Corte cost., 18 novembre 2020 (dep. 23 dicembre 2020), n. 278
1. «La legge penale può essere “ragionevolmente” retroattiva»: è questo, nella sostanza, l’approdo della sentenza 278/2020 con cui la Corte Costituzionale ha respinto le eccezioni di illegittimità costituzionale dell’art. 83, 4° comma del decreto legge 17 marzo 2020 n. 18.
Non è e non vuol essere quella appena formulata asserzione provocatoria, né tanto meno frutto d’ironia ma, se mai, amara constatazione del superamento di un primario principio costituzionale: quello di irretroattività in materia penale.
Né ad attenuare il potenziale impatto di questa sentenza – che merita con ogni probabilità d’essere definita “storica” salvo ad ognuno di declinarne la valenza positiva o negativa – sul sistema penale, serve il fatto che abbia ad oggetto un istituto attinente alla punibilità quale la prescrizione.
Istituto da tempo sotto attacco dalla politica, dalla magistratura e da certa dottrina, e che pure aveva resistito grazie alle sapienti e rigorose prese di posizione della stessa Consulta nella vicenda “Taricco”[1].
E, d’altro canto, è canone degno di von Clausewitz quello di sferrare l’attacco per sfondare le linee nemiche nel punto più vulnerabile e già fiaccato.
Non è questa la sede per tornare sul tema della natura, della importanza, financo del rilievo costituzionale della prescrizione – temi ben noti quanto sviliti e sovente falsati – perché non è questo il punto su cui credo si debba riflettere.
L’attenzione penso vada polarizzata sulla portata della decisione della Corte e sul percorso logico seguito per motivarla.
Da verificare è la potenzialità che la sentenza e gli argomenti che la sorreggono esprimono rispetto al sistema penale nel suo complesso relazionato ai principi costituzionali.
2. La sintesi della decisione: la norma di cui all’art. 83 comma IV del d.l. 17.3.2020 n. 18, che dispone la sospensione del decorso della prescrizione anche per i fatti posti in essere prima della sua emanazione, non contrasta con il principio di irretroattività di cui all’art. 25, 2° comma della Carta Costituzionale perché non fa altro che specificare l’art. 159, 1° comma del codice penale secondo cui la prescrizione è sospesa quando la legge sospende il processo; norma alla cui “preesistenza” si deve aver riguardo per verificare la soddisfazione del principio sopraenunciato.
Ne consegue che – ad avviso della Corte – al legislatore è demandato il potere di prevedere cause di sospensione del processo con conseguente – purché esplicita – sospensione della prescrizione (anche) per reati anteriormente commessi.
L’argomentazione impiegata dai giudici della Consulta per legittimare il potere così conferito al legislatore riecheggia le teoriche che, nella diversa materia di riserva della legge in materia penale vennero formulate da certa dottrina e in parte recepite dalla giurisprudenza per legittimare costituzionalmente le norme penali in bianco[2].
S’asseriva che la riserva fosse soddisfatta anche da quella legge che si limitasse a sanzionare la violazione di altra e futura norma pur di rango inferiore alla legge.
La c.d. “disobbedienza in quanto tale” – ché così fu criticamente etichettata quella teoria – doveva bastare a soddisfare la riserva di legge costituzionalmente prevista per la materia penale; il fatto che, in buona sostanza, fosse la seconda norma ad operare in concreto la scelta di politica penale non doveva rilevare.
Mi sia concesso al riguardo e mi basti rimandare alle pagine con cui – oltre cinquant’anni fa – Franco Bricola bollò quelle teoriche come volte ad aggirare ed a svuotare di significato il principio costituzionale in questione[3].
Mutatis mutandis, se pure ad altro proposito e con diversa finalità, non v’è chi non veda come similare ragionamento sia alla base dell’invocazione del citato articolo 159, 1° comma operato dalla Consulta per legittimare l’evidente ed innegabile retroattività della norma oggi in esame.
Parafrasando l’indimenticato Maestro e la appena menzionata sua basilare (e ben nota ma forse non a tutti i giovani e pur brillanti studiosi) opera dedicata ai principi costituzionali del diritto penale, è facile rilevare che non è il citato articolo del codice penale ma la successiva norma, di volta in volta adottata dal legislatore, a stabilire – con effetto anche ai fatti ad essa pregressi – la sospensione del decorso della prescrizione.
Davvero difficile ci pare – e pur lo si è tentato – negare che l’art. 159, 1° comma c.p. risponda perfettamente allo schema della norma in bianco onde non possa legittimare l’introduzione di future fattispecie di sospensione con effetto retroattivo. D’altro canto di questo problema s’erano già fatte carico alcune ordinanze di rimessione[4].
Non solo: la stessa Corte di Cassazione, nella decisione con cui aveva respinto l’eccezione di incostituzionalità, dichiarandone la manifesta infondatezza, della norma ora legittimata dalla Corte Costituzionale, aveva esplicitamente e motivatamente asserito che «la sospensione della prescrizione [qui in esame] non è riconducibile a parere del Collegio, alla disciplina generale dettata dall’art. 159 cod. pen.».
Aggiungeva che «non si può semplicemente concludere che il legislatore abbia introdotto una nuova causa di sospensione tra le tante».
E ciò – continuava la Corte con logica giuridicamente impeccabile – in quanto «diversamente ragionando dubbi di incostituzionalità sorgerebbero con riguardo all’art. 159 cod. pen., che risulterebbe disposizione contenente al suo interno una deroga indeterminata al principio di irretroattività, e risulterebbe perciò incostituzionale proprio in quanto consentirebbe di applicare retroattivamente le successive cause di sospensione del corso della prescrizione, introdotte per suo tramite. Come a dire che il legislatore avrebbe finito per consentire una manifestazione del potere legislativo in deroga al principio di irretroattività consentendo di introdurre retroattivamente norme derogatorie. Tale esegesi – come peraltro osservato anche dalla dottrina –, si risolverebbe in un surrettizio aggiramento del principio di irretroattività in peius»[5].
Schietta e lineare asserzione dommatica questa della Corte regolatrice, così difficilmente contestabile, che la stessa aveva dovuto addurre a motivazione della legittimità della norma ritenuta retroattiva, addirittura, la derogabilità dei principi costituzionali in presenza di situazione eccezionali, asserendo che «l’emergenza non sta affatto “fuori” della Costituzione». Ha dovuto, cioè, teorizzare uno “stato d’eccezione” costituzionalmente inaccettabile e su cui brevemente tornerò.
Riprendendo le fila del discorso e tornando alla sentenza della Corte Costituzionale qui in esame, ad arginare il vulnus che in tal modo essa crea rispetto al canone della irretroattività va detto che non valgono le rassicurazioni che la sentenza tenta di fornire: alludo ai passi della decisione in cui s’asserisce che non v’è motivo di temere che si sia aperta la via a possibili abusi del legislatore perché ferme restano altre garanzie. Senonché queste si rivelano ora ben poco convincenti, ora addirittura eccentriche rispetto al tema.
Così è per «la garanzia della riserva di legge delle ipotesi di sospensione del procedimento o del processo» che «rimane in ogni caso».
Qui l’affermazione sconta addirittura una erronea prospettazione giuridica: la confusione e la reciproca insurrogabilità tra il principio di riserva di legge e quello di irretroattività in materia penale. Appena il caso di rammentare che il primo è volto a garantire il monopolio normativo in materia penale del legislatore rispetto a fonti inferiori; è garanzia proprio in favore del legislatore come espressione della democrazia rappresentativa.
Il secondo – al contrario – è posto a garanzia della certezza del diritto e quindi a tutela del cittadino rispetto al possibile abuso del legislatore.
Invocare quello per supplire a questo è semplicemente sbagliato e non poco fuorviante.
Davvero misero, di poi, l’antidoto consistente nel fatto che comunque «la nuova causa di sospensione – pur applicabile anche a condotte pregresse – non può decorrere da una data antecedente alla legge che la prevede».
Non certo rassicurante, poi, il richiamo – con cui ci si vorrebbe tranquillizzare – ai «principi di ragionevolezza e proporzionalità (art. 3, primo comma Cost.) a confronto dei quali sarà sempre possibile il sindacato di legittimità costituzionale della stessa sospensione dei procedimenti penali».
Quanto lasche ed a larghe e mutevoli maglie siano questi criteri bene si sa, ma ancora una volta l’argomento non è pertinente al tema: non è in questione il buon governo delle scelte del legislatore rispetto alla creazione di casi di sospensione della prescrizione come conseguenza di quella del processo, ma la ben diversa quaestio della retroattività della sospensione del suo decorso. Come dire che, pur ammesso – ed è dato dubitarne – che quelle decisioni siano ragionevoli ed opportune, resta intatto il problema della applicabilità ai fatti pregressi dell’effetto sulla prescrizione. Di nuovo, quindi, argomento prima che infondato, erroneo.
Si consideri che sul piano della ragionevolezza la valutazione coniuga la misura adottata con la situazione materiale in forza della quale essa è assunta: la eccezionalità di questa può – fondatamente o meno – motivare quella ma questione ben diversa è quella attinente il rispetto del limite costituzionale dell’irretroattività.
Oggi è la pandemia che si pretende giustifichi il retroattivo prolungamento della prescrizione; ma, allo stesso modo, cosa esclude che domani sia la gravità – reale o presunta – di un fenomeno criminale che desta particolare allarme sociale ad essere invocata per giustificare un “ragionevole” intervento penale con effetto retroattivo?!
Né è esaustiva obiezione la necessità della preesistenza di una legge cui – come per l’art. 159, 1° comma c.p. – ancorare la nuova disposizione.
Tante ed innumerevoli le norme che contengono elementi normativi capaci delle più varie integrazioni ai quali, alla stregua di quanto argomenta la Corte, non si estenderebbe il vincolo costituzionale della irretroattività.
Ancora: confuso ed inconferente appare, di poi, il riferimento alla valenza processuale della prescrizione con cui vorrebbe ulteriormente suffragarsi il risolutivo rimando all’art. 159, primo comma cod. pen. Asserire che «anche le regole del processo possono avere un’incidenza sulla disciplina della prescrizione» costituisce affermazione per un verso incondivisibile e per altro inconcludente rispetto al problema oggetto del giudizio della Corte.
Sotto il primo profilo la stessa sentenza ribadisce la natura sostanziale della prescrizione non rinnegando la sua giurisprudenza al riguardo che, anzi, esplicitamente riconferma.
Sotto altro profilo, innegabile che la prescrizione possa – come qualsiasi istituto di diritto penale sostanziale – rilevare sul piano processuale, ma da questo non può dedursi non solo la sua natura processuale, ma neanche che ciò implichi la non applicabilità dei principi costituzionali dettati – appunto – per il diritto penale sostanziale.
Come dire che il mutamento di disciplina dell’istituto sul piano (ovviamente) sostanziale potrà avere ricadute processuali ma ciò non incide sul fatto che la sua efficacia non potrà retroagire ai fatti commessi prima della modifica stessa.
A petto di tutto ciò sta il principio di irretroattività in materia penale la cui inderogabilità è stata più volte asserita dalla stessa Corte Costituzionale[6] oltreché unanimemente riconosciuta in dottrina come irrinunciabile[7]. Divieto di retroattività in malam partem riconosciuto anche dalla Corte EDU che ne predica l’irrinunciabilità anche «in caso di guerra o di altro pericolo pubblico che minacci la vita della nazione»[8].
Occorre forse rammentare che il rispetto dei principi fondamentali – recepiti per altro dalla Costituzione – serve e si impone solo quando la situazione li pone in discussione o in pericolo?!
Non è allora un fuor d’opera ribadire che lo stato d’eccezione è estraneo alla nostra Costituzione ed antitetico ai suoi valori pur se non è mancato chi ha voluto prospettare – proprio con riferimento alla situazione determinata dal COVID19 ed ai relativi provvedimenti normativi – una sua versione soft [9].
La sintesi del discorso riporta quindi all’esordio: secondo la Consulta la Carta fondamentale consente in materia penale una retroattività … ragionevole!
Canone che nessuna ipocrisia basta a nascondere come del divieto di retroattività in materia penale esso sia la perfetta negazione.
Se, liberandoci per un attimo dall’ossessiva discussione sulla prescrizione, allarghiamo l’orizzonte al diritto penale nel suo complesso, non è forse eccessivo asserire che si scorgono prospettive piuttosto inquietanti.
3. Sentenza – quella di cui stiamo dicendo – frutto di non poco travaglio interno alla Corte di cui è segno la inusuale ma eloquente vicenda – riportata in sentenza – della sostituzione del relatore dissenziente onde la sua stesura per mano d’altro giudice; e – è da presumere – per la mutata ispirazione che la segna rispetto alla pregressa giurisprudenza della Consulta, segnatamente alle menzionate pronunce sul caso Taricco.
Ci pare ciò emerga dal procedere in modo, per vero non proprio lineare della motivazione: una enunciazione diffusa – quasi celebrativa – dei principi garantisti della legalità costituzionale in materia penale e dell’irretroattività in specie che lascerebbe presagire al(lo sprovveduto) lettore una pronuncia di illegittimità costituzionale della norma scrutinata, seguita, però, da un brusco ripiegare sul più volte citato articolo codicistico – il 159, 1° comma – per giungere ad opposta conclusione. Un revirement rispetto alla premessa che suona quasi excusatio non petita … con quel che segue: ognuno dia la sua interpretazione.
Nell’ampio esordio si riafferma non solo e non tanto il carattere sostanziale della prescrizione, ma – riferendosi anche a pregresse pronunce – si proclama senza infingimenti che «La garanzia del principio di legalità (art. 25, secondo comma. Cost.) nel suo complesso (tale perciò da coprire anche le implicazioni sostanziali delle norme processuali) dà corpo e contenuto a un diritto fondamentale della persona accusata di aver commesso un reato, diritto che – avendo come contenuto il rispetto del principio di legalità – da una parte, non è comprimibile non entrando in bilanciamento con altri diritti in ipotesi antagonisti; si tratta, infatti, di una garanzia della persona contro i possibili arbitri del legislatore, la quale rappresenta un valore assoluto, non suscettibile di bilanciamento con altri valori costituzionali» e s’aggiunge «Dall’altra parte, tale garanzia, espressa dal principio di legalità di cui all’art. 25, secondo comma, Cost., appartiene al nucleo essenziale dei diritti di libertà che concorrono a definire la identità costituzionale dell’ordinamento giuridico nazionale».
Rapportando, poi, le formulate petizioni di principio al caso sottoposto allo scrutinio di costituzionalità, la Corte non esita ad asserire non solo che «il rispetto del principio di legalità comporta …che la durata del tempo di prescrizione deve essere sufficientemente determinata», ma soprattutto che non possa essere retroattiva la «norma di legge che, fissando la durata del tempo di prescrizione dei reati, ne allunghi il decorso ampliando in peius la perseguibilità del fatto commesso».
Coerentemente, la sentenza non esita ad affermare che «il rispetto del principio di legalità coinvolge anche la disciplina della decorrenza della sospensione e dell’interruzione della prescrizione stessa perché essa, nelle sue varie articolazioni, concorre – come già rilevato – a determinare la durata del tempo il cui decorso estingue il reato per prescrizione». «Si tratta di vicende che incidono sulla complessiva durata del tempo di prescrizione dei reati» [neretti nostri].
Parrebbe doversi da queste premesse trarre la conclusione che la sospensione della prescrizione connessa all’introduzione di una nuova causa di sospensione del processo, determinando (e incidendo retroattivamente sul) «la durata del tempo il cui decorso estingue il reato per prescrizione», non possa che essere giudicata costituzionalmente illegittima.
Così non è perché opposto è il responso della Corte in forza – come s’è detto – della criticata utilizzazione dell’art. 159, 1° comma del codice penale.
Un’inversione di rotta tanto evidente quanto logicamente incoerente.
Se ne trova prova nelle difficoltà e nelle – a mio avviso insuperabili – contraddizioni in cui la sentenza si dibatte nel tentativo di rendere compatibile la sua decisione con la prevedibilità quale oggetto della garanzia del principio di irretroattività.
Scrivono i Giudici della Consulta che «non solo l’autore del fatto deve essere posto in grado di conoscere ex ante qual è la condotta penalmente sanzionata (ossia la fattispecie di reato) e quali saranno le conseguenze delle sue azioni in termini di sanzioni applicabili (ossia la pena) ma deve egli avere anche piena consapevolezza della disciplina concernente la dimensione temporale in cui sarà possibile l’accertamento nel processo, con carattere di definitività, delle sue responsabilità penali (ossia la durata del tempo di prescrizione del reato)» precisando «anche se ciò non comporta la precisa predeterminazione del dies ad quem in cui maturerà la prescrizione» [anche qui neretto nostro].
Asserzione condivisibile che parrebbe implicare il fatto che egli debba anche poter conoscere i casi in cui quel termine potrà essere interrotto o sospeso, giusta quanto prima detto e quanto parrebbe chiaramente emergere dalle stesse surriferite premesse circa i principi fissati dalla Carta. Solo a questa condizione, infatti, la sua previsione potrà essere concreta e reale.
Ma anche qui ecco il salto logico: il requisito della previa conoscibilità è soddisfatto dalla «contezza della linea di orizzonte temporale tracciata dalla durata, per così dire, “tabellare” prevista in generale dall’art. 157 cod. pen.» e, per ciò che concerne le possibili sospensioni, dalla mera “contezza” dell’art. 159, 1° comma; norma aperta ad ogni futura possibile (pur ragionevole) integrazione di cause – appunto – sospensive.
Non v’è chi non veda come l’orizzonte temporale, già vago, s’annebbi fino a scomparire.
Il cittadino è in grado di prevedere che la scadenza del termine massimo di punibilità sarà quello che risulterà dal dato “tabellare”, ma prolungato da cause di sospensione che potranno normativamente intervenire in futuro e che egli, neanche con la più fervida fantasia, può prevedere al momento del fatto.
Ed è proprio così: la prevedibilità come concreta previsione – che la Costituzione garantisce con l’art. 25, 2° comma così come tante volte ribadito dalla stessa Corte – non è più neanche evanescente prevedibilità, ma ignoto futuro.
4. L’accusa contro chi s’azzarda a sostenere l’illegittimità delle novelle “norme covid” in tema di prescrizione e che serpeggia tra i non pochi che s’affannano a escogitare plurime quanto tortuose vie per “salvarle”, si articola dall’iper-garantismo, alla sottovalutazione dei problemi che all’espletamento della funzione giudiziaria arreca la pandemia e – non poteva mancare – all’insensibilità per i diritti della vittima.
Non anche – almeno espressamente – l’addebito di avvocatesca vicinanza agli imputati.
Ma la domanda di fondo che si sfugge e che resta senza risposta è perché le conseguenze della eccezionale situazione epidemica debbano scaricarsi sul cittadino imputato. Tanto più di fronte ad una macchina giudiziaria che in un ampio lasso di tempo non è riuscita a pervenire ad una conclusione.
E – soprattutto a livello ancor più alto – se valga la pena per evitare qualche pronuncia di prescrizione di procedimenti già giacenti da lungo tempo in un sistema in cui il numero dei processi penali destinati e non raramente deliberatamente votati a morte certa è tutt’altro che esiguo, sacrificare principi fondamentali della civiltà giuridica che la Costituzione vuole a tutela dei cittadini.
[1] Cfr. le ben note ordinanza 24/2017 e sentenza 115/2018.
[2] Cfr. PETROCELLI B., Norma penale e regolamento, in Riv. it. dir. e proc. pen., 1958, p. 399; PECORARO ALBANI, Riserva di legge, regolamento e norma penale in bianco, in Riv. it. dir. e proc. pen., 1959, p. 285.
[3] Cfr. BRICOLA F., la discrezionalità nel diritto penale, Milano, 1965, p. 233 e ss.
[4] Cfr. Trib. Siena 21.05.2020, p. 7
[5] Cfr. Cass. Pen., III, 17 luglio 2020 – ud. 2 luglio 2020 – n. 21367.
[6] Per tutte la 394/2006.
[7] Nell’ampia letteratura, di recente con vigore lo ha ribadito Marcello Gallo (cfr. GALLO M., Le fonti rivisitate, Appunti di diritto penale, 2017, p. 84 e ss. e 91).
[8] Il principio del “nullum crimen, nulla poena sine praevia lege” di cui all’art. 7 CEDU è, infatti, ricompreso tra quelli inderogabili ex art. 15 stessa Carta.
[9] Cfr. EPIDENDIO T. Il diritto nello “stato di eccezione” ai tempi dell’epidemia da Coronavirus, in Giustizia insieme.it, 19.IV.2020
La legge penale è “ragionevolmente” retroattiva
Corte cost., 18 novembre 2020 (dep. 23 dicembre 2020), n. 278
1. «La legge penale può essere “ragionevolmente” retroattiva»: è questo, nella sostanza, l’approdo della sentenza 278/2020 con cui la Corte Costituzionale ha respinto le eccezioni di illegittimità costituzionale dell’art. 83, 4° comma del decreto legge 17 marzo 2020 n. 18.
Non è e non vuol essere quella appena formulata asserzione provocatoria, né tanto meno frutto d’ironia ma, se mai, amara constatazione del superamento di un primario principio costituzionale: quello di irretroattività in materia penale.
Né ad attenuare il potenziale impatto di questa sentenza – che merita con ogni probabilità d’essere definita “storica” salvo ad ognuno di declinarne la valenza positiva o negativa – sul sistema penale, serve il fatto che abbia ad oggetto un istituto attinente alla punibilità quale la prescrizione.
Istituto da tempo sotto attacco dalla politica, dalla magistratura e da certa dottrina, e che pure aveva resistito grazie alle sapienti e rigorose prese di posizione della stessa Consulta nella vicenda “Taricco”[1].
E, d’altro canto, è canone degno di von Clausewitz quello di sferrare l’attacco per sfondare le linee nemiche nel punto più vulnerabile e già fiaccato.
Non è questa la sede per tornare sul tema della natura, della importanza, financo del rilievo costituzionale della prescrizione – temi ben noti quanto sviliti e sovente falsati – perché non è questo il punto su cui credo si debba riflettere.
L’attenzione penso vada polarizzata sulla portata della decisione della Corte e sul percorso logico seguito per motivarla.
Da verificare è la potenzialità che la sentenza e gli argomenti che la sorreggono esprimono rispetto al sistema penale nel suo complesso relazionato ai principi costituzionali.
2. La sintesi della decisione: la norma di cui all’art. 83 comma IV del d.l. 17.3.2020 n. 18, che dispone la sospensione del decorso della prescrizione anche per i fatti posti in essere prima della sua emanazione, non contrasta con il principio di irretroattività di cui all’art. 25, 2° comma della Carta Costituzionale perché non fa altro che specificare l’art. 159, 1° comma del codice penale secondo cui la prescrizione è sospesa quando la legge sospende il processo; norma alla cui “preesistenza” si deve aver riguardo per verificare la soddisfazione del principio sopraenunciato.
Ne consegue che – ad avviso della Corte – al legislatore è demandato il potere di prevedere cause di sospensione del processo con conseguente – purché esplicita – sospensione della prescrizione (anche) per reati anteriormente commessi.
L’argomentazione impiegata dai giudici della Consulta per legittimare il potere così conferito al legislatore riecheggia le teoriche che, nella diversa materia di riserva della legge in materia penale vennero formulate da certa dottrina e in parte recepite dalla giurisprudenza per legittimare costituzionalmente le norme penali in bianco[2].
S’asseriva che la riserva fosse soddisfatta anche da quella legge che si limitasse a sanzionare la violazione di altra e futura norma pur di rango inferiore alla legge.
La c.d. “disobbedienza in quanto tale” – ché così fu criticamente etichettata quella teoria – doveva bastare a soddisfare la riserva di legge costituzionalmente prevista per la materia penale; il fatto che, in buona sostanza, fosse la seconda norma ad operare in concreto la scelta di politica penale non doveva rilevare.
Mi sia concesso al riguardo e mi basti rimandare alle pagine con cui – oltre cinquant’anni fa – Franco Bricola bollò quelle teoriche come volte ad aggirare ed a svuotare di significato il principio costituzionale in questione[3].
Mutatis mutandis, se pure ad altro proposito e con diversa finalità, non v’è chi non veda come similare ragionamento sia alla base dell’invocazione del citato articolo 159, 1° comma operato dalla Consulta per legittimare l’evidente ed innegabile retroattività della norma oggi in esame.
Parafrasando l’indimenticato Maestro e la appena menzionata sua basilare (e ben nota ma forse non a tutti i giovani e pur brillanti studiosi) opera dedicata ai principi costituzionali del diritto penale, è facile rilevare che non è il citato articolo del codice penale ma la successiva norma, di volta in volta adottata dal legislatore, a stabilire – con effetto anche ai fatti ad essa pregressi – la sospensione del decorso della prescrizione.
Davvero difficile ci pare – e pur lo si è tentato – negare che l’art. 159, 1° comma c.p. risponda perfettamente allo schema della norma in bianco onde non possa legittimare l’introduzione di future fattispecie di sospensione con effetto retroattivo. D’altro canto di questo problema s’erano già fatte carico alcune ordinanze di rimessione[4].
Non solo: la stessa Corte di Cassazione, nella decisione con cui aveva respinto l’eccezione di incostituzionalità, dichiarandone la manifesta infondatezza, della norma ora legittimata dalla Corte Costituzionale, aveva esplicitamente e motivatamente asserito che «la sospensione della prescrizione [qui in esame] non è riconducibile a parere del Collegio, alla disciplina generale dettata dall’art. 159 cod. pen.».
Aggiungeva che «non si può semplicemente concludere che il legislatore abbia introdotto una nuova causa di sospensione tra le tante».
E ciò – continuava la Corte con logica giuridicamente impeccabile – in quanto «diversamente ragionando dubbi di incostituzionalità sorgerebbero con riguardo all’art. 159 cod. pen., che risulterebbe disposizione contenente al suo interno una deroga indeterminata al principio di irretroattività, e risulterebbe perciò incostituzionale proprio in quanto consentirebbe di applicare retroattivamente le successive cause di sospensione del corso della prescrizione, introdotte per suo tramite. Come a dire che il legislatore avrebbe finito per consentire una manifestazione del potere legislativo in deroga al principio di irretroattività consentendo di introdurre retroattivamente norme derogatorie. Tale esegesi – come peraltro osservato anche dalla dottrina –, si risolverebbe in un surrettizio aggiramento del principio di irretroattività in peius»[5].
Schietta e lineare asserzione dommatica questa della Corte regolatrice, così difficilmente contestabile, che la stessa aveva dovuto addurre a motivazione della legittimità della norma ritenuta retroattiva, addirittura, la derogabilità dei principi costituzionali in presenza di situazione eccezionali, asserendo che «l’emergenza non sta affatto “fuori” della Costituzione». Ha dovuto, cioè, teorizzare uno “stato d’eccezione” costituzionalmente inaccettabile e su cui brevemente tornerò.
Riprendendo le fila del discorso e tornando alla sentenza della Corte Costituzionale qui in esame, ad arginare il vulnus che in tal modo essa crea rispetto al canone della irretroattività va detto che non valgono le rassicurazioni che la sentenza tenta di fornire: alludo ai passi della decisione in cui s’asserisce che non v’è motivo di temere che si sia aperta la via a possibili abusi del legislatore perché ferme restano altre garanzie. Senonché queste si rivelano ora ben poco convincenti, ora addirittura eccentriche rispetto al tema.
Così è per «la garanzia della riserva di legge delle ipotesi di sospensione del procedimento o del processo» che «rimane in ogni caso».
Qui l’affermazione sconta addirittura una erronea prospettazione giuridica: la confusione e la reciproca insurrogabilità tra il principio di riserva di legge e quello di irretroattività in materia penale. Appena il caso di rammentare che il primo è volto a garantire il monopolio normativo in materia penale del legislatore rispetto a fonti inferiori; è garanzia proprio in favore del legislatore come espressione della democrazia rappresentativa.
Il secondo – al contrario – è posto a garanzia della certezza del diritto e quindi a tutela del cittadino rispetto al possibile abuso del legislatore.
Invocare quello per supplire a questo è semplicemente sbagliato e non poco fuorviante.
Davvero misero, di poi, l’antidoto consistente nel fatto che comunque «la nuova causa di sospensione – pur applicabile anche a condotte pregresse – non può decorrere da una data antecedente alla legge che la prevede».
Non certo rassicurante, poi, il richiamo – con cui ci si vorrebbe tranquillizzare – ai «principi di ragionevolezza e proporzionalità (art. 3, primo comma Cost.) a confronto dei quali sarà sempre possibile il sindacato di legittimità costituzionale della stessa sospensione dei procedimenti penali».
Quanto lasche ed a larghe e mutevoli maglie siano questi criteri bene si sa, ma ancora una volta l’argomento non è pertinente al tema: non è in questione il buon governo delle scelte del legislatore rispetto alla creazione di casi di sospensione della prescrizione come conseguenza di quella del processo, ma la ben diversa quaestio della retroattività della sospensione del suo decorso. Come dire che, pur ammesso – ed è dato dubitarne – che quelle decisioni siano ragionevoli ed opportune, resta intatto il problema della applicabilità ai fatti pregressi dell’effetto sulla prescrizione. Di nuovo, quindi, argomento prima che infondato, erroneo.
Si consideri che sul piano della ragionevolezza la valutazione coniuga la misura adottata con la situazione materiale in forza della quale essa è assunta: la eccezionalità di questa può – fondatamente o meno – motivare quella ma questione ben diversa è quella attinente il rispetto del limite costituzionale dell’irretroattività.
Oggi è la pandemia che si pretende giustifichi il retroattivo prolungamento della prescrizione; ma, allo stesso modo, cosa esclude che domani sia la gravità – reale o presunta – di un fenomeno criminale che desta particolare allarme sociale ad essere invocata per giustificare un “ragionevole” intervento penale con effetto retroattivo?!
Né è esaustiva obiezione la necessità della preesistenza di una legge cui – come per l’art. 159, 1° comma c.p. – ancorare la nuova disposizione.
Tante ed innumerevoli le norme che contengono elementi normativi capaci delle più varie integrazioni ai quali, alla stregua di quanto argomenta la Corte, non si estenderebbe il vincolo costituzionale della irretroattività.
Ancora: confuso ed inconferente appare, di poi, il riferimento alla valenza processuale della prescrizione con cui vorrebbe ulteriormente suffragarsi il risolutivo rimando all’art. 159, primo comma cod. pen. Asserire che «anche le regole del processo possono avere un’incidenza sulla disciplina della prescrizione» costituisce affermazione per un verso incondivisibile e per altro inconcludente rispetto al problema oggetto del giudizio della Corte.
Sotto il primo profilo la stessa sentenza ribadisce la natura sostanziale della prescrizione non rinnegando la sua giurisprudenza al riguardo che, anzi, esplicitamente riconferma.
Sotto altro profilo, innegabile che la prescrizione possa – come qualsiasi istituto di diritto penale sostanziale – rilevare sul piano processuale, ma da questo non può dedursi non solo la sua natura processuale, ma neanche che ciò implichi la non applicabilità dei principi costituzionali dettati – appunto – per il diritto penale sostanziale.
Come dire che il mutamento di disciplina dell’istituto sul piano (ovviamente) sostanziale potrà avere ricadute processuali ma ciò non incide sul fatto che la sua efficacia non potrà retroagire ai fatti commessi prima della modifica stessa.
A petto di tutto ciò sta il principio di irretroattività in materia penale la cui inderogabilità è stata più volte asserita dalla stessa Corte Costituzionale[6] oltreché unanimemente riconosciuta in dottrina come irrinunciabile[7]. Divieto di retroattività in malam partem riconosciuto anche dalla Corte EDU che ne predica l’irrinunciabilità anche «in caso di guerra o di altro pericolo pubblico che minacci la vita della nazione»[8].
Occorre forse rammentare che il rispetto dei principi fondamentali – recepiti per altro dalla Costituzione – serve e si impone solo quando la situazione li pone in discussione o in pericolo?!
Non è allora un fuor d’opera ribadire che lo stato d’eccezione è estraneo alla nostra Costituzione ed antitetico ai suoi valori pur se non è mancato chi ha voluto prospettare – proprio con riferimento alla situazione determinata dal COVID19 ed ai relativi provvedimenti normativi – una sua versione soft [9].
La sintesi del discorso riporta quindi all’esordio: secondo la Consulta la Carta fondamentale consente in materia penale una retroattività … ragionevole!
Canone che nessuna ipocrisia basta a nascondere come del divieto di retroattività in materia penale esso sia la perfetta negazione.
Se, liberandoci per un attimo dall’ossessiva discussione sulla prescrizione, allarghiamo l’orizzonte al diritto penale nel suo complesso, non è forse eccessivo asserire che si scorgono prospettive piuttosto inquietanti.
3. Sentenza – quella di cui stiamo dicendo – frutto di non poco travaglio interno alla Corte di cui è segno la inusuale ma eloquente vicenda – riportata in sentenza – della sostituzione del relatore dissenziente onde la sua stesura per mano d’altro giudice; e – è da presumere – per la mutata ispirazione che la segna rispetto alla pregressa giurisprudenza della Consulta, segnatamente alle menzionate pronunce sul caso Taricco.
Ci pare ciò emerga dal procedere in modo, per vero non proprio lineare della motivazione: una enunciazione diffusa – quasi celebrativa – dei principi garantisti della legalità costituzionale in materia penale e dell’irretroattività in specie che lascerebbe presagire al(lo sprovveduto) lettore una pronuncia di illegittimità costituzionale della norma scrutinata, seguita, però, da un brusco ripiegare sul più volte citato articolo codicistico – il 159, 1° comma – per giungere ad opposta conclusione. Un revirement rispetto alla premessa che suona quasi excusatio non petita … con quel che segue: ognuno dia la sua interpretazione.
Nell’ampio esordio si riafferma non solo e non tanto il carattere sostanziale della prescrizione, ma – riferendosi anche a pregresse pronunce – si proclama senza infingimenti che «La garanzia del principio di legalità (art. 25, secondo comma. Cost.) nel suo complesso (tale perciò da coprire anche le implicazioni sostanziali delle norme processuali) dà corpo e contenuto a un diritto fondamentale della persona accusata di aver commesso un reato, diritto che – avendo come contenuto il rispetto del principio di legalità – da una parte, non è comprimibile non entrando in bilanciamento con altri diritti in ipotesi antagonisti; si tratta, infatti, di una garanzia della persona contro i possibili arbitri del legislatore, la quale rappresenta un valore assoluto, non suscettibile di bilanciamento con altri valori costituzionali» e s’aggiunge «Dall’altra parte, tale garanzia, espressa dal principio di legalità di cui all’art. 25, secondo comma, Cost., appartiene al nucleo essenziale dei diritti di libertà che concorrono a definire la identità costituzionale dell’ordinamento giuridico nazionale».
Rapportando, poi, le formulate petizioni di principio al caso sottoposto allo scrutinio di costituzionalità, la Corte non esita ad asserire non solo che «il rispetto del principio di legalità comporta …che la durata del tempo di prescrizione deve essere sufficientemente determinata», ma soprattutto che non possa essere retroattiva la «norma di legge che, fissando la durata del tempo di prescrizione dei reati, ne allunghi il decorso ampliando in peius la perseguibilità del fatto commesso».
Coerentemente, la sentenza non esita ad affermare che «il rispetto del principio di legalità coinvolge anche la disciplina della decorrenza della sospensione e dell’interruzione della prescrizione stessa perché essa, nelle sue varie articolazioni, concorre – come già rilevato – a determinare la durata del tempo il cui decorso estingue il reato per prescrizione». «Si tratta di vicende che incidono sulla complessiva durata del tempo di prescrizione dei reati» [neretti nostri].
Parrebbe doversi da queste premesse trarre la conclusione che la sospensione della prescrizione connessa all’introduzione di una nuova causa di sospensione del processo, determinando (e incidendo retroattivamente sul) «la durata del tempo il cui decorso estingue il reato per prescrizione», non possa che essere giudicata costituzionalmente illegittima.
Così non è perché opposto è il responso della Corte in forza – come s’è detto – della criticata utilizzazione dell’art. 159, 1° comma del codice penale.
Un’inversione di rotta tanto evidente quanto logicamente incoerente.
Se ne trova prova nelle difficoltà e nelle – a mio avviso insuperabili – contraddizioni in cui la sentenza si dibatte nel tentativo di rendere compatibile la sua decisione con la prevedibilità quale oggetto della garanzia del principio di irretroattività.
Scrivono i Giudici della Consulta che «non solo l’autore del fatto deve essere posto in grado di conoscere ex ante qual è la condotta penalmente sanzionata (ossia la fattispecie di reato) e quali saranno le conseguenze delle sue azioni in termini di sanzioni applicabili (ossia la pena) ma deve egli avere anche piena consapevolezza della disciplina concernente la dimensione temporale in cui sarà possibile l’accertamento nel processo, con carattere di definitività, delle sue responsabilità penali (ossia la durata del tempo di prescrizione del reato)» precisando «anche se ciò non comporta la precisa predeterminazione del dies ad quem in cui maturerà la prescrizione» [anche qui neretto nostro].
Asserzione condivisibile che parrebbe implicare il fatto che egli debba anche poter conoscere i casi in cui quel termine potrà essere interrotto o sospeso, giusta quanto prima detto e quanto parrebbe chiaramente emergere dalle stesse surriferite premesse circa i principi fissati dalla Carta. Solo a questa condizione, infatti, la sua previsione potrà essere concreta e reale.
Ma anche qui ecco il salto logico: il requisito della previa conoscibilità è soddisfatto dalla «contezza della linea di orizzonte temporale tracciata dalla durata, per così dire, “tabellare” prevista in generale dall’art. 157 cod. pen.» e, per ciò che concerne le possibili sospensioni, dalla mera “contezza” dell’art. 159, 1° comma; norma aperta ad ogni futura possibile (pur ragionevole) integrazione di cause – appunto – sospensive.
Non v’è chi non veda come l’orizzonte temporale, già vago, s’annebbi fino a scomparire.
Il cittadino è in grado di prevedere che la scadenza del termine massimo di punibilità sarà quello che risulterà dal dato “tabellare”, ma prolungato da cause di sospensione che potranno normativamente intervenire in futuro e che egli, neanche con la più fervida fantasia, può prevedere al momento del fatto.
Ed è proprio così: la prevedibilità come concreta previsione – che la Costituzione garantisce con l’art. 25, 2° comma così come tante volte ribadito dalla stessa Corte – non è più neanche evanescente prevedibilità, ma ignoto futuro.
4. L’accusa contro chi s’azzarda a sostenere l’illegittimità delle novelle “norme covid” in tema di prescrizione e che serpeggia tra i non pochi che s’affannano a escogitare plurime quanto tortuose vie per “salvarle”, si articola dall’iper-garantismo, alla sottovalutazione dei problemi che all’espletamento della funzione giudiziaria arreca la pandemia e – non poteva mancare – all’insensibilità per i diritti della vittima.
Non anche – almeno espressamente – l’addebito di avvocatesca vicinanza agli imputati.
Ma la domanda di fondo che si sfugge e che resta senza risposta è perché le conseguenze della eccezionale situazione epidemica debbano scaricarsi sul cittadino imputato. Tanto più di fronte ad una macchina giudiziaria che in un ampio lasso di tempo non è riuscita a pervenire ad una conclusione.
E – soprattutto a livello ancor più alto – se valga la pena per evitare qualche pronuncia di prescrizione di procedimenti già giacenti da lungo tempo in un sistema in cui il numero dei processi penali destinati e non raramente deliberatamente votati a morte certa è tutt’altro che esiguo, sacrificare principi fondamentali della civiltà giuridica che la Costituzione vuole a tutela dei cittadini.
[1] Cfr. le ben note ordinanza 24/2017 e sentenza 115/2018.
[2] Cfr. PETROCELLI B., Norma penale e regolamento, in Riv. it. dir. e proc. pen., 1958, p. 399; PECORARO ALBANI, Riserva di legge, regolamento e norma penale in bianco, in Riv. it. dir. e proc. pen., 1959, p. 285.
[3] Cfr. BRICOLA F., la discrezionalità nel diritto penale, Milano, 1965, p. 233 e ss.
[4] Cfr. Trib. Siena 21.05.2020, p. 7
[5] Cfr. Cass. Pen., III, 17 luglio 2020 – ud. 2 luglio 2020 – n. 21367.
[6] Per tutte la 394/2006.
[7] Nell’ampia letteratura, di recente con vigore lo ha ribadito Marcello Gallo (cfr. GALLO M., Le fonti rivisitate, Appunti di diritto penale, 2017, p. 84 e ss. e 91).
[8] Il principio del “nullum crimen, nulla poena sine praevia lege” di cui all’art. 7 CEDU è, infatti, ricompreso tra quelli inderogabili ex art. 15 stessa Carta.
[9] Cfr. EPIDENDIO T. Il diritto nello “stato di eccezione” ai tempi dell’epidemia da Coronavirus, in Giustizia insieme.it, 19.IV.2020
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La Consulta si pronuncia sulla incompatibilità del G.i.p. a pronunciarsi sulla nuova richiesta di decreto penale di condanna: inammissibili le q.l.c.
Sospensione della pena e non menzione della condanna nel casellario: illegittimità costituzionale parziale.
Foglio di via del Questore: per la Consulta non è necessaria la convalida del giudice.
La Consulta sull’obbligo di testimoniare del prossimo congiunto dell’imputato che sia persona offesa dal reato.
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