A proposito della legittimazione del procuratore generale ad impugnare l’ordinanza che ammette l’imputato alla prova
Sommario: 1. Le premesse culturali -2. Le ragioni della Cassazione -3. In claris non fit interpretatio: il linguaggio influenza la corrispondenza tra norma e comportamento. Postille conclusive
1. Le premesse culturali.
Con la sentenza n. 14840 del 6 aprile 2023, le Sezioni Unite aggiungono un ulteriore tassello al sistema dei controlli sui provvedimenti del giudice in ordine alla messa alla prova, perpetrando – almeno nella nostra ottica – la crisi, sul piano generale della legalità, delle relazioni tra legislazione e giurisdizione, dei modi e dei confini di applicabilità delle categorie processuali, della tutela delle situazioni giuridiche soggettive. Per di più, la ricognizione proposta, in continuità con i precedenti, ha innegabili implicazioni sulla stabilità e sulla certezza del diritto.
La possibilità di qualificare la giurisprudenza come fonte è problema (non solo) classificatorio ampiamente dibattuto[1]; per questo, non abbisogna di ulteriore approfondimento.
Qui, basterà riportare in limine le premesse teoriche, che, rappresentando la costante della scienza giuridica penalistica post-moderna, stabiliscono definiti punti metodologici, utili, se della questione posta dalla Cassazione voglia offrirsi una prospettiva ricostruttiva reattiva.
Ebbene, nonostante nel nostro ordinamento non operi formalmente il principio dello stare decisis, è evidente la progressiva trasformazione dei rapporti tra legislatore e giudice, accompagnata da un concetto di legalità duttile, rispetto alla tutela giudiziale ed evoluto, in riferimento a livelli eterogenei di fonti del diritto[2].
L’evento non è privo di criticità. Infatti, se rassicura la coscienza che alla legalità normativa non si sostituisce, bensìsi associa la legalità giudiziale, lasciando ferma la primazia della legge, pur riconoscendo spazio all’interprete e alla sua funzione politica[3]; e che il legame tra diritto di fonte legislativa e diritto giurisprudenziale non si esprime in termini di autorevolezza, dato che relativizza la vincolatività degli arresti delle Sezioni unite (art. 618, co. 1 bis e 1 ter, c.p.p.) [4], preoccupa la circostanza che quel Consesso crei regole che aspirano ad essere applicate in futuro ai casi simili[5], legittimato dalla Corte costituzionale, che ne valorizza la funzione nomofilattica, sottolineandone la natura di «espressione di una giurisdizione che è (anche) di diritto oggettivo, in quanto volta a realizzare l’interesse generale dell’ordinamento all’affermazione del principio di legalità che è alla base dello Stato di diritto»[6].
In tal modo, sebbene non si contesti (non si potrebbe) la centralità dell’interpretazione e si voglia dare un segno di continuità al pensiero di chi ha sostenuto che la svolta politica della magistratura abbia assunto un ruolo di mediazione sociale e politica, sopperendo ad inadempimenti e a ritardi del Parlamento e del Governo o, all’opposto, ad una legiferazione incontrollata per vincere il senso di disorientamento prodotto dall’incompleta attuazione della Costituzione[7], non si sfugge al piano istituzionale dei rapporti tra poteri dello Stato, che smentisce il fenomeno di supplenza della magistratura, specialmente quando – come in questo caso – non sia giustificata dall’inadeguatezza della regolamentazione, ovvero, da situazioni di grave indeterminatezza del significato della norma giuridica.
Quindi, è sicuramente anacronistico sostenere la separatezza tra giustizia e politica[8] o l’idea burocratica del giudice; tuttavia, è asserzione praticabile esclusivamente se non si rifletta sulle premesse dell’ermeneutica alla stregua di commistione o di strumentale confusione tra prodotti giurisprudenziali e fonti legali.
Con questa metodologia e con tali premesse è possibile sostenere che la tecnica argomentativa che supporta i principi di diritto enunciati dalle Sezioni Unite comporti una degenerazione dell’intervento giurisprudenziale, una depressione del modo del giudice di porsi difronte alla legge.
La questione è innanzitutto culturale; poi, di sistema.
Il primo fronte (il secondo si analizzerà successivamente) trova sintesi nella convinzione per cui le definizioni giuridiche dipendono dal testo normativo – che finisce così per rappresentarne un limite (in claris non fit interpretatio) – e devono essere ammissibili e coerenti con l’ordinamento, in quanto «un’interpretazione incompatibile con la legge è illegittima, perché sostituisce inammissibilmente la volontà del giudice a quella del legislatore democraticamente legittimato»[9].
Tali condizioni, dunque, esprimendo il raccordo dell’art. 101, co. 2°, Cost. con l’art. 111, co. 1°, Cost., dosimetrano la dimensione della nomofilachia e riconducono il discorso nel perimetro della legalità; termine, tuttora evocativo di situazioni gerarchiche tra codice e giurisprudenza, quando si tratti di definire, appunto, la misura del ruolo creativo di questa nella conformazione al diritto positivo, per non esporre a rischi la tenuta dello Stato di diritto, garantita dalla certezza delle situazioni giuridiche.
2. Le ragioni della Cassazione.
Con articolato e complesso ragionamento, con discutibili riferimenti sistematici ma con raffinate argomentazioni, le Sezioni unite hanno affermato i seguenti principi di diritto: «il procuratore generale è legittimato ad impugnare, con ricorso per cassazione, per i motivi di cui all’ art. 606 c.p.p., l’ordinanza di ammissione alla prova di cui all’art. 464 bis, cod. proc. pen., ritualmente comunicatagli, mentre, in caso di omessa comunicazione della stessa, è legittimato ad impugnare quest’ultima insieme alla sentenza di estinzione del reato».
Gli assiomi, compendiati nella massima, sono il risultato delle risposte positive ai due distinti quesiti formulati dalla IV sezione con ordinanza n. 15493 del 21 aprile 2022[10], autonomamente e distintamente argomentate
In premessa.
L’abbrivio è comune ed è espresso nel precedente Rigacci[11], per il quale, da un lato, l’ordinanza di rigetto della richiesta di messa alla prova non è autonomamente impugnabile, ma appellabile unitamente alla sentenza di primo grado, ai sensi dell’art. 586 c.p.p.; dall’altro, l’art. 464 quater, co. 7, c.p.p. consente la censura diretta ed autonoma solo del provvedimento con il quale, in accoglimento dell’istanza dell’imputato, il giudice abbia disposto la sospensione del procedimento, giacché in tal caso alle parti non sarebbe altrimenti consentito alcun rimedio avverso la decisione assunta.
Nel merito delle questioni.
Per motivare il primo convincimento, la Corte utilizza, ancora una volta, come punto di orientamento metodologico, i suoi precedenti.
Invero, sul tessuto ermeneutico delle sentenze Campagna[12], Colangelo[13] e Lorini[14], essa rileva che: a) «il regime impugnatorio delle ordinanze di cui all’art. 464 quater, co. 7, c.p.p. non contiene alcuna precisazione normativa selettiva quanto ad uno specifico ufficio del pubblico ministero legittimato all’impugnazione, potendo ricorrere per cassazione, oltre all’imputato, il “pubblico ministero”»; b) «non vi sono ragioni di carattere letterale per non includere tale regime nel sistema generale descritto nel Titolo I del Libro IX del codice di rito e (…) nel contesto del disposto dell’art. 570 cod. proc. pen., che, sotto la rubrica “impugnazione del pubblico ministero”, declina le regole generali delle impugnazioni della parte pubblica»; c) «il primo comma, in particolare, prevede che nei casi stabiliti dalla legge, la concorrente facoltà di impugnare spetta al titolare dell’ufficio di procura presso il tribunale o la corte di appello, quali che siano state le conclusioni del rappresentante del pubblico ministero, precisando, poi, con riguardo specifico al procuratore generale, che salvo quanto previsto dall’art. 593 bis, comma 2, il procuratore generale presso la corte di appello può proporre impugnazione nonostante l’impugnazione o l’acquiescenza del pubblico ministero presso il giudice che ha emesso il provvedimento, con piena titolarità, dunque, della facoltà di impugnare i provvedimenti emessi dai giudici del distretto, anche quando il pubblico ministero del circondario abbia già compiuto in merito la sua valutazione positiva o negativa»; d) «l’attribuzione del concorrente potere di impugnazione ai rappresentanti dell’ufficio di procura, presso il tribunale o la corte d’appello, esplicitata dal chiaro disposto normativo, si salda con la formula onnicomprensiva “pubblico ministero”, utilizzata nella rubrica dell’art. 570 c.p.p. che ricorre più volte, non solo nel codice di rito, ma anche nel corpus di altre discipline giurisdizionali, quando il legislatore intende assegnare all’uno e all’atro organo un potere di impugnazione concorrente»; e) non sono ostativi al riconoscimento della piena legittimazione soggettiva del procuratore generale all’impugnazione dei provvedimenti emessi dai giudici del distretto, l’«art. 593 bis cod. proc. pen., in tema di “appello del pubblico ministero”, che prevede la possibilità per il procuratore generale di appellare la sentenza di primo grado solo nei casi di avocazione o qualora vi sia stata acquiescenza del procuratore della Repubblica» e il «conseguente inserimento nel primo comma dell’art. 570 della clausola di salvezza, secondo cui “salvo quanto previsto dall’art. 593 bis, comma 2, il Procuratore generale può proporre impugnazione», giacché tale disposto è soltanto «volto a coordinare le facoltà di appello da parte degli uffici di procura, al fine di evitare la proposizione di più impugnazioni avverso il medesimo provvedimento»; f) «la possibilità di impugnazione diretta dell’ordinanza di ammissione alla prova implica che essa debba essere portata a conoscenza, mediante lettura in udienza o mediante notifica o comunicazione dell’avviso di deposito, non solo alle parti del procedimento che hanno diritto all’avviso della data dell’udienza, ai sensi dell’art. 127 cod. proc. pen., ma anche, come espressamente indicato nell’art. 128 cod. proc. pen., “a tutti coloro cui la legge attribuisce il diritto di impugnazione”», pertanto, «tra i soggetti in favore dei quali deve essere eseguita la comunicazione dell’avviso di deposito, vi è senz’altro il procuratore generale presso la corte di appello, titolare, al pari del procuratore della Repubblica presso il tribunale, del diritto di ricorrere per cassazione, ai sensi dell’art. 464 quater,comma 7, cod. proc. pen.».
Sul secondo principio.
Alla luce della sentenza Lafleur[15], le Sezioni Unite, premesso che «la sentenza di estinzione del reato per esito positivo della prova, pronunciata in pubblica udienza successivamente alla costituzione delle parti, ha natura di sentenza di proscioglimento ed è perciò impugnabile con l’appello del “pubblico ministero”, ai sensi dell’art. 593, comma 2, cod. proc. pen.», asseriscono: a) «l’omessa comunicazione dell’ordinanza di ammissione alla prova non esclude il potere del procuratore generale di impugnazione di essa unitamente alla sentenza che dichiara estinto il reato ex art. 464 septies cod. proc. pen., secondo la regola generale fissata dall’art. 586 cod. proc. pen., atteso che, sebbene sia previsto un apposito rimedio impugnatorio dall’art. 464 quater, comma 7, cod. proc. pen., nondimeno l’impossibilità di accedere ad esso da parte del legittimato all’impugnazione, stante l’esaurimento della fase di esperimento del rimedio, nonché della messa alla prova, comporta la riespansione del potere di impugnazione secondo le regole generali dettate per le ordinanze in uno ai rimedi avverso di esse esperibili»; b) «la parte che ha diritto di appellare la sentenza di primo grado – e specificamente il procuratore generale ai sensi dell’art. 608, comma 4, cod. proc. pen. – può proporre direttamente ricorso per cassazione per violazione di legge ai sensi del combinato disposto dei commi 1 e 3 dell’art. 569 cod. proc. pen.»[16].
3. In claris non fit interpretatio: il linguaggio influenza la corrispondenza tra norma e comportamento. Postille conclusive.
Si diceva. L’arresto in commento completa il regime delle impugnazioni della messa alla prova – già definito sotto il profilo oggettivo – dettando norme di comportamento in capo al procuratore generale presso la Corte d’appello, addizionali a quelle previste per il pubblico ministero (procuratore della Repubblica presso il Tribunale), l’imputato e la persona offesa, che travalicano i margini delle selezioni operate dal legislatore.
Invero, in teoria generale, la tassatività delle categorie processuali, circoscrivendo gli spazi di manovra nell’individuazione del significato e della portata delle norme giuridiche, tutela le situazioni soggettive delle parti dagli arbitri del potere giudiziario, al quale preclude le scelte di politica criminale, riservate, invece, al potere legislativo. Perciò ogni apparato deliberativo ubbidisce a precisi canoni gnoseologico, che, qui, sono stati evidentemente alterati.
Specificamente, la pronuncia sembra ignorare le linee di demarcazione (im)poste dal testo legislativo: difronte all’univocità dei precetti coinvolti e all’impossibilità di ricavare da essi una pluralità di significati, l’attività argomentativa appare alla maniera di una libera creazione di regole giuridiche, inconciliabile con la legalità processuale e sostanziale (rispettivamente: art. 111, co. 1°, e 25, co. 2° e 3°, Cost.). A voler essere più precisi, la nostra insoddisfazione è verso metodi che procedono all’interpretazione delle disposizioni coinvolte, ignorando gli effetti della semantica del linguaggio giuridico sull’estensione della funzione ermeneutica.
In via preliminare, appare opportuno annotare le linee essenziali del profilo oggettivo dell’assetto impugnatorio della messa alla prova, così come risulta dagli indirizzi consolidati della giurisprudenza di legittimità[17].
Ebbene, sono ricorribili in via autonoma e immediata per cassazione solo i provvedimenti che accolgono l’istanza di messa alla prova, mentre sono escluse le ordinanze di rigetto emesse fino alla dichiarazione di apertura del dibattimento – quindi: nella fase delle indagini preliminari o nell’udienza preliminare – in quanto in tali casi l’imputato può rinnovare la richiesta di ammissione alla prova – ed il pubblico ministero la proposta – fino all’apertura del dibattimento. Invece, le decisioni di diniego emesse dal giudice del dibattimento prima dell’apertura del dibattimento – o a seguito di contestazione suppletiva (artt. 516 e 517, c.p.p.) possono soltanto essere appellate unitamente alla sentenza di primo grado, secondo la regola generale dell’art. 586 c.p.p.
L’indirizzo non è criticabile, in quanto la giurisdizione svolge compiti integrativi ed ordinanti – non anche manipolativi/creatrivi – di precetti semanticamente multiformi.
Viceversa, il rapporto codice-giurisprudenza entra in crisi in relazione all’ultimo arresto, da cui si dissente non per ragioni ideologiche (abbiamo detto più volte di condividere il pensiero di chi ha affermato che il principio di legalità abbia abbandonato la propria dimensione veteroilluminista per assumere connotati fuzzy, derivati dalla stratificazione delle fonti nonché dalle incursioni giurisprudenziali nei diritti della persona[18]) bensì per motivi legati alla procedura penale.
Si rifletta.
L’irrazionalità si manifesta rispetto alla linea degli artt. 464 quater, co. 7; 464 bis, co. 1; 51; 608, co. 1, c.p.p., che prefigura uno schema legale vincolato, da cui l’interprete non può discostarsi. Si palesa in relazione al segmento degli artt. 570-572; 593, 593 bis, 607 e 608, c.p.p., che costruisce l’impugnazione alla maniera di un diritto delle parti, che proietta nel processo l’interesse (pur diversamente modulato) di ciascuna alla sentenza giusta. Si riferisce al consolidato orientamento della giurisprudenza costituzionale, che considera la pluralità di gradi alla stregua di occasioni progressive per l’esercizio del controllo, in ragione del principio di soccombenza, da intendersi non in chiave civilistica, piuttosto in prospettiva utilitaristica[19].
L’ulteriore chiave di lettura dell’alternativa esegetica proposta è l’art. 51 c.p.p., siccome contribuisce a chiarire, in via dogmatica, le rispettive aree di attribuzioni di poteri processuali tra gli uffici del pubblico ministero operanti nei diversi stadi della vicenda-processo; descrive il tipo legale di comportamento dei magistrati della procura della Repubblica presso il Tribunale e dei magistrati della procura generale presso la Corte d’appello attraverso concetti classificatori racchiusi in formule legali – perciò vincolanti per l’interprete – che li tipizzano; fissa il significato legislativo delle norme nei contesti fenomenologici in cui quei magistrati sono coinvolti.
La contestualizzazione dei testi legislativi ci consente di definire in senso contrario il discorso normativo compiuto dalla Cassazione. Invero, attribuendo alle regole il significato ricavato dal valore giuridico e sistemico assegnato ai vocaboli che le descrivono; spiegando con tale ottica il binomio dei co. 1 e 2 dell’art. 464 bis c.p.p. e l’art. 464 quater, co. 7, c.p.p., che lo completa, emerge l’irrazionalità dell’operazione compiuta dalle Sezioni Unite quando hanno esteso l’area dei soggetti legittimati e dei comportamenti sussumibili dall’art. 464 quater, co. 7, c.p.p. senza tener conto che la determinatezza e la tassatività delle disposizioni coinvolte negano all’interprete la libertà di attribuire compiti autorizzativi non specificamente previsti, tanto più se essi non sono desumibili dall’ordinamento[20]. La concatenazione di necessarietà comportamentale, infine, elimina la ineluttabilità di considerarla creativa, integrativa dell’ordinamento, e perciò vietata dall’art. 111, co. 1°, Cost.
Partiamo dai punti fermi: le funzioni del pubblico ministero si strutturano relativamente al segmento processuale in cui si innesta la messa alla prova, secondo l’organizzazione predisposta dall’art. 51 c.p.p.; l’ordinamento (tramite l’art. 51 c.p.p.) distingue i poteri a seconda del grado di giudizio, per cui solo il pubblico ministero presso il Tribunale ha potestà inquirente e requirente, nonché l’autorità di intervenire nel giudizio di primo grado, mentre al procuratore generale presso il giudice di secondo grado competono le funzioni di impulso del processo attraverso le impugnazioni, la rappresentanza nei giudizi in Corte d’appello ed il potere di avocazione delle indagini.
Ancora: la collocazione della sospensione del procedimento con messa alla prova nel Libro VI del Codice, dedicato ai Procedimenti speciali, palesa (non senza criticità[21]) l’essenza di giudizio del rito, di significativo momento decisorio, di punto terminale del processo[22], a meno che non si voglia sottovalutare la clausola di salvaguardia di cui all’art. 129 c.p.p., espressamente richiamata nel co. 1 dell’art. 464 quater c.p.p.[23] e trascurare che nelle occasioni descritte dal co. 2 dell’art. 464 bis c.p.p., i poteri decisori del giudice possono essere sollecitati dalle parti con richieste sul rito, che fanno sorgere la possibilità che il processo si concluda lì, in quella fase. Infatti, è previsto che l’esito positivo della prova comporti l’estinzione del reato ed il conseguente proscioglimento dell’imputato.
Infine: il co. 1 dell’art. 464 bis c.p.p. palesa la matrice personalistica della messa alla prova, posta l’appartenenza all’imputato, giacché gli spazi partecipativi riconosciuti all’accusa sono circoscrittiad una proposta ed influenzati dall’adesione dell’imputato, nelle occasioni previste dall’art. 464 bis, co. 2, c.p.p.[24] e dall’art. 464 ter c.p.p., e contenuti nel consenso/dissenso qualora la richiesta sia presentata durante le indagini preliminari. Il co. 2 dell’art. 464 bis c.p.p. ne detta i confini temporali, individuandoli nelle disposizioni di cui agli artt. 421 e 422, c.p.p. per l’udienza preliminare, negli atti per la costituzione delle parti nel giudizio direttissimo e nel procedimento a citazione diretta, nei tempi e nelle forme dell’art. 458, co. 1, c.p.p. nel giudizio immediato, con l’atto di opposizione nel procedimento per decreto. Si aggiungono: l’art. 464 ter c.p.p., che disciplina il rito nella fase delle indagini preliminari e gli arresti costituzionali che autorizzano l’imputato a presentare la richiesta al giudice del dibattimento in seguito alla modifica dell’originaria imputazione (art. 516 c.p.p.)[25] e alla nuova contestazione di una circostanza aggravante (art. 517 c.p.p.)[26].
Le osservazioni conducono al dato strutturale, costituito dalla sequenza richiesta/sospensione /messa alla prova/declaratoria di estinzione del reato, nel cui ambito, l’ordinanza ammissiva, funzionale ad attivare il procedimento speciale – non anche a definire il giudizio principale – ne ripete la natura incidentale, concepibile, a sua volta, dai co. 7, ult. periodo (integrato dagli artt. 464 quater, co. 1, ult. per., 127, co. 7 e 8), 8 e 9 dell’art. 464 quater c.p.p. e dal co. 2 dell’art. 464 septies c.p.p. (non a caso, il provvedimento che dispone la ripresa del procedimento non è immediatamente ricorribile per cassazione ma è appellabile insieme alla sentenza che definisce il grado di giudizio[27]).
Sicché, per individuare la parte pubblica legittimata al ricorso – quindi, per stabilire a quale ufficio faccia riferimento l’art. 464 quater, co. 7, c.p.p. – è necessario considerare le attribuzioni funzionali stabilite dall’art. 51, co. 1, c.p.p., correlarle al co. 2 dell’art. 464 bis c.p.p. e, in quel prisma, considerare il combinato disposto degli artt. 570, co. 1, 1° per. e 608, co. 4, ult. per., c.p.p.
La prospettiva ricostruttiva è di facile intelligibilità: poiché nelle fasi in cui può inserirsi la richiesta – o l’adesione – la titolarità dell’accusa spetta ai magistrati della procura della Repubblica presso il Tribunale, non può che essere questo l’unico ufficio titolare del diritto ad impugnare l’ordinanza che ammette alla prova per sollecitare il sindacato giudiziale sulla sussistenza dei requisiti previsti dall’art. 168 bis c.p.[28]. Va escluso, invece, il procuratore generale, il quale non è istituito presso il giudice che ha emesso il provvedimento gravato, dal quale deriva, appunto, tale investitura.
Ulteriori riferimenti supportano la soluzione offerta.
Il primo si ricava dall’art. 568, co. 3, c.p.p., ovvero dalla tassatività del versante soggettivo delle impugnazioni. Il secondo si evince, in via generale, dal richiamo dell’art. 464 quater, co. 1, ult. per.,c.p.p. all’art. 127 c.p.p. e, in particolare, dalla combinazione del co. 7 dell’art. 127 c.p.p. con il co. 1, letto nel cono dell’art. 464 quater, co. 7, c.p.p., che prescrive la comunicazione o la notificazione dell’ordinanza del giudice «alle parti, alle altre persone interessate e ai difensori», specificamente: al pubblico ministero (istituito presso il giudice al quale l’imputato ha formulato richiesta di sospensione del procedimento con messa alla prova, ex co. 1 e 2 dell’art. 464 bis c.p.p.), all’imputato e alla persona offesa[29], che possono proporre ricorso per cassazione. Non anche al procuratore generale, in quanto nel concetto di parte impiegato nell’art. 127, co. 1, c.p.p. – a cui rimanda il co. 7 dell’art. 127 c.p.p. – non può comprendersi la procura generale, rimasta estranea alla procedura differenziata, laddove, invece, l’espressione utilizzata rimanda ai suoi concreti protagonisti (artt. 464 bis, co. 1; 464 quater, co. 2 («sentite le parti nonché la persona offesa»).
Specularmente, a quegli stessi soggetti, il segmento degli artt. 464 septies, co. 7, 127, co. 7 e 128, co. 1, ult. per., c.p.p. prevede la comunicazione o la notificazione dell’avviso di deposito dell’atto de quo, contenente l’indicazione del dispositivo, giacché a costoro la legge (artt. 464 quater, co. 7; 464 quater, co. 1, ult. periodo; 127, co. 7, c.p.p.) attribuisce il diritto di impugnare.
A ben vedere, le vie percorse escludono la disponibilità del controllo in capo ai magistrati della procura generale e tolgono fondamento al distinguo operato (implicitamente) dalle Sezioni unite a proposito della connessione tra comunicazione e forma impugnatoria. Di conseguenza, non sussistendo alcun onere di partecipare la sospensione – se non verso le parti (procuratore della Repubblica e imputato), la persona offesa e i difensori – il procuratore generale non è legittimato ad impugnarla autonomamente nè contestualmente alla sentenza di proscioglimento.
Il quadro dei gravami della declaratoria di estinzione del reato va chiarito, dal momento che escludiamo – anche per tale decisione e, ancora una volta, opponendoci alla giurisprudenza consolidata – una diffusa impugnabilità sul versante soggettivo.
Invero, mentre è generale la titolarità dell’appello in capo al procuratore della Repubblica, giusto il combinato disposto degli artt. 593, co. 2 e 593 bis, co. 1,c.p.p.[30]; quella del procuratore generale è subordinata ad una pregressa situazione di avocazione del procedimento o all’ipotesi di acquiescenza al provvedimento prestata dal procuratore della Repubblica (artt. 593 bis, co. 2, c.p.p.; 166 bis c.p.p.[31]).
Riguardo al ricorso in cassazione, invece, considerati gli effetti preclusivi del combinato disposto degli artt. 464 bis, co. 2; 464 ter (che esclude il rito speciale in grado di appello) e 608, co. 1, c.p.p., il procuratore generale può ricorrervi nelle forme dell’art. 569 c.p.p. soltanto alle condizioni poste dall’art. 593 bis, co. 2, c.p.p.; diversamente per il procuratore della Repubblica, il quale può provvedervi immediatamente, godendo della facoltà di appellare la sentenza de qua[32].
Nemmeno sarebbe prevedibile un’ipotesi di concorrenza delle impugnazioni, proposte da entrambi i procuratori. Invero, l’art. 570, co. 1, ult. per., c.p.p., pur autorizzandola come situazione ideale, la esclude nel caso di specie, dal momento che la subordina al presupposto di una duplice autonoma titolarità, e quindi all’ammissione di possibili diverse richieste ad opera dei due organi, entrambi legittimati ad impugnare[33].
La ricostruzione offerta soffre un’eccezione, che si rintraccia nella linea degli artt. 51, co. 2; 372, 412, 413; 464 bis, co. 1; 464 quater, co. 7, c.p.p.: l’avocazione[34] coinvolge il procuratore generale – soggetto naturalmente estraneo nel procedimento – trasferendogli le attribuzioni del procuratore della Repubblica, tra cui i poteri impugnatori dell’ordinanza di sospensione.
Solo in questo caso, e nei termini indicati, si relativizza l’unità con cui le Sezioni unite definiscono il versante soggettivo del regime impugnatorio della messa alla prova. Per il resto, l’intervento giudiziale svela un illegale dominio del giudice sul diritto.
[1] Da ultimo, R. Orlandi, Nuova legalità penale, diritto giurisprudenziale e funzioni attuali della Corte di cassazione, in Atti del Convegno “Fra legge e giudice alla ricerca di un equilibrio per la legalità penale (Firenze 20 maggio 2022), in Sist. Pen., Sezione Speciale, 12, 2022, pp. 133-147.
Conserva attualità il pensiero di G. Capograssi, Intorno al processo (ricordando Giuseppe Chiovenda), in Opere, vol. IV, Milano, 1959, p. 134 ss.
In tema, tra i molti, G. Riccio, Il recente “conflitto” tra atteggiamento neutrale del giurista e la moderna dimensione della legalità, in Id., Garantismo e dintorni. A proposito della crisi della Giustizia, Napoli, 2015, pp. 26-29 e, dello stesso A., Interpretazione, in Id., La Procedura Penale. Tra storia e politica, Napoli, 2011, pp. 71-96.
Dall’angolo visuale del diritto sostanziale, S. Moccia, Sulle precondizioni dell’ermeneutica giudiziale nello stato di diritto, in Criminalia, 2012, p. 299 ss. e, di recente, Id., La crisi della legalità nella crisi del sistema penale, in C.E. Paliero, S. Moccia, G. A. De Francesco, G. Insolera, M. Pelissero, R. Rampioni e L. Risicato (a cura di), La crisi della legalità. Il “sistema vivente delle fonti penali”, Napoli, 2016, pp. 341-348.
[2] Volendo, il nostro Sistema integrato di fonti e di interpretazioni, in F. Caringella, F Falato (a cura di), Scritti di Cooperazione giudiziaria penale, Roma, 2018, spec. p. 10 ss.
[3] Conservano attualità il pensiero di G. Malinverni, Giudice, Politica e Interpretazione, in Atti del Convegno di studio su Giudice e Politica, Venezia, 1977, p. 6 e di G. Tarello, Orientamenti della magistratura e della dottrina sulla funzione politica del giurista interprete, in Pol. Dir., III, fasc. 3-4, 1972, pp. 459-499.
Cfr., R. Orlandi, Rinascita della nomofilachia: sguardo comparato alla funzione politica delle Corti di legittimità, in Cass. pen., 07/08, 2017, p, 2596 ss.
[4] F. Viganò, Il diritto giurisprudenziale, cit., p. 15.
Cfr., R. Orlandi, Ripensare le attribuzioni ordina mentali della Corte di cassazione adeguandole all’attuale quadro politico-costituzionale, in Cassazione e legalità penale, Roma, 2017, p. 406.
[5] «Il che costituisce un’ottima ragione per riconoscere l’esistenza, e il cruciale ruolo giocato nella prassi, di un “diritto giurisprudenziale” prodotto (e non solo “scoperto”, o “dichiarato”) dalle corti, persino in una materia dominata dalla riserva di legge come quella penale»: F. Viganò, Il diritto giurisprudenziale nella prospettiva della Corte costituzionale, in Sist. Pen., 2021, p. 7.
Cfr., M. Dogliotti, voce Legalità, in Enc. dir., Annali, VI, 2013, p.418.
[6] Corte cost., 25 giugno 2015, n. 119.
Da Corte cost., 11 dicembre 1974, n. 276 a Id., 14 ottobre 2020, n. 212.
[7] Si contestualizza il pensiero di G. Riccio, L’interpretazione della norma è “politica” e spetta al magistrato, in D&G, n. 39, 2003, p. 11.
[8] G. Riccio, Legge, diritto, giurisprudenza, in D&G, n. 30, 2003, p. 8 ss.
[9] F. Viganò, Il diritto giurisprudenziale, cit., p. 17.
[10] Il primo quesito: «Se il procuratore generale sia legittimato ad impugnare, con ricorso per cassazione, l’ordinanza che ammette l’imputato alla prova (art. 464 bis cod. proc. pen.) e in caso affermativo per quali motivi».
Il secondo quesito: «Se il procuratore generale sia legittimato ad impugnare, con ricorso per cassazione, la sentenza di estinzione del reato pronunciata ai sensi dell’art. 464 septies cod. proc. pen.».
[11] Cass. SS. UU., 31 marzo 2016, n. 33216, in Mass. Uff., 267237.
[12] Cass., SS. UU., 31 maggio 2005, n. 22531, in Mass. Uff., 231056.
[13] Cass., SS. UU., 28 maggio 2009, n. 31011, in Mass. Uff., 244029.
[14] Cass., SS. UU., 15 aprile 2019, n. 41629.
[15] Cass., SS. UU., 28 ottobre 2021, n. 3512.
[16] In aggiunta, le Sezioni Unite formulano un ulteriore principio di diritto, avulso dai quesiti per i quali sono state adite: «l’istituto dell’ammissione alla prova di cui all’art. 168 bis cod. pen. non trova applicazione con riferimento alla disciplina della responsabilità degli enti di cui al d. lgs. n. 231 del 2001».
In argomento, M. Mossa Verre, La “messa alla prova” degli enti collettivi è esclusa anche dalla Cassazione a Sezioni Unite, in Sist. Pen., 10 maggio 2023.
[17] Cass., SS. UU., 31 marzo 2016, n. 33216, cit.
Conformi, ex multis, Cass., V, 17 gennaio 2020, n. 15812; Id., II, 25 novembre 2021, n. 995; Id., I, 31 marzo 2022, n. 29614; Id., VI, 30 maggio 2022, n. 24249.
Cfr., Cass., V, 6 novembre 2020, n. 7231.
[18] G Riccio, Metodi e prospettive de la Procedura penale, I. Fonti, Napoli, 2018, p. 58.
[19] Per tutte, Corte cost., 6 febbraio 2007, n. 6.
Il significato di soccombenza lo spiega chiaramente, Cass., SS. UU., 27 ottobre 2011, n. 6624, individuandolo nella finalità negativa, perseguita dal soggetto legittimato ad impugnare, di rimuovere una situazione di svantaggio processuale derivante da una decisione giudiziale, ed in quella, positiva, del conseguimento di un’utilità, ossia di una decisione più vantaggiosa rispetto a quella oggetto del gravame, e che risulti logicamente coerente con il sistema normativo.
[20] La preclusione ermeneutica si evince da Cass., SS. UU., 20 dicembre 2007, n. 5307, in Mass. Uff., 238239.
[21] G. Riccio, Metodi e prospettive, cit. IV. Multischematicità, pp. 146-152; Id., Giuristi e legislatori. A proposito dei recenti interventi sulla Procedura penale, in Arch. Pen., 2015, p. 451.
[22] Cfr., Corte cost., 26 novembre 2015, n. 240.
[23] Sul valore della regola di comportamento, volendo il nostro, Il profilo cognitivo della messa alla prova, in La Giustizia Penale, fasc. IV, parte III, 2019, cc. 224-244.
[24] Sulla struttura riformata della sospensione, tra gli altri, F. Agnino, Sospensione del procedimento con messa alla prova dell’imputato, in A. Bassi, C. Parodi (a cura di), La riforma del sistema penale. Commento al d. lgs. 10 ottobre 2022 n. 150 (cd. Riforma Cartabia), in attuazione della legge delega 27 settembre 2021, n. 134, Milano, 2022, pp. 401-420; A. Natalini, Messa alla prova su richiesta del Pm e per tutti i delitti a citazione diretta, in G. Amato, L. Biarella, R. Bricchetti, G. Canzio, F. Fiorentin, C. Minnella, A. Natalini, T. Padovani, E. Sacchettini, G. Spangher, Riforma Cartabia: indagini preliminari e processo penale. Commento sistematico al decreto legislativo del 10 ottobre 2022 n. 150, Milano, 2023, pp. 116-121; F. Vergine e V. Mazzotta, La sospensione del procedimento con messa alla prova secondo la Cartabia, una mossa poco coraggiosa, in G. Spangher (a cura di), La riforma Cartabia, Pisa, 2022, pp. 473-483.
Sul modello originario, tra gli altri, V. Maffeo, I profili processuali della sospensione con messa alla prova, Napoli, 2017.
[25] Corte cost., 11 febbraio 2020, n. 14,
[26] Corte cost., 5 luglio 2018, n. 141.
[27] Cass., VI, 1° febbraio 2023, n. 8721.
[28] «Il ricorso per cassazione avverso il provvedimento ammissivo previsto dall’art. 464 quater, comma 7 c.p.p. è ammissibile solo per contestare la legittimità e non già il merito; pertanto, non possono essere dedotte questioni rilevanti che attengono al merito, nonché i termini della loro esecuzione ovvero la congruità rispetto al fatto commesso e alle finalità rieducative che giustificano il provvedimento stesso»: Cass., VI, 9 novembre 2021, n. 1603.
Cfr., Cass., SS. UU., 31 marzo 2016, n. 33216, cit.
[29] La persona offesa può impugnare l’ordinanza di ammissione alla prova per eccepire soltanto l’omessa citazione all’udienza di trattazione della richiesta di sospensione avanzata dall’imputato ovvero la sua mancata audizione, qualora comparsa, all’udienza nella quale è stata decisa la messa alla prova. In entrambe le ipotesi, la persona offesa può ricorrere per cassazione solo per far valere una nullità. Al di fuori di tali casi, ella può solo sollecitare il pubblico ministero, sul modello di cui all’art. 572 c.p.p., ad impugnare l’ordinanza. Letteralmente, A. Diddi, La fase di ammissione alla prova, in N. Triggiani (a cura di), La deflazione giudiziaria. Messa alla prova degli adulti e proscioglimento per tenutià del fatto, Torino, 2014, p. 130.
In tal senso, in giurisprudenza, da ultima, Cass., VI, 19 aprile 2023, n. 19931.
[30] In data 8 marzo 2023 è stato assegnato alla Commissione Giustizia del Senato la proposta di legge S. 202, d’iniziativa del senatore Zanettin, recante “Modificazioni al codice di procedura penale in materia di inappellabilità delle sentenze di proscioglimento”.
In tema, E. Andolina, Inappellabilità delle sentenze di proscioglimento da parte del pubblico ministero, in Proc. pen. giust., 11 aprile 2023.
[31] Cass., SS. UU., 23 febbraio 2023, rel. Aprile (informazione provvisoria), in Proc. pen. giust., 23 febbraio 2023: «1. La legittimazione del procuratore generale a proporre appello avverso le sentenze di primo grado consegue soltanto all’acquiescenza del procuratore della Repubblica quale risultato delle intese o delle altre forme di coordinamento richieste dall’art. 166-bis disp. att. c.p.p. che impongono al procuratore generale di acquisire tempestiva notizia in ordine alle determinazioni del procuratore della Repubblica in merito all’impugnazione della singola sentenza. 2. L’acquiescenza del procuratore della Repubblica al provvedimento non è riferibile anche al pubblico ministero che abbia presentato le conclusioni nel giudizio di primo grado. 3. In assenza delle condizioni per presentare appello ai sensi dell’art. 593-bis, comma 2, c.p.p. il procuratore generale non è legittimato a proporre ricorso immediato per cassazione ex art. 569 c.p.p. né ricorso ordinario ai sensi degli artt. 606, comma 2, e 608 c.p.p.».
[32] Diversamente, l’orientamento consolidato della Cassazione, per il quale anche la sentenza che, ai sensi dell’art. 469 septies c.p.p., definisce il procedimento speciale di messa alla prova e dichiara che la prova ha avuto esito positivo con conseguente estinzione del reato è ricorribile per cassazione, secondo i principi generali fissati dall’art. 111, co. 7°, Cost. e dall’art. 568, co. 2 e 3, c.p.p.
Da Cass. SS. UU., 31 marzo 2016, n. 33216, cit.,
Con argomentazioni che si condividono – ma che nella nostra concezione sono da riferirsi alle differenti situazioni di ricorso immediato in cassazione ex art. 568 c.p.p. – Cass., VI, 10 giugno 2020, n. 21046 – il perimetro della cognizione dei due giudizi di cognizione attivabili dal pubblico ministero, quello avverso l’ordinanza emessa ai sensi dell’art. 464 quater, co. 3, c.p.p. e quello avverso la sentenza di cui all’art. 469 septies c.p.p. è necessariamente diverso: con il ricorso per cassazione avverso la sentenza dichiarativa dell’estinzione del reato non possono essere proposti motivi attinenti all’ammissibilità della richiesta di sospensione del processo con messa alla prova o all’originaria insussistenza di uno dei presupposti stabiliti dall’art. 168 bis c.p. per l’accesso al rito speciale – così, Cass., VI, 10 giugno 2020, n. 21046 –, essendo gli stessi preclusi dall’avvenuta decorrenza del termine entro il quale deve essere proposta l’impugnazione avverso l’ordinanza di cui all’art. 464 quater, co. 3 e 7, c.p.p. Al contrario, ben potranno essere dedotte, secondo le regole ed i limiti del giudizio di legittimità, censure attinenti alla fase del procedimento successiva all’ordinanza di sospensione, di natura processuale ovvero errores in iudicando, anche sotto il profilo dell’illogicità della motivazione. Pertanto – conclude Cass., V, 14 gennaio 2020, n. 5903; conf., Id., Cass., VI, 9 novembre 2021, n. 1603 – è inammissibile il ricorso in cassazione del pubblico ministero contro la sentenza che dichiari l’estinzione del reato per esito positivo della messa alla prova, ai sensi dell’art. 464 septies, c.p.p., quando denunci vizi afferenti al provvedimento di sospensione del processo, di cui all’art. 464 quater c.p.p. che avrebbero potuto essere fatti valere contro quest’ultimo.
[33] Sulla necessità che gli uffici del pubblico ministero siano muniti della legittimazione ad impugnare, M. Bargis, Impugnazioni, in Id., Compendio di Procedura penale, X ed., 2020, p. 760.
[34] Sulla normativa generale riformata dell’avocazione per inerzia, tra gli altri, G. Amato, Le varie ipotesi di “avocazione” nella disciplina sollecitatoria, in G. Amato, L. Biarella, R. Bricchetti, G. Canzio, F. Fiorentin, C. Minnella, A. Natalini, T. Padovani, E. Sacchettini, G. Spangher, Riforma Cartabia, cit., pp. 66-70; K. La Regina, L’archiviazione nel vortice efficientista, in G. Spangher (a cura di), La riforma Cartabia, cit., pp. 291-296; C. Parodi, L’indicazione delle priorità e i poteri di avocazione, in A. Bassi, C. Parodi (a cura di), La riforma del sistema penale, cit., pp. 15-18.