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La “matrice comune” dei sequestri alla luce della sospensione emergenziale dei termini procedimentali

Corte di Cassazione, Sez. V, Sentenza 12 novembre 2020, (udienza 17 Settembre 2020) n. 31841, – Sabeone Presidente – Francolini Relatore – Di Leo Giovanni P.M.

 

ABSTRACT:

I rapporti tra sequestro probatorio e misure cautelari reali sono al centro di un recente intervento giurisprudenziale, il quale ha esteso la disciplina contenuta nell’art. 83, comma 3, lett. b), n. 2), d.l. 17 marzo 2020, n. 18, espressamente sancita per le misure cautelari reali, anche al sequestro probatorio, non richiamato dalla norma. Il contributo indaga se l’unitarietà della disciplina dei sequestri rappresenti una regola oppure un’eccezione. In particolare, dopo aver ricostruito il percorso storico che ha condotto all’attuale frammentazione delle misure impositive di un vincolo reale, si tenta di ricondurre ad unità la sistematica dei sequestri attraverso una rilettura del piano funzionale e del piano effettuale, anche alla luce della tutela sovranazionale del diritto di proprietà, nell’ottica di un favor verso il soggetto destinatario della misura ablativa.

 

The relations between probative seizure and supervion measures are at the middle of a recent judgment, which extended the discipline contained in the art. 83, par. 3, lett. b), no. 2), d.l. 17 march 2020, n. 18, expressly required by the law only forsupervion measures, also at probative seizure. The article inquire whether the unity of the seizure discipline represents a rule or an exception. In particular, after having reconstructed the historical course that led to the current fragmentation of the measures, an attempt is made to bring the systematic of seizures back to unity through a rereading of the functional plan and the effecutal plan, also in light of the protection supranational of property right, with a view to favoring the recipient of the ablative measure.

 

MASSIMA

I rimedi avverso il sequestro probatorio (o la sua convalida) devono annoverarsi tra le ipotesi contemplate dall’art. 83, comma 3, lett. b), n. 2), d.l. 17 marzo 2020, n. 18, il quale richiama unicamente le misure cautelari o di sicurezza e non anche i sequestri probatori. La “matrice comune” delle distinte ipotesi di vincolo reale consente di estendere la causa di esenzione dalla sospensione del procedimento anche al sequestro probatorio.

SOMMARIO: – 1) La normativa emergenziale sulla sospensione dei procedimenti – 2) Il caso concreto deciso dalla Cassazione – 3) La sistematica dei sequestri – 4) La giurisprudenza favorevole ad una lettura unitaria dei sequestri – 5) Gli argomenti a favore dell’unitarietà – 6) L’evoluzione storica – 7) Il piano funzionale: rilettura in chiave unitaria – 8) Il piano effettuale: il vincolo di indisponibilità – 9) Conclusioni

 

1) La normativa emergenziale sulla sospensione dei procedimenti

La sentenza commentata offre lo spunto per un’analisi dei rapporti tra sequestro probatorio e misure cautelari reali, alla luce della disciplina della sospensione emergenziale dei procedimenti penali e civili.

Con l’art. 83 del d.l. 17 marzo 2020, n. 18 sono state sospese, dal 9 marzo 2020 al 15 aprile 2020, le udienze dei procedimenti civili e penali pendenti presso tutti gli uffici giudiziari e col successivo art. 36 d.l. 8 aprile 2020, n. 23, il predetto termine è stato prorogato all’11 maggio 2020.

In dettaglio, l’art. 83, comma 2, d.l. n. 18 prevede che «è sospeso il decorso dei termini per il compimento di qualsiasi atto dei procedimenti civili e penali. Si intendono pertanto sospesi, per la stessa durata, i termini stabiliti per la fase delle indagini preliminari, per l’adozione di provvedimenti giudiziari e per il deposito della loro motivazione, per la proposizione degli atti introduttivi del giudizio e dei procedimenti esecutivi, per le impugnazioni e, in genere, tutti i termini procedurali».

L’art. 83, comma 3, d.l. n. 18, infine, individua una serie di eccezioni alle disposizioni precedenti. Tra queste, la lett. b) prevede che quando i detenuti, gli imputati, i proposti o i loro difensori espressamente lo richiedano, è dato comunque corso 1) ai procedimenti a carico di persone detenute; 2) ai procedimenti in cui sono applicate misure cautelari o di sicurezza; 3) ai procedimenti per l’applicazione di misure di prevenzione o nei quali sono disposte misure di prevenzione.

 

2) Il caso concreto deciso dalla Cassazione

In tale contesto normativo va collocata la vicenda oggetto della sentenza commentata. Con ordinanza del 15 aprile 2020 il Tribunale di Matera ha annullato il provvedimento con il quale il Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Matera aveva convalidato il sequestro probatorio di un telefono cellulare, di un tablet e di un personal computer, ordinando la restituzione agli aventi diritto di quanto già sottoposto a cautela.

Avverso l’ordinanza del Tribunale di Matera il Pubblico Ministero ha proposto ricorso per Cassazione, denunciando l’inosservanza di norme processuali stabilite a pena di nullità ai sensi dell’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. c), in relazione all’art. 178 c.p.p., lett. b); dell’art. art. 83, comma 1, d.l. n. 18/2020 ed a cagione dell’omessa partecipazione dello stesso impugnante all’udienza camerale prevista dal combinato disposto dell’art. 355 c.p.p., comma 3, art. 324 c.p.p., comma 6, e art. 127 c.p.p..

Ad avviso del Pubblico Ministero, il Tribunale di Matera non avrebbe dovuto celebrare l’udienza del 15 aprile 2020, che doveva essere rinviata d’ufficio a data successiva al giorno 11 maggio 2020. In particolare, il ricorrente ha rappresentato:

  1. a) di aver ricevuto avviso, in data 7 aprile 2020, della fissazione dell’udienza camerale del 15 aprile 2020, a seguito della proposizione del riesame del sequestro probatorio;
  2. b) di aver ricevuto ulteriore avviso lo stesso giorno dell’udienza;
  3. c) che innanzi al Tribunale di Matera in effetti era stata celebrata l’udienza in parola, cui l’Organo requirente non aveva partecipato;
  4. d) e che, all’esito di essa, era stata resa l’ordinanza impugnata

Il ricorrente ha dedotto che l’art. 83 d.l. 18 aveva previsto – a decorrere dal 9 marzo 2010 al 15 aprile 2020 – il rinvio d’ufficio a data successiva al 15 aprile 2020 di tutte le udienze dei procedimenti civile e penali pendenti. Inoltre, l’art. 36,  d.l. n. 23 del 2020 ha prorogato al giorno 11 maggio 2020 il termine già fissato nel 15 aprile 2020.

Egli ha poi dedotto che tra le eccezioni di cui al comma 3, lett. b) non poteva rientrare il riesame avverso un mezzo di ricerca della prova, che non è misura cautelare reale, contrariamente a quanto argomentato dal Tribunale nel provvedimento censurato.

Pertanto, il PM reputa l’ordinanza nulla ai sensi dell’art. 178 c.p.p., lett. b), avendo il Tribunale provveduto senza osservare le disposizioni relative alla partecipazione al procedimento dello stesso Pubblico Ministero.

La Cassazione ha ritenuto infondata la doglianza. Il giudice, in primis, richiama la disciplina emergenziale della sospensione dei procedimenti (art. 83, commi 1 e 2, d.l. n. 18). Afferma, inoltre, che le disposizioni in discorso non operino quando gli imputati o i loro difensori espressamente richiedano che si proceda «nei procedimenti in cui sono applicate misure cautelari o di sicurezza» (comma 3, lett. b, n. 2, art. 83 d.l. n. 18).

Ad avviso del Collegio non ha operato la sospensione contemplata dalla disciplina appena esposta, dovendosi dunque provvedere sulla richiesta di riesame, all’esito di udienza camerale, come in effetti accaduto, in presenza di una richiesta in tal senso, poichè anche i rimedi avverso il sequestro probatorio devono annoverarsi tra le ipotesi contemplate dall’art. 83, comma 3, lett. b), n. 2), n. d.l. 18.

Vero è, infatti, che il sequestro probatorio è mezzo di ricerca della prova, come si trae dalla collocazione codicistica della sua disciplina (art. 253 s. c.p.p.), diversa da quella delle misure cautelari reali, ossia il sequestro conservativo e il sequestro preventivo (artt. 316 s. c.p.p.).

Tuttavia, attraverso un sintetico rinvio alle pronunce in materia, il giudice ha affermato che «la giurisprudenza di questa Corte ha reso un’esegesi relativa ai rapporti tra sequestro probatorio e le distinte ipotesi di vincolo reale, che ne ha evidenziato la comune matrice». La Cassazione ritiene, così, che anche il riesame avverso un decreto di sequestro probatorio (o di convalida di esso) vada annoverato tra le ipotesi in cui, a mente della disciplina emergenziale sopra descritta, in presenza di espressa richiesta che si proceda, non opera la sospensione del procedimento ex art. 83, comma 1 e 2, d.l. n. 18. Sarebbe, infatti, irragionevole la norma che, appurata la «comune matrice» tra sequestri, consenta il riesame per le misure cautelari reali e non anche per i sequestri probatori.

Nella sentenza in commento, tuttavia, non è specificato in cosa consista la “comune matrice” dei sequestri in generale. Data la laconicità della motivazione, la quale rinvia alla prevalente giurisprudenza in materia, pare opportuno premettere un breve richiamo alla sistematica dei sequestri e ai principali indirizzi ermeneutici sul punto.

 

3) La sistematica dei sequestri

Ad una prima analisi normativa emerge ictu oculi la differenza topografica e finalistica tra le diverse forme di sequestro. Mentre il sequestro probatorio è collocato tra i mezzi di ricerca della prova, (artt. 253-263 c.p.p), le misure cautelari reali trovano sistemazione in un autonomo settore ordinamentale e si distinguono in sequestro conservativo (artt. 316-320 c.p.p.) e in sequestro preventivo (artt. 321-323 c.p.p.)[1].

Il sequestro probatorio è disposto quando l’apprensione del corpo del reato e delle cose pertinenti al reato sia necessaria «per l’accertamento dei fatti». Esso rappresenta un tipico mezzo di ricerca della prova: l’art. 262 c.p.p., infatti, limita il vincolo di indisponibilità al tempo necessario per conseguire «i fini di prova», potendo il bene essere restituito «anche prima della sentenza».

Finalità cautelari, invece, assolvono il sequestro conservativo e quello preventivo. Il primo svolge una funzione di garanzia patrimoniale: può essere disposto quando vi sia fondata ragione di ritenere che manchino o si disperdano le garanzie per il pagamento della pena pecuniaria (art. 316, comma 1, c.p.p.) o per l’adempimento delle obbligazioni civili derivanti da reato (art. 316, comma 2, c.p.p.). Finalità cautelare assolve anche il sequestro preventivo, nella forma di cui all’art. 321, comma 1, c.p.p.: per l’apprensione del bene occorre, infatti, che vi sia il pericolo che la libera disponibilità di una cosa aggravi le conseguenze di un reato o agevoli la commissione di altri illeciti.

La diversa collocazione normativa[2] rivela che la funzione dei sequestri cautelari non si esplichi sul piano dell’accertamento penale e della ricerca dei mezzi di prova. Conferma tale ordine di idee la volontà del legislatore. Nella Relazione al progetto preliminare del c.p.p. la collocazione del sequestro preventivo e conservativo tra le misure cautelari è giustificata sulla base della maggiore incisività dei due provvedimenti sui diritti soggettivi; in particolare, col sequestro preventivo si tende ad inibire anche l’attività di un soggetto. I sequestri cautelari sono, dunque, deputati al soddisfacimento di interessi extraprocessuali, quali l’assicurazione degli effetti di una eventuale sentenza di condanna (sequestro conservatorio) e la tutela della collettività (sequestro preventivo)[3].

La valorizzazione delle diversità funzionali, dunque, dovrebbe condurre ad affermare la distinzione tra le varie misure analizzate. Si potrebbe, infatti, ritenere che le diversità funzionali si rispecchino in forme di tutela distinte e non comunicanti.

 

4) La giurisprudenza favorevole ad una lettura unitaria dei sequestri

La precedente ipotesi pare però porsi in contraddizione con un indirizzo normativo ormai consolidato in materia. Come affermato dal giudice nella sentenza commentata, i tre tipi di sequestro sono caratterizzati da «una matrice comune». L’analisi degli indirizzi pretori, tuttavia, restituisce una serie di pronunce che si sono occupate di singoli e specifici aspetti, piuttosto che di una generale ricognizione sui rapporti tra le misure. Ciò non impedisce, comunque, l’individuazione di percorsi argomentativi che valorizzino le ragioni di connessione tra i sequestri probatori o cautelari.

Un esempio deriva dalla questione della necessarietà della motivazione del decreto che impone il sequestro probatorio, che ha interessato plurime decisioni della Cassazione. Le recenti Sezioni Unite Botticelli hanno stabilito, a tal proposito, che la motivazione sia un requisito indefettibile affinché lo stesso provvedimento «resti assoggettato al controllo di legalità» [4].

Il primo argomento a sostengo della decisione è di natura puramente letterale: è il dato normativo ad indicare che il decreto di sequestro debba essere “motivato”. La necessità della motivazione si collega alla previsione generale di cui all’art. 125 c.p.p., comma 1, indipendentemente dalla natura delle cose da apprendere a fini di prova, solo successivamente indicate dalla stessa disposizione.

Un secondo criterio è stato, poi, rinvenuto nella necessità di un’interpretazione della norma che tenga conto del requisito della proporzionalità della misura adottata rispetto all’esigenza perseguita, in un corretto bilanciamento dei diversi interessi coinvolti. La necessaria proporzionalità tra il sequestro probatorio e il fine perseguito deriva dalla «necessità che l’intervento penale sul terreno delle libertà fondamentali e dei diritti costituzionalmente garantiti dell’individuo, tra cui rientra certamente il diritto di proprietà riconosciuto dall’art. 42 Cost. e tutelato, altresì, dall’art. 1 del primo Protocollo addizionale alla Convenzione Europea dei diritti dell’uomo, sia improntato al giusto equilibrio tra i motivi di interesse generale e il sacrificio del diritto del singolo al rispetto dei suoi beni» [5].

Le S.U. Botticelli richiamano, inoltre, l’indirizzo in base al quale il requisito della proporzionalità della misura sia un elemento indefettibile del sequestro preventivo[6], per giungere ad affermare che «non vi è ragione per cui analoga affermazione, formulata con riferimento alle misure cautelari reali, non possa valere anche con riguardo al sequestro probatorio quale mezzo, invece, di ricerca della prova».

Quest’ultima affermazione è di grande rilievo, poiché il ricorso all’argomento a fortiori, che promana dal principio di ragionevolezza, presuppone la sussistenza di quella “matrice comune” che si tenta di individuare in queste pagine. Se la ratio posta a fondamento della proporzionalità e dell’onere motivazionale delle misure cautelari reali è quella della protezione del diritto di proprietà, medesimo principio deve valere indipendentemente dai fini cui il sequestro è diretto, anche se assolve una funzione “probatoria”.

La diversa finalità tra misure non è ritenuta, dunque, dalla giurisprudenza, un elemento idoneo a sterilizzare l’opportunità di individuare specifiche forme di tutela comuni, poiché è identico l’effetto che si verifica in ogni ipotesi di sequestro: l’apprensione coattiva del bene e l’apposizione di un vincolo di indisponibilità sullo stesso.

 

5) Gli argomenti a favore dell’unitarietà

Il richiamato approccio settoriale da parte dell’elaborazione procede, dunque, di volta in volta, alla comparazione tra diverse misure nell’ottica di una reciproca estensione delle tutele. E’ in tale filone ermeneutico che va iscritta la sentenza in commento, la quale sancisce l’unitarietà tra sequestri al solo fine specifico e particolare dell’estensione della sospensione ex art. 83, c. 3, lett. b), d.l. n. 18.

Occorre chiedersi se tale approccio ermeneutico sia indicativo della sussistenza di una normale differenziazione tra misure, le quali solo a particolari fini conoscono forme di tutela condivisa; oppure se la disciplina dei sequestri si differenzi solo in particolari ipotesi, mentre nella generalità dei casi sia comune. In altri termini, la questione è se l’unitarietà delle tutele sia la regola oppure un’eccezione.

Sul piano normativo un importante riferimento, dal quale si desume la vocazione unitaria dei diversi tipi di sequestro, è la disciplina del riesame di cui all’art. 324 c.p.p. Il gravame in questione è ammesso anche al di fuori del sistema delle cautele reali, segnatamente nell’ambito dei mezzi di ricerca della prova: sia il provvedimento di sequestro probatorio emesso dall’autorità giudiziaria (art. 257 c.p.p.), sia il provvedimento con cui il P.M. convalida il sequestro operato dalla polizia giudiziaria (art. 355 c.p.p.), sono suscettibili di riesame.

Oltre ai singoli riderimenti letterali espressi è possibile, ad avviso di chi scrive, rintracciare ulteriori argomenti ermeneutici di portata generale, tali da qualificare quale regola l’unitarietà della sistematica dei sequestri. In particolare, si farà riferimento a) all’argomento finalistico; b) a quello effettuale.

 

6) L’evoluzione storica

Per cogliere l’essenza dell’attuale assetto normativo, occorre anteporre una breve indagine storica dei sequestri, indicativa del percorso che ha condotto alla distinzione sistematica tra sequestro probatorio e sequestri “reali”.

L’attuale frammentazione della sistematica dei sequestri affonda le proprie radici nell’evoluzione normativa della materia. Nel codice di procedura penale del 1930 sequestro probatorio e sequestro conservativo assumevano connotati sostanzialmente diversi rispetto a quelli attuali; inoltre, non trovava disciplina espressa il sequestro preventivo. Norma centrale nella sistematica del sequestro era l’art. 337 c.p.p., rubricata «Formalità relative al sequestro», il quale disponeva che «nel corso dell’istruzione il giudice [poteva] disporre anche d’ufficio con decreto motivato il sequestro di cose pertinenti al reato». Il sequestro penale, in origine, aveva una finalità probatoria: la Relazione al codice del Guardasigilli specificava che il sequestro ai sensi dell’art. 337 c.p.p. 1930 era disciplinato in modo pressoché analogo a quello previsto nei codici precedenti, nei quali era pacifica la funzione probatoria e non di mero mezzo di ricerca della prova[7].

Eccentrica collocazione trovava, rispetto al corpus di norme dedicate al sequestro probatorio, il sequestro conservativo. Esso era riconducibile alla categoria delle cautele patrimoniali e la relativa disciplina era contenuta nell’art. 617 c.p.p. del 1930, secondo cui il sequestro poteva essere chiesto dal pubblico ministero sui beni mobili dell’imputato e della persona civilmente responsabile quando vi era la fondata ragione di temere la mancanza o la dispersione delle garanzie delle obbligazioni civili, per le quali era ammessa l’ipoteca[8].

L’art. 337 c.p.p. non predeterminava, tuttavia, le finalità perseguibili col medesimo strumento[9]. Una parte della giurisprudenza di legittimità[10], a partire dagli anni ’70, iniziò a sostenere che l’assenza di una chiara predeterminazione degli scopi del sequestro non escludeva a priori che potesse essere perseguita anche la finalità di impedire che il reato venisse portato a conseguenze ulteriori. Si iniziava a postulare, dunque, la possibilità che attraverso il sequestro potesse perseguirsi una finalità preventiva. In una delle pronunce espressive di tale orientamento, i giudici di legittimità affermarono che «con il sequestro penale […][poteva] anche essere perseguito il fine, non estraneo al processo in quanto tale, di impedire che un reato [fosse] portato ad ulteriori conseguenze»[11].

La Corte costituzionale confermò il nuovo impianto in via di formazione a seguito di una questione di legittimità costituzionale dell’art. 44 comma 2 del R.d.l. 15 ottobre 1925, n. 2033 (repressione delle frodi nella preparazione e nel commercio di sostanze di uso agrario e di prodotti agrari), con sentenza 25.03.1970, n. 48[12]. La norma oggetto del giudizio prevedeva un’ipotesi di sequestro obbligatorio delle sostanze di uso agrario o dei prodotti agrari ovunque si trovassero, nel caso di intervento di una denuncia di non conformità della merce ai requisiti richiesti dalla legge da parte di istituti e laboratori specializzati. La Consulta, in quella circostanza, ritenne che il sequestro potesse essere utilizzato per vincolare quei beni la cui disponibilità in capo al privato avrebbe potuto pregiudicare la tutela del pubblico interesse. In una simile circostanza, ad avviso della Consulta, il sequestro svolgeva una funzione preventiva la quale, per ciò solo, non è motivo di illegittimità costituzionale della norma che la prevede.

In tale evoluzione giurisprudenziale si colgono le fondamenta poste alla base della previsione di cui al vigente art. 321 c.p.p.[13]. Esemplificativo di tale percorso è l’affermazione di quella dottrina secondo cui il sequestro preventivo sarebbe sorto attraverso un processo di gemmazione, grazie alle iniziative ed elaborazioni giurisprudenziali che lo hanno estratto dal sequestro probatorio per conferirgli autonoma consistenza[14].

Dal raffronto tra la disciplina del codice del 1930 e quella attuale  si coglie una modifica sostanziale del sistema dei sequestri, così ripartito: a) il sequestro penale perde la propria funzione probatoria e diviene mezzo di ricerca della prova: l’attuale nomen (sequestro probatorio) tradisce, infatti, le origini dell’istituto; b) viene alla luce la nuova figura del sequestro preventivo, collocata tra le misure cautelari reali; c) il sequestro conservativo, a funzione invariata, è collocato anch’esso tra le misure cautelari reali. Il legislatore ha, infine, giustificato la collocazione del sequestro preventivo e di quello conservativo tra le misure cautelari sulla base della maggiore incisività dei due atti sui diritti soggettivi[15]. Testimonierebbe la diversa incidenza sui diritti soggettivi la finalità delle misure cautelari, ritenuta più incisiva di quella perseguita dal sequestro probatorio.

7) Il piano funzionale: rilettura in chiave unitaria

L’analisi storica, dunque, si pone, prima facie, quale argomento contrario all’unità dei sequestri. Tuttavia, come si cercherà di dimostrare, la distinzione fondata sulle finalità presenta elementi di debolezza teorica. La diversità del fine non è, per ciò solo, indicativa di una differenza sostanziale tra provvedimenti. Il fatto che un provvedimento possa perseguire un fine diverso non esclude che lo stesso si ponga, in via oggettiva, su un piano effettuale e sostanziale comune ad altro tipo di provvedimento. Del resto, il piano effettuale presuppone quello obiettivo, non viceversa; quest’ultimo, dunque, assume un maggior peso nell’indagine ermeneutica.

Se poi, a quanto detto, si aggiunge che le stesse finalità dei sequestri solo apparentemente appaiono non riconducibili le une alle altre, ad una più attenta analisi emerge la natura tutt’altro che monolitica delle finalità cautelari o probatorie dei sequestri.

La funzione cautelare svolta dalle misure reali è differente rispetto a quella svolta dalle misure personali. La diversità tra i tipi di misure cautelari deriva sia dal mancato richiamo dell’art. 274 c.p.p.[16] da parte delle norme in tema di misure reali; sia dal fatto che queste ultime prevedano un ambito applicativo più esteso: infatti, possono essere applicate per qualsiasi genere di reato, dunque anche alle contravvenzioni. La più ampia estensione applicativa, unitamente ad una minor regolamentazione, lascia intendere che le differenze con le misure cautelari personali, più che meramente finalistiche, siano sostanziali, poiché le prime incidono sul patrimonio, mentre le seconde sulla libertà personale[17].

E’ bene evidenziare, in proposito e a titolo esemplificativo, che l’art. 321 c.p.p.[18] non prevede un’unica figura di sequestro. Si distingue, infatti, tra sequestro preventivo “tipico” o “impeditivo” di cui all’art. 321, comma 1, c.p.p. e sequestro preventivo funzionale alla confisca, disciplinato dal comma 2 della medesima disposizione[19]. Il primo comma assolve una finalità cautelare non pienamente assimilabile a quella ex art. 274, comma 1, lett. c), c.p.p.: ciò poiché l’esigenza cautelare “personale” attiene al pericolo che l’imputato commetta gravi delitti, mentre quella “reale” al fatto che la disponibilità di una cosa «possa aggravare o protrarre le conseguenze di esso ovvero agevolare la commissione di altri reati». Il secondo comma, invece, svolge una funzione di anticipazione della confisca obbligatoria[20] e in quanto tale presenta caratteri del tutto eccentrici rispetto alle diverse esigenze cautelari, personali o reali. Tale “ambiguità” finalistica è, probabilmente, il portato della persistenza dei dubbi sul riconoscimento della finalità preventiva del sequestro emersi durante l’evoluzione giurisprudenziale e i lavori di redazione del nuovo codice di procedura penale[21].

E’ dunque evidente che il legislatore non utilizzi il termine “cautelare”, in relazione alle misure reali, per indicare, da un lato, un collegamento univoco con quelle personali e, dall’altro, per escludere che altre disposizioni possano svolgere una funzione, in parte, cautelare.

Le stesse esigenze cautelari previste dalle misure “reali” sono tutt’altro che univoche. Si è già avuto modo di notare come il sequestro preventivo si fondi su un giudizio di pericolosità della res, non, invece, sulla pericolosità individuale dell’agente, come avviene nell’art. 274, c. 1, lett. c). Stessa affermazione è estensibile al sequestro conservativo. Pur qualificato formalmente come misura cautelare reale, non pare assolvere, invece, alcuna delle specifiche esigenze cautelari di cui all’art. 274 c.p.p. Immutata è rimasta, nella sostanza, la natura di garanzia patrimoniale della misura. Il fine della “solvibilità penale” dell’imputato non attiene né al pericolo per l’acquisizione delle prove, né al pericolo di fuga e neppure al pericolo della reiterazione di condotte illecite. Si vuole unicamente assicurare la capienza del patrimonio dell’imputato nell’ipotesi di una futura condanna: la funzione è, dunque, di garanzia. Infine, eccentrica e del tutto sconnessa rispetto a finalità cautelari è la misura del sequestro preventivo preordinato alla confisca (art. 321, comma 2, c.p.p.), la quale anticipa gli effetti della misura ablatoria patrimoniale ex art. 240 c.p.

In un ambito connotato da tale eterogeneità dei fini occorre chiedersi se ad una funzione in parte cautelare partecipi anche il sequestro probatorio. Quest’ultimo è sì finalizzato all’apprensione e alla conservazione dei mezzi di prova, ma allo stesso tempo assolve anche una funzione ulteriore: evitare che vi sia la distruzione o la perdita di una possibile fonte di prova. Una finalità simile, seppure diversa, è svolta dalla prima delle esigenze cautelari di cui all’art. 274 c.p.p. Vero è che l’esigenza cautelare in parola attiene all’attività dell’indagato, mentre l’art. 253 è teso ad evitare la dispersione dei mezzi di prova a prescindere da un’azione umana. Tuttavia, identico è l’interesse sotteso alle due pur diverse disposizioni: preservare la consistenza dell’apparato probatorio ed assicurare al processo le fonti di prova. In tal ottica, dunque, pare possa riconoscersi una finalità latu sensu cautelare anche al sequestro probatorio.

Se, infatti, si riconosce una finalità cautelare al sequestro preventivo che anticipa la confisca, altrettanto dovrebbe farsi anche per il sequestro probatorio, dal momento che il vincolo di indisponibilità può, in un momento successivo, trasformarsi in confisca. Tra i beni sottoponibili a sequestro probatorio, infatti, vi sono il corpo del reato e le cose pertinenti al reato, che sono comunque oggetto di confisca ai sensi dell’art. 240 c.p. Dunque, sulla scorta di tale parallelismo, il sequestro probatorio non pare estraneo alla logica che anima il sequestro preventivo, quale misura che anticipa la confisca.

Sempre sul versante dei rapporti tra sequestro probatorio e sequestro preventivo è utile il ricorso ad una recente sentenza della Cassazione[22]. La dequotazione delle differenze funzionali è sottolineata dalle Sezioni Unite in un caso relativo all’estensibilità dell’art. 324, comma 7, c.p.p. al sequestro probatorio, pacificamente ammesso, invece, per il sequestro preventivo. L’art. 324, comma 7, c.p.p. fa divieto che sia disposta la revoca del provvedimento di sequestro nei casi in cui ricorrano i presupposti della confisca obbligatoria (art. 240, comma 2, c.p.)[23].

Nel ritenere applicabile la norma al sequestro probatorio, le Sezioni Unite reputano che la finalità tipica di conservare immutate le caratteristiche del corpo di reato nel tempo necessario all’accertamento dei fatti si ponga in secondo piano, perché sulla stessa prevale quella – sancita dall’art. 324, comma 7, c.p.c. – di evitare che la rinnovata disponibilità del bene sia strumento per la protrazione dell’illecito. Ne consegue che, a fronte di cose suscettibili di confisca obbligatoria ai sensi dell’art. 240, comma 2, c.p., le finalità che hanno determinato l’adozione della misura divengono irrilevanti[24].

La decisione della Cassazione consente, allora, di accedere ad una prospettiva “mobile” delle finalità dei sequestri. Essi si pongono in relazione tra loro a seconda dei rimedi esperibili e possono essere ritenuti prevalenti o subvalenti a seconda degli scopi procedimentali perseguiti e non in base a criteri predeterminati ex ante.

Ricapitolando, è possibile affermare che il fine cautelare non sia esclusivamente quello espresso, ma anche quello implicito. Se non fosse così, allora non si comprenderebbe il motivo per il quale sia considerata misura cautelare reale il sequestro preventivo che anticipa la confisca (art. 321, comma 2, c.p.p.). In questo caso non sussiste un’esigenza cautelare espressa: essa è implicita nella norma, laddove si vuole anticipare il vincolo di indisponibilità ai fini della futura confisca.

Dunque, così come è “cautelare” il sequestro ex art. 312, comma 2, c.p.p., non può a priori escludersi che partecipi di una funzione in parte cautelare anche il sequestro probatorio. Ciò poiché: 1) si evita la dispersione dell’apparato probatorio; 2) è anch’esso un mezzo che può anticipare la confisca.

Con ciò non si vuole dire che a) il sequestro probatorio sia una misura cautelare reale strictu sinsu; b) vi sia un appiattimento tra mezzi di ricerca della prova e misure cautelari reali. Si vuole, invece, dire che, all’esito dell’indagine giurisprudenziale e funzionale, vi sono ragioni che consentono una considerazione unitaria delle diverse forme di sequestro, salva la previsione di una puntuale differente disciplina.

L’analisi sulle finalità evidenzia, dunque, una nozione “ampia” di funzione cautelare. Le norme processuali sono eccezionali e non tollerano estensioni analogiche. Residua, tuttavia, la possibilità di interpretazioni estensive, come nel caso di specie. Si ritiene, infatti, che elementi di cautela sussistano anche nel sequestro probatorio, laddove si vuole in via esplicita assicurare «l’accertamento dei fatti». La funzione di accertamento è il fine ultimo che viene conseguito attraverso un passaggio intermedio, implicito: quello dell’apprensione del bene, con funzione conservativa-cautelare dell’elemento di prova.

 

8) Il piano effettuale: il vincolo di indisponibilità

Le diversità tra sequestri, anche laddove sussistenti, non impediscono di individuare una matrice comune per altra via argomentativa. I sequestri, infatti, sono sottoposti al medesimo regime rimediale: tanto l’art. 257 c.p.p. in tema di sequestro probatorio quanto gli artt. 318 e 322 c.p.p. sulle misure cautelari reali fanno rinvio allo stesso apparato rimediale, nella specie il procedimento di riesame ex art. 324 c.p.p.

La medesimezza del rimedio esperibile non è elemento sufficiente, da solo, a spiegare eventuali punti di contatto tra le diverse forme di sequestro. L’unicità del rimedio è una conseguenza, un sintomo – sul piano procedimentale – della sussistenza di elementi sostanziali comuni che si collocano a monte del rimedio ex se considerato. Occorre, dunque, chiedersi quale sia la ratio che abbia spinto il legislatore a prevedere il medesimo apparato rimediale.

Il dato di immediata evidenza è che identico è l’effetto che consegue al sequestro, sia probatorio che cautelare. Il soggetto che subisce il sequestro perde la disponibilità del bene. Il bene rappresenta una posta patrimoniale attiva e l’indisponibilità dello stesso incide sulle facoltà del proprietario per un periodo di tempo anche prolungato. La sussistenza di un nocumento per il titolare del bene non si arresta sul piano della mera temporaneità dell’indisponibilità, poiché è possibile che il bene sia perduto definitivamente. Nello specifico:

  1. a) l’art. 262, comma 3-bis, c.p.p. prevede che le somme di denaro sottoposte a sequestro probatorio siano devolute allo Stato «se non ne è stata disposta la confisca». Inoltre, tra i beni sottoponibili a sequestro vi sono il corpo del reato e le cose pertinenti al reato, che sono comunque oggetto di confisca ai sensi dell’art. 240 c.p., nel caso di condanna;
  2. b) l’art. 320 prevede che il sequestro conservativo sia convertito in pignoramento quando diventi irrevocabile la sentenza di condanna al pagamento di una pena pecuniaria o esecutiva la sentenza di condanna con statuizioni sulla responsabilità civile;
  3. c) l’art. 321, comma 2, richiama espressamente la confisca per i beni oggetto di sequestro preventivo.

In tutti questi casi vi è non tanto una temporanea indisponibilità del bene, ma sussiste, in potenza, la possibilità della perdita definitiva dello stesso.

Fondamentale, per un corretto inquadramento della tutela del patrimonio da provvedimenti ablatori, è il richiamo al diritto sovranazionale. La CEDU assegna al diritto di proprietà e alle facoltà ad essa conseguenti, tra cui anche la disponibilità del bene, natura di diritto fondamentale. In quest’ottica, è necessario che la misura lesiva del diritto di proprietà rispetti il principio di legalità derivante dalla Convenzione e dalla giurisprudenza europea[25].

Sostanziale è la differente filosofia che anima la norma sovranazionale rispetto a quella costituzionale posta a presidio della proprietà. Dal sistema degli artt. 41- 44 Cost. emerge la centralità della funzione sociale della proprietà: l’utilità e il vantaggio economico che conseguono dalla proprietà di un bene possono essere limitati per fini di utilità generale.

Differente è invece la nozione di proprietà che deriva dall’art. 1 Prot. Add. 1 CEDU: «ogni persona fisica o giuridica ha diritto al rispetto dei suoi beni». La CEDU considera la proprietà quale diritto fondamentale e sembra richiamare la definizione assolutistica di proprietà sancita dall’art. 544 del Codice Napoleonico, secondo cui: «la proprietà è il diritto di godere e disporre delle cose nel modo più assoluto».

Nell’ottica sovranazionale, le forme di aggressione patrimoniale non sorrette da una normativa rispettosa del principio di legalità rappresentano un’illecita ingerenza nella sfera personale del privato e minano la democraticità degli ordinamenti. La legalità europea non si arresta al rispetto formale dei criteri di produzione normativa, ma penetra nella sostanza della normativa di settore. Non basta che vi sia una legge rispettosa delle fonti del diritto, ma è necessario che la stessa rispetti i requisiti sostanziali della determinatezza e della proporzionalità. Standard di tutela che incrementano nel caso in cui la misura ablatoria sia qualificabile quale pena: in tal caso si estendono tutte le garanzie sostanziali della legalità penale.

Da tutto ciò consegue che una normativa interna che disciplini in modo differente misure accomunate dal medesimo effetto sul patrimonio individuale sia sospetta di irragionevolezza e possa ledere i principi della CEDU a presidio della proprietà. Le norme sovranazionali trovano diretta applicazione, nell’ordinamento interno, per il tramite dell’art. 117 Cost: la potestà legislativa è esercitata dallo Stato e dalle Regioni nel rispetto della Costituzione, nonché dei vincoli derivanti dall’ordinamento comunitario e dagli obblighi internazionali. Un’eventuale normativa nazionale in contrasto col diritto sovranazionale sarebbe per tale via sospetta di legittimità costituzionale.

Tirando le fila del discorso, la garanzia del privato da ingerenze degli apparati pubblici nel proprio patrimonio sussiste, allo stesso modo, nel sequestro probatorio e nelle misure cautelari reali. Sussiste un medesimo risultato concreto: l’apprensione coattiva del bene. Per queste ragioni è consequenziale che si applichi, per tutti, il medesimo apparato rimediale: per un medesimo risultato pregiudizievole deve predicarsi la stessa tutela, pena l’irragionevolezza della normativa.

Coerente con tale conclusione è la recente sentenza “Bellucci”  pronunciata a Sezioni Unite, secondo cui «la materia risulta organicamente disciplinata dagli artt. 324 e 325 c.p.p. che assurgono, pertanto, a corpus normativo di riferimento ogniqualvolta da parte degli interessati emerga l’esigenza di contestare un provvedimento di sequestro, indipendentemente dalle finalità che attraverso quest’ultimo l’autorità giudiziaria abbia inteso perseguire»[26].

La sentenza Bellucci, dunque, individua un importante ordine logico attraverso il quale analizzare la materia rimediale. A monte si pongono le ragioni sostanziali che consentono una lettura unitaria degli istituti analizzati. La diversa finalità, laddove sussistente, non assurge a dato oggettivo che possa incidere sulla natura del provvedimento, che in ogni caso è ablatoria. Ne consegue, così, l’esperibilità, per le diverse forme di sequestro, del medesimo rimedio.

In altri termini, in un ipotetico ordine logico, trova prioritaria considerazione l’argomentazione sostanziale dell’unitarietà degli effetti piuttosto che quello delle differenze funzionali, laddove sussistenti e valorizzabili.

In quest’ordine di idee si inserisce anche la giurisprudenza richiamata in avvio di questa analisi, relativamente alla necessarietà della una motivazione del decreto di sequestro. In una recente decisione si è infatti affermato che «la necessità di evitare limitazioni alla proprietà privata che non siano strettamente conseguenti alla finalità istituzionalmente perseguita dalla misura deve valere indipendentemente dai fini cui il sequestro è diretto»[27].

 

9) Conclusioni

Nell’avviarsi ad una conclusione, occorre richiamare i risultati cui ha condotto l’approccio casistico adoperato dalla Cassazione. In diverse pronunce la giurisprudenza ha di volta in volta affermato che: a) è necessaria la motivazione di ogni sequestro; b) l’apparato rimediale è comune, a differenza delle pur individuabili diversità funzionali; c) da ultimo, è stata affermata l’equiparazione, ai fini dell’art. 83, comma 3, lett. b, n. 2, tra sequestro probatorio e misure cautelari reali.

Si è detto che tali risultati, pur indicativi di quella «matrice comune» richiamata dalla decisione commentata, sono stati raggiunti senza che vi sia stata una approfondita ricerca di più ampi punti di contatto tra i vari sequestri.

E’ stata così avanzata, in questa sede, una proposta ricostruttiva fondata su tre macro-argomenti: a) quello delle finalità, non sempre nettamente distinguibili; b) quello degli effetti concreti, anche alla luce c) della tutela sovranazionale del diritto di proprietà.

Misure tra loro finalisticamente assimilabili, che producono il medesimo effetto di deterioramento patrimoniale, temporaneo o definitivo, richiedono una tutela comune e della medesima intensità. In questa prospettiva si spiegano le ragioni che hanno indotto il legislatore a prevedere un comune apparato rimediale. Sulla scorta di tali indicazioni, anche in assenza di un espresso rinvio normativo, si ritiene che vadano interpretate estensivamente le norme riguardanti i sequestri, salve specifiche e puntuali ragioni derogatorie.

In altri termini, ad avviso di chi scrive, i richiamati elementi di connessione pongono una sorta di presunzione di omogeneità tra sequestri, per la quale misure identiche devono essere disciplinate dalle medesime regole giuridiche. E’ concesso al legislatore superare tale presunzione solo in presenza di circostanze che depongano per l’insussistenza di una comune matrice. In tal caso sarebbe, infatti, ammesso disciplinare diversamente un determinato ambito.

Un esempio è utile per spiegare quanto si vuol affermare. L’art. 253 c.p.p. non limita il ricorso al sequestro probatorio ad una specifica fase del procedimento. Diversamente avviene nell’art. 316 c.p.p.: il sequestro conservativo è ammesso «in ogni stato e grado del processo di merito». Ciò significa che è necessario che sia stata esercitata l’azione penale.

Nella prospettiva che ci si è proposti occorre chiedersi se vi siano ragioni di omogeneità oppure se non sussista una «matrice comune», di modo da poter vincere la presunzione di identità e così giustificare la diversa disciplina procedimentale.

Ebbene, le ragioni cautelari specifiche del sequestro conservativo inducono a ritenere superata la predetta presunzione. L’esigenza di evitare che si disperdano le garanzie per il pagamento della pena pecuniaria, delle spese di procedimento e di ogni altra somma dovuta all’erario dello Stato può sussistere solo ove sia stata esercitata l’azione penale, non invece nella fase delle indagini preliminari, ove ancora manchi un’imputazione. Ciò, dunque, consente di ritenere giustificata la differente disciplina in merito alla all’attivazione cronologica dei due sequestri.

Al contrario, in altri ambiti, la giurisprudenza ha ritenuto prevalenti le ragioni di unitarietà dei sequestri. Anche la sentenza analizzata si iscrive, dunque, nell’indirizzo pretorio che offre una lettura estensiva delle tutele previste per alcune forme di sequestro e non per quello probatorio.

Un’interpretazione, dunque, quale quella del Pubblico Ministero presso il Tribunale di Matera, volta ad escludere dal novero dell’art. 83, comma 3, lett. b, n. 2, d.l. n. 18 il procedimento di sequestro probatorio, rispetto alla categoria delle misure cautelari reali, si porrebbe in contrasto con la dimostrata natura unitaria dei sequestri previsti dal codice di procedura e, da ultimo, con la Costituzione.

Come non ha mancato di rilevare il giudice nella sentenza commentata, se «non si ritenesse la giustiziabilità, anche nel periodo previsto dall’art. 83 nel testo sopra richiamato, delle doglianze relative solo a tali ipotesi di sequestro [probatorio] alla luce delle sopra osservate comunanze tra tutte le ipotesi di vincolo reale previste dal codice di procedura penale, si paleserebbe una violazione quantomeno del principio di uguaglianza (art. 3 Cost.) che dovrebbe essere rimessa all’esame della Corte costituzionale».

L’indagine sulle ragioni che sottendono ad una lettura unitaria dei sequestri, in definitiva, si pone nell’ottica di favor verso il soggetto che subisce il sequestro probatorio. La ritenuta assenza di finalità cautelari è alla base dell’adozione del sequestro ex art. 253 c.p.p. con decreto da parte del P.M., a differenza dei sequestri “reali”, i quali sono disposti dal giudice su richiesta del P.M. Si capisce che, qualora si ritenesse presente un’esigenza non solo probatoria ma anche in parte cautelare nel sequestro ex art. 253 c.p.p., possano porsi le basi per una riflessione che assicuri le medesime forme di tutela, non solo rimediali, per tutti i tipi di sequestro, nei casi in cui sia effettivamente presente un’esigenza cautelare.

[1] TONINI, Manuale di Procedura Penale, Varese, 2020, p. 378

[2] Sui lineamenti e sugli scopi della tutela cautelare in generale cfr. P. CALAMANDREI, Introduzione allo studio sistematico dei provvedimenti cautelari, Padova, 1936; F. CARNELUTTI, Lezioni di diritto processuale civile, Padova, 1930, II, 60 ss

[3] TONINI, ibidem, p. 378

[4] Cass. S.U., 19.04.2018, n. 36072, Botticelli, Rv. 273548 – 01

[5] Cass. S.U., 28.01.2004, n. 5876, Bevilacqua, Rv. 226711; Cass. S.U, 18.06.1991, n.10, Raccah, Rv. 187861

[6] Cass., pen. Sez. 5, 21.10.2010, n. 8152, Magnano, Rv. 246103; Cass., pen. Sez. 5, 16.01.2013, n. 8382, Caruso, 254712; Cass., pen. Sez. 3, 07.05.2014, n. 21271, Konovalov, Rv. 261509

[7] P. BALDUCCI, Il sequestro preventivo nel processo penale, Milano, 1991, p. 33- 35

[8] Sulle cautele patrimoniali disciplinate nel codice Rocco v. E. AMODIO, Le cautele patrimoniali nel processo penale, Giuffrè, Milano, 1971.

[9] 3 E. AMODIO, Dal sequestro in funzione probatoria al sequestro preventivo: nuove dimensioni della “coercizione reale” nella prassi e nella giurisprudenza, p. 1082

[10] Cass. pen., 11.01.1978, in Cass. pen., 1978, p. 1411; Cass. pen., 28.04.1975, ivi, 1976, p. 1342; Cass. pen., 14.04.1975, in Giust. pen., 1975, III, p. 455.

[11] Cass. pen., 14.02.1975, in Giust. pen., 1975, III, p. 455.

[12] G. FRIGO, Prelevamento di campioni e sequestri nel processo per frodi alimentari, in Riv. it. dir. proc. pen., 1970, p. 728 ss.

[13] P. BALDUCCI, Il sequestro preventivo nel processo penale, Milano, 1991, p. 53 ss.

[14] E. AMODIO, Dal sequestro in funzione probatoria al sequestro preventivo: nuove dimensioni della “coercizione reale” nella prassi e nella giurisprudenza, p. 1073, il quale, analizzando l’itinerario giurisprudenziale del sequestro preventivo (inquadrato all’epoca entro gli incerti confini delineati, volta per volta, dagli art. 219, 231 e 232 e 337 c.p.p. 1930) distingueva in questo ambito tra «prassi devianti» e «prassi promozionali», nate in assenza di istituti giuridici confacenti alle esigenze di tutela manifestate dalla collettività in pendenza dell’accertamento di un fatto di reato.

[15] V. nota 3

[16] L’art. 272 c.p.p. prevede che «le libertà della persona possono essere limitate con misure cautelari soltanto a norma delle disposizioni del presente titolo». Nel medesimo titolo richiamato dall’art. 272 è collocata la norma sulle esigenze cautelari, mentre ad un titolo diverso è affidata la disciplina delle misure cautelari reali: ciò significa che quest’ultime non presuppongano la sussistenza delle esigenze cautelari di cui all’art. 274 c.p.p., come testimoniato dai presupposti del sequestro conservativo, che esulano da alcuna attinenza con le esigenze cautelari.

[17] TONINI, Manuale di Procedura Penale, Varese, 2020, p. 493

[18] Tra i primi commenti della norma che ha codificato l’istituto in esame, si segnalano in particolare: N. GALANTINI, sub art. 321, in Commentario del nuovo codice di procedura penale, diretto da E. AMODIO – O. DOMINIONI, III, 2, Milano, 1990, p. 265 ss.; E. SELVAGGI, sub art. 321, in Commento al nuovo codice di procedura penale, coordinato da M. Chiavario, III, Torino, 1990, p. 359 ss.

[19] PRESSACO, La motivazione del decreto che dispone il sequestro “impeditivo”, in Diritto penale e processo oggi, 2015, p. 101

[20] Sulle differenze strutturali – tali da configurare istituti specifici ed autonomi – tra le tipologie di sequestro previste dai primi due commi dall’art. 321 e ss. c.p.p., v. Cass., pen. Sez. VI, 19.01.1994 n. 151, Pompei, in Cass. pen., 1995, p. 3459 ss., con nota di R. MENDOZA. Da ultima, v. Cass., pen. Sez. III, 17.09.2014 n. 47684, Mannino, in CED, rv. 261242. In dottrina, su tale distinzione, v. P. Balducci, Il sequestro preventivo nel processo penale, cit., p. 124, nonché M. MONTAGNA, I sequestri nel sistema delle cautele penali, Padova, 2005, p. 119 ss.

[21] Si veda E. AMODIO, Dal sequestro in funzione probatoria al sequestro preventivo: nuove dimensioni della «coercizione reale» nella prassi e nella giurisprudenza, in Cass. pen., 1982, p. 1073, il quale richiama le previgenti norme nelle quali veniva, di volta in volta, inquadrato il sequestro preventivo: art. 219, 231 e 232 e 337 c.p.p. 1930

[22] Cass., S. U., 30.05.2019, n. 40847 30/05/2019, Bellucci, Rv. 276690 – 01

[23] In dettaglio, l’art. 327, c. 7 c.p.p. dispone che “si applicano le disposizioni dell’articolo 309 commi 9, 9-bis e 10. La revoca del provvedimento di sequestro può essere parziale e non può essere disposta nei casi indicati nell’articolo 240 comma 2 del codice penale”.

[24] Cass., S. U., 30.05.2019, n. 40847 30/05/2019, Bellucci, Rv. 276690 – 01

[25] L’art. 1, Protocollo n. 1 CEDU, infatti, prevede che “nessuno può essere privato della sua proprietà se non per causa di utilità pubblica e nelle condizioni previste dalla legge e dai principi generali del diritto internazionale”.

[26] Cass., S. U., 30.05.2019, n. 40847 30/05/2019, Bellucci, Rv. 276690 – 01

[27] Cass., pen. Sez. V, 2.05.2019, n. 18316

 

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