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La configurabilità del delitto di «manovre speculative su merci» nel caso di vendita, al tempo del coronavirus, di mascherine ad un prezzo elevato

Sentenza

MASSIMA: In tema di manovre speculative su merci, dal momento che, in costanza di emergenza sanitaria dovuta alla diffusione del virus SARS-CoV-2 (coronavirus), i dispositivi di protezione individuale, quali sono le mascherine protettive, sono da considerarsi prodotti di prima necessità, la loro commercializzazione a prezzi irragionevolmente cari integra il reato di cui all’art. 501-bis c.p., qualora detta condotta sia idonea a determinare un generalizzato, o comunque diffuso, rincaro del prezzo di detti beni, tale da incidere sul mercato interno (nel caso di specie, la S.C. ha escluso la configurabilità del delitto di cui all’art. 501-bis c.p., in provvisoria contestazione, ritenendo improbabile che la condotta speculativa posta in essere dal soggetto attivo potesse incidere sul mercato interno, in ragione della modestia della struttura imprenditoriale della Società di cui l’indagato era titolare, dimostrata dalla esiguità delle scorte di materia prima alla stessa sequestrate e dalla unicità del macchinario utilizzato per la produzione delle mascherine protettive).

 

SOMMARIO: 1. Premessa. – 1.1. Osservazioni introduttive: ratio legis e breve inquadramento storico. – 2. La struttura del delitto di «manovre speculative su merci» nei suoi elementi essenziali. – 3. La vicenda processuale all’esame della Corte di Cassazione. – 4. Considerazioni conclusive.

 

  1. Premessa

Con la sentenza che si offre all’attenzione, la Corte di Cassazione torna ad occuparsi, in termini di sommaria delibazione, del delitto di «manovre speculative su merci» (art. 501-bis c.p.) e, segnatamente, della configurabilità del citato reato (rectius sussistenza del fumus delicti) nel caso in cui il presunto soggetto attivo, esercente un’attività di carattere imprenditoriale, produca e successivamente immetta sul mercato mascherine filtranti protettive generiche con un ingente rincaro del relativo prezzo (nel caso sottoposto all’attenzione della S.C. pari al 350%); condotta, questa, posta in essere nella vigenza di molteplici norme emergenziali, di diversa fonte e rango, legate alle manovre di contenimento della diffusione del contagio da virus c.d. Covid-19, sancenti, tra l’altro, l’uso obbligatorio di dette mascherine protettive per lo svolgimento di taluni atti ordinari della vita quotidiana e di relazione.

 

1.1 Osservazioni introduttive: ratio legis e breve inquadramento storico

A differenza del codice Zanardelli, che prevedeva due differenti fattispecie incriminatrici delle condotte speculative (artt. 293 e 326), a seconda che fossero caratterizzate da attitudine ingannatoria o meno, l’originaria scelta operata con il codice Rocco fu quella di introdurre la sola fattispecie di c.d. «aggiotaggio»[1] (art. 501 c.p.), senza attribuire specifica rilevanza penale alle condotte speculative non caratterizzate da frode[2].

Successivamente, con l’emanazione del d.l. 15.10.1976, n. 704, convertito in legge, con modificazioni, dall’art. unico della l. 27.11.1976, n. 787, si è assistito all’introduzione, all’interno del nostro codice penale (Capo I, Titolo VIII del Libro II, dedicato ai «delitti contro l’economia pubblica»), del reato di «manovre speculative su merci» (art. 501-bis c.p.); tanto, al fine di fornire una risposta sanzionatoria autonoma e più efficace rispetto ai descritti comportamenti speculativi che, in un periodo storico caratterizzato da una significativa crisi economico-finanziaria, si temeva potessero determinare l’insorgere di tensioni sociali[3].

Difatti, trascorsi 40 anni dall’emanazione del codice Rocco, si era assistito alla diffusione, anche in ragione del mutato scenario politico ed economico, di condotte speculative di accaparramento di beni di consumo, reiteratamente poste in essere da alcuni operatori di settore, finalizzate a determinare la rarefazione sul mercato di detti beni, con conseguente aumento del relativo prezzo[4].

Ratio legis, quella appena illustrata, confermata anche dalla S.C. nella sentenza in esame, ove è affermato che l’introduzione del delitto in parola “era chiaramente finalizzata, in un’epoca segnata da gravi crisi economiche per lo più legate alle tensioni internazionali riguardanti il mercato degli idrocarburi, ad impedire che siffatte tensioni economiche, (…), potessero essere prese a spunto, (…) per la realizzazione nel mercato interno di manovre esclusivamente speculative su merci di largo consumo”.

Ciò posto, per meglio comprendere la scelta operata del Legislatore del 1976, sia consentito ribadire che, antecedentemente alla novella in parola, il descritto fenomeno speculativo illecito poteva essere astrattamente fronteggiato, anche se con oggettive difficoltà, esclusivamente attraverso la fattispecie delittuosa di cui all’art. 501 c.p. (c.d. aggiotaggio). Come correttamente osservato in dottrina, però, la struttura della fattispecie di aggiotaggio – quale delitto di frode, configurabile in presenza di una condotta dell’agente, sorretta dal dolo specifico costituito dal «fine di turbare il mercato dei valori e delle merci» e tale da compromettere, almeno potenzialmente, l’economia nazionale – si era rivelata inadeguata a fronteggiare i fenomeni speculativi tout court, peraltro frequentemente interessanti ambiti più ristretti di quello nazionale[5] (sul tema, si v. infra § 2). Invero, con la previsione del delitto di aggiotaggio, il Legislatore non ha inteso punire, in maniera generalizzata ed indiscriminata, tutte le condotte genericamente “speculative”, bensì proibire quei comportamenti artificiosi, capaci di influenzare con espedienti decettivi le determinazioni degli operatori di mercato; in altre parole, a pena della violazione del principio di legalità, la nozione di artificio, che allude ad una immutatio rei, connotante le condotte p. e p. dall’art. 501 c.p., non può includere le operazione speculative prive dei caratteri della falsità, della frode e della fraudolenza, ossia le manovre speculative diverse dalle “turbative fraudolente”[6].

In definitiva, il Legislatore italiano, mediante l’introduzione delle due diverse fattispecie di reato in parola, ha inteso rimarcare la differenza sussistente, sul piano economico e concettuale, tra manovre fraudolente e manovre speculative. Dalla lettura sistematica degli artt. 501 e 501-bis c.p., si desume che nella nozione di “altri artifici”, come detto comprensiva delle “turbative fraudolente” punite a norma dell’art. 501 c.p., non possono essere ricondotte quelle condotte speculative connotate dall’abuso di posizione dominante sul mercato, inteso quale abuso di potere per eccellenza economico, sebbene esse siano in grado di sortire l’effetto tipico descritto dall’art. 501 c.p., ovvero siano idonee ad influenzare in modo reale la situazione di mercato e l’andamento dei prezzi, modificando sensibilmente il volume globale della domanda e dell’offerta[7].

In ogni caso, qualunque sia la corretta interpretazione, si evidenzia che l’art. 501-bis c.p., dopo una prima fase, immediatamente successiva alla sua introduzione, determinata dalla descritta particolare situazione economico-finanziaria, ha trovato scarsa applicazione pratica, tanto che in dottrina si è pure dubitato della sua utilità[8].

 

  1. La struttura del delitto di «manovre speculative su merci» nei suoi elementi essenziali

Preliminarmente, al fine di meglio inquadrare la questione che ci occupa, appare opportuno evidenziare che la dottrina[9] e la giurisprudenza maggioritaria, a dispetto della possibile attribuzione della condotta a «chiunque», così come indicato nel dettato normativo, tendono a qualificare la fattispecie delittuose di cui all’art. 501-bis c.p. come reato proprio; ciò in ragione di quanto successivamente specificato nella norma precettiva de qua, ove si fa espresso riferimento al porre in essere una delle condotte tipiche «nell’esercizio di qualsiasi attività produttiva o commerciale»[10]. Indirizzo, questo, ribadito anche con la sentenza in commento, ove è chiarito che il costrutto linguistico della norma in parola, «attraverso l’uso del sostantivo “esercizio” (espressione questa che nel suo significato richiama una condotta di tipo sistematico o, comunque, metodicamente ripetuta), appare riferirsi non allo svolgimento del tutto occasionale ed estemporaneo dell’attività in discorso, ma al fatto che questa sia praticata da parte di chi ad essa sia addetto con una certa stabile continuità». Secondo illustri Autori, però, il delitto de quo può essere posto in essere, oltreché dal produttore o dal commerciante professionista, anche da chi si dedichi solo per un limitato periodo ad un’attività produttiva o commerciale, non essendo richiesta, nella lettera della norma, alcuna forma di professionalità nell’agente[11]. A parere di chi scrive, detto ultimo orientamento appare pienamente condivisibile poiché la norma in parola fa solo riferimento all’esercizio di «qualsiasi attività produttiva o commerciale» e, di conseguenza, non esclude l’esercizio temporaneo ed occasionale delle attività in parola, eventualmente proprio al fine di porre essere le manovre speculative vietate.

Quanto alla struttura oggettiva, deve osservarsi che il delitto de quo può presentarsi nelle forme disciplinate, pur con identica cornice edittale, nel primo e nel secondo comma dell’art. 501-bis c.p. Segnatamente, esso può essere integrato mediante diverse condotte alternative, consistenti, secondo la previsione di cui al primo comma, nella realizzazione di manovre speculative o nell’occultamento, nell’accaparramento o nell’incetta di «materie prime, generi alimentari di largo consumo o di prodotti di prima necessità, in modo atto a determinarne la rarefazione o il rincaro sul mercato interno»; mentre, secondo la previsione di cui al secondo comma, nella sottrazione all’utilizzazione o al consumo di rilevanti quantità delle materie e dei prodotti di cui innanzi, posta in essere nella consapevolezza della «presenza di fenomeni di rarefazione o rincaro sul mercato interno» interessanti le citate merci.

Per quanto attiene alla previsione di cui al primo comma della norma in parola, si evidenzia, in primis, che i concetti di «occultamento», «accaparramento» ed «incetta» dei citati beni mobili corrispondono a fenomeni naturalistici e sono facilmente identificabili nella condotta di chi, avendoli prodotti, li sottragga al mercato, tenendoli nascosti e negandone la disponibilità, ovvero in quella di chi, dopo averli acquisiti da altri soggetti, li accumuli in misura ampiamente superiore ai propri bisogni imprenditoriali, senza riversarli sul mercato.

Più complessa è l’attribuzione di significato al concetto «compiere manovre speculative». In dottrina, proprio per la genericità di detta espressione, si è ritenuto trattarsi di una sorta di clausola di chiusura, atta a ricomprendere qualsivoglia tipologia di condotta idonea a conseguire profitti superiori a quelli conseguibili attraverso il normale esercizio di un’attività commerciale[12], con conseguente ampia discrezionalità valutativa riservata al giudice[13].

Ai fini dell’integrazione della fattispecie in parola, nel rispetto della sua genesi, le descritte condotte devono avere ad oggetto «materie prime», «generi alimentari di largo consumo» o «prodotti di prima necessità»; in detta ultima categoria, rilevante per il tema che ci occupa, rientrano tutte le tipologie di beni mobili[14], di vario genere, la cui disponibilità è indispensabile per lo svolgimento di una vita libera e dignitosa.

Ciò posto, si precisa che, ai fini della configurabilità della fattispecie in analisi, la condotta deve essere idonea[15] a determinare la rarefazione ovvero il rincaro del prezzo, sul mercato interno, delle merci oggetto della condotta stessa. In giurisprudenza e dottrina è stato chiarito che il concetto di «mercato interno», sebbene non debba essere inteso come l’intero mercato nazionale, deve tuttavia ritenersi evocabile solamente ove si tratti di fenomeni riguardanti non già una fetta meramente marginale del mercato – avente, quindi, una rilevanza solo microeconomica – ma una significativa parte di esso (anche un mercato locale, purché riguardante una zona sufficientemente ampia del territorio nazionale), potendosi solo in tal caso individuare una potenziale lesione dell’economia pubblica[16].

Mentre la prima fattispecie, innanzi sommariamente descritta, pare riconducibile ad un’ipotesi di reato di pericolo, il secondo comma della norma in parola individua una fattispecie di pura condotta in quanto, presupposta la presenza di fenomeni di «rarefazione o rincaro sul mercato interno» delle merci già indicate, il reato è perfezionato in seguito alla sottrazione «alla utilizzazione o al consumo di rilevanti quantità» delle stesse[17].

Fin da subito, tralasciando i concetti di «mercato interno» (già analizzato in precedenza) e di «sottrazione all’utilizzazione o al consumo» (di facile individuazione), appare opportuno evidenziare che i citati fenomeni (rarefazione delle merci o rincaro del loro prezzo) devono assumere, per intensità e durata, una sostanziale rilevanza ed eccezionalità, onde evitare che ogni momentanea penuria di merci – di per sé idonea a determinare un aumento dei prezzi – possa portare alla contestazione del reato de quo.

Ciò posto, senza incorrere in inutili ripetizioni, sia solo consentito evidenziare che il parametro «rilevanti quantità» appare di difficile identificazione oggettiva ed, quindi, rimesso alla valutazione del giudice; al riguardo, infatti, la S.C. ha semplicemente chiarito che la sottrazione di rilevanti quantità deve determinare “un serio pericolo per la situazione economica generale[18].

 

  1. La vicenda processuale all’esame della Corte di Cassazione

Con la sentenza in esame la Corte di Cassazione ha accolto il ricorso proposto dalla difesa dell’indagato avverso l’ordinanza n. 38/2020 emessa in data 27.5.2020 dal Tribunale di Vicenza, con la quale era stato in parte confermato il provvedimento di convalida, emesso dal PM presso lo stesso ufficio giudiziario, del sequestro probatorio eseguito dalla Guardia di Finanza, avente ad oggetto una serie di documenti contabili rinvenuti presso la sede della Società Alfa, di un rotolo di tessuto in cotone e di una matrice utilizzata dalla medesima Società per la produzione di mascherine filtranti protettive generiche.

Segnatamente, il Tribunale di Vicenza – dato atto che dalle indagini eseguite era risultato che la Società Alfa, produttrice, aveva immesso sul mercato le mascherine con un rincaro pari al 350%, ed altresì rilevato che a carico del titolare della predetta impresa era stato provvisoriamente ipotizzato il reato di cui all’art. 501-bis c.p. – aveva, tra l’altro, evidenziato, quanto alla sussistenza del fumus delicti, che, alla luce della legislazione emergenziale finalizzata al contenimento del contagio da coronavirus, le mascherine protettive del tipo di quelle in produzione presso l’impresa gestita dall’indagato dovevano essere ritenute equiparabili a «prodotti di prima necessità», in quanto obbligatoriamente da indossare, in una serie di circostanze, per l’espletamento di atti ordinari della vita quotidiana.

Tanto evidenziato, il Tribunale – dopo aver dato atto che nel caso posto alla sua attenzione sussistevano gli elementi per ritenere utile, onde verificare l’ipotesi accusatoria, l’espletamento di ulteriori indagini per acquisire altri elementi probatori, non diversamente accertabili in assenza della sottrazione all’indagato di alcuni dei beni oggetto di sequestro – aveva, però, parzialmente accolto l’istanza di riesame, disponendo l’annullamento del provvedimento di convalida del sequestro limitatamente al rotolo di tessuto in cotone ed alla matrice delle mascherine, ritenendo detti beni non rilevanti per le indagini riguardanti la fattispecie in provvisoria contestazione; confermando, invece, il provvedimento oggetto di riesame quanto alle scritture contabili.

Tra i due motivi di ricorso proposti, avverso detta ordinanza, dalla difesa dell’indagato, ci si sofferma, in questa sede, esclusivamente sul secondo, con il quale è stata in via gradata lamentata l’erronea applicazione dell’art. 501-bis c.p. e, segnatamente, contestata l’astratta configurabilità della fattispecie delittuosa ivi p. e p., sia in relazione alla riconducibilità delle già citate mascherine protettive alla categoria dei «beni di prima necessità», sia in relazione alla sussistenza del «rischio di rarefazione o rincaro sul mercato interno», sia, infine, in merito alla configurabilità di una «manovra speculativa» nella descritta condotta posta in essere dall’indagato.

La S.C. – dopo aver affermato l’inammissibilità del primo motivo di censura, avente ad oggetto la dedotta mancanza di motivazione, ovvero l’apparenza di essa, in relazione alla effettiva destinazione ad una finalità probatoria della documentazione contabile oggetto di sequestro – ha ritenuto fondato il ricorso e, per l’effetto, annullato l’ordinanza impugnata con rinvio per nuovo esame al primo giudice, in diversa composizione personale, affidando la propria decisione alle motivazioni di seguito esposte.

In primo luogo, nel valutare il fumus commissi delicti, dopo aver chiarito che gli elementi acquisiti permettevano di attribuire all’indagato la qualifica soggettiva necessaria all’integrazione del delitto in provvisoria contestazione, ha ritenuto corretta la decisione del Tribunale di Vicenza nella parte in cui le mascherine protettive, stante la legislazione emergenziale vigente, erano state ricondotte alla categoria dei «prodotti di prima necessità».

La Cassazione, invece, ha espressamente ritenuto “assai arduo” convenire con il Tribunale nella individuazione, nella condotta dell’indagato, del “requisito della attitudine a determinare un generalizzato rincaro dei prezzi tale da incidere sul mercato interno”; ciò, in ragione della “modesta struttura imprenditoriale” a disposizione dell’indagato, “dimostrata dalla esiguità delle scorte presso di lui sequestrate e dalla unicità del macchinario da lui utilizzato nella catena produttiva”. La S.C., quindi, ha ribadito il principio secondo cui “l’espressione mercato interno non deve essere intesa quale sinonimo di mercato nazionale, tuttavia neanche è pensabile che, al fine di integrare il reato di cui trattasi, tenuto conto che il bene da esso tutelato è l’ordine economico nazionale, sia sufficiente incidere sui prezzi praticati in un ambito di mercato solo di vicinato”.

 

  1. Considerazioni conclusive

Partendo dall’affermato principio di diritto, il tema che in questa sede si vuole approfondire è quello della configurabilità del delitto di cui all’art. 501-bis c.p. nel caso di vendita, nell’attuale situazione emergenziale dovuta alla diffusione del virus covid-19, di mascherine filtranti protettive ad un prezzo notevolmente maggiorato rispetto a quello normale; volutamente tralasciando il tema processuale inerente l’ammissibilità, nel caso di ricorso per Cassazione avente ad oggetto provvedimenti cautelari reali, di censure riguardanti vizi della motivazione del provvedimento impugnato, pure affrontato nella sentenza annotata.

Al riguardo del tema che ci occupa, appare opportuno evidenziare, preliminarmente, che, a parere di chi scrive, la S.C. ha correttamente ritenuto che le mascherine protettive – stante l’attuale legislazione emergenziale che, per molte attività della vita quotidiana, ne prescrive l’uso obbligatorio – debbano essere ricondotte nella categoria dei «prodotti di prima necessita», dovendosi per tali intendere quelle merci, di varia natura e genere, la cui disponibilità è indispensabile per lo svolgimento di una vita libera e dignitosa[19]. Difatti, le mascherine facciali protettive svolgono, in aggiunta alla regola del distanziamento sociale, una importantissima funzione di “barriera”, che si interpone tra individuo e individuo, rendendo molto più difficile la trasmissione del virus SARS-CoV-2 che, come noto, nella maggior parte dei casi, si diffonde tra le persone attraverso le goccioline respiratorie emesse da un individuo infetto – mediante tosse, starnuti o anche semplicemente parlando – e,  successivamente, inalate da altro soggetto sano, che si trovi nelle vicinanze.

Parimenti corretto è il ritenere che la condotta di produzione e successiva immissione sul mercato di detti beni mobili, con un rincaro del prezzo pari al 350%, nell’attuale periodo storico-economico caratterizzato dall’esponenziale aumento della domanda di detti dispositivi di protezione, sia da considerarsi speculativa. Come già evidenziato nel § 2, infatti, la locuzione «compiere manovre speculative», per la sua genericità, deve ritenersi una sorta di clausola di chiusura, atta a ricomprendere qualsivoglia tipologia di condotta commerciale diretta a fornire all’agente, ma a svantaggio di altri, un vantaggio in termini economici superiore rispetto a quello normalmente derivante dal commercio. Ciò posto, appare doveroso precisare, però, che il concetto in parola sembra riconducibile ad una sorta di “zona grigia”, interposta tra la sfera del lecito e quella dell’illecito; nel senso che, come noto, non tutte le manovre speculative assumono rilevanza penale, dovendosi valutare, al fine della ricorrenza della fattispecie di cui al primo comma dell’art. 501-bis c.p., l’idoneità delle stesse a «determinare la rarefazione o il rincaro sul mercato interno» delle merci oggetto della condotta dell’agente.

In merito, per maggiore chiarezza espositiva, si ribadisce che i fenomeni della rarefazione delle merci o del rincaro del loro prezzo, sul mercato interno, devono assumere, per intensità e durata, una sostanziale rilevanza ed eccezionalità, onde evitare che ogni momentanea penuria di merci – di per sé idonea a determinare un aumento dei prezzi – possa portare alla contestazione del reato de quo. Se di immediata soluzione appare la definizione del concetto di rarefazione, lo stesso non può dirsi relativamente a quello di rincaro, per la cui individuazione, stante l’impossibilità di determinare l’equo prezzo di ciascuna merce (parametro dotato dei caratteri di obiettività), sembra opportuno far riferimento al prezzo di mercato praticato antecedentemente alla condotta del soggetto agente[20]. Ciò chiarito, si comprende che la rilevanza penale della condotta di commercializzazione, con le indicate modalità e nella descritta situazione pandemica, di mascherine protettive, dipende dalla sua attitudine a determinare i descritti fenomeni sul «mercato interno».

Per meglio comprendere il significato di detto concetto, innanzi sommariamente descritto, occorre prendere le mosse dalla sentenza Salerno del 1989 con la quale la S.C. aveva affermato il principio secondo cui “Ai fini della sussistenza del reato di manovre speculative su merci (…) è pur sempre necessario che tale condotta presenti la connotazione della pericolosità prevista dall’art. 501-bis c.p. nei confronti dell’andamento del mercato interno e, cioè, per essa, per le dimensioni dell’impresa, la notevole quantità delle merci e la possibile influenza sui comportamenti degli altri operatori del settore, possa tradursi in un rincaro dei prezzi generalizzato, o, comunque, diffuso; invero, la consumazione del reato richiede la sussistenza di comportamenti di portata sufficientemente ampia da integrare un serio pericolo per la situazione economica generale, con il rilievo che la locuzione <mercato interno> rende certamente configurabile la fattispecie criminosa anche quando la manovra speculativa non si rifletta sul mercato nazionale, ma soltanto su di un mercato locale, però il pericolo della realizzazione degli eventi dannosi deve riguardare una zona abbastanza ampia del territorio dello Stato, in modo da poter nuocere la pubblica economia[21].

Riassumendo, il concetto di «mercato interno», sebbene non debba ritenersi coincidente con quello di mercato nazionale, deve tuttavia ritenersi evocabile solamente ove si tratti di fenomeni riguardanti una zona sufficientemente ampia del territorio nazionale (anche se coincidente con un mercato locale). In applicazione delle indicazioni fornite dalla S.C. con la citata sentenza del 1989, il giudice del merito sarà chiamato ad effettuare una valutazione circa la descritta connotazione di pericolosità della condotta speculativa posta in essere dall’agente, all’uopo dovendo considerare le dimensioni dell’impresa, la quantità delle merci e la possibile influenza che la condotta speculativa stessa può avere sui comportamenti degli altri operatori del settore.

Il giudice, quindi, deve effettuare un’approfondita analisi volta ad accertare con quali modalità la condotta “speculativa” venga posta in essere e che rilevanza la stessa possa avere in relazione al mercato interno, nell’accezione innanzi indicata. In altre parole, il giudice è sempre chiamato ad effettuare uno sforzo di contestualizzazione del fatto, con particolare attenzione alla sua idoneità lesiva rispetto all’interesse tutelato dalla norma incriminatrice de qua (che deve essere verificata secondo un giudizio ex ante), non ricorrendo altrimenti uno dei presupposti indispensabili della fattispecie incriminatrice in parola.

In buona sostanza, la condotta speculativa non è idonea, di per sé, ad integrare la fattispecie delittuosa in parola; è la descritta connotazione di pericolosità, infatti, a far assumere rilevanza penale alla condotta in analisi.

Ciò posto, per ovvi motivi, nel presente lavoro non sarà possibile approfondire il complesso tema dell’accertamento, in concreto, dell’idoneità «a determinare la rarefazione o il rincaro sul mercato interno» dei «prodotti di prima necessità» che deve connotare la manovra speculativa. Con prudenza, richiamate le indicazioni da tempo fornite dalla S.C., ci si limita ad osservare che l’attuale mercato globale, caratterizzato dalla grande catena distribuita e dal c.d. e-commerce, rende estremamente complicato affermare che la condotta speculativa, posta in essere da un singolo operatore commerciale, sia, anche solo astrattamente, idonea ad influenzare i comportamenti degli altri operatori del settore e, di conseguenza, a determinare un rincaro generalizzato dei prezzi.

Quanto innanzi sostenuto è confermato, oltreché dalle conclusioni a cui è pervenuta la S.C. con la sentenza annotata, dal fatto che la fattispecie di cui all’art. 501-bis c.p., dopo un primo periodo immediatamente successivo alla sua introduzione, ha avuto scarsissima applicazione pratica, tanto che autorevole dottrina è giunta pure a dubitare della sua utilità[22].

Con ciò, però, non si vuole genericamente affermare la liceità di ogni condotta speculativa e l’inidoneità delle stesse a configurare il delitto de quo; si pensi al caso, pur residuale, in cui la condotta in analisi sia posta in essere dall’operatore commerciale avente una importantissima struttura imprenditoriale nel settore e quantitativi di merci assai considerevoli. In ogni caso, le manovre speculative tout court (rectius, prive della connotazione di pericolosità di cui all’art. 501-bis c.p.) ben potrebbero essere sanzionate dal punto di vista amministrativo se poste in essere mediante «pratiche commerciali scorrette» (si v. art. 20 del codice del consumo).

Tanto evidenziato, a parere dello scrivente, l’orientamento assunto dalla S.C. – in considerazione delle circostanze fattuali descritte in sentenza con riferimento alla struttura imprenditoriale della Società riconducibile all’indagato – è da ritenersi corretto poiché rispettoso dei tratti caratterizzanti la fattispecie di «manovre speculative su merci».

Il legislatore del 1976, infatti, ha specificatamente connotato, nei termini già evidenziati, la condotta speculativa degli esercenti un’attività produttiva o commerciale.

In conclusione, appare corretto ritenere che la vendita di mascherine protettive da parte di un operatore commerciale ad un prezzo irragionevolmente elevato sia una condotta certamente suscettibile, in astratto, di integrare gli estremi del delitto di cui all’art. 501-bis c.p. poiché sussumibile nel concetto di «manovra speculativa», avente ad oggetto «beni di prima necessità». Ai fini della configurabilità del reato, però, il giudice sarà chiamato a valutare, con attenzione ed oculatezza, tutti gli elementi del caso concreto, offerti alla sua cognizione, onde appurare se la condotta posta in essere dall’agente possa tradursi in un rincaro dei prezzi generalizzato o, comunque, diffuso; al fine, così, di sceverare il comportamento speculativo in grado di determinare l’effettiva messa in pericolo del bene giuridico «economia pubblica» da quello originatosi in un normale contesto di mercato, in cui inevitabilmente l’aumento della domanda comporta l’aumento del prezzo.

[1] Sul tema si v. CONTI, voce Rialzo e ribasso fraudolento di prezzi o valori, in Noviss. dig. it., XV, Torino, 1957, 842 ss.; BONDI, La risposta dell’autore, in Indice pen., 2002, 911; MAGRO, Aggiotaggio, in CADOPPI-CANESTRARI-MANNA-PAPA (diretto da), Trattato di diritto penale, Parte speciale, V, I delitti contro la fede pubblica e l’economia pubblica, Torino, 2010, 672 s.

[2] MAGRO, Aggiotaggio, cit., 676 e 681.

[3] R. CURCI, Manovre speculative su merci, in CADOPPI-CANESTRARI-MANNA-PAPA (diretto da), Trattato di diritto penale, Parte speciale, V, I delitti contro la fede pubblica e l’economia pubblica, Torino, 2010, 735; sul tema si v. anche POLVANI, La repressione delle manovre speculative sulle merci nell’art. 501-bis del codice penale, in Riv. it. dir. proc. pen., 1974, 1021.

[4] Sul tema si v. Relazione Senatore Rosi alla 2a Commissione permanete al Senato. In dottrina si v. C. LATTANZI, Sub art. 501-bis c.p., in G. LATTANZI – E. LUPO, Codice penale, Rassegna di giurisprudenza e dottrina, VI, I delitti contro la fede pubblica, I delitti contro l’economia pubblica, L’industria e il commercio, I delitti contro la moralità pubblica e il buon costume, I delitti contro il sentimento per gli animali, i delitti contro la famiglia, Milano, 2016, 586.

[5] R. CURCI, Manovre speculative su merci, cit., 736; si veda altresì MAGRO, Aggiotaggio, cit., 682, il quale precisa che l’artificio, tipico del delitto di aggiotaggio, «che allude ad un’immutatio rei, ad un ché di fittizio e di artefatto, non può includere operazioni speculative prive di quei requisiti, a pena di una violazione del principio di legalità».

[6] Sul tema, si v. più diffusamente MAGRO, Aggiotaggio, cit., 675 s. e 682 s.; SVAMPA, Reati economici e supplenza giudiziaria: il caso dell’aggiotaggio immobiliare (art. 501 bis c.p.) e la legislazione sull’equo canone, in Riv. pen. economia, 1991, 389; in senso differente C. PEDRAZZI, Turbativa dei mercati, in Digesto pen., Torino, 1999, 424; ID, Mercati finanziari (disciplina penale), in Digesto pen., III, Torino, 1993, 654; ID, Problemi del delitto di aggiotaggio, Milano, 1958.

[7] In tal senso, si v. MAGRO, Aggiotaggio, cit., 683.

[8] FIANDACA-MUSCO, Diritto penale, Parte speciale, I, Bologna, 2006, 618.

[9] Sul tema si v. CONTI, voce Manovre speculative su merci, in Noviss. Dig. it., App. IV, Torino, 1983, 1099; C. LATTANZI, Sub art. 501-bis c.p., cit., 586.

[10] Espressione contenuta nel primo comma dell’art. 501-bis c.p. e richiamata nel secondo comma della medesima norma.

[11] N. MAZZACUVA, I delitti contro l’economia, l’industria ed il commercio, in U. GUERINI-N. MAZZACUVA (a cura di) Codice di diritto penale dell’economia, Rimini, 1992, 789; POLVANI, La repressione, cit., 1025; CURCI, Manovre speculative, cit., 737; in senso difforme si v. PEDRAZZI, voce Turbativa dei mercati, in Dig. disc. pen., XIV, Torino, 1999, 427.

[12]  Sul tema si v. N. MAZZACUVA, I delitti contro l’economia, cit., 789; CARCANO, Brevi note in tema di «manovre speculative» in danno dei consumatori, in Cass. pen., 1992, 10. 2364; in giurisprudenza si v. Trib. Lecce Ord., 21.4.2020, n. 6.

[13] CONTI, voce Manovre speculative, cit., 100.

[14] La S.C. ha chiarito che il reato in parola non è configurabile nel caso di manovre speculative aventi ad oggetto beni immobili, quali edifici o terreni (Cass. pen., Sez. VI. Ord. 26.5.1979, n. 2030); sul tema, inoltre, la Corte Costituzionale ha affermato essere “manifestatamente inammissibile la questione di legittimità costituzionale dell’art. 501-bis c. p., in riferimento agli artt. 3, 24, 25, 41 e 42 Cost., poiché l’eventuale accoglimento dell’eccezione, che denuncia la mancata previsione nella norma incriminatrice del fatto di colui il quale compia manovre speculative su beni immobili, porterebbe sostanzialmente alla creazione di una nuova fattispecie penale, compito invero spettante esclusivamente al legislatore”.

[15] In dottrina si discute se l’idoneità della condotta debba essere intesa come idoneità concreta (in tal senso, N. MAZZACUVA, I delitti contro l’economia, cit., 790) oppure astratta (in questo senso CONTI, voce Manovre speculative, cit., 1099).

[16] Cass. pen., 13-11-1980; Cass. pen. Sez. VI, 15-05-1989. In dottrina, si v. CONTI, voce Manovre speculative, cit., 844; POLVANI, La repressione, cit., 1034; LA CUTE, Le manovre speculative su mercati: una nuova ipotesi di aggiotaggio, in Giur. merito, 1978, III, 755.

[17] CURCI, Manovre speculative, cit., 739 e 741.

[18] Cass. pen, Sez. VI, 2.3.1983, n. 2385; in dottrina si v. POLVANI, La repressione, cit., 1034.

[19] In tal senso, si v. Trib. Lecce Ord., 21-04-2020, n. 6; Trib. Vicenza Ord., 27.5.2020, n. 38.

[20] Sul tema si v. POLVANI, La repressione, cit., 1037.

[21] Cass. pen. Sez. VI, 15-05-1989.

[22] FIANDACA-MUSCO, Diritto penale, Parte speciale, I, Bologna, 2006, 618; sul tema, in giurisprudenza si v. Trib. Lecce Ord. 21.4.2020, n. 6.

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