Il dovere di informare dell’Ufficio del pubblico ministero: l’alba di un nuovo dogma?
C’era attesa di conoscere l’indirizzo della Procura generale della Corte di cassazione in merito alla recente riforma in tema di presunzione di innocenza dell’imputato. Dopo la pubblicazione in Gazzetta Ufficiale del Decreto legislativo n. 188 del 2021[1], la diffusione delle prime linee operative da parte di alcune procure[2] e in pendenza della discussione parlamentare sugli emendamenti alla riforma dell’ordinamento giudiziario, ivi inclusa la tipizzazione dell’illecito disciplinare per violazione di questa normativa, lo scorso venerdì la Procura generale ha adottato gli “orientamenti in materia di comunicazione istituzionale su procedimenti penali”. Molte erano le aspettative per un intervento che avrebbe dovuto uniformare le prassi operative delle procure. Ad una prima lettura, sembra che esse abbiano trovato effettivo riscontro solo in parte.
Nella circolare si precisa che questi orientamenti, nati dall’interlocuzione con le Procure generali, sono provvisori, per la pendenza della discussione parlamentare e per la fisiologica necessità di un primo periodo di sperimentazione.
Quanto all’oggetto, il provvedimento in esame copre parzialmente la disciplina del decreto legislativo n. 188/2021: si occupa delle regole sulla comunicazione giudiziaria e della vigilanza del Procuratore generale sul rispetto di tali regole (art. 3 D.lgs.188/2021). Non vengono trattati gli aspetti che riguardano la tecnica di redazione degli atti processuali in aderenza alla presunzione di innocenza (art. 4 D.lgs.188/2021).
Venendo ai contenuti della circolare, la premessa suona molto forte e decisa: informare l’opinione pubblica è un dovere dell’Ufficio, non un diritto di libertà del magistrato del pubblico ministero o del giudice.
Il Procuratore generale si era già espresso in questi termini durante l’intervento per l’inaugurazione dell’anno giudiziario[3]. Ora riafferma quel principio il cui valore discende direttamente dal carattere democratico dell’ordinamento «l’informazione della pubblica opinione in una società aperta è un primario interesse della collettività». Il dovere informativo si esplica in modo duplice, sulle attività generali dell’Ufficio del pubblico ministero e sulle attività specifiche che riguardano fatti di rilievo pubblico (e, in particolare, fatti relativi ad un procedimento penale in corso).
Ribadito il concetto a scanso di equivoci, si individuano i limiti dell’informazione giudiziaria. Sull’an, non possono essere diffuse «le notizie che devono restare segrete o riservate, in quest’ultimo caso quando non vi è un interesse pubblico alla loro conoscenza». Se il riferimento alla disciplina del segreto investigativo è chiaro, rimane da compiere uno sforzo interpretativo sul concetto di «notizia riservata» e su come l’interesse pubblico alla conoscenza possa consentirne la divulgazione[4].
Sul quomodo, l’informazione deve essere «corretta e imparziale», «rispettosa della dignità della persona», «completa ed efficace», «rapida e continuativa». Quando l’informazione riguarda specifiche attività, la comunicazione deve essere «molto più attenta». L’avvertimento che si coglie è quello alla “continenza espressiva”, quando si tratta di informazioni relative al compimento di atti di indagine; le attese, però, erano per criteri guida più precisi. In buona sostanza, la circolare fa propri i contenuti delle Linee-guida approvate dal C.S.M. nel luglio 2018, nelle quali si affermavano i princìpi di oggettività, trasparenza e comprensibilità dell’azione della magistratura, quelli di chiarezza, sinteticità e tempestività della comunicazione, oltreché di imparzialità ed equilibrio quando essa ha ad oggetto l’atto di accusa. Dal 2018, tuttavia, l’Italia ha rischiato una procedura di infrazione per la mancata attuazione della direttiva (UE) 2016/343, cui si è posto riparo in extremis. Allora si auspicava che la soft law del 2018 rappresentasse un solido fondamento per l’interpretazione della nuova normativa, non il punto di arrivo dell’esegesi.
Le regole della comunicazione giudiziaria.
L’ambito di applicazione tipico delle nuove norme (art. 5 D.lgs.106/2006) è quello delle indagini preliminari, ma se ne riconosce l’estensione anche alle altre fasi del procedimento, eccetto l’esecuzione penale.
Si esclude che «la disciplina specifica circa la tutela della presunzione di innocenza» trovi applicazione nei procedimenti contro ignoti, salvo il rispetto degli obblighi di correttezza nella comunicazione istituzionale. Dal contesto si deduce che “la disciplina specifica” cui si fa riferimento è la norma che vieta di indicare come colpevole la persona sottoposta ad indagini (comma 2-bis dell’art. 5 D.lgs. n. 106/2006). Limitarne il commento all’inapplicabilità nel procedimento contro ignoti – ciò che è ovvio – frustra il senso ampio della norma, che riconosce il metodo del dubbio come fondamento del sistema processuale.
Inoltre, le nuove norme di cui all’art. 5 D.lgs.106/2006 non riguardano la diffusione di notizie sull’esistenza di un’indagine, perché la divulgazione sarebbe illecita prima che l’indagato stesso ne abbia conoscenza[5], né «la prospettazione della sussistenza di “gravi indizi di colpevolezza” da parte degli organi di accusa negli atti procedimentali propri ed a ciò preposti».
Sui presupposi giustificativi[6] e sulle forme[7] della comunicazione giudiziaria la circolare si esprime in modo essenziale, ma significativo. Poiché l’ “interesse pubblico” non può essere predeterminato per legge, spetta «al titolare del potere di informazione la scelta discrezionale di attuarla, alla luce di circostanze fattuali, temporali, e territoriali che non possono essere univocamente previste»; tale scelta «non può essere sindacata», salvo aggiungere – in modo contraddittorio – «se non nei casi di palese irragionevolezza».
Anche sulle modalità della comunicazione la determinazione sarebbe rimessa alla discrezionalità del pubblico ministero. Come è noto, le notizie vengono trasmesse agli organi di informazione, di regola, con comunicato; «nei casi di particolare rilevanza dei fatti» può essere indetta la conferenza stampa.
Da quanto indicato pare che il dovere di informare diventi piuttosto un potere, il cui esercizio è rimesso alla esclusiva discrezionalità del pubblico ministero. Si comprende la delicatezza della questione, che involge i valori della libertà di informazione e di opinione e dell’indipendenza della magistratura, ma il rischio è una lettura fin troppo estensiva dell’ “interesse pubblico”, ravvisabile ogni qualvolta la notizia abbia ad oggetto fatti di un procedimento penale.
Suona, allora, quasi beffardo il rilievo secondo cui il principio di presunzione di innocenza non può comportare che la diffusione delle notizie «sia interamente abbandonata nella disponibilità delle parti private», pena il rischio di imbastire processi mediatici: viene da pensare al noto brocardo “excusatio non petita, accusatio manifesta”. Il riferimento poi a condotte poco ortodosse dei difensori delle parti private, che neppure sarebbero sanzionate, pare fuori luogo e desta un senso di profondo sconcerto (pag. 3 della circolare).
Non mancano, comunque, alcune puntualizzazioni apprezzabili. Si ammettono le interviste giornalistiche sulle attività generali dell’Ufficio, ma sono drasticamente escluse quelle su singoli procedimenti o su specifiche posizioni processuali. È bandita la consegna di copia di atti, anche se non più coperti da segreto, stante ancora il divieto di pubblicarne il contenuto, ma non quella dell’ordinanza cautelare per non alimentare il così detto mercato “nero” delle notizie.
Brevi riflessioni conclusive
In estrema sintesi, tre sono i concetti chiave affermati nella circolare in esame. Il primo è il dovere di informare la collettività “auto-proclamato” in capo all’Ufficio del pubblico ministero; il secondo è il carattere ampiamente discrezionale del potere, spettante a quest’ultimo, di valutare le specifiche “ragioni di interesse pubblico” legittimanti le conferenze stampa; il terzo è l’insindacabilità di tale valutazione, in primis sul piano disciplinare, già peraltro enunciata nel parere del C.S.M. sugli emendamenti governativi al disegno di legge A.C. 2681 in tema di riforma dell’ordinamento giudiziario.
Tre assiomi che rischiano di soffocare sul nascere la recente “ventata” garantista in favore della presunzione di innocenza dell’imputato.
[1] Il D.Lgs. 8 novembre 2021, n. 188, in recepimento della Direttiva (UE) 2016/343, è stato pubblicato nella G.U. 29 novembre 2021, n. 284, Suppl. Ord.
[2] V. Direttiva Procura della Repubblica presso il Tribunale di Perugia, 6 dicembre 2021, in www.sistemapenale.it, 7 dicembre 2021; V. Direttiva Procura della Repubblica presso il Tribunale di Bologna, 2 dicembre 2021, in www.procura.bologna.giustizia.it, 12 dicembre 2021.
[3] V. Intervento del Procuratore generale Giovanni Salvi, 21 gennaio 2022, 161, in www.cortedicassazione.it.
[4] Il riferimento alle notizie di carattere riservato potrebbe riguardare informazioni contenute in atti che sono conoscibili per l’indagato, ma non possono essere diffusi all’esterno: a ben vedere il richiamo si risolverebbe in modo implicito alla sola disciplina delle intercettazioni. Solo con riferimento a questa materia, infatti, si prevede che le intercettazioni, già conosciute dal difensore e dall’indagato a seguito del deposito, rimangano segrete all’esterno finché non siano acquisite dal giudice.
[5] Si deve, tuttavia, ritenere che, non appena l’indagato abbia avuto conoscenza dell’esistenza di un procedimento penale nei suoi confronti, le norme di cui all’art. 5 d.lgs 106/2006 siano applicabili, ove la disciplina del segreto investigativo consenta la rivelazione delle informazioni.
[6] Ai sensi dell’art. 5, comma 2, d.lgs 106/2006, «la diffusione di informazioni sui procedimenti penali è consentita solo quando è strettamente necessaria per la prosecuzione delle indagini o ricorrono altre specifiche ragioni di interesse pubblico».
[7] Ai sensi dell’art. 5, comma 1, d.lgs 106/2006, i rapporti con gli organi di informazione sono tenuti “esclusivamente tramite comunicati ufficiali oppure, nei casi di particolare rilevanza pubblica dei fatti, tramite conferenze stampa”.
La comunicazione istituzionale sui procedimenti penali secondo la Procura generale
della cassazione
Il dovere di informare dell’Ufficio del pubblico ministero: l’alba di un nuovo dogma?
C’era attesa di conoscere l’indirizzo della Procura generale della Corte di cassazione in merito alla recente riforma in tema di presunzione di innocenza dell’imputato. Dopo la pubblicazione in Gazzetta Ufficiale del Decreto legislativo n. 188 del 2021[1], la diffusione delle prime linee operative da parte di alcune procure[2] e in pendenza della discussione parlamentare sugli emendamenti alla riforma dell’ordinamento giudiziario, ivi inclusa la tipizzazione dell’illecito disciplinare per violazione di questa normativa, lo scorso venerdì la Procura generale ha adottato gli “orientamenti in materia di comunicazione istituzionale su procedimenti penali”. Molte erano le aspettative per un intervento che avrebbe dovuto uniformare le prassi operative delle procure. Ad una prima lettura, sembra che esse abbiano trovato effettivo riscontro solo in parte.
Nella circolare si precisa che questi orientamenti, nati dall’interlocuzione con le Procure generali, sono provvisori, per la pendenza della discussione parlamentare e per la fisiologica necessità di un primo periodo di sperimentazione.
Quanto all’oggetto, il provvedimento in esame copre parzialmente la disciplina del decreto legislativo n. 188/2021: si occupa delle regole sulla comunicazione giudiziaria e della vigilanza del Procuratore generale sul rispetto di tali regole (art. 3 D.lgs.188/2021). Non vengono trattati gli aspetti che riguardano la tecnica di redazione degli atti processuali in aderenza alla presunzione di innocenza (art. 4 D.lgs.188/2021).
Venendo ai contenuti della circolare, la premessa suona molto forte e decisa: informare l’opinione pubblica è un dovere dell’Ufficio, non un diritto di libertà del magistrato del pubblico ministero o del giudice.
Il Procuratore generale si era già espresso in questi termini durante l’intervento per l’inaugurazione dell’anno giudiziario[3]. Ora riafferma quel principio il cui valore discende direttamente dal carattere democratico dell’ordinamento «l’informazione della pubblica opinione in una società aperta è un primario interesse della collettività». Il dovere informativo si esplica in modo duplice, sulle attività generali dell’Ufficio del pubblico ministero e sulle attività specifiche che riguardano fatti di rilievo pubblico (e, in particolare, fatti relativi ad un procedimento penale in corso).
Ribadito il concetto a scanso di equivoci, si individuano i limiti dell’informazione giudiziaria. Sull’an, non possono essere diffuse «le notizie che devono restare segrete o riservate, in quest’ultimo caso quando non vi è un interesse pubblico alla loro conoscenza». Se il riferimento alla disciplina del segreto investigativo è chiaro, rimane da compiere uno sforzo interpretativo sul concetto di «notizia riservata» e su come l’interesse pubblico alla conoscenza possa consentirne la divulgazione[4].
Sul quomodo, l’informazione deve essere «corretta e imparziale», «rispettosa della dignità della persona», «completa ed efficace», «rapida e continuativa». Quando l’informazione riguarda specifiche attività, la comunicazione deve essere «molto più attenta». L’avvertimento che si coglie è quello alla “continenza espressiva”, quando si tratta di informazioni relative al compimento di atti di indagine; le attese, però, erano per criteri guida più precisi. In buona sostanza, la circolare fa propri i contenuti delle Linee-guida approvate dal C.S.M. nel luglio 2018, nelle quali si affermavano i princìpi di oggettività, trasparenza e comprensibilità dell’azione della magistratura, quelli di chiarezza, sinteticità e tempestività della comunicazione, oltreché di imparzialità ed equilibrio quando essa ha ad oggetto l’atto di accusa. Dal 2018, tuttavia, l’Italia ha rischiato una procedura di infrazione per la mancata attuazione della direttiva (UE) 2016/343, cui si è posto riparo in extremis. Allora si auspicava che la soft law del 2018 rappresentasse un solido fondamento per l’interpretazione della nuova normativa, non il punto di arrivo dell’esegesi.
Le regole della comunicazione giudiziaria.
L’ambito di applicazione tipico delle nuove norme (art. 5 D.lgs.106/2006) è quello delle indagini preliminari, ma se ne riconosce l’estensione anche alle altre fasi del procedimento, eccetto l’esecuzione penale.
Si esclude che «la disciplina specifica circa la tutela della presunzione di innocenza» trovi applicazione nei procedimenti contro ignoti, salvo il rispetto degli obblighi di correttezza nella comunicazione istituzionale. Dal contesto si deduce che “la disciplina specifica” cui si fa riferimento è la norma che vieta di indicare come colpevole la persona sottoposta ad indagini (comma 2-bis dell’art. 5 D.lgs. n. 106/2006). Limitarne il commento all’inapplicabilità nel procedimento contro ignoti – ciò che è ovvio – frustra il senso ampio della norma, che riconosce il metodo del dubbio come fondamento del sistema processuale.
Inoltre, le nuove norme di cui all’art. 5 D.lgs.106/2006 non riguardano la diffusione di notizie sull’esistenza di un’indagine, perché la divulgazione sarebbe illecita prima che l’indagato stesso ne abbia conoscenza[5], né «la prospettazione della sussistenza di “gravi indizi di colpevolezza” da parte degli organi di accusa negli atti procedimentali propri ed a ciò preposti».
Sui presupposi giustificativi[6] e sulle forme[7] della comunicazione giudiziaria la circolare si esprime in modo essenziale, ma significativo. Poiché l’ “interesse pubblico” non può essere predeterminato per legge, spetta «al titolare del potere di informazione la scelta discrezionale di attuarla, alla luce di circostanze fattuali, temporali, e territoriali che non possono essere univocamente previste»; tale scelta «non può essere sindacata», salvo aggiungere – in modo contraddittorio – «se non nei casi di palese irragionevolezza».
Anche sulle modalità della comunicazione la determinazione sarebbe rimessa alla discrezionalità del pubblico ministero. Come è noto, le notizie vengono trasmesse agli organi di informazione, di regola, con comunicato; «nei casi di particolare rilevanza dei fatti» può essere indetta la conferenza stampa.
Da quanto indicato pare che il dovere di informare diventi piuttosto un potere, il cui esercizio è rimesso alla esclusiva discrezionalità del pubblico ministero. Si comprende la delicatezza della questione, che involge i valori della libertà di informazione e di opinione e dell’indipendenza della magistratura, ma il rischio è una lettura fin troppo estensiva dell’ “interesse pubblico”, ravvisabile ogni qualvolta la notizia abbia ad oggetto fatti di un procedimento penale.
Suona, allora, quasi beffardo il rilievo secondo cui il principio di presunzione di innocenza non può comportare che la diffusione delle notizie «sia interamente abbandonata nella disponibilità delle parti private», pena il rischio di imbastire processi mediatici: viene da pensare al noto brocardo “excusatio non petita, accusatio manifesta”. Il riferimento poi a condotte poco ortodosse dei difensori delle parti private, che neppure sarebbero sanzionate, pare fuori luogo e desta un senso di profondo sconcerto (pag. 3 della circolare).
Non mancano, comunque, alcune puntualizzazioni apprezzabili. Si ammettono le interviste giornalistiche sulle attività generali dell’Ufficio, ma sono drasticamente escluse quelle su singoli procedimenti o su specifiche posizioni processuali. È bandita la consegna di copia di atti, anche se non più coperti da segreto, stante ancora il divieto di pubblicarne il contenuto, ma non quella dell’ordinanza cautelare per non alimentare il così detto mercato “nero” delle notizie.
Brevi riflessioni conclusive
In estrema sintesi, tre sono i concetti chiave affermati nella circolare in esame. Il primo è il dovere di informare la collettività “auto-proclamato” in capo all’Ufficio del pubblico ministero; il secondo è il carattere ampiamente discrezionale del potere, spettante a quest’ultimo, di valutare le specifiche “ragioni di interesse pubblico” legittimanti le conferenze stampa; il terzo è l’insindacabilità di tale valutazione, in primis sul piano disciplinare, già peraltro enunciata nel parere del C.S.M. sugli emendamenti governativi al disegno di legge A.C. 2681 in tema di riforma dell’ordinamento giudiziario.
Tre assiomi che rischiano di soffocare sul nascere la recente “ventata” garantista in favore della presunzione di innocenza dell’imputato.
[1] Il D.Lgs. 8 novembre 2021, n. 188, in recepimento della Direttiva (UE) 2016/343, è stato pubblicato nella G.U. 29 novembre 2021, n. 284, Suppl. Ord.
[2] V. Direttiva Procura della Repubblica presso il Tribunale di Perugia, 6 dicembre 2021, in www.sistemapenale.it, 7 dicembre 2021; V. Direttiva Procura della Repubblica presso il Tribunale di Bologna, 2 dicembre 2021, in www.procura.bologna.giustizia.it, 12 dicembre 2021.
[3] V. Intervento del Procuratore generale Giovanni Salvi, 21 gennaio 2022, 161, in www.cortedicassazione.it.
[4] Il riferimento alle notizie di carattere riservato potrebbe riguardare informazioni contenute in atti che sono conoscibili per l’indagato, ma non possono essere diffusi all’esterno: a ben vedere il richiamo si risolverebbe in modo implicito alla sola disciplina delle intercettazioni. Solo con riferimento a questa materia, infatti, si prevede che le intercettazioni, già conosciute dal difensore e dall’indagato a seguito del deposito, rimangano segrete all’esterno finché non siano acquisite dal giudice.
[5] Si deve, tuttavia, ritenere che, non appena l’indagato abbia avuto conoscenza dell’esistenza di un procedimento penale nei suoi confronti, le norme di cui all’art. 5 d.lgs 106/2006 siano applicabili, ove la disciplina del segreto investigativo consenta la rivelazione delle informazioni.
[6] Ai sensi dell’art. 5, comma 2, d.lgs 106/2006, «la diffusione di informazioni sui procedimenti penali è consentita solo quando è strettamente necessaria per la prosecuzione delle indagini o ricorrono altre specifiche ragioni di interesse pubblico».
[7] Ai sensi dell’art. 5, comma 1, d.lgs 106/2006, i rapporti con gli organi di informazione sono tenuti “esclusivamente tramite comunicati ufficiali oppure, nei casi di particolare rilevanza pubblica dei fatti, tramite conferenze stampa”.
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La Consulta si pronuncia sulla incompatibilità del G.i.p. a pronunciarsi sulla nuova richiesta di decreto penale di condanna: inammissibili le q.l.c.
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