
Com’è noto, superando il contrasto interpretativo che si era prospettato, l’appello, al parti del ricorso per cassazione, è inammissibile per difetto di specificità dei motivi quando non risultano esplicitamente enunciati e argomentati i rilievi critici rispetto alle ragioni di fatto o di diritto poste a fondamento della decisione impugnata, fermo restando che tale onere di specificità, a carico dell’impugnante, è direttamente proporzionale alla specificità con cui le predette ragioni sono state esposte nel provvedimento impugnato.
Anche in questo caso in attesa della declinazione della norma che, tuttavia, appare vincolata, non può non segnalarsi che la Commissione Lattanzi, dopo aver escluso la legittimazione ad appellare del p.m. aveva prospettato la possibilità che l’appello dell’imputato fosse esperibile secondo motivi predeterminati.
Venuta meno l’esclusione della legittimazione del p.m. è caduta, in quanto a questa correlata, la proposta volta alla strutturazione dell’appello quale mezzo a critica vincolata.
F) La riscrittura della rinnovazione dell’istruzione dibattimentale in caso di appello avverso la sentenza di proscioglimento.
Anche il tema della rinnovazione nel giudizio d’appello trova preciso riscontro al comma 13 lett. l) dell’art. 1 menzionato, ove si prevede di modificare l’art. 603, comma 3 bis, c.p.p., prevedendo che, nel caso di appello contro una sentenza di proscioglimento per motivi attinenti alla valutazione della prova dichiarativa, la rinnovazione dell’istruzione dibattimentale sia limitata ai soli casi di prove dichiarative assunte in udienza nel corso del giudizio di primo grado.
In questo caso, la previsione è finalizzata, invero, a superare quanto deciso dalle Sez. un. Patalano 19.1.2017 (in precedenza Sez. un. Dasgupta 24.4.2016) con la quale si era affermato che l’obbligo di rinnovazione in appello sussiste anche nel caso in cui la sentenza di assoluzione giunga all’esito di giudizio abbreviato.
Si era trattato, invero, di una questione che aveva visto fortemente contrapposte le posizioni nel Supremo Collegio, ritenendosi da alcune sezioni che il rito abbreviato non condizionato non imponesse l’obbligo della rinnovazione protonica in caso di appello del p.m. contro la sentenza di assoluzione.
Va fatto notare che in questo caso non è prevista la possibilità per l’imputato di proporre appello incidentale, non essendo legittimato ad appellare in via principale.
Il limite opererà anche a seguito della direttiva in esame, con effetti ancora più discutibili.
G) La (ri)definizione giuridica innanzi al giudice di legittimità.
Il tema della modifica dell’imputazione è, invece, alla base dell’art. 1, comma n. 13, lett. m), ove si precisa che si dovrà prevedere che, ove la Corte di cassazione intenda dare al fatto una definizione giuridica diversa, instauri preventivamente il contraddittorio nelle forme previste per la celebrazione dell’udienza. A tale proposito lo stesso criterio di delega prevede che la trattazione dei ricorsi davanti alla Corte di cassazione avvenga con contraddittorio scritto senza l’intervento dei difensori, salva, nei casi non contemplati dall’art. 611 c.p.p., la richiesta delle parti di discussione orale in pubblica udienza o in camera di consiglio partecipata e aggiunge di prevedere che, negli stessi casi, la Corte di cassazione possa disporre, anche in assenza di una richiesta di parte, la trattazione con discussione orale in pubblica udienza o in camera di consiglio partecipata.
La precisazione appare strettamente connessa alle vicende legate alla condanna dell’Italia da parte della Cedu, nella nota vicenda Drassich.
Ancorché non definita dalle Sezioni Unite, la modifica appare significativa: si tratta di ovviare ad un patologico comportamento del Supremo Collegio, che impose all’imputato l’avvio di una complessa azione a tutela del suo legittimo diritto, soprattutto in ragione del fatto che esso era stato leso in modo surrettizio, con ricadute anche in punto di reformatio in peius.
Secondo il Collegio, infatti, può farsi ricorso alla procedura straordinaria di cui all’art. 625 bis c.p.p. per dare esecuzione ad una sentenza della Corte eur. dir. uomo che ha rilevato una violazione del diritto di difesa occorsa nel giudizio di legittimità e che abbia reso iniqua la sentenza della corte di cassazione, indicando nella riapertura del procedimento, su richiesta dell’interessato, la misura interna per porre rimedio all’accertata violazione contestata (nel caso di specie, la S.C., facendo ricorso all’art. 625 bis c.p.p. ha revocato una sua precedente sentenza, limitatamente alla diversa e più grave qualificazione giuridica del fatto, ostativa alla declaratoria d’estinzione per prescrizione, operata ex officio in sede di legittimità, senza aver consentito alla difesa il contraddittorio sulla diversa imputazione).
H) Nuovi rimedi per l’esecuzione delle pronunce della CEDU.
Il comma 13, lett. o) dell’art. 1 cit. impone di introdurre un mezzo di impugnazione straordinario davanti alla Corte di cassazione al fine di dare esecuzione alla sentenza definitiva della Corte europea dei diritti dell’uomo in caso di violazione delle regole del giusto processo.
Si supera in tal modo quanto deciso dalla Corte costituzionale con la sentenza n. 113 del 2011, che, anche per ovviare all’inerzia del legislatore, ha dichiarato l’incostituzionalità dell’art. 630 c.p.p. nella parte in cui non prevede di introdurre un mezzo di impugnazione straordinario davanti alla Corte di cassazione al fine di dare esecuzione alla sentenza definitiva della Corte europea dei diritti dell’uomo, proponibile dal soggetto che abbia presentato il ricorso, entro un termine perentorio; attribuendo alla stessa Corte di cassazione il potere di adottare i provvedimenti necessari disciplinando l’eventuale procedimento successivo e coordinando il rimedio con quello della rescissione del giudicato, individuando per quest’ultimo una coerente collocazione sistematica, e con l’incidente di esecuzione di cui all’art. 670 c.p.p.
Il riconoscimento alla funzione nomofilattica del Supremo Collegio nel contesto del dialogo fra le Corti, nel quadro del sistema multilivello dei diritti, costituisce il fondamento di una scelta che evita i percorsi più complessi della procedura di revisione, dando sistemicità ai rimedi di impugnazione straordinari, già evidenziatasi con la riforma della rescissione del giudicato (art. 629 bis c.p.p.).
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