1.
Con ordinanza del 12 febbraio 2020, è stata sollevata – in riferimento agli artt. 13 e 117, primo comma, della Costituzione, quest’ultimo in relazione all’art. 5, paragrafo 1, della Convenzione europea dei diritti dell’uomo (CEDU), nonché al «principio di ragionevolezza» – questione di legittimità costituzionale dell’art. 299, comma 3-bis, del codice di procedura penale, nella parte in cui, per come interpretato dal diritto vivente, imporrebbe al giudice di sentire il pubblico ministero anche in caso di perdita di efficacia della misura cautelare personale per intervenuto proscioglimento dell’imputato, ai sensi dell’art. 300, comma 1, cod. proc. pen.;
Il giudice a quo censura altresì, per contrasto con l’art. 32, primo comma, Cost., l’art. 300 c.p.p. nella parte in cui, in caso di proscioglimento dell’imputato in stato di custodia cautelare, si subordina – giusta il rinvio all’art. 312 cod. proc. pen. – l’applicazione provvisoria della misura di sicurezza del ricovero in ospedale psichiatrico giudiziario (da eseguirsi oggi in una residenza per l’esecuzione delle misure di sicurezza – in seguito: REMS) alla previa richiesta del pubblico ministero.
Il rimettente denuncia infine – sempre per contrasto con l’art. 32 Cost. – che l’art. 222, primo comma, del codice penale, nella parte in cui dispone che, in caso di proscioglimento per infermità psichica, la misura di sicurezza del ricovero in ospedale psichiatrico giudiziario (da eseguirsi in una REMS) sia ordinata per un tempo non inferiore a due anni.
2.
È intervenuto in giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, chiedendo che le questioni fossero dichiarate inammissibili o manifestamente infondate. Invero, si ritiene che il rimettente assume che l’applicazione della misura di sicurezza abbia comportato una «declaratoria implicita di perdita di efficacia della misura cautelare custodiale in atto» e, viceversa, che la revoca della misura di sicurezza abbia comportato una “reviviscenza” della custodia cautelare. Tale ricostruzione sarebbe in aperto contrasto, da un lato, con il tenore degli artt. 300, comma 1, 532, comma 1, e 306, comma 1, cod. proc. pen., che impongono al giudice, in caso di proscioglimento, la declaratoria di immediata perdita di efficacia della misura cautelare e l’immediata rimessione in libertà dell’imputato; e, dall’altro lato, con l’autonomia strutturale tra misure cautelari e misure di sicurezza, risultante dalla giurisprudenza che nega l’applicabilità dell’art. 299 cod. pen. nel passaggio dall’una all’altra.
Inammissibile sarebbe la questione relativa agli artt. 300, comma 2, e 312 cod. proc. pen., poiché il remittente censura «l’ingiustificato “condizionamento” derivante ai poteri del giudice dalla previsione di una necessaria iniziativa del pubblico ministero» – risolvendosi tale censura nella sollecitazione di un intervento riservato alla discrezionalità del legislatore.
3.
Invero, la Consulta, con la sentenza n. 4 del 1992, ha dichiarato non fondata la questione di legittimità costituzionale dell’allora vigente art. 291, comma 1-bis, cod. proc. pen., che consentiva al giudice di disporre misure cautelari meno gravi solo se il pubblico ministero non avesse espressamente richiesto di provvedere in ordine alle misure indicate, evidenziando, tra l’altro, la coerenza di tale assetto normativo con «un modello processuale che dichiaratamente mira ad esaltare il ruolo delle parti ed a preservare, correlativamente, la terzietà del giudice». Tali principi si attanagliano anche al caso di specie, dovendosi ritenere che la necessità della richiesta del pubblico ministero per l’applicazione provvisoria di una misura di sicurezza sia conforme al modello “accusatorio” che costituisce cardine del vigente codice di rito e miri a preservare l’equidistanza del giudice dalle parti.
La previsione della richiesta del pubblico ministero quale «presupposto inderogabile sul piano processuale per abilitare il giudice a disporre l’applicazione provvisoria di una misura di sicurezza» (ancora sentenza n. 228 del 1999) costituirebbe una scelta non solo afferente all’ambito di discrezionalità del legislatore ma anche pienamente coerente con «un principio basilare che informa l’intero sistema della procedura penale».
4.
Relativamente alla prima questione di censura dell’art. 299, comma 3-bis, del codice di procedura penale, la Consulta ha ritenuto fondata l’eccezione dell’Avvocatura generale dello Stato di inammissibilità per irrilevanza. Il rimettente infatti deve decidere sulla richiesta del pubblico ministero di revocare l’applicazione provvisoria del ricovero in una residenza per l’esecuzione delle misure di sicurezza contestualmente alla sentenza con la quale, in esito a giudizio abbreviato, lo ha prosciolto per infermità mentale. L’applicazione provvisoria della misura di sicurezza, invero, costituisce vicenda distinta rispetto alla declaratoria di perdita di efficacia della custodia cautelare per intervenuto proscioglimento, ai sensi dell’art. 300, comma 1, del medesimo codice.
Deve escludersi, pertanto, che il rimettente sia chiamato, nel procedimento a quo, a fare nuovamente applicazione dell’art. 300, comma 1, cod. proc. pen., e che si ponga dunque in tale procedimento un problema di applicazione del censurato art. 299, comma 3-bis, cod. proc. pen., il quale prescrive – in via generale – la necessità del parere del pubblico ministero in caso di revoca o sostituzione delle misure cautelari coercitive o interdittive;
Con la seconda questione, il rimettente denuncia, per contrasto con l’art. 32, primo comma, Cost., l’art. 300, cod. proc. pen., nella parte in cui, in caso di proscioglimento dell’imputato in stato di custodia cautelare, subordini l’applicazione provvisoria della misura di sicurezza alla previa richiesta del pubblico ministero.
Il rimettente muove dal presupposto interpretativo, in sé non implausibile, secondo cui sarebbe necessaria la richiesta del pubblico ministero anche per l’applicazione provvisoria della misura di sicurezza all’imputato contestualmente prosciolto per vizio di mente, atteso che l’art. 300, comma 2, cod. proc. pen. dispone che «se l’imputato si trova in stato di custodia cautelare e con la sentenza di proscioglimento o di non luogo a procedere è applicata la misura di sicurezza del ricovero in ospedale psichiatrico giudiziario, il giudice provvede a norma dell’articolo 312», e quest’ultima disposizione richiede il parere del pubblico ministero per l’applicazione provvisoria della misura di sicurezza. Tuttavia tale parametro costituzionale è inconferente Invero, la giurisprudenza di questa Corte, che le REMS siano strutture «a esclusiva gestione sanitaria» (sentenza n. 99 del 2019), e che durante il ricovero debba essere assicurata all’internato ogni più opportuna terapia delle sue patologie psichiche, con lo scopo ultimo di assicurarne l’obiettivo della risocializzazione (sentenza n. 73 del 2020) attraverso un trattamento individualizzato volto anche al superamento, o al contenimento degli effetti, di tali patologie.
Per la Corte è sfornito di plausibilità l’assunto – implicito nella trama argomentativa del rimettente – di un interesse riconducibile alla sfera di tutela dell’art. 32 Cost., in capo all’imputato prosciolto per vizio di mente, a ottenere non già un trattamento (volontario o obbligatorio) strutturalmente funzionale alla tutela della sua salute mentale ai sensi degli artt. 33 e seguenti della legge 23 dicembre 1978, n. 833 (Istituzione del servizio sanitario nazionale), bensì l’applicazione della misura di sicurezza del ricovero in una REMS, interesse che sarebbe suscettibile di essere pregiudicato dall’eventuale inerzia del pubblico ministero nel richiedere l’applicazione in via provvisoria della misura.
Con la terza questione, il rimettente censura, ancora in riferimento all’art. 32 Cost., l’art. 222, primo comma, del codice penale, nella parte in cui dispone che, in caso di proscioglimento per infermità psichica, la misura di sicurezza del ricovero in una REMS sia ordinata per un tempo non inferiore a due anni. Tale questione difetta di rilevanza poiché nel procedimento a quo si discute unicamente dell’applicazione provvisoria della misura di sicurezza, regolata dagli artt. 206 cod. pen., 312 e 313 cod. proc. pen., i quali non prevedono alcuna durata minima di tale applicazione provvisoria.
La corte ha pertanto dichiarato manifestamente inammissibili le questioni di legittimità costituzionale degli artt. 299, comma 3-bis, 300, comma 2, del codice di procedura penale, e 222, primo comma, del codice penale, sollevate – in riferimento complessivamente agli artt. 13, 32 e 117, primo comma, della Costituzione, quest’ultimo in relazione all’art. 5, paragrafo 1, della Convenzione europea dei diritti dell’uomo (CEDU), nonché al «principio di ragionevolezza» – dal Giudice.