Sentenza Corte di Appello Salerno, n. 1235/2020 del 21.12.2020
La Corte ha esaminato l’appello dell’imputato, condannato in primo grado per tentato omicidio per aver investito, con la sua autovettura, la persona offesa che stava tentando di aggredire il fratello.
La condotta è stata riqualificata in termini di lesioni gravi, una volta risolte le problematiche sollevate dal difensore in relazione alla idoneità degli atti e alla prova della sussistenza dell’elemento soggettivo del delitto ex artt. 56 e 575 c.p.
E’ stata poi affrontata la questione della legittima difesa, invocata dalla difesa ma negata dalla Corte.
L’imputato ed il fratello, come già in altre occasioni, si erano recati presso il distributore di benzina della p.o., con cui era in corso una controversia, per scattare delle fotografie da esibire nel giudizio civile, ma per fare ciò si erano provocatoriamente posizionati proprio al centro della piazzola di rifornimento; altre volte la reazione della p.o. era stata solo verbale, ma in quella occasione si era verificato un tentativo di aggressione mediante un corpo contundente, per sventare la quale l’imputato aveva investito il gestore del distributore.
La Corte ha ritenuto che la condotta non possa essere scriminata ex art. 52 c.p. partendo dal presupposto, non unanimemente condiviso, che, nel silenzio del legislatore, anche la legittima difesa presupponga il requisito della involontarietà del pericolo, espressamente previsto per il riconoscimento dello stato di necessità ex art. 54 c.p.. In caso contrario, infatti, viene meno l’ingiustizia dell’offesa o la necessità della difesa, visto e considerato che il pericolo proviene dal fatto proprio e non dalla costrizione causata dalla condotta altrui. Sicché si è ritenuto che la necessità difensiva indicata dal legislatore nella norma di cui all’art. 52 c.p. comporti l’esclusione di qualsiasi caso di volontaria determinazione di una situazione di pericolo (ad esempio quelli in cui l’agente abbia nnescato una sorta di duello o di sfida contro il suo avversario, o attuato una spedizione punitiva, o posto in essere una provocazione nei suoi confronti) dalla quale era prevedibile o ragionevole attendersi che insorgesse la necessità di difendersi dall’altrui aggressione. E’ stato da ultimo evidenziato che la legittima difesa potrebbe essere riconosciuta unicamente qualora, contrariamente a quanto accaduto nel caso di specie, il provocatore abbia dovuto subire una reazione dell’avversario assolutamente imprevedibile e del tutto sproporzionata rispetto all’iniziale provocazione.
Sentenza della Corte di Appello di Salerno n. 319/2021 del 15.2.2021
La Corte ha esaminato l’appello dell’imputato, condannato in primo grado per aver detenuto a fini di spaccio 31 kg di marijuana con bassissimo principio attivo, variabile tra lo 0,36% e lo 0,84%.
Riassunti gli orientamenti giurisprudenziali in tema di efficacia drogante della sostanza, la Corte ha affrontato il problema relativo mancato superamento, da parte di molti campioni, della percentuale dello 0,6%, ad avviso della difesa individuata dalla legge 242 del 2016 come soglia al di sotto della quale la sostanza può essere sempre commercializzata.
Sul punto, ricostruita la normativa in materia di cd. cannabis light, è stato ribadito il principio stando al quale i limiti fissati dalla stessa possono scriminare la condotta dell’agricoltore che coltiva la sostanza per le finalità tassativamente indicate dalla legge (ad es. produzione di alimentari, cosmetici, fibre, oli, carburanti, florovivaismo), ma giammai la commercializzazione delle foglie ed infiorescenze, sia quando la stessa sia effettuata da parte di coloro che operano nell’ambito della suddetta normativa, sia, ovviamente e a maggior ragione, quando, come nel caso concreto scrutinato, la detenzione della sostanza avvenga completamente al di fuori dei canali legali puntualmente individuati.
In questa seconda ipotesi, ha anche affermato la Corte, non vi è alcuna possibilità di invocare, l’errore di diritto che, stante la complessità della suddetta normativa, ai sensi dell’art. 47 co. 3 c.p., potrebbe comportare la non punibilità della condotta.
Infine, è stato affrontato il problema relativo alla prova della sussistenza dell’errore di fatto invocato dall’appellante quale causa di esclusione dell’elemento soggettivo.