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LA MINIRIFORMA DELLE INTERCETTAZIONI:PIÙ OMBRE CHE LUCI

1. Premessa.-

La “novella” portata dal decreto-legge del Guardasigilli Nordio interviene con urgenza in alcuni settori della giustizia penale, ma altre modifiche sono preannunciate in un più corposo disegno di legge ancora all’esame delle Camere. Il decreto legge è stato però profondamente modificato nel suo iter parlamentare e, accanto a qualche aspetto sicuramente positivo, contiene anche diverse criticità, impostate  all’insegna del principio di law and order.

2.L’ampliamento della disciplina speciale.-

La “novella” del 2023 ci ha portato l’ennesima estensione della disciplina speciale introdotta dall’art. 13 d.l. 13.5.1991, n. 152, conv., con mod., dalla l. 12.7.1991, n. 203. La disposizione, che introduce una disciplina speciale, apporta diverse deroghe rispetto alla disciplina ordinaria. La prima deroga riguarda i presupposti dell’autorizzazione, giacchè l’autorizzazione ad eseguire intercettazioni viene concessa allorché le stesse appaiano «necessarie» (non «indispensabili») in presenza di «sufficienti» (e non «gravi») indizi di reato, «per lo svolgimento delle indagini» (e non per «la prosecuzione»).  La seconda deroga consiste nel fatto che è previsto untermine di durata di quaranta giorni (e non quindici) con successive proroghe di venti giorni (e non di quindici). Ulteriore deroga è rappresentata dalla previsione che nei «casi d’urgenza» provvede il p.m. stesso alla proroga dell’intercettazione, dovendosi poi osservare le disposizioni dell’art. 267 c. 2 c.p.p. per la convalida. Ancora altra deroga consiste nel fatto che l’intercettazione nel domicilio è consentita anche se non vi è «fondato motivo di ritenere che ivi si stia svolgendo l’attività criminosa». Infine, ultima deroga consiste nel fatto che il pubblico ministero e l’ufficiale di polizia giudiziaria possono farsi coadiuvare, nelle operazioni di intercettazione, da agenti di polizia giudiziaria.

Ma tale eccezionale disciplina è stataprogressivamente estesa e, da ultimo proprio dal d.l. n. 105/2023. Infatti, tra i gravi delitti, sottoposti alla disciplina speciale, originariamente l’art. 13 d.l. 1991 n. 152, cit. menzionava soltanto i “delitti di criminalità organizzata” e di “minaccia col mezzo del telefono”. A causa dell’incertezza che regnava sull’individuazione dei delitti di “criminalità organizzata”, com’è noto, dovettero intervenire le SU che inclusero il delitto di cui all’art. 416 c.p. tra i reati di criminalità organizzata[1].

Successivamente, il c. 1 dell’art. 3 d.l. 18.10.2001, n. 374 (Disposizioni urgenti per contrastare il terrorismo internazionale), conv., con mod., dalla l. 15.12.2001, n. 438, estese l’applicabilità del citato art. 13 ai procedimenti per i delitti previsti dagli artt. 270 ter e 280 bis c.p. e per quelli innumerevoli indicati dall’art. 407 c. 2 lett. a) n. 4 c.p.p.

Poco dopo l’art. 9 l. 11.8.2003, n. 228 (Misure contro la tratta di persone) prescrisse l’applicazione del menzionato art. 13 ai procedimenti per i delitti previsti dal libro II, titolo XII, capo III, sezione prima, c.p., cioè ai delitti contro la personalità individuale di cui agli artt. 600-604 c.p. nonché dall’art. 3 l. 20.2.1958, n. 75, che ha sostituito gli artt. 531 e 536 c.p. in materia di delitti in materia di sfruttamento dell’altrui prostituzione.            Ancora, l’art. 6, c.1 (Disposizioni per la semplificazione delle condizioni per l’impiego delle intercettazioni delle conversazioni e delle comunicazioni telefoniche e telematiche nei procedimenti per i più gravi reati dei pubblici ufficiali contro la pubblica amministrazione) l. 9.1.2019, n. 3, aggiunse  all’art. 266,  comma  2-bis,    i “delitti dei pubblici ufficiali contro  la pubblica amministrazione puniti con  la  pena  della  reclusione  non inferiore  nel  massimo  a  cinque   anni,   determinata   ai   sensi dell’articolo 4».

        Infine, l’art. 1 (Disposizioni in materia di intercettazioni) del  d.l. n. 105/2023, conv. con mod. dalla l. n. 137/2023, al comma 1, ha stabilito che le disposizioni di cui all’artt. 13  del  d.-l.  13 maggio 1991, n. 152, conv., con mod., dalla l. 12 luglio 1991, n. 203,  si  applicano  anche  nei  procedimenti  per  i “delitti,   consumati   o    tentati,    previsti    dagli    articoli 452-quaterdecies e  630  del  codice  penale,  ovvero   commessi   con finalità di  terrorismo  o  avvalendosi  delle  condizioni  previste dall’articolo 416-bis del  codice  penale  o  al  fine  di  agevolare l’attività delle associazioni previste dallo stesso articolo”.   Nella foga di aumentare il novero dei reati sottratti alla disciplina ordinaria, il legislatore si è persino dimenticato che l’art. 630 c.p. era già incluso tra quelli di cui all’art. 407 comma 2 lett. a) c.p.p., sicchè ne ha ripetuto l’inclusione.

           Al comma 2 si aggiunge che tale disposizione “si applica anche nei procedimenti in corso alla data di entrata in vigore del presente decreto”. Pertanto, la disciplina speciale  trova  applicazione  pure  nei  procedimenti  per  i delitti,   consumati   o    tentati,    previsti    dagli artt. 452-quaterdecies (attività organizzate per il traffico illecito di rifiuti) e 630 (sequestro di persona a scopo di estorsione) c.p., ovvero  commessi  con finalità di  terrorismo  o  avvalendosi  delle  condizioni  previste dall’art. 416-bis del codice penale (forza di intimidazione del vincolo associativo mafioso e condizione di assoggettamento e di omertà che ne derivano) o  al  fine  di  agevolare l’attività delle associazioni di tipo mafioso.

Ma in questo modo l’elenco dei reati che fruiscono della deroga ai presupposti ordinari in tema di intercettazioni si allunga eccessivamente e l’eccezione diventa sempre più la regola, sacrificando in modo irragionevole la segretezza delle comunicazioni tutelata dall’art. 15 Cost.”.

3. L’ ”autonoma valutazione” nella motivazione.-

La motivazione del decreto che decide in tema di autorizzazione, convalida o proroga dell’intercettazione è posta a tutela del diritto alla segretezza delle conversazioni o comunicazioni e pertanto deve essere alla base del decreto decisorio, sia che accolga sia che rigetti la richiesta del p.m.

Di fronte alla prassi diffusa per cui l’autorizzazione all’intercettazione è spesso data su un prestampato con formule di stile, prassi venuta alla luce anche in altri ordinamenti[2], il legislatore ha voluto rendere il provvedimento incidente sulla segretezza delle comunicazioni più rispettoso della loro inviolabilità. Pertanto, l’art. 1 (Disposizioni in materia di intercettazioni) del  d.l. in esame, al comma 2-bis, ha modificato il terzo periodo del comma 1 dell’art. 267 c.p.p., sostituendo alcune parole, per cui ora il decreto che autorizza l’intercettazione tra presenti mediante inserimento di captatore informatico su dispositivo elettronico portatile “espone  con  autonoma  valutazione” le specifiche ragioni che rendono necessaria, “in concreto”, tale modalità per lo svolgimento delle indagini.

Per dire la verità, la motivazione del giudice dovrebbe essere, per definizione, sempre autonoma rispetto ad altri atti del procedimento, se non si vuol cadere nel paradosso secondo cui il pubblico ministero recepisce la richiesta della p.g. ed il giudice, recependo quella del P.M., fa sì che, alla fine, chi decide è la polizia giudiziaria. E analoga “autonoma valutazione”  è ovviamente necessaria anche per la motivazione del decreto di convalida dell’intercettazione urgente disposta dal P.M.; così come dovrebbe essere ovvio che essa è necessaria  “per indicare i luoghi e il tempo, anche indirettamente determinati, in relazione ai quali è consentita l’attivazione del microfono” quando si procede per delitti diversi da quelli di cui all’articolo 51, commi 3-bis e 3-quater c.p.p., e dai delitti dei pubblici ufficiali o degli incaricati di pubblico servizio contro la pubblica amministrazione per i quali è  prevista  la  pena  della reclusione non inferiore nel massimo a  cinque  anni,  determinata  a norma dell’art. 4 c.p.p.

Ma nonostante tale ovvietà, non dubitiamo che presto la Corte di cassazione ammetterà la motivazione per relationem, come le Sezioni unite affermarono nella nota sentenza Primavera e altri[3].  In quell’occasione, nonostante che la Corte costituzionale con la sentenza n. 34/1973 avesse imposto una motivazione esplicita e non certo per relationem, le  S.U. hanno  riconosciuto legittimità alla motivazione per relationem.

Per la verità, sarebbe stato sufficiente al legislatore imporre l’obbligo di indicare esplicitamente in motivazione le ragioni che, nel caso concreto, impongono l’uso del captatore informatico e quelle che impediscono il ricorso all’intercettazione ambientale, telefonica o telematica.

In ogni caso, il legislatore avrebbe dovuto imporre l’obbligo di chiarire il collegamento tra l’indagine e il titolare di quell’utenza, come la migliore giurisprudenza già afferma[4], oppure esigere che, nelle ipotesi in cui si proceda ad intercettazione nei confronti di un soggetto non indagato, il giudice debba motivare la correlazione tra l’indagine in corso e l’intercettato in modo maggiore rispetto ai casi di intercettazione disposta nei confronti di indiziato di delitto. In questo caso, il giudice deve procedere non solo alla verifica relativa alla base indiziaria oggettiva, ma è necessario che il giudice indichi ed espliciti chiaramente l’interesse investigativo sottostante, chiarisca cioè le ragioni di collegamento diretto o indiretto (conoscenza) tra il soggetto (non indagato) ed il fatto di reato oggetto di accertamento; è necessario che si indichino i motivi per i quali il soggetto terzo che si intende intercettare dovrebbe essere “informato sui fatti” e perché si ritiene che vi possano essere conversazioni o comunicazioni attinenti a quei fatti[5].

4. La motivazione monca o disinformata.-

Tuttavia, la perentorietà della prescrizione perde molto del suo valore per il fatto che attualmente il G.I.P. non conosce tutti gli atti di indagine, ma solo quelli che il P.M. ha allegato alla sua richiesta di intercettazione. Per dare al giudice la conoscenza integrale del panorama investigativo e quindi consentirgli una decisione “informata” sarebbe stato necessario prescrivere l’invio di tutti gli atti di indagine o almeno, come previsto dall’art. 291, comma 1, c.p.p. per le richieste di misure cautelari, “tutti gli elementi a favore dell’imputato e le eventuali deduzioni e memorie difensive già depositate”.

5. I brogliacci “puliti”.-

L’art. 1, comma 2-ter, d. l. n. 105/2023 in esame, ha sostituito il comma 2 dell’art.  268 c.p.p., stabilendo che «Nel  verbale  è trascritto,  anche  sommariamente,  soltanto   il   contenuto   delle comunicazioni intercettate rilevante ai fini delle indagini, anche  a favore  della  persona  sottoposta  ad  indagine.  Il contenuto non rilevante ai  fini  delle  indagini  non   è  trascritto   neppure sommariamente e nessuna menzione ne viene  riportata  nei  verbali  e nelle annotazioni della polizia giudiziaria,  nei  quali  è  apposta l’espressa dicitura: “La  conversazione  omessa  non  è  utile  alle indagini”. 

Ma affidare la valutazione sulla valenza difensiva di una conversazione alla sola polizia giudiziaria lascia perplessi, perché essa, per la sua impostazione inquirente non sempre potrebbe coglierne la portata.

6. La ridotta utilizzabilità in procedimento diverso.-

Unico dato sicuramente positivo del decreto legge, perché ispirato alla tutela della segretezza delle comunicazioni, è la modifica che incide sul periodo finale del comma 1 dell’art. 270 c.p.p., che estendeva l’utilizzabilità ai “reati di cui all’articolo 266, comma 1”. Tale inciso finale è stato soppresso dal d.l. in commento, che ne prevede l’applicazione “ai procedimenti iscritti successivamente alla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto”, cioè dal 10.10.2023 e non nei procedimenti pendenti: non può sfuggire che, al contrario, l’ampliamento della disciplina speciale opera anche nei procedimenti in corso. Pertanto, rivive la previgente disciplina che consente l’utilizzabilità dei risultati dell’intercettazione in un diverso procedimento soltanto se risultino “rilevanti e indispensabili” per l’accertamento di delitti per i quali è obbligatorio l’arresto in flagranza.

           7. Le  infrastrutture  digitali  centralizzate  per   le intercettazioni.-

L’art. 2 del d.l. in esame istituisce le  infrastrutture  digitali  centralizzate  per   le intercettazioni, oltre che modificare la disciplina  in  materia  di  registrazione delle spese per intercettazioni. Si disciplina in questo modo un progressivo percorso al fine di consentire di localizzare presso le nuove infrastrutture digitali l’archivio digitale previsto dalle norme vigenti e, successivamente, di effettuare le stesse intercettazioni mediante tali infrastrutture. È espressamente ribadito che il Ministero della giustizia, pur nell’ambito delle suddette attività, non può avere accesso ai dati in chiaro, che restano coperti dal segreto investigativo.

           8. Conclusioni.-

           In definitiva, dall’iter parlamentare è uscito un provvedimento migliorato rispetto all’iniziale contenuto, ma ancora in chiaroscuro, prevalendo le tinte fosche sulla limpidezza dei principi costituzionali, troppo trascurati anche in questa occasione.


[1] Cass., Sez. Un. 28.4.2016, Scurato, n. 26889, in Cass. pen., 2016, 3536, che intese per “delitti di criminalità organizzata, anche terroristica” quelli “elencati nell’art. 51, c. 3-bis e 3-quater, c.p.p., nonché quelli comunque facenti capo a un’associazione per delinquere, con esclusione del mero concorso di persone nel reato”.

[2] V. Corte giust. U.E., Sez. III, 16 febbraio 2023, causa C‑349/21, avente ad oggetto la domanda di pronuncia pregiudiziale proposta alla Corte, ai sensi dell’art. 267 TFUE, dallo Spetsializiran nakazatelen sad -Tribunale penale specializzato -, con decisione del 3 giugno 2021, nel procedimento HYA., IP., DD., ZI., SS. che ha ammesso che un provvedimento di autorizzazione all’intercettazione di comunicazioni, emesso dal presidente di un tribunale bulgaro, sia privo di motivazione, sostenendo che essa sarebbe però ricavabile dalla richiesta, nonostante che l’ autorizzazione non richiami nemmeno il contenuto della richiesta, per cui non può neppure parlarsi di motivazione per relationem).

[3] LeSezioni Unite, in tema di motivazione di decreto autorizzativo di intercettazione, hanno affermato che ciò che rileva è che dalla motivazione fornita, succinta e compendiosa come si addice a ogni provvedimento del giudice, in particolare quando si tratti di decreto che la legge specificamente, come nel caso di specie, richiede, sia motivato (art. 125 c. 3, con riferimento all’art. 267 c. 1), si possa dedurre l’iter cognitivo e valutativo seguito dal giudice e se ne possano conoscere i risultati che debbono essere conformi alle prescrizioni di legge. Pertanto la motivazione per relationem di un provvedimento giudiziale è da considerare legittima quando: faccia riferimento, ricettizio o di semplice rinvio, a un legittimo atto del procedimento, la cui motivazione risulti congrua rispetto all’esigenza di giustificazione propria al provvedimento di destinazione; fornisca la dimostrazione che il decidente ha preso cognizione del contenuto sostanziale delle ragioni del provvedimento di riferimento e le abbia meditate e ritenute coerenti alla sua decisione; l’atto di riferimento, quando non venga allegato o trascritto nel provvedimento da motivare, sia conosciuto dall’interessato o almeno ostensibile, quanto meno al momento in cui si renda attuale l’esercizio della facoltà di valutazione, di critica ed eventualmente di gravame e, conseguentemente, di controllo dell’organo della valutazione o dell’impugnazione. Nell’ipotesi di proroga dell’autorizzazione all’intercettazione, il rinvio al provvedimento che per primo acconsentì all’attivazione del mezzo di ricerca della prova quanto all’esistenza dei presupposti di legge può dirsi quasi d’obbligo, dovendo il giudice decidere solo sulla persistenza delle esigenze di captazione. La mancanza di motivazione “in senso fisico-testuale ma anche quando la motivazione sia apparente, semplicemente ripetitiva della formula normativa, del tutto incongrua rispetto al provvedimento che deve giustificare (motiva su un sequestro, o su esigenze di cautela personale, e similmente”) dà luogo ad inutilizzabilità, mentre nel caso di difetto della motivazione (“nel senso di incompletezza o insufficienza o non perfetta adeguatezza, ovvero di sovrabbondanza con ben probabili, in simili eccessi, slabbrature logiche; in una parola, di vizi che non negano e neppure compromettono la giustificazione, ma la rendono non puntuale”) il “vizio va emendato dal giudice cui la doglianza venga prospettata, sia esso il giudice del merito, che deve utilizzare i risultati delle intercettazioni, sia da quello dell’impugnazione nella fase di merito o in quella di legittimità”, trattandosi di mera irregolarità o tutt’al più di nullità relativa(Cass. Sez.un.,21.6.2000, Primavera e altri, in Dir. pen e proc., 2001, 621). In riferimento all’ordinanza di custodia cautelare cfr. invece Cass. Sez. un.24.4.1991, Bruno, in Cass. pen.,1991, II, 490.

[4] Cass., sez. VI, c.c.12.2.2009 (dep.23.3.2009), n. 12722, Lombardi Stonati, in Cass. pen.,2009, 3341, RV 243241; Cass., Sez. IV, 21.12.2006, C.V., CED 235536.

[5] Cass., Sez. VI c.c. 8.3.2018 (dep. 9.10.2018), n. 45486, Romeo e altro, in Dir. pen. e proc., 2019, p. 697.

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