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LA COALESCENZA ARGOMENTATIVA COME POSSIBILE METODOLOGIA PER LA GIUSTIZIA RIPARATIVA

ARGUMENTATIVE COALESCENCE AS A POSSIBLE METHODOLOGY FOR RESTORATIVE JUSTICE

Abstract

La giustizia riparativa e la mediazione penale, soprattutto a seguito delle modifiche normative apportate dalla Riforma Cartabia, si incentrano su un effettivo processo dialogico. Il diritto può interfacciarsi efficacemente con la logica, se si pensa ad alcuni recenti sviluppi di questa disciplina. Tra le correnti di logica informale che hanno valorizzato questo proficuo rapporto vi è la coalescenza argomentativa di Michael Gilbert. La coalescenza argomentativa integra la dimensione dichiarativa degli argomenti sviluppati dai dialoganti con quella interiore ed emozionale. In tale analisi, bisogni e obiettivi delle parti vengono esplorati, cercando analiticamente ciò che è comune, in vista dell’accordo. Nell’articolo si intende mostrare come il mediatore possa trovare nella coalescenza argomentativa un modello per gli scopi principale della giustizia riparativa, contribuendo così alla risoluzione delle questioni derivanti dal reato, e alla riconciliazione tra il reo e la vittima e tra le parti e la comunità.

Abstract

Restorative justice and penal mediation, especially following the regulatory changes introduced by the Cartabia Reform, focus on an effective dialogic process. Law can effectively interface with logic, if we think about some recent developments in this discipline. Among the currents of informal logic that have enhanced this fruitful relationship is Michael Gilbert’s argumentative coalescence. Argumentative coalescence integrates the declarative dimension of the arguments developed by the dialoguers with the interior and emotional one. In this analysis, the parties’ needs and objectives are explored, analytically seeking what is common, in view of the agreement. The article intends to show how the mediator can find in argumentative coalescence a model for the main purposes of restorative justice, thus contributing to the resolution of issues arising from the crime, and to reconciliation between the offender and the victim and between the parties and the community.

1. INTRODUZIONE

Rispetto alla giustizia sanzionatoria, di stampo pubblicistico, la restorative justice è maggiormente imperniata su aspetti privatistici, nonché sociali e comunitari. Perché una giustizia possa autenticamente definirsi riparativa, le parti in essa coinvolte – innanzitutto la persona indicata come autore del reato e la vittima – devono fattivamente adoperarsi per ricomporre il dissidio tra di loro[1], e anche per risanare il rapporto con la comunità, tenendo le redini del confronto e dell’argomentazione mediante l’ausilio (non la sostituzione) del mediatore[2].

In tale senso, la mediazione penale, perno della giustizia riparativa, si snoda in alcuni assetti preminenti, tra i quali la libera espressione emozionale-interiore della vittima, l’assunzione di responsabilità di chi è indicato come autore del reato, il ruolo della comunità nella ricostruzione dei legami, la riparazione reale e simbolica. In questi ambiti il dialogo riveste un ruolo centrale, e la dialogicità si pone come la metodologia, tenue eppure decisiva, mediante la quale una giustizia potrà assumere realmente connotati riparativi.

Secondo quanto già delineato in un precedente articolo, cui si rimanda[3], il presente contributo – avvalendosi di alcuni spunti tratti dalla logica informale, in particolare dalla tecnica di costruzione dell’argomentazione coalescente – intende approfondire le potenzialità risolutive e riparatrici di un’efficace tipologia argomentativo-dialogica, quale percorso che, partendo dalla ricerca di consapevolezza e dalla conseguente assunzione delle responsabilità, intenda ricomporre il conflitto.

La scelta di indicare un possibile strumento applicativo per il mediatore è conseguenza del fatto che l’attività di questi, a differenza di quella dell’operatore giuridico, non segue rigide metodologie, né trova garanzie dall’acquisizione di conoscenze pregresse, ma deve costantemente essere sostenuta da una vitale creatività che miri all’incontro tra le parti[4].

2. LA COALESCENZA ARGOMENTATIVA. UN NUOVO APPROCCIO

In alcuni orientamenti concettuali di logica informale[5] l’argomentazione è accostabile all’interazione: «Argument is a form of interaction in which two or more people maintain what they construe to be incompatible positions»[6]. A questo genere di approccio logico-informale appartiene anche la tecnica detta coalescenza argomentativa elaborata dal logico informale Michael Gilbert[7], nella quale l’argomentazione è intesa come comunicazione tra due soggetti umani.

In tale senso, Gilbert ritiene che argomentare consista in uno scambio di informazioni originatosi da un disaccordo dichiarato[8]: nella misura in cui le parti si coinvolgono in questo reciproco scambio, ciascuna di esse riceve e offre qualcosa. Tale interazione è sia multidimensionale, coinvolgendo bisogni, obiettivi, desideri, sia multimodale, esprimendosi in modalità non solo logico-dichiarativa, ma anche emotiva, interiore, valoriale, attitudinale[9].

La finalità è quella di massimizzare bisogni e obiettivi di ciascuna delle parti: per ottenere ciò, all’interno di un processo dialogico, la comunicazione necessita di una metodologia volta al raggiungimento dell’accordo, principalmente mediante un ampliamento della comunicazione, tale da ricomprendere elementi ulteriori rispetto a quelli meramente logico-razionali[10].

«Coalescent argumentation in a normative ideal. It involves the joining together of two disparate claims through recognition and exploration of opposing positions. By uncovering the crucial connection between a claim and the attitudes, beliefs, feelings, values, and needs to which it is connected, dispute partners are able to identify points of agreement and disagreement. These points can then be utilized to effect coalescence: a joining or emerging of divergent positions by forming the basis for a mutual investigation of non-conflictual options that might otherwise have remained unconsidered. This chapter proceeds by defining and discussing argument, position and understanding. These notions are then brought together to outline the concept of coalescent reasoning»[11].

Nella visione di Gilbert, l’argomentazione coalescente necessita di due fasi preliminari: 1) identificazione degli obiettivi (goals); 2) esplorazione delle posizioni (positions) e degli obiettivi[12].

La prima indagine ha la finalità di massimizzare i cosiddetti goals. Gli obiettivi delle parti possono essere distinti in[13]:

  1. task goals, obiettivi strategici per gli scopi principali e immediati delle parti;
  2. face goals, obiettivi che riguardano le relazioni tra i partecipanti: vi sono anche bisogni legati all’altro interlocutore, indispensabili per mantenere la relazione stessa[14].

Questi goals a volte sono manifesti alle parti, altre volte restano nascosti, magari sotto motivi apparenti. È indispensabile che il processo dialogico-argomentativo porti alla luce e chiarisca questi obiettivi celati, potendo altrimenti l’interazione dei soggetti restare ambigua.

Gilbert definisce questi obiettivi nascosti, e che tuttavia devono essere portati alla luce, strategic goals, identificandoli sia con i task goals, sia con i face goals; alle volte li definisce come apparent strategic goals (APG). Certamente entrambi sono obiettivi che rientrano nella strategia dell’interlocutore, ma la terminologia potrebbe ingenerare confusione. A motivo di ciò, in questo lavoro definiamo apparent strategic goals come gli obiettivi apparenti, i quali in realtà nascondono altri scopi: una oppure entrambe le parti non intendono rivelarli chiaramente per convenienza, per timore, ma anche per semplice mancanza di consapevolezza[15].

Per quanto riguarda il secondo punto – esplorazione delle posizioni e degli obiettivi – nella coalescent argumentation è fondamentale la posizione (position), definibile come matrice di credenze, atteggiamenti, emozioni, intuizioni e valori collegati a una dichiarazione[16], il cui insieme può essere anche variare notevolmente rispetto alla consapevolezza che l’argomentatore ha di essa.

Pertanto, la comprensione di una posizione, connessa a una serie molteplice di fattori, implica un impegno ulteriore rispetto alla valutazione del semplice dato affermativo-dichiarativo: l’elemento logico-affermativo si trova infatti a un livello piuttosto superficiale e immediatamente riscontrabile. Un’indagine sulla posizione che voglia dirsi autentica dovrà scoprire la connessione che le affermazioni di un interlocutore hanno, oltre che con gli aspetti logici, anche con quelli emotivi, e persino con quelli viscerali e kiscerali (o intuitivi) di un interlocutore[17].

Deve precisarsi che con modalità viscerale si intende la gamma di fattori fisici compresi quelli socio-fisici, nonché la collocazione culturale e socio-economica di un soggetto; la modalità kiscerale (originata dal termine ki giapponese che etimologicamente rimanda a “energia”[18]) implica energia, forza vitale, connessione, ed è quella modalità di comunicazione basata sull’intuizione, sulla fantasia, ma anche sul religioso e persino sul mistico, identificando una componente fondamentale a livello personale, tale da influire in modo consistente sull’attaccamento alla position[19].

La seguente tabella identifica le informazioni che dovrebbero essere raccolte dai due interlocutori: è possibile vedere in essa la matrice della posizione nelle sue quattro componenti informative principali[20] (all’interno di ciascuna colonna si trovano gli elementi di queste quattro componenti informative).

LOGICO
(Logical)
EMOZIONALE
(Emotional)
VISCERALE
(Visceral)
KISCERALE
(Kisceral)
Convinzioni
(Beliefs)
Atteggiamenti
(Attitudes)
Situazione Personale
(Situation)
Intuizioni
(Intuition)
Ragioni-Dichiarazioni
(Claim-Reasons Complex)
Sentimenti
(Feelings)
Collocazione sociale
(Socio-Eco Context)
Comprensione
(Insights)
Ragioni
(Reasons)
Emozioni
(Emotions)
Corporeità
(Physicality)
Impressioni
(Hunches)

L’esplorazione delle posizioni dei partecipanti dovrebbe definirsi completa quando la position sia integralmente compresa, sebbene che una piena consapevolezza delle posizioni è un risultato difficilmente raggiungibile, Tuttavia, deve ribadirsi che definire – seppure per quanto possibile – le positions nella loro complessità è un passaggio essenziale per giungere alla fase finale del tentativo di coalescenza.

Gilbert è consapevole che l’accordo sia diverso da ciò è definito come agreement: interazione non significa coalescenza[21]. D’altra parte, argomentazione coalescente non si traduce nell’utopistico obiettivo di unire completamente le due posizioni, in una sorta di fusione ideale, piuttosto significa volgersi progressivamente verso l’interlocutore, cercando di individuare, dall’iniziale situazione conflittuale, i punti in comune: in altri termini, significa un vero e proprio movimento bilaterale di valori e credenze degli interlocutori[22].

3. MODALITÀ OPERATIVE PER GIUNGERE ALLA COALESCENZA

Volendo dare un aspetto pratico alla questione in esame, ipotizzando che il punto di partenza sia un disaccordo degli interlocutori sulla questione principale A, si può proseguire concentrandosi sulle questioni secondarie B e C, facendo in modo che la divergenza della questione A-principale diminuisca progressivamente. In altri termini, l’accettazione del disaccordo sul punto principale della questione, insieme al mutamento della direzione della discussione, potrebbe rendere possibile l’accordo su ulteriori punti importanti[23].

La seguente tabella mostra diverse modalità in cui è possibile cercare di raggiungere un accordo secondo differenti modalità: verticale, orizzontale e diagonale.

Livelli
(Level)
Tema
(Item)
Logico
(Logical)
Emozionale
(Emotional)
Viscerale
(Visceral)
Kiscerale
(Kisceral)
LPretesa
(Claim)
Credenza P
(Belief P)
Atteggiamento P
(Attitude P)
Atteggiamento П
(Attitude П)
Situazione π
(Situation π)
L1Dati
(Data)
Credenza Derivata
Q→P
(Belief Q→P)
Atteggiamento P&Q
(Attitude P&Q)
Situazione П+ θ
(Situation П+ θ)
Intuizione π+θ
(Intuition π+θ)
L2Sostegno, Garanzia
(Backing)
Ipotesi
(Assumptions)
Sentimenti
(Feelings)
Predizioni
(Predictions)
Intuizione profonda
(Insights)
  R1…….RnR1….RnΩ1……..Ωnω1………ωn
LnVisioni di base
(Basic Outlook)
Credenze Fondamentali
(Foundational Beliefs)
Sentimenti Profondi
(Deep Feelings)
Vita, Storia Personale, Aspettative
(Life, History, Expectations)
Convinzioni Definitive
(Ultimate Convinctions)

L’approccio verticale consiste nell’andare maggiormente in profondità in ciascuna delle posizioni, cercando di reperire prospettive condivise, in modo che gli interlocutori concordino sul fatto che le conseguenze più importanti non derivino meccanicamente da elementi inferiori.

Nell’approccio orizzontale, invece l’argomentazione si muove da una modalità all’altra, in base a motivazioni differenti. Nel caso in cui un soggetto ritenga che le convinzioni sostenute dall’interlocutore non siano coerenti, oppure anche semplicemente non siano proficue, può optare per un diverso assetto discussivo: ciò accade soprattutto nel caso in cui le argomentazioni si incaglino sul livello affermativo-dichiarativo, laddove una diversa esplorazione a livello emotivo-interiore potrebbe apportare qualche novità.

Infine, l’approccio diagonale consente di svolgere la discussione in modo incrociato, e può utilizzarsi nel caso in cui si ritenga che il proprio interlocutore stia operando secondo modalità diverse. Infatti, le ragioni presentate inizialmente a sostegno delle posizioni sono spesso collegate a motivazioni autentiche in modo generico: può accadere che si avanzino ragioni al semplice fine di iniziare un’argomentazione, e il processo dialogico, con una migliore esplorazione delle positions, potrebbe condurre anche lontano dalle iniziali affermazioni e prospettare soluzioni alternative.

Questo duplice assetto fondamentale in vista dell’accordo – la comprensione della posizione e la massimizzazione degli obiettivi non in conflitto tra le parti – può a sua volta essere diviso in tre fasi, tale da costituire un potenziale schema operativo[24].

1) Prima dell’incontro. È la fase in cui devono essere chiarificati goals e positions di entrambe le parti, i più importanti, tralasciando quelli irrilevanti ed evitando il fraintendimento sui reali obiettivi delle parti. In questa fase possono anche essere valutate alternative e connessioni tra le varie posizioni[25]. Deve ricordarsi che, nell’ambito degli obiettivi, vanno chiariti task goals e face goals di entrambi, e anche l’eventuale presenza di apparent strategic goal (ASG).

2) Identificazione di ciò che è comune. Chiariti i vari goals (task, strategic e face),il mediatore inizia a verificare quali elementi possano ritenersi comuni.

3) Esaminare le modalità operative. Le modalità operative devono essere attentamente analizzate, valutando se si stia operando secondo medesime ovvero differenti modalità, e soprattutto, ricercare eventuali altri modelli operativi in grado di aumentare le possibilità di accordo. Ciascuno dei soggetti coinvolti nella costruzione dialogica segue un proprio modo di procedere argomentativamente; analizzare queste modalità operative risulta assolutamente determinante. Gli interlocutori potrebbero anche agire secondo una medesima modalità argomentativa, ad esempio decidendo di svolgere il discorso interamente a livello logico; tuttavia, qualora ciò non si rivelasse utile, mediatore e parti potrebbero decidere una collocazione discorsiva diversa (magari a livello emotivo).

4. LA DIMENSIONE DIALOGICA NELLA GIUSTIZIA RIPARATIVA. IL RUOLO DELLA VITTIMA

Come ogni forma di mediazione, anche la mediazione penale non può che fondarsi su un efficace processo comunicativo[26]. Nella coalescenza, il fulcro della comunicazione è l’espressione empatica tra le parti, atto di volontà che richiede immedesimazione e comprensione della posizione altrui, privilegiando la ricomposizione del disaccordo alla volontà di prevaricazione[27].

 Sebbene la comunicazione sul piano emozionale sia costantemente a rischio di criticabilità sotto il punto di vista della incertezza e della incalcolabilità, rispetto a una formale esposizione logico-dichiarativa[28], è una metodologia a livelli, come quella esposta, a garantire che l’espressione emozionale delle parti avvenga in modo libero ma adeguatamente regolato: proprio qui il ruolo del mediatore è essenziale.

«Il mediatore sta senza dubbio fuori dalla tensione, ma non è lì per giudicare o valutare, non si erge al di sopra delle parti, ma si colloca nel mezzo in posizione paritaria al fine di agevolare l’emersione dell’accaduto, il vissuto, favorendo un percorso che ha come mezzo il dialogo e come obiettivo un punto di incontro che dovrebbe determinare nella sostanza un reciproco riconoscimento. Il mediatore può anche prendere di volta in volta una posizione, ma solo al fine di stemperare tensioni, attenuare le ostilità, sciogliere nodi e aprire al confronto, con la conseguenza che se una delle parti si irrigidisce è del tutto normale che il mediatore si concentri su quella per distendere e dischiudere, creando una sorta di via di uscita: il mediatore sta dalla parte del confronto[29]».

A tale proposito, il primo e fondamentale compito del mediatore è il ripristino del processo comunicativo come scambio interazionale dei soggetti; l’accuratezza dell’operato sulla comunicazione, da parte del mediatore – specialmente nelle prime fasi – è di vitale importanza per il potenziale esito risolutivo finale e presuppone una preparazione non esclusivamente tecnica ma prioritariamente umana, tale da sapere scandagliare ed enucleare il complesso ma fertile mondo interiore delle parti coinvolte.

 «La resipiscienza, la comprensione dell’altro, la condivisione sono latenti in ogni essere umano e può ben accadere che essi emergano dopo momenti di rottura, anche gravi, con la collettività, quali sono quelli generati dalla commissione di un comportamento penalmente illecito. La giustizia riparativa, tuttavia, attribuisce ai mediatori – e solo ad essi – il compito specifico di favorire l’avvicinamento di individui che si sono trovati in posizione contrapposta e lasciare emergere dalle intimità e sensibilità delle persone coinvolte spunti di condivisione e di pacificazione capaci di riattivare la consapevolezza della comune appartenenza al consorzio sociale e di superare la frattura determinata dal comportamento delittuoso. È un compito delicato, che necessita di un’appropriata e non semplice formazione professionale»[30].

Invero, è lo spostamento discorsivo dalla centralità della pretesa giuridica al complesso insieme di valori e interessi sottostanti a consentire la comunanza di molti punti[31]: un risultato notevole di una mediazione è la scoperta inaspettata che l’insieme di posizioni condivise potrebbe persino essere maggiore di quelle in opposizione.

Ciò appare di notevole importanza in riferimento alla vittima, la cui posizione resta particolarmente delicata nella giustizia riparativa, in relazione all’innegabile senso di giustizia e di riscatto per l’offesa subita (oppure presuntamente subìta).

«Se le vittime lasciano inopinatamente la conca della mediazione o ingiustificatamente rifiutano le offerte riparative, il riprendere daccapo un percorso, magari laborioso, potrebbe vanificare il tempo speso e gli sforzi profusi, sino a rendere in certi casi irraggiungibili gli sperati effetti vantaggiosi, come accadrebbe quando il fallimento incolpevole del tentativo giunga in prossimità della chiusura del dibattimento e manchi il tempo per immaginare nuove vie di riconciliazione con la comunità. Le capacità di alcuni mediatori potranno certo impedire, con soluzioni acconce, che questo accada[32]».

In tale senso, qualora la vittima non riuscisse a esprimere compiutamente il proprio vissuto di sofferenza, ovvero la persona indicata come autore del reato mancasse di assumersi le proprie responsabilità, il dialogo riparativo non sembra neanche potersi instaurare[33].

Nel processo penale, infatti, è costante il sottile rischio che la vittima sia relegata al ruolo marginale di funzione di accertamento dei fatti. È indubbio come il sistema processuale penale italiano valorizzi notevolmente la sofferenza patita dalla vittima di un reato nella determinazione della pena, oltre che nel risarcimento del danno; tuttavia, la questione della vittima nella giustizia riparativa rispetto a quella sanzionatoria non è la valutazione del danno e la sua quantificazione[34], quanto la valorizzazione di quella sofferenza all’interno di una specifica sede dialogica, che necessariamente deve connettersi con la presa di responsabilità dell’autore del reato: è difficile concepire un ristoro a quanto patito senza che la vittima abbia la chiara percezione del rammarico del reo e della sua piena responsabilizzazione. Solo in questo caso potrà dirsi che la giustizia riparativa, negli obiettivi finali perseguiti, sia realmente alternativa a quella sanzionatoria[35].

«Rileva, dunque, come uno degli elementi più innovativi della riparazione sia certamente legato ad una nuova visione della vittima, che assume un ruolo centrale. La riparazione, in altri termini, muove imprescindibilmente dall’incontro tra autore e vittima del reato»[36].

5. OLTRE LA SANZIONE. L’ESITO RIPARATIVO

Secondo la lettera e) dell’art. 42 del d. lgs. n. 150/2022 l’esito riparativo è: «qualunque accordo, risultante dal programma di giustizia riparativa, volto alla riparazione dell’offesa e idoneo a rappresentare l’avvenuto riconoscimento reciproco e la possibilità di ricostruire la relazione tra i partecipanti». L’esito riparativo deve dunque intendersi come il risultato, complesso ma fecondo, della creatività della mediazione penale[37]. Rispetto alla sanzione penale, irrogata dal potere giudiziario, in base a criteri normativamente tassativi, l’accordo riparativo nasce in ambito privatistico e riguarda innanzitutto la ricostruzione della relazione interpersonale posta in crisi: come tale esso è difficilmente predeterminabile, anche considerando che il fatto penale impone la ricostruzione sociale del legame interrotto dal disvalore penale, ovvero la pacificazione e la riconciliazione da parte del reo e della vittima nei confronti della comunità cui essi appartengono[38].

Dato che l’argomentazione coalescente tende al superamento del disaccordo, la “risoluzione delle questioni derivanti dal reato” di cui parla l’art. 42, lett. a) d. lgs. 150/2022 è ciò che può essere maggiormente equiparato all’accordo della coalescenza. A tale proposito, il punto n. 2 dell’argomentazione coalescente – identificazione di ciò che è comune, a livello di position e di goals – è il tassello essenziale per la proposizione dell’esito riparativo (sia dalle parti stessi, sia dal mediatore): alla fase di esplicitazione di obiettivi e posizioni, successivamente a una matura consapevolezza del piano dichiarativo-valoriale-emozionale, dovrebbe seguire l’assunzione di responsabilità, con la volontà di riparazione da parte della persona indicata come autore del reato.

Le nuove e rivoluzionarie locuzioni della giustizia riparativa introdotte con la Riforma Cartabia (“riparazione dell’offesa”, soprattutto “avvenuto riconoscimento reciproco” e “possibilità di ricostruire la relazione tra i partecipanti”) necessitano di concretarsi nell’interazione dialogica: sebbene coalescenza non equivalga a certezza dell’accordo, così come mediazione penale e ricostruzione della relazione non coincidano esattamente, la mèta ambita resta la piena consapevolezza da parte degli interlocutori del fatto penale e delle sue conseguenze, anche sociali-comunitarie; soprattutto, è imprescindibile che la vittima sia in grado di conoscere la propria sofferenza, esprimerla adeguatamente e possibilmente anche superarla[39].

Ciò che emerge è una pena non più semplicemente subìta, negativa, privativa, limitativa, implicante la semplice passività dell’accettazione della sanzione penale, con l’autore del reato che esclusivamente interiorizza valori e precetti appartenenti all’ordinamento giuridico in questione[40]. Piuttosto la pena agìta della giustizia riparativa significa operare fattivamente alla riparazione dell’ingiustizia causata (in modo reale oppure simbolico) e alla ricostruzione del legame, con la vittima e con la comunità.

6. CONCLUSIONI

Si possono infine delineare alcune linee guide applicative utili, a livello metodologico, al mediatore penale. Sono dunque identificabili tre fasi in cui una mediazione è articolabile: fase preparatoria, fase dialogica vera e propria, fase finale (per l’eventuale riparazione)[41].

Nella fase preparatoria il mediatore:

  • constata i fatti, le circostanze generali, le condizioni di possibilità per avviare la mediazione;
  • compie la prima verifica degli obiettivi (goals), sia di quelli immediati, sia di quelli più profondi.
  • verificare l’eventuale presenza di apparent strategic goal (ASG) del soggetto indicato come autore del reato;
  • inizia l’esame delle posizioni (positions) delle parti.

Di particolare importanza, in questa fase preparatoria, risulta la valutazione delle convinzioni giuridiche delle parti sul fatto penale: in che misura (spesso con notevoli differenze) esse abbiano recepito il disvalore penale del reato, e anche quale opinione abbiano sul modo in cui l’ordinamento sanziona il fatto stesso: ciò risulta di fondamentale propedeuticità sia all’avvio del dialogo riparativo, sia al conseguente esito riparativo.

A tale punto, è possibile passare alla fase dialogica vera e propria con un’analisi più complessa e approfondita delle positions, soprattutto a livello di vissuto emozionale e di approfondimento del mondo interiore (anche a livello viscerale-kiscerale). Questa è la fase in cui il mediatore deve cercare uno svolgimento quanto più dinamico ed efficace del dialogo, intraprendendo possibili approcci:

  • verticale, volto a investigare un determinato avviamento dialogico, sviscerandone tutte le varie potenzialità (dichiarativo, intenzionale ed emozionale);
  • orizzontale, di particolare utilità qualora la mediazione rischi di incagliarsi su un determinato item oppure su una fase del procedimento coalescente, senza prospettare risultati (dall’affermazione, magari giuridica, è possibile muoversi sull’esplorazione valoriale e sulla manifestazione emotiva).
  • diagonale, ai fini di uno svolgimento della discussione secondo modalità operative diverse, principalmente nel caso in cui un interlocutore non segua – ovvero non intende approfondire – una specifica modalità operativa.

La fase finale della mediazione concerne l’esito riparativo, come risultato di una fase dialogica adeguata. Componenti essenziali dell’accordo coalescente, il quale si completa con la fattiva riparazione (reale oppure simbolica), sono: 

  • l’esplorazione e la massimizzazione dei bisogni di ciascuna delle parti;
  • la volontà di superare il disvalore personale e sociale derivante dalla commissione del reato stesso.

L’accordo finale potrà così scaturire da un effettivo quanto creativo incontro tra esseri umani con mondi di valori differenti, a volte persino antitetici: una giustizia che possa definirsi autenticamente riparativa presuppone interlocutori che abbiano deciso di cercare ciò che è a loro comune assumendo pienamente il risultato del percorso dialogico svolto.


[1] «Restorative process means any process in which the victim and the offender, and, where appropriate, any other individuals or community members, affected by a crime, participate together actively in the resolution of matters arising from the crime, generally with the help of a facilitator. Restorative process may include mediation, conciliation, conferencing, and sentencing circles».
(Basic principles on the use of restorative justice programmes in criminal matters, I, 2, in https://www.unodc.org/pdf/criminal_justice/Basic_Principles_on_the_use_of_Restorative_Justice_Programs_in_Criminal_Matters.pdf?ref=hir.harvard.edu).

[2] R. Bartoli, Una breve introduzione alla giustizia riparativa nell’ambito della giustizia punitiva, in “Sistema Penale” (2022), p. 2.

[3] Cfr. U. Nardi, Giustizia Riparativa e Coalescenza Argomentativa, in “Cassazione Penale” (2024), LXIV, pp. 1983-1988.

[4] Cfr. J. Morineau, La mediazione umanistica, Erickson, Trento 2018, p. 120.

[5] Con logica informale deve intendersi non l’opposizione alla logica classica, quanto una branca della logica che sviluppa obiettivi e criteri non formali, e soprattutto processi per analizzare e interpretare – e quindi costruire – argomentazioni nei discorsi informali, quali sono quelli ordinari. (Cfr. R. H. Johnson-J.A. Blair, Logic Self Defense, McGraw-Hill Ryerson, Toronto 1977, p. 148).

[6] C. A. Willard, A theory of argumentation, University of Alabama Press, Tuscaloosa Alabama 1990, p. 1.

[7] M. A. Gilbert, Coalescent Argumentation, Lawrence Erlbaum Associates, New Jersey, 1997.

[8] «An argument is an exchange of information centred on an avowed disagreement». (M. A. Gilbert, Coalescent Argumentation, cit., p. 104).

[9] M. A. Gilbert, How to win an argument, John Wiley and Sons Inc., New Jersey, 1996, p. 5 ss. «The purpose of the dialogue is the exchange of information among the partecipants». (C. Hamblin, Fallacies, Methuen, London 1970, p. 137).

[10] Cfr. M. A. Gilbert, Coalescent Argumentation, cit., p. 102. «There is non meaning without context, and the context is multi-sourced» (M. A Gilbert, Effing the Ineffable: the logocentric fallacy in Argumentation, in “Argumentation” (2002), 16, p. 26).
A tale proposito, anche secondo la new dialectic – altra importante corrente di logica informale – esaminare un argomento significa inserirlo in un contesto dialogico in cui lo stesso prende forma e si sviluppa. Un approccio di tipo dialettico alla teoria dell’argomentazione significa che lo svolgimento dialogico, all’interno di un ragionamento, è imprescindibile, e avviene mediante due (anche più) soggetti che “ragionano insieme”. (Cfr. D. Walton, Informal Logic. A pragmatich approch, Cambridge University Press, Cambridge 1989, 20082, p. XI).

[11] M. A. Gilbert, Coalescent Argumentation, cit., pp. 102-103.

[12] Cfr. U. Nardi, Giustizia Riparativa e Coalescenza Argomentativa, cit., pp. 1984-1985. Gilbert nota come le argomentazioni vere e proprie siano proprio quelle che implicano un conflitto tra bisogni, obiettivi, concezioni, prospettive degli interlocutori. Nella maggior parte delle argomentazioni i task goals si combinano con il naturale impulso di attaccare e criticare la dichiarazione avversaria, con l’unico scopo di sconfiggerla, cosicché alla controparte che non vuole contrasti non resterebbe che accettare la posizione avversaria. Seguire semplicemente tale impulso significa ignorare le prime due fasi dell’argomentazione coalescente (identificazione degli obiettivi ed esplorazione delle posizioni) con il probabile risultato di aumentare il conflitto. Nella misura in cui il processo è focalizzato sulla vittoria, il risultato finale rischia di essere insoddisfacente per entrambe le parti, finendo con un disaccordo totale oppure, nella migliore delle ipotesi, con una riluttante conformità. (Cfr. M. A. Gilbert, Coalescent Argumentation, cit., pp. 102-103).

[13] La differenza tra task goals e instrumental goals come obiettivi personali, e face goals come obiettivi relazionali, è presente già in K. Tracy-N. Coupland, Multiple goals in discourse: an overview of issue, in K. Tracy-N. Coupland, Multiple goals in discourse, Avon England: Multilingual Matters Ltd., Bristol (UK) 1990, pp. 1-14. In questo contributo, gli autori evidenziano una differenza tra il mondo degli attori sociali, con le loro proposte, temi, obiettivi, da un lato, alla base delle motivazioni delle azioni, mentre, dall’altro lato, prenderebbe forma i discorsi nei quali tali obiettivi sono espressi. Se i nomi degli obiettivi sono variabili, gli obiettivi in sé stessi devono essere considerati come fondamentali. Il primo tipo di questi obiettivi degli interlocutori sono task oppure instrumental goals (task goals sono considerati come lo scopo degli obiettivi). I non task goals possono essere considerati insieme, come face goals della interazione, oppure essere divisi in identify goals e relation goals.

[14] Cfr. M.A. Gilbert, Coalescent Argumentation, cit., p. 68.

[15]Cfr. M.A. Gilbert, Coalescent Argumentation, cit., pp. 71-72.

[16] «A position is a matrix of beliefs, attitudes, emotions, insights, and values connected to a claim». (M. A. Gilbert, Coalescent Argumentation, cit., p. 105).

[17] Cfr. M. A. Gilbert, Coalescent Argumentation, cit., pp. 102-103. È interessante notare anche come «Gilbert propone una cornice teorica incentrata su due distinzioni, che corrono lungo due assi: lineare (termine meno carico di teoria rispetto al tradizionale “logico” e indicante l’identificabilità delle premesse e il nesso premesse-conclusione) / caotico (scarso grado di linearità); clinico (scarso attaccamento dei partecipanti alle posizioni che difendono) / emozionale (alto grado di coinvolgimento emotivo da parte dei partecipanti». (P. Cantù-I. Testa, Teorie dell’argomentazione. Un’introduzione alle logiche del dialogo, Bruno Mondadori, Milano 2006, p. 39).

[18] Cfr. M. A. Gilbert, Coalescent Argumentation, in “Argumentation” (1995), 9, p. 844.

[19] Cfr. M.A. Gilbert, Multi- Modal Argomentation, in “Philosophy of the social sciences” (1994), 24, p. 10 ss.

[20] Cfr. M.A. Gilbert, Coalescent Argumentation, cit., p. 110.

[21] Cfr. M.A. Gilbert, Coalescent Argumentation, cit., p. 136. «The idea of coalescence is an explicity normative one: argue to so maximize the goal satisfaction of both partecipants to the dispute. Note the that the carrot and stick are simple inverse: in most contexts, one is arguing with an ongoing partner, the long-term consequences must also be taken into account. […] Cooperation may not always beget cooperation, but antagonism always beget antagonism». (M.A. Gilbert, Coalescent Argumentation, cit., p. 144).

[22]«Within an actual argumentation coalescence will be a matter of degree. It is unrealistic to expect two diverse positions to completely meld into one, and that is neither the point nor the claim of coalescent argumentation. Rather, the goal is to locate those points of belief and/or attitude that are held in common by the conflictual positions. Beginning with these points of agreement, one can then work down toward areas where disagreement lies». (M.A. Gilbert, Coalescent Argumentation, cit., p. 111).

[23] Cfr. M.A. Gilbert, Coalescent Argumentation, cit., pp. 71-72.

[24]Cfr. M.A. Gilbert, Coalescent Argumentation, cit., p. 119. Le fasi descritte da Gilbert sono cinque, a sua volta divise in vari punti: 1) Prima dell’incontro; 2) Scoprire le posizioni dell’opponente; 3) Identificare ciò che è comune; 4) Esaminare le modalità; 5) Esplorare le profondità. Tuttavia, si è ritenuto che i punti. n. 2 e n. 5 siano ricomprensibili negli altri punti, e per motivi di sintesi si è cercato di sintetizzarli nelle 3 posizioni elencate.

[25] Cfr. M.A. Gilbert, Coalescent Argumentation, cit., p. 120.

[26] Secondo G. Mannozzi, La Giustizia senza spada. Uno studio comparato su giustizia riparativa e mediazione penale, Giuffrè, Milano 2003, pp. 347-348, la mediazione è un processo dialettico di attivazione della conoscenza, e tale conoscenza è fondata sulla comunicazione. Ciò, d’altra parte, rappresenta una delle essenziali differenze con la giustizia penale: la giustizia riparativa si basa sul linguaggio. Scopo del presente contributo è proprio quello di ampliare la percezione dello strumento linguistico, facendo sì che esso non venga ridotto unicamente alla fase dichiarativa, ma coinvolga aspetti come quelli valoriali ed emozionali.

[27] «Empathy is an attitude and an act of will. It requires paying attention to the entire range of communicative and epistemic modes available in order to project oneself into another’s position». (M.A. Gilbert, Coalescent Argumentation, cit., p. 111).

[28] F. Reggio, Giustizia Dialogica. Luci e Ombre della Restorative Justice, Franco Angeli, Milano 2010, pp. 126-127. Secondo l’autore, all’interno della mediazione, l’empatia deve avere un suo ruolo, sebbene l’egemonia debba essere lasciata all’ambito dichiarativo per evitare un eccesso di aleatorietà. In questa considerazione si nota ancora la demarcazione tra dimostrazione, con il piano logico-dichiarativo, e persuasione, con il piano della retorica, implicante anche l’assetto emotivo, dicotomia che riteniamo invece superabile.

[29]   R. Bartoli, Una breve introduzione alla giustizia riparativa nell’ambito della giustizia punitiva, in “Sistema Penale” (2022), p. 3.

[30]   A. Agnese – F. P. Marinaro, La giustizia riparativa nel d. lgs. 150/2022. Riflessioni critiche a prima lettura, Aracne, Roma 2023, p. 35.

[31]   La giustizia riparativa è giustamente definita come «ermeneutica dei valori» da G. Mannozzi – G. A. Lodigiani, Formare al diritto e alla giustizia: per una autonomia scientifico-didattica della giustizia riparativa in ambito universitario, in “Rivista italiana di diritto e procedura penale” (2014), n. 1, p. 153.

[32] S. Carnevale, Potenzialità e insidie della giustizia riparativa nella fase di cognizione, in “Processo penale e Giustizia” (2023), pp. 1-23. In tale senso, nel caso in cui apparisse evidente che l’ostentato pentimento fosse un apparent strategic goal è del tutto presumibile che la vittima percepisca l’escamotage ponendo fine al processo dialogico.

[33] «b. Occorre portare gli autori di reato a comprendere che gli atti da loro commessi non sono accettabili e che hanno reali conseguenze per la vittima e per la società; gli autori di reato possono e devono assumersi le responsabilità;

c. le vittime devono avere la possibilità di esprimere i loro bisogni e di essere associate alle riflessioni che mirano a determinare come l’autore di reato deve riparare, al meglio, il danno che hanno causato». (Raccomandazione R (2010) del Comitato dei Ministri agli Stati Membri sulle “Regole del Consiglio d’Europa in materia di probation”, adottata dal Comitato dei Ministri il 20 gennaio 2010, reperibile in URL https://rm.coe.int/168091ebf7).

[34] S. Carnevale, Potenzialità e insidie della giustizia riparativa nella fase di cognizione, in “Processo penale e Giustizia” (2023), pp. 13-14, nota giustamente come, contrariamente ai paesi del common law, coloro si costituiscono parte civile assurgono a livello, nel processo, dell’imputato e del pubblico ministero per la formazione delle prove e per l’impugnazione della decisione.

[35] «Il presupposto logico dell’acquisizione, da parte del reo, della consapevolezza dei contenuti lesivi della propria condotta è costituito dal “riconoscimento” della vittima e del suo vissuto di patimento, insicurezza e umiliazione. […] Laddove il reo non giunga, durante la mediazione, a riconoscere la sofferenza della vittima e, di conseguenza, a sentirsi responsabile per averla cagionata, nessuna offerta di riparazione potrà avere anche una valenza di riconciliazione e di ricostituzione del legame sociale infranto dal reato». (G. Mannozzi, La Giustizia senza spada. Uno studio comparato su giustizia riparativa e mediazione penale, cit., pp. 103-104).

[36]   G. Zarella, La mediazione penale, p. 7, in https://www.dirittogiustiziaecostituzione.it/la-mediazione-penale/.

[37] P. Maggio, Giustizia Riparativa e sistema penale nel decreto legislativo 10 ottobre 2022, n. 150. Parte II. «Disciplina organica» e aspetti di diritto processuale, in “Sistema Penale”, 27 febbraio 2023, p. 23.

[38]   G. Ubertis, Riconciliazione, processo e mediazione in ambito penale, in “Rivista Italiana di Diritto e Procedura Penale”, 2005, p. 1322.

[39] «Nelle consapevoli e ribadite diversità, specificità e complementarietà del modello riparativo anche rispetto alle già disciplinate forme di riparazione caratterizzate in senso economico o patrimoniale, si propone la ricucitura dei rapporti interpersonali nei loro contenuti emotivi, realizzabile attraverso un insieme articolato di programmi, non esauribili nella sola mediazione». (P. Maggio, Giustizia Riparativa e sistema penale, cit., p. 7). In tale senso, la categoria della “vittima aspecifica”, oltre a permettere l’avvio del procedimento qualora la vittima rifiutasse, consente un’espressione meno condizionata e più oggettiva della interiorità.

[40] M. Donini, Riparazione e pena da Anassimandro alla CGUE. Un nuovo programma legislativo per la giustizia penale, in Aa.Vv., Riflessioni sulla giustizia penale. Studi in onore di Domenico Pulitanò, Giappichelli, Torino 2022, pp. 14-15.

[41] Cfr. U. Nardi, Giustizia Riparativa e Coalescenza Argomentativa, cit., pp. 1987-1988.

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