La Corte costituzionale torna a pronunciarsi sull’art. 41-bis O.P., dichiarando la parziale illegittimità dell’attuale formulazione del comma 2-quater, lettera e) della predetta norma.
In particolare, nell’ottica della Consulta la declaratoria di illegittimità si rende necessaria in quanto una siffatta formulazione della disposizione violerebbe il diritto di difesa ex art. 24 Cost., atteso che si imporrebbe un visto di censura sulla corrispondenza tra il detenuto sottoposto al regime di c.d. “carcere duro” di cui all’art. 41-bis O.P. e il proprio difensore.
Nella presente sentenza (rel. Cons. Francesco Viganò), che accoglie la questione di legittimità costituzionale sollevata dalla Suprema Corte, si osserva come il diritto di difesa comprenda certamente – specie nell’ampia declinazione resane dalla stessa Consulta e dalla Corte EDU – il diritto di comunicare in modo riservato con il proprio difensore.
Diversamente opinando si priverebbe il detenuto di un efficace strumento di tutela contro eventuali abusi delle autorità penitenziarie.
Prosegue la Corte evidenziando che, pur essendo vero che tale diritto non ha carattere assoluto e che i detenuti in regime di 41-bis sono ordinariamente sottoposti a incisive restrizioni dei propri diritti fondamentali, allo scopo di impedire ogni contatto con le organizzazioni criminali di appartenenza, vero è anche che il visto di censura sulla corrispondenza del detenuto con il proprio difensore si risolve in una irragionevole compressione del suo diritto di difesa.
D’altra parte, per effetto della sentenza della Corte Costituzionale n.143 del 2013, il detenuto può sempre avere colloqui personali con il proprio difensore, senza alcun limite quantitativo e senza alcun vaglio sui contenuti dei colloqui stessi da parte delle autorità penitenziarie.
Di talché il visto di censura previsto dalla norma dichiarata illegittima con la sentenza de qua operando automaticamente, pur in assenza di qualsiasi elemento concreto che consenta di ipotizzare condotte illecite da parte del difensore, riflette una «generale e insostenibile presunzione […] di collusione del difensore dell’imputato, finendo così per gettare una luce di sospetto sul ruolo insostituibile che la professione forense svolge per la tutela non solo dei diritti fondamentali del detenuto, ma anche dello stato di diritto nel suo complesso».
Peraltro, evidenzia la Consulta come già talune circolari del Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria risalenti al 2017 avevano escluso la legittimità di qualsivoglia controllo sulla corrispondenza tra detenuti in 41-bis e i propri difensori.
Sulla base di tali premesse, la Corte costituzionale ha dichiarato la parziale illegittimità della norma, per violazione dell’art. 24 Cost., nella parte in cui non esclude dalla sottoposizione a visto di censura la corrispondenza intrattenuta con i difensori.