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La compatibilità della non punibilità per particolare tenuità del fatto con il reato continuato: ragioni e condizioni

Nota a Cass., Sez. Un., 27 gennaio 2022/12 maggio 2022, n. 18891

Abstact

L’art. 131-bis c.p. ha sollevato numerose incertezze applicative fin dalla sua introduzione. In particolare, i dubbi riguardano l’individuazione dei limiti che accompagnano la norma non immediatamente deducibili da una sua isolata lettura. Con la sentenza in commento, le Sezioni unite si sono espresse sulla compatibilità della causa di non punibilità con il reato continuato, affrontando le questioni interpretative inerenti al concetto di abitualità ed escludendo che in esso vada ricompreso il compimento di più reati legati da un medesimo disegno criminoso. Dopo aver esaminato gli orientamenti che si sono confrontati sul tema, il contributo analizza le argomentazioni della pronuncia alla luce della lettera della legge, della finalità degli istituti coinvolti e delle inerenti ragioni logico-sistematiche.

Abstact

The article 131-bis of the Criminal Code has entailed numerous application uncertainties since its introduction. In particular, the doubts concern the identification of the limits accompanying the rule that cannot be immediately deduced from an isolated reading of it. With the decision under review, the Joint Sections of Supreme Court expressed its opinion on the compatibility of the cause of non-punishability with the continual criminal offense, facing the interpretative issues inherent in the concept of habituality and excluding that it should include the commission of several offences linked by the same criminal design. After examining the orientations that have confronted the issue, the contribution analyses the arguments of the decision in based on the letter of the law, the purpose of the institutions involved and the inherent logical-systematic reasons.

Sommario: 1. Premessa. – 2. Le interazioni tra l’art. 131-bis c.p. e il reato continuato: gli orientamenti della giurisprudenza. – 3. Il percorso ermeneutico sviluppato dalle Sezioni Unite. – 4. Considerazioni critiche.

1. Premessa.

La sentenza in commento, relativa all’annosa problematica circa l’applicabilità dell’art. 131-bis c.p. in ipotesi di reati legati dal vincolo della continuazione, è espressione della tendenza interpretativa volta ad eliminare gli ostacoli che precludono in via astratta il riconoscimento della causa di non punibilità, rimandando al giudice il compito di valutarlo nel caso concreto.

Nel pronunciarsi, le Sezioni Unite si impegnano ad analizzare la struttura e la funzione degli istituti coinvolti, avvalendosi dei contributi forniti dalla dottrina e dalla giurisprudenza antecedenti.

2. Le interazioni tra l’art. 131-bis c.p. e il reato continuato: gli orientamenti della giurisprudenza.

La questione della compatibilità tra la causa di non punibilità per exigua iniuria e la continuazione ha dato luogo, in giurisprudenza, ad un contrasto interpretativo fra due orientamenti.

Un primo indirizzo ermeneutico, inizialmente dominante, escludeva automaticamente l’applicabilità della suddetta causa, in base al requisito della “non abitualità” del comportamento dell’autore, sebbene attraverso percorsi argomentativi differenziati.

Comune era la considerazione che il vincolo della continuazione presupponga sempre un comportamento abituale, con ripetizione di condotte penalmente rilevanti, espressivo di una forma di devianza non occasionale, ostativa al riconoscimento della causa di non punibilità.

In alcuni casi, poi, si riconducevano le condotte del reo avvinte dalla continuazione alla seconda ipotesi di cui al quarto comma, cioè l’aver commesso più reati della medesima indole.

A sostegno di tale conclusione veniva evidenziato che il reato continuato è frutto di unificazione legislativa, a cui corrispondono nella realtà più illeciti, che mantengono la propria autonomia. Inoltre, l’unitarietà del disegno criminoso non contrasta con la nozione di reati della stessa indole deducibile dall’art. 101 c.p.: il programma unitario ben potrebbe invece contribuire ad assimilare reati eterogenei e ad individuare in essi “caratteri fondamentali comuni”[1].

In altri casi si è invece fatto riferimento all’ultimo periodo del comma 4, riconducendo il reato continuato alle condotte abituali, plurime e reiterate.

In tal senso si è osservato che i fatti penalmente rilevanti, anche se legati da un’unica volontà criminosa incidente sulla valutazione di riprovevolezza, restano oggettivamente plurimi, sicché non potranno che assumere “una gravità tale da non potere essere considerati di particolare tenuità”[2].

Un opposto orientamento interpretativo, affermatosi più di recente, ha ritenuto per converso il reato continuato compatibile con la causa di non punibilità di cui all’art. 131-bis, valorizzando una pluralità di elementi che possono contribuire ad escludere il carattere di abitualità della condotta nel caso di continuazione di reati.

Nello specifico, si considerava che la continuazione non è espressione di per sé di una serialità della condotta, indicativa di “una tendenza o inclinazione al crimine” del reo[3].

Si è fatto leva sul raffronto con la figura del concorso formale di reati: applicare a quest’ultima la causa di non punibilità, e non alle ipotesi di reato continuato, anche quando “la contestualità di esse deponga inequivocabilmente nel senso della unicità della volizione antidoverosa dell’agente”[4], genererebbe una ingiustificata disparità di trattamento.

Valorizzando i profili ricostruttivi inerenti alle medesime circostanze di tempo e di luogo si viene ad escludere l’antinomia sul piano astratto; il giudice deve soppesare in concreto la reale offensività del fatto in base alle modalità esecutive della condotta, al numero di disposizioni di legge violate, agli interessi tutelati[5].

Una variante di questa tesi considera le circostanze di tempo e di luogo come i fattori dirimenti per l’applicabilità dell’art. 131-bis c.p., distinguendo tra la continuazione diacronica (avente ad oggetto una pluralità di reati, avvinti dalla continuazione, ma commessi in contesti spazio-temporali diversi) e quella sincronica (avente ad oggetto una pluralità di condotte espressive di un medesimo disegno criminoso, ma realizzate in un unico contesto spazio-temporale), stabilendo solo per questa seconda ipotesi la compatibilità[6].

Ancora, si è sostenuto che una prospettiva diversa frusterebbe l’obiettivo di deflazione processuale perseguito con l’introduzione della causa di non punibilità e manifesterebbe una illogicità nel considerare un istituto improntato al favor rei come preclusivo dell’applicazione dell’art. 131-bis c.p.[7].

3. Il percorso ermeneutico sviluppato dalle Sezioni Unite.

La Quinta sezione, constatata la forte incertezza sul tema, l’8 ottobre 2021 ha rimesso con ordinanza alle Sezioni Unite la questione inerente al carattere ostativo all’applicazione dell’art. 131-bis c.p. della continuazione, chiedendo, nel caso di compatibilità dei due istituti, di individuarne i presupposti[8].

Le Sezioni Unite della Corte di Cassazione con la sent. n. 18891/2022 si esprimono nettamente a favore della tesi della compatibilità. Fondamentale nell’iter argomentativo della sentenza è la preliminare osservazione per cui l’abitualità del comportamento non sarebbe data dalla semplice ripetizione di illeciti, ma “presuppone l’integrazione di un quid pluris che, oltre a far perdere alle singole condotte la loro individualità, rileva soltanto se dimostrativo dell’esistenza di un’amplificata necessità di difesa sociale a fronte di una persona la cui consuetudo delinquendi giustifica un complessivo apprezzamento di proclività al delitto”.

La differenza dei due termini si evincerebbe già dalla diversa valenza dell’elemento soggettivo: il primo istituto è legato al disegno criminoso, il quale è espressione di un’unitaria volontà criminosa, non indicativa di per sé di un’abitualità, laddove invece nel reato abituale le condotte esprimono la pluralità di impulsi criminosi del reo che aggravano il disvalore di ogni singolo illecito che lo compone, dando vita ad un sistema di comportamenti offensivi.

La preventiva rappresentazione e deliberazione dei plurimi comportamenti illeciti posti in essere in attuazione del disegno criminoso impedisce di identificare questi con l’abitualità, che invece presuppone un impulso criminoso reiterato nel tempo.

Chiarito questo aspetto, la Corte passa all’analisi delle singole condizioni ostative presenti nel comma 4, ritenendo di doversi rifare alle diverse indicazioni tratte dalla sentenza Tushaj[9] per cogliere il significato dei termini presenti nella disposizione.

In primis condivide l’interpretazione delle Sezioni unite del 2016 circa la natura tassativa delle tre ipotesi di comportamento abituale previste, limitando a questi casi tutti quei comportamenti sintomatici di una serialità criminosa.

In relazione all’espressione “reati aventi la stessa indole” si ritiene che essa venga a integrarsi qualora il reo abbia compiuto almeno due illeciti omogenei oltre quello per cui si procede, essendo poi indifferente se siano stati compiuti successivamente o che comunque non siano stati accertati in sede giudiziale.  

Con riguardo all’ultimo periodo del comma, viene chiarito, da un lato, che le “condotte abituali e reiterate” non richiamano la presenza di più reati, ma contemplano singole fattispecie incriminatrici che presentano l’abitualità e la reiterazione come carattere tipico[10]; dall’altro, con condotte plurime si intendono quei fatti che in concreto vengono attuati attraverso ripetute e distinte condotte.

Dalla successiva indagine del rapporto tra la continuazione e le ipotesi, a cui si riferisce il comma 4, così come interpretate dalla giurisprudenza precedente, le Sezioni Unite escludono una necessaria coincidenza tra esse.

Il vincolo di continuazione potrebbe legare sì reati della stessa indole, ma potrebbe riguardare anche reati in numero minore di tre o privi di omogeneità, non riguardando la stessa disposizione e non presentando “caratteri fondamentali comuni”.

La nozione di medesima indole che si evince dall’art. 101 c.p. avrebbe un raggio d’azione più ampio rispetto a quello che può essere coperto dal medesimo disegno criminoso. Tale nozione include anche i reati colposi – per i quali è controversa la compatibilità con il reato continuato[11] – e quelli commessi per effetto degli stessi impulsi o motivi a delinquere, ossia di quelle “singole causali” che costituiscono alcuni dei fattori rilevati dalla giurisprudenza per valutare l’unicità del disegno criminoso[12].

Nemmeno il riferimento ai reati che abbiano ad oggetto condotte plurime, abituali e reiterate crea ostacoli all’astratta compatibilità con il reato continuato, posto che, come detto, tale espressione non richiama ipotesi di concorso di reati, ma fattispecie criminose che presentano come elemento tipico il compimento di più azioni o omissioni.

Con specifico riguardo alla nozione di condotte plurime, la Corte evidenzia che possono farsi rientrare in essa, come notato dalla dottrina[13], quelle “fattispecie astratte in cui sono tipizzate condotte diverse, per così dire, progressive”[14].

La Corte inoltre osserva che, rispetto a tale periodo, non viene ripresa la limitazione contenuta in quello precedente, per il quale la causa di non punibilità è preclusa anche se “ciascun fatto, isolatamente considerato, sia di particolare tenuità”. Da questa mancanza viene dedotto che il giudice, nel caso in cui non sia possibile riconoscere la causa di non punibilità per il reato continuato nel suo complesso, poiché soltanto alcuni fatti superano il giudizio di particolare tenuità dell’offesa o rientrano nei limiti edittali fissati dell’art. 131 bis c.p., può riconoscerla per i singoli reati.

Questa prospettiva è ritenuta coerente con la natura del reato continuato, considerato da parte della dottrina come reato unico a certi effetti e come insieme di più reati ad altri, a seconda che siano più favorevoli le conseguenze derivanti dall’una o dall’altra disciplina[15].

Dal punto di vista sistematico, la natura del reato continuato rifletterebbe la funzione per il quale esso è stato elaborato: mitigare il trattamento sanzionatorio dell’autore che commetta una pluralità di reati in esecuzione di un medesimo disegno criminoso, differenziandolo da quello previsto per il mero concorso materiale. Diversamente, ritenere che un istituto improntato al favor rei possa – in assenza di valutazioni in concreto – precludere l’applicazione della causa di non punibilità dell’art. 131-bis c.p. apparirebbe contraddittorio.

Seguendo la scia della giurisprudenza precedente, viene richiamato anche l’argomento comparativo relativo al concorso formale. Se, per un’unica azione od omissione che realizza più illeciti penali non sussistono ragioni ostative all’applicazione della causa di non punibilità, allora ragioni di parità di trattamento impongono di considerare anche l’ipotesi disciplinata dall’art. 81 co. 2 c.p. come “unitaria” ai fini dell’applicazione dell’art. 131-bis c.p., trattandosi in entrambi i casi di un unico atteggiamento antidoveroso.

Per evitare che sorgano problemi inerenti alla qualificazione di unità o pluralità delle fattispecie concrete, le Sezioni unite ritengono di potersi rifare al concetto di “azione unica” seguito già in passato[16], oppure alla distinzione tra reati necessariamente abituali ed eventualmente abituali[17].

Definiti i contorni degli istituti e la loro astratta compatibilità, la Corte ritiene che sia il giudice a dover valutare, caso per caso, senza preclusioni che non siano quelle legislativamente predeterminate, se, dalla concreta manifestazione degli illeciti avvinti dalla continuazione, non sia evincibile una proclività al crimine del reo e, di conseguenza, se concedere il beneficio.

L’analisi che dovrà compiere il giudice dovrà essere effettuata considerando: a) la natura e la gravità degli illeciti unificati; b) la tipologia dei beni giuridici lesi o posti in pericolo; c) l’entità delle disposizioni di legge violate; d) le finalità e le modalità esecutive delle condotte; e) le motivazioni e le conseguenze che ne sono derivate; f) l’arco temporale e il contesto in cui le diverse violazioni si collocano; g) l’intensità del dolo; h) la rilevanza attribuibile ai comportamenti successivi ai fatti.

Il riferimento al contesto spazio-temporale degli illeciti richiama la distinzione tra continuazione diacronica e continuazione sincronica utilizzata dalla giurisprudenza precedente, la quale, a parere della Cassazione, non assume carattere dirimente ai fini della configurabilità della causa di non punibilità, ma costituisce solo uno dei fattori che dovranno essere valutati ai fini della considerazione dell’abitualità.

La considerazione dei comportamenti successivi ai fatti costituisce un novum della Cassazione, non rinvenibile nella precedente giurisprudenza[18] e non trovava riscontri nella formulazione dell’art. 131-bis c.p.

La ragione di tale inciso si comprende guardando alla legge n. 134/2021, con la quale il Parlamento ha affidato al Governo il compito di riformare alcuni aspetti del processo penale e del sistema sanzionatorio penale, al fine di perseguire una maggiore efficienza della giustizia e, soprattutto, di velocizzarne i tempi.

All’art. 1 co. 21 della legge sono rinvenibili criteri direttivi riguardanti la modifica dell’art. 131-bis c.p. e in particolare alla lett. b) viene richiesto esplicitamente di dare rilievo alla condotta susseguente al reato ai fini della valutazione del carattere di particolare tenuità dell’offesa. Tale indicazione è stata recepita dal legislatore delegato, che con la legge n. 150/2022 ha modificato in questo senso il comma 1.

La Corte, dunque, ritiene di dover superare il consolidato orientamento negativo e di dover valutare la condotta successiva al reato ai fini dell’apprezzamento dell’entità del danno, ovvero come possibile spia dell’intensità dell’elemento soggettivo.

Non manca, in ultimo, un passaggio sui reati permanenti, per i quali non può essere sancita una coincidenza con i comportamenti abituali, anche se, come già detto, tanto più si protrae la condotta, e quindi l’offesa al bene giuridico protetto, tanto più sarà difficile ritenere soddisfatto il criterio della particolare tenuità.

4. Considerazioni critiche.

La Corte, attraverso la pronuncia in commento, mira a risolvere le ambiguità dell’art. 131-bis c.p., evidenziando che non vi sono preclusioni di ordine letterale, né tanto meno di ordine logico-sistematico, all’applicabilità della particolare tenuità del fatto al reato continuato, così rimandando ogni discorso sull’applicabilità della causa di non punibilità all’analisi delle singole situazioni.

L’esito a cui è giunta la sentenza si presta ad osservazioni critiche, in quanto è il frutto di un percorso argomentativo non sempre convincente.

Si può apprezzare la scelta di recepire i contributi delle sentenze precedenti, in quanto, in adesione ai principi di tassatività e determinatezza, si tenta di favorire una interpretazione univoca del dato semantico e una uniforme applicazione giudiziale, che potrebbe agevolare la comprensione per i consociati delle ragioni che portano i giudici a concedere o negare la causa di non punibilità.

La uniformità e la comprensione sono tuttavia messe seriamente in discussione da un procedimento valutativo, cui è chiamato il giudice che si presenta artificioso e imprevedibile negli esiti.

Infatti, il giudice dovrebbe non solo verificare se per ciascun reato, isolatamente considerato, sia rispettato il limite relativo al quantum di pena, ma dovrebbe successivamente anche valutare se dagli illeciti emerga la particolare tenuità dell’offesa e la non abitualità del comportamento, attraverso l’ausilio di otto criteri, alcuni dei quali non direttamente evincibili dal 131-bis c.p.[19]

Nell’ipotesi in cui non sussistano i presupposti per l’applicazione del beneficio al reato continuato nel suo complesso residua il potere di accertare la scarsa lesività dei singoli reati, eventualmente sciogliendo il vincolo della continuazione ed escludendo la pena per i fatti che manifestano tale tenuità. Quest’ultimo passaggio desta le maggiori perplessità, poiché esaspera la natura “mista” del reato continuato, autorizzando il giudice a considerare, con riferimento all’applicazione dello stesso istituto, gli illeciti legati dalla continuazione in maniera unitaria o plurima o, addirittura, in maniera unitaria alcuni di essi ed in maniera autonoma gli altri[20].

In più il ragionamento della Corte è discutibile laddove, per affermare la compatibilità tra causa di non punibilità e reato continuato, compara quest’ultimo al concorso formale, invocando una parità di trattamento nell’applicare l’art. 131-bis c.p. La causa di non punibilità si può riferire al concorso ex art. 81 co. 1 c.p. poiché esso si sostanzia in un’unica azione o omissione che non può rientrare nel comportamento abituale di cui al comma 4 dell’art. 131-bis c.p., disposizione che richiama reati che abbiano ad oggetto condotte plurime, abituali o reiterate. Diversamente, per il reato continuato non si può replicare lo stesso ragionamento perché, come espressamente deducibile dal comma 2 dell’art. 81 c.p., si richiede necessariamente il compimento di più azioni od omissioni.  

Sebbene presenti una motivazione non impeccabile e non sempre lineare, la sentenza in commento è da accogliere con favore, in quanto risulta coerente con gli scopi legislativi di proporzione della pena e di deflazione processuale sottesi all’art. 131-bis c.p., il cui conseguimento risulterebbe limitato qualora si affermasse l’automatica esclusione del beneficio in presenza di comportamenti espressivi di una condotta normativamente unitaria o di una deliberazione criminosa occasionale.

Positiva è la precisazione effettuata dai giudici di legittimità circa la differenza tra la continuazione e l’abitualità, chiarendo che sono concetti distinti e per questo non sovrapponibili. Come espresso dalle Sezioni Unite, il disegno criminoso che caratterizza il reato continuato richiede la previa rappresentazione e decisione da parte dell’agente di una serie di condotte criminose per raggiungere uno scopo; l’abitualità, invece, è una qualità personale di chi, con la sua persistente attività criminosa, dimostra una notevole attitudine a commettere reati.


[1] Cfr. Cass., Sez. III, 29 marzo 2018, n. 19159 che, in rapporto ad una fattispecie in tema di abuso edilizio, ha escluso l’occasionalità dell’azione illecita sulla base della continuazione diacronica tra i singoli reati e della pluralità delle disposizioni di legge violate. Coerente con tale impostazione è R. Bartoli, L’esclusione della punibilità per particolare tenuità del fatto, in Dir. pen. proc., 2015, p. 668, che, preoccupato dalla possibilità che si considerino tenui condotte dotate di maggior disvalore, come le ipotesi di concorso eterogeneo, sostiene che l’indole dei reati vada interpretata in senso soggettivo, rilevando i moventi e gli scopi dell’agente.

[2] Cass., Sez. III, 4 ottobre 2019, n. 50002. Nello stesso senso cfr. Cass. Sez. II, 15 novembre 2016, n. 1 e Cass., Sez. VI, 13 dicembre 2017, n. 3353. La pluralità di reati sembra costituire un ostacolo insormontabile anche per G. Amarelli, Particolare tenuità del fatto (diritto penale), in Enc. dir., Agg., XI, Milano, 2017, p. 570.

[3] Così la Cass., Sez. II, 29 marzo 2017, n. 19932. Per l’analisi della sentenza v. M. C. Amoroso, Compatibilità tra reato continuato e declaratoria di non punibilità ex art. 131-bis c.p., in Cass. pen., 2017, 12, pp. 4354 ss. e S. Santini, Non punibilità per particolare tenuità del fatto e reato continuato, in Dir. pen. cont., 2017, 6, pp. 308 ss.

[4] Cfr. Cass., Sez. III, 20 novembre 2018, n. 16502. Per L. Brizi, L’applicabilità dell’art. 131-bis nelle ipotesi di continuazione di reati: un dialogo davvero (im)possibile? in Cass. pen. 2016, 9, p. 3279 si tratta di due istituti che, anche se presentano indubbie diversità strutturali, sono spesso sovrapponibili, in quanto in tutti e due i casi si è di fronte ad un’ipotesi di concorso di reati, ora con una sola azione o omissione, ora con più condotte.

[5] Di questo avviso Cass., Sez. II, 7 febbraio 2018, n. 9495 e più di recente Cass., Sez. III, 13 luglio 2021, n. 35630.

[6] Cfr. Cass., Sez. V, 13 luglio 2020, n. 30434.

[7] Cfr. Cass., Sez. II, 29 marzo 2017, n. 19932; Cass., Sez. II, 6 giugno 2018, n. 41011; Cass., Sez. II, 10 settembre 2019, n. 42579.

[8] Il caso riguardava la rilevanza delle condotte di un imputato che aveva, nel lasso di tempo di un mese, ripetutamente parcheggiato la propria autovettura sulle corsie di accesso e di uscita dall’area del distributore di carburante gestito dal fratello, così impedendo o comunque rendendo difficoltoso ai clienti l’utilizzo del servizio di rifornimento.

L’imputato era stato condannato per violenza privata continuata, con la Corte di Appello che aveva sostanzialmente confermato la decisione resa in primo grado (limitandosi a sostituire, alla pena detentiva, la corrispondente pena pecuniaria), negando l’applicabilità della causa di non punibilità ex art. 131-bis c.p., in quanto il vincolo di continuazione riguardava condotte reiterate e di eguale indole che, come tali, escludono l’applicazione della causa di non punibilità. Contro la sentenza resa in appello, l’imputato ha proposto ricorso deducendo due motivi: a) l’erronea applicazione della legge penale in relazione all’art. 131 –bis c.p. e la mancanza della motivazione in ordine alla sussistenza dell’elemento dell’abitualità, per avere la Corte di appello considerato, quale ragione ostativa alla declaratoria di non punibilità per la particolare tenuità del fatto, il vincolo della continuazione tra le condotte poste in essere dall’imputato, sebbene fossero connotate da occasionalità e modesti effetti lesivi; b) l’erronea applicazione della legge penale in relazione all’art. 610 c.p., per avere la Corte di appello ritenuto la sussistenza degli elementi costitutivi del delitto.

[9] Cass., sez. un., 6 aprile 2016, n. 13681.

[10] La Corte riporta come esempio, per i reati abituali, i maltrattamenti in famiglia, e per le condotte reiterate gli atti persecutori.

[11] Il contrasto è riconducibile al significato da attribuire al concetto di medesimo disegno criminoso. Coloro che sostengono la teoria intellettiva, per cui il medesimo disegno criminoso deve essere inteso come mera rappresentazione mentale anticipata dei singoli, ammettono il reato continuato anche per i reati colposi, essendo sufficiente la loro previsione.

Per chi aderisce alla teoria volitiva, per cui è richiesto anche un’anticipata deliberazione dei reati da commettere, o alla teoria finalistica, che richiede la preventiva programmazione e deliberazione di reati legati dalla unicità dello scopo (v. F. Mantovani, Diritto penale. Parte generale, XI ed., Padova, 2020, p. 535), la continuazione comprende solo reati sorretti dalla volontà di commetterli.

[12] Così la Cass., Sez. Unite, 8 giugno 2017, n. 28659.

[13] Cfr. R. Bartoli, L’esclusione della punibilità per la particolare tenuità del fatto, in Dir. pen. proc., cit., pp. 668-669 e A. Gullo, La particolare tenuità del fatto ex art. 131-bis c.p.: una figura sotto assedio, in Archi. pen., 2021, 1, pp. 7-8.

[14]A titolo esemplificativo la Corte vi fa rientrare le situazioni di fatto caratterizzate:

a) da ripetute dazioni di denaro in esecuzione di un unico accordo corruttivo che preveda una pluralità di atti da compiere;

b) in tema di bancarotta fraudolenta patrimoniale, da molteplici condotte di distrazione verificatesi nell’ambito dello stesso fallimento;

c) da una pluralità di condotte riconducibili a quelle descritte dall’art. 73 D.P.R. n. 309/1990, qualora siano poste in essere contestualmente, ossia indirizzate ad un unico fine e senza un’apprezzabile soluzione di continuità, mentre nell’ipotesi in cui le differenti azioni tipiche – detenzione, vendita, offerta in vendita, cessione ecc. – siano distinte sul piano ontologico, cronologico, psicologico e funzionale esse costituiscono più violazioni della stessa disposizione di legge e, quindi, reati distinti, eventualmente unificati nel vincolo della continuazione;

d) dalla pluralità delle condotte di inadempimento che integrano il delitto di frode in pubbliche forniture avente ad oggetto l’esecuzione di contratti di somministrazione di beni o servizi, trattandosi di una fattispecie la cui struttura è quella propria di un reato a consumazione prolungata, dove ogni singolo comportamento contribuisce ad accentuare la lesione arrecata al bene giuridico protetto dalla norma, senza integrare un mero post factum penalmente irrilevante.

[15] In questo senso F. Mantovani, Diritto penale. Parte generale, cit., p. 540; G. Fiandaca – E. Musco, Diritto penale parte generale, VIII ed., Torino, 2019, p. 720.

[16] Per la teoria dell’azione unica essa può concretizzarsi non solo attraverso un unico atto ma anche quando ci sia la consumazione in più atti realizzati nel medesimo contesto spazio-temporale e ci sia una identità di fine. La tesi, seguita in dottrina da F. Antolisei – L. Conti, Manuale di diritto penale. Parte generale, XVI ed., Milano, 2003, pp. 221-223, ha ricevuto di recente l’avallo delle Sezioni Unite (Cass., Sez. Un., 24 settembre 2018, n. 40981), le quali hanno specificato che l’apprezzamento di tali caratteri (cioè la contestualità degli atti e la unicità del fine) non può prescindere da una rigorosa analisi della fattispecie astratta così come descritta dalla norma.

[17] A favore di questa controversa bipartizione S. Canestrari, L. Cornacchia, G. De Simone, Manuale di diritto penale, Parte generale, Bologna, II ed., 2017, p. 293. Per l’ipotesi di reati eventualmente abituali posti in essere con un’unica condotta si afferma che, diversamente da quelli caratterizzati necessariamente dalla ripetizione dell’azione tipica, la causa di non punibilità di cui all’art. 131-bis c.p. può trovare piena applicazione.

[18] Tra le varie pronunce che negavano rilievo alle condotte successive al fatto cfr. Cass., Sez. V, 2 febbraio 2019, n. 660.

[19] Si pensi ai criteri della tipologia dei beni giuridici lesi o posti pericolo e dell’intensità del dolo. Sulla rilevanza dell’elemento soggettivo si può notare che i requisiti indicati dall’art. 131-bis c.p. differiscono dai parametri posti dall’art. 133 co. 1 c.p., dallo stesso richiamato, proprio per la mancanza nella prima disposizione dell’inciso relativo all’intensità del dolo e al grado della colpa. Secondo alcuni, tali indici possono essere comunque recuperati qualora il dolo e la colpa si riverberino in determinate modalità esecutive; v. C. Fiore – S. Fiore, Diritto penale. Parte generale, VI ed. Milano, 2020, p. 693, e in giurisprudenza, su tutte, Cass., sez. un., 6 aprile 2016, n. 13681. Restano scettici F. Mantovani, Diritto penale, cit., p 872 e G. Fiandaca – E. Musco, Diritto penale parte generale, cit., p. 827.

[20] In questo senso cfr. M. G. Marzano,Gli incerti rapporti tra non punibilità per particolare tenuità del fatto e reato continuato nella giurisprudenza di legittimità: la soluzione fornita dalle Sezioni Unite, in Sistema Penale, 11 Luglio 2022.

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