Segnaliamo ai lettori che la Corte Costituzionale ha dichiarato non fondate le questioni di legittimità costituzionale – sollevate dal Tribunale ordinario di Napoli – dell’art. 656, comma 9, lettera a), c.p.p., nella parte in cui stabilisce che la sospensione dell’esecuzione di cui al comma 5 della medesima norma non può essere disposta nei confronti dei condannati per i delitti di cui all’art. 4 bis della legge 26 luglio 1975, n. 354 (Norme sull’ordinamento penitenziario e sull’esecuzione delle misure privative e limitative della libertà), con riferimento al delitto di cui all’art. 291-ter, comma 1, del decreto del Presidente della Repubblica 23 gennaio 1973, n. 43 (Approvazione del testo unico delle disposizioni legislative in materia doganale), per contrasto con gli artt. 3 e 27 della Costituzione.
Infatti, si legge nella sentenza, che l’art. 656, comma 9, lettera a), c.p.p. è già stato oggetto di esame da parte della Consulta che, nei suoi precedenti (Sent. 125/2016; 216/2019), ha rilevato che la disposizione, nella parte in cui prevede che la sospensione dell’esecuzione delle pene detentive brevi (secondo la regola fissata dal comma 5 del medesimo art. 656), non possa essere disposta «nei confronti dei condannati per i delitti di cui all’art. 4-bis della legge 26 luglio 1975, n. 354, e successive modificazioni», costituisce un vincolo per l’attività del pubblico ministero, posto «in funzione della presunzione di pericolosità che concerne i condannati per i delitti compresi nel catalogo appena citato».
Il Tribunale di sorveglianza ha il compito di « valutazione le istanze di condannati, i quali, dopo l’ordine di carcerazione e l’eventuale provvedimento sospensivo, chiedano l’accesso a forme alternative di esecuzione della pena». Se, allora, è indubbio che il meccanismo di sospensione automatica dell’ordine di esecuzione di cui all’art. 656, comma 5, c.p.p. sia anche funzionale ad evitare l’inutile ingresso nel sistema penitenziario di condannati che potrebbero essere ammessi a misure alternative sin dall’inizio dell’esecuzione della pena, non può d’altra parte negarsi un «margine di discrezionalità del legislatore, sempre entro i limiti segnati dalla non manifesta irragionevolezza, nella definizione delle categorie di detenuti che di tale meccanismo possono beneficiare».
Resta così possibile che peculiari situazioni suggeriscano al legislatore di imporre un periodo di carcerazione in attesa che l’organo competente decida sull’istanza di affidamento in prova. Ciò può dipendere, ad esempio, dalla particolare pericolosità di cui, secondo il legislatore, sono indice determinati reati, pericolosità alla quale si intende rispondere inizialmente con il carcere, secondo la ratio cui si ispira l’art. 656, comma 9, lettera a), cod. proc. pen., nell’indicare specifici delitti per i quali è esclusa la sospensione dell’ordine di esecuzione della pena.
Pertanto, poichè che le condotte sanzionate dal citato art. 291-bis sono «destinate a ledere l’ordine e la sicurezza pubblica, ben più di quanto possa ritenersi per le altre violazioni doganali», il legislatore ha inteso «abbraccia (re) sempre più l’esigenza di reprimere adeguatamente un fenomeno criminale caratterizzato […] da una crescente recrudescenza alla luce dell’ancora più marcato coinvolgimento delle organizzazioni criminali, anche sul piano internazionale, capaci di movimentare ingenti capitali e di realizzare profitti elevati su vasta scala».
La presunzione di pericolosità inerente a tutte le ipotesi previste dall’art. 291-ter del d.P.R. n. 43 del 1973, che è a fondamento del loro inserimento tra le fattispecie incriminatrici ostative alla sospensione dell’esecuzione della pena, ai sensi dell’art. 656, comma 9, lettera a), cod. proc. pen., trova giustificazione nella comparazione delle diverse caratteristiche delle condotte di contrabbando di tabacchi lavorati esteri semplice o aggravate.
In questa prospettiva, il divieto di sospensione dell’ordine di esecuzione della condanna per il delitti di cui all’art. 4 bis della legge 26 luglio 1975, n. 354, trova la propria ratio nella discrezionale, e non manifestamente irragionevole, presunzione del legislatore relativa alla particolare gravità del fatto e alla speciale pericolosità soggettiva manifestata dall’autore.
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