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LA RESPONSABILITA’ DA REATO DELL’ENTE ESTINTO FRA FORZATURE PROCESSUALI E SEMPLIFICAZIONI CIVILISTICHE

Abstract: Il contributo esamina in chiave critica l’interpretazione da ultimo avanzata dalla Suprema Corte sulla possibilità di sottoporre a giudizio una società ritenuta responsabile del reato commesso nel suo interesse ex d.lgs.n.231/2001, ma nel frattempo estintasi, ai fini dell’eventuale applicazione ai soci della relativa sanzione pecuniaria.

Abstract: The paper critically examines the interpretation recently put forward by the Italian Supreme Court on the possibility of bringing before courts an extinct company, considerered responsible for the offence committed on its behalf, in order to possibly impose the relevant fines on its shareholders.

Sommario: 1. La disciplina delle vicende modificative dell’ente contenuta nel d.lgs.n. 231/2001. – 2. La mancata previsione delle cause di estinzione dell’ente e l’ipotesi di fallimento. – 3. La cancellazione della società dal registro di imprese come pacifica ipotesi di estinzione dell’ente e le sue inevitabili ricadute sul procedimento a suo carico. 4. L’evidente impossibilità di procedere nei confronti di un ente definitivamente estinto al vaglio delle contro-argomentazioni esposte in sentenza: la doverosa tutela del diritto di difesa e i fondamenti sostanziali della responsabilità “da reato”.

1. La disciplina delle vicende modificative dell’ente contenuta nel d.lgs.n. 231/2001. – Secondo la pronuncia di legittimità in esame, anche un ente definitivamente estinto potrebbe essere giudicato e sanzionato per la responsabilità derivante dall’avvenuta commissione di un reato nel suo interesse o a suo vantaggio.

Più precisamente, in caso di cancellazione dal registro delle imprese della società ritenuta responsabile del delitto di lesioni colpose commesso nel suo interesse, la relativa sanzione pecuniaria potrebbe essere direttamente rivolta nei confronti dei soci della stessa, chiamati a risponderne, a seconda dei casi e sulla base dei comuni principi civilistici, in forma illimitata ovvero nei limiti di quanto riscosso a seguito della liquidazione.

In assenza di specifici riferimenti normativi alla possibile estinzione dell’ente convenuto, l’importante questione affrontata in sentenza – certamente dotata di una portata generale tutt’altro che trascurabile – sembra allora richiedere un breve richiamo delle disposizioni riguardanti le “vicende modificative” degli enti, tenendo sempre a mente le ragioni ispiratrici di un’autonoma responsabilità degli entie i delicati profili attinenti al loro diritto di difesa.

Nell’introdurre una responsabilità da reato a carico degli enti, il legislatore del 2001 non aveva infatti trascurato di considerare che qualsiasi soggetto giuridico diverso dalla persona fisica è inevitabilmente soggetto, nel corso del tempo, ad una serie di possibili trasformazioni destinate ad alterarne natura, fisionomia e consistenza patrimoniale.

Sotto tale profilo, la prospettiva da esso prescelta è stata pertanto rivolta a considerarne attentamente proprio le possibili “vicende modificative” in modo da garantire continuità al relativo giudizio di accertamento e poter individuare al contempo, con chiarezza e precisione, anche il futuro destinatario della (eventuale) sanzione. 

Più precisamente, gli artt.27 e ss. del d.lgs. n.231/2001 si sono fatti carico di disciplinare alcuni casi di successione nell’obbligazione patrimoniale derivante dall’applicazione di una sanzione pecuniaria, differenziando espressamente le ipotesi di fusione (semplice trasferimento dell’obbligazione), di scissione (obbligazione solidale dei diversi enti beneficiari, ma sempre nei limiti del patrimonio netto trasferito a ciascuno di essi) e di cessione di azienda (obbligazione solidale con preventiva escussione del cedente e limitazione dell’obbligazione del cessionario al valore dell’azienda trasferita ed all’ipotesi di previa conoscenza dell’illecito o della sanzione).[i]

Da un lato, viene pertanto evidenziato, in termini assolutamente espliciti, che “dell’obbligazione per il pagamento della sanzione pecuniaria risponde soltanto l’ente con il suo patrimonio o con il fondo comune”, dall’altro risultano poi accuratamente delineate – in senso contrario – una serie di ipotesi di “trasferimento” del patrimonio dell’ente che ben giustificano anche il contestuale “trasferimento” dell’obbligazione in esame, sia pur con l’introduzione di determinati limiti a garanzia dei terzi.

Inoltre, nell’estendere alle ipotesi di fusione o di scissione la peculiare ipotesi di esenzione dall’applicazione delle sanzioni interdittive prevista dall’art.17, il legislatore sembra implicitamente avallare la possibile applicazione al “nuovo” ente anche di questo diverso tipo di sanzioni, sebbene le finalità di prevenzione speciale ad esse sottese e la difficile quantificazione economica del loro eventuale impatto pongano in questo caso all’interprete una serie di problemi di difficile soluzione.

Quanto infine alla confisca del prezzo o del profitto del reato prevista dall’art.19, la sbandierata funzione di “riequilibrio” economico ad essa sottesa non sembra invece incontrare alcun particolare ostacolo in caso di modificazioni dell’ente responsabile: in questo senso, il discutibile approccio giurisprudenziale volto a salvaguardare, sempre e comunque, l’effettività dell’intervento sanzionatorio indirizzandolo verso i più vari soggetti ritenuti responsabili (a vario titolo) ad esclusiva “garanzia” della pretesa erariale (con conseguente negazione della finalità riequilibratrice apparentemente teorizzata) sembra suscettibile di espandersi agevolmente anche verso gli enti “trasformati”.

 2. La mancata previsione delle cause di estinzione dell’ente e l’ipotesi di fallimento. –Viceversa, il diverso tema della possibile “estinzione” dell’ente non era stato espressamente affrontato dal legislatore del 2001[ii] ed è stato poi impropriamente evocato – in alcune pronunce di merito – con specifico riferimento al tema delle procedure fallimentari, procedure attraverso le quali viene tuttavia a realizzarsi – almeno in prima battuta – una piena continuità nei rapporti patrimoniali attivi e passivi senza che si rinvenga quindi alcuna forma di modificazione soggettiva dell’ente.

Nel caso di fallimento, non si tratta infatti di invocare una pretesa estinzione dell’ente introducendo un discutibile parallelismo con la morte del reo[iii], quanto semmai di interrogarsi a fondo sull’effettiva utilità di infliggere specifiche sanzioni ad un ente ormai sottoposto ad un penetrante controllo giurisdizionale, finendo di fatto per arrecare un ulteriore pregiudizio ai suoi creditori di buona fede.[iv]

Il tema, come è noto, è stato ampiamente affrontato dalla sentenza delle Sezioni Unite n.1170/2015, la quale – dopo aver preliminarmente escluso, in continuità con le precedenti decisioni di legittimità, che il fallimento della società determini l’estinzione dell’illecito dell’ente – ha poi attribuito proprio al giudice penale il compito di anteporre – già in sede di giudizio di merito ovvero nell’eventuale incidente di esecuzione promosso dal terzo – i diritti degli eventuali creditori di buona fede alla concreta applicazione della confisca alla massa fallimentare.[v]

In una simile prospettiva, si è affermato pertanto che l’intervenuto fallimento dell’ente attribuirebbe una valenza assolutamente decisiva all’indicazione contenuta nell’art.19 (“sono fatti salvi i diritti acquisiti dai terzi di buona fede”), trasformando quelli che apparivano inizialmente come dei semplici diritti di credito (da far valere nei confronti dell’ente responsabile dell’illecito) in dei veri e propri diritti reali sui beni già facenti parte dell’attivo fallimentare e poi ripartiti fra i creditori all’esito della procedura.

D’altra parte, considerato che un simile ragionamento non può essere invece automaticamente esteso alla sanzione pecuniaria, l’anteposizione di quest’ultima ai diritti dei creditori continua invece a costituire un’opzione interpretativa perfettamente percorribile.[vi]     

In definitiva, all’esito del dibattito dottrinale e giurisprudenziale sviluppatosi negli ultimi anni la società sottoposta ad una procedura fallimentare continua pertanto a rappresentare – ai sensi dell’art. 28 del d.lgs. n.231/2001 – un ente rimasto estraneo a trasformazioni rilevanti rispetto al quale “resta ferma la responsabilità per i reati commessi anteriormente alla data in cui la trasformazione ha avuto effetto”, salvo il doveroso rispetto del diritto di difesa del medesimo e l’esplicito riconoscimento giurisprudenziale dei diritti dei creditori di buona fede in ipotesi di confisca.

3. La cancellazione della società dal registro di imprese come pacifica ipotesi di estinzione dell’ente e le sue inevitabili ricadute sul procedimento a suo carico. Ma cosa accade invece dopo la chiusura della procedura fallimentare e la conseguente cancellazione dell’ente dal registro delle imprese?

In questo caso non sembra davvero più esistere alcun ente “trasformato” astrattamente in grado di partecipare al giudizio, oltre che di subire, all’esito del medesimo, le eventuali sanzioni irrogate a suo carico, né sembra oggettivamente esistere – almeno nella realtà fenomenica – alcun “patrimonio” o “fondo comune” attraverso il quale l’ente originario potrebbe (sia pur tardivamente) rispondere.

E cosa avviene quindi nel diverso caso in cui l’estinzione dell’ente si verifichi per mera iniziativa dei soci ed in assenza di qualsiasi intervento di rilievo pubblicistico, con conseguente possibile elusione del complesso procedimento sanzionatorio previsto dal d.lgs. n.231/2001? Ai fini di un sintetico inquadramento del problema, la decisione annotata richiama opportunamente sul punto (salvo poi discostarsene integralmente per le ragioni di seguito esposte) le argomentazioni da ultimo svolte da Cass. Sez. II, n.41082 del 10 settembre 2019, Starco S.r.l. Rv. 277107, secondo la quale l’estinzione dell’ente determinata dalla cancellazione dal registro delle imprese a seguito della chiusura della procedura fallimentare “inibisce la progressione del processo a iniziativa pubblica previsto per l’accertamento della responsabilità da reato”, come chiaramente desumibile dalla scelta del legislatore di regolamentare “solo le vicende inerenti la trasformazione dell’ente”.

In tal senso, la non percorribilità di un ipotetico giudizio penale a carico di enti estinti è stata da tempo evidenziata anche in dottrina[vii], salva eventualmente la possibilità di provare ad irrogare ugualmente la sanzione pecuniaria nell’ipotesi in cui l’ente si sia estinto dopo la condanna definitiva ed il relativo patrimonio si stato oggetto di successivo trasferimento.[viii]

4. L’evidente impossibilità di procedere nei confronti di un ente definitivamente estinto al vaglio delle contro-argomentazioni esposte in sentenza: la doverosa tutela del diritto di difesa e i fondamenti sostanziali della responsabilità “da reato”.  – Ciò nonostante, si afferma invece espressamente nella pronuncia in esame, “in consapevole contrasto con il precedente legittimità richiamato”, che “la cancellazione dal registro delle imprese della società alla quale si contesti (nel processo penale che si celebra anche nei confronti di persone fisiche imputate di lesioni colpose con violazione della disciplina antinfortunistica), la violazione dell’art.25 septies, comma 3, del d.lgs. 8 giugno 2001, n.231, in relazione al reato di cui all’art.590 c.p., che si assume commesso nell’interesse o a vantaggio dell’ente, non determina l’estinzione dell’illecito alla stessa addebitato”, legittimando in tal modo la formale condanna di un ente pacificamente estinto.

Tuttavia, a fronte del ragionamento interpretativo posto a fondamento dell’opposto orientamento, corroborato altresì da insuperabili esigenze di coerenza sostanziali e processuali, le argomentazioni avanzate in motivazione a confutazione del medesimo non sembrano cogliere assolutamente nel segno.

In primo luogo, l’avvenuta previsione di altre cause estintive dell’illecito, diverse dall’estinzione dell’ente (quali la prescrizione o l’amnistia), che viene evocata a sostegno di una possibile interpretazione a contrario, non aiuta certo a delineare l’effettiva valutazione normativa del peculiare fenomeno in esame, come tale intrinsecamente connesso alla natura stessa dell’ente collettivo e del tutto indipendente dalle classiche cause estintive del reato. Così argomentando, le ragioni per le quali il legislatore avrebbe ritenuto di non regolamentare in alcun modo un tema particolarmente rilevante quale quello dell’estinzione dell’ente, dedicando invece estrema attenzione alle sue possibili vicende modificative, resterebbero peraltro assolutamente inspiegabili[ix].

Del tutto improprio appare poi il parallelismo proposto nella motivazione con l’ipotesi di mero fallimento, la quale – come ormai acclarato anche in giurisprudenza – determina invece all’evidenza un meccanismo di trasformazione astrattamente suscettibile di garantire all’ente anche una prolungata continuità di azione. Al contrario, proprio le argomentazioni precedentemente spese dalla Corte di Cassazione in merito alla reversibilità del fallimento ed alla non riconducibilità del medesimo ad un fenomeno estintivo contribuiscono a loro volta a dimostrare la correttezza dell’assunto in contestazione.

Ma, soprattutto, il percorso logico svolto a sostegno del revirement interpretativo in oggetto mostra sorprendentemente di prescindere dalla principale norma di riferimento in tema di sanzione pecuniaria (ovvero dall’art.27 sopra citato) che limita in modo esplicito l’obbligazione relativa al suo pagamento al solo “patrimonio dell’ente”.[x]  

A ben vedere, l’arresto in esame sembra muovere in realtà da una più banale esigenza di “prosecuzione” del giudizio già pendente e dalla volontà di sbarrare la strada a possibili tentativi di elusione del procedimento sanzionatorio, al cospetto di una prassi criminologica nella quale si è andato da tempo affermando un improprio ricorso alla cancellazione delle società dal registro delle imprese notoriamente finalizzato ad evitare le conseguenze penali del fallimento.

Tuttavia, anche al di là dell’errore interpretativo denunciato, un simile approccio rischia a sua volta di contribuire ad annacquare ulteriormente il precipuo significato della responsabilità da reato degli enti, già messa attualmente in crisi dall’inutile proliferazione di nuovi reati presupposto e dalla conseguente legittimazione – alla prova dei fatti – della sua risalente applicazione “a macchia di leopardo”. L’idea di una apposita responsabilizzazione degli enti, caratterizzati da profili organizzativi propri e da interessi autonomi rispetto a quelli dei soci, muove infatti proprio dall’esigenza di considerare le persone giuridiche quali diretti destinatari delle finalità preventive insite nelle sanzioni previste dal d.lgs. n.231/2001 piuttosto che come semplici strumenti in mano ai privati.    

Una volta che una società si sia materialmente estinta sarebbe pertanto assolutamente illogico prospettare una sua eventuale reviviscenza, il cui unico possibile effetto sarebbe quello di riaprire una procedura fallimentare o di provare a ricostruire “in astratto” un “patrimonio” che ormai non esiste più, senza che nessuno si sia posto nel frattempo il problema delle modalità di partecipazione al giudizio dell’ente estinto e/o dei suoi eventuali successori nell’obbligazione in questione.[xi]

Un conto è allora sostenere che una società non dovrebbe in alcun modo potersi estinguere prima della conclusione del giudizio a suo carico, cercando eventualmente di tratteggiare le più opportune modalità di “coordinamento” fra cancellazione dal registro delle imprese e perdurante pendenza di un giudizio ex d.lgs. n.231/2001, altro è invece affermare – con possibili ricadute paradossali sia sul piano astratto che su quello concreto – che la giurisdizione penale debba essere deputata a processare ed a sanzionare degli enti ormai definitivamente estinti, lasciando prevalere il formalismo sulla coerenza del sistema.


[i] Per un’applicazione estensiva/analogica della disciplina della cessione ad un’ipotesi di estinzione fraudolenta dell’ente con sostanziale successione di un diverso soggetto giuridico, cfr. Cass. Sez. V, sent. 27 aprile 2021, n.25492, in Diritto di difesa, 9 marzo 2022, con nota critica di SARDELLA,

[ii] Sulla mancanza di una specifica previsione del fenomeno estintivo e sul conseguente “contrasto” che ne deriva rispetto alla disciplina appena richiamata cfr NAPOLEONI, Le vicende modificative dell’ente, in LATTANZI (a cura di), Reati e responsabilità degli enti, Milano 2010, 416.

[iii] Sul punto cfr. Cass, Sez. V, 26 settembre 2012, n.44824, secondo la quale “Il fallimento dell’impresa collettiva può al più assimilarsi alla situazione di un malato; una società fortemente indebitata ed in stato di pesante dissesto (come quella tratteggiata nel provvedimento del gip di Roma) può paragonarsi ad un malato grave, la cui morte è altamente probabile, ma non certa nel se e nel quando. E fino al momento della morte effettiva del soggetto non è possibile dichiarare l’estinzione del reato solo perché il decesso è, in un futuro non lontano, altamente probabile. Solo la morte effettiva della persona fisica comporta l’estinzione del reato e dunque solo l’estinzione definitiva dell’ente può eventualmente determinare gli stessi effetti sulla sanzione per cui è giudizio”. In dottrina cfr. invece GUERINI, Il fallimento della società non determina l’estinzione della sanzione a carico dell’ente, in Dir. proc. pen., 2013, 943 ss.; ARIOLLI – D’URZO, Fallimento ed illecito amministrativo dipendente da reato: spunti problematici di una quaestio ancora non definitivamente risolta, in Cass. pen., 2012, 3079 ss.

 

[iv] Tuttavia, “per quanto possa sembrare irragionevole od inopportuna la perseguibilità della società fallita, non è consentito all’interprete correggere la norma, dovendo al più essere investito della questione il giudice delle leggi”, come veniva appunto correttamente evidenziato proprio nella sentenza sopra richiamata.

[v] Cfr. Cass., Sez. Un., 17 marzo 2015 (ud. 25.09.2014.), n. 11170, Pres. de Roberto, Rel. Marasca, ric. Cur. Fall U, in Diritto Penale Contemporaneo, 3 aprile 2015 con nota di RIVERDITI.

[vi] Come correttamente evidenziato da Tribunale di Vicenza, Sezione Penale, 19 marzo 2021, n. 348, in Giurisprudenza Penale Web, 2021, 7-8 nell’ipotesi di fallimento“la sanzione irrogata all’ente non è di per sé ineseguibile e che la natura pecuniaria la rende recuperabile attraverso l’insinuazione al passivo del fallimento del relativo credito dello Stato al pagamento della stessa, che è, infatti, specificamente assistito da privilegio ai sensi dell’art. 27, comma 2, d.lgs. n. 231/2001, norma che, altrimenti, perderebbe di utilità visto che è destinata a trovare applicazione perlopiù nell’ambito di procedure concorsuali. La sanzione, inoltre, non colpisce un soggetto diverso, incolpevole, ma lo stesso ente nel cui interesse il reato è stato commesso, che risponde col suo patrimonio ai sensi dell’art. 27, comma 1, d.lgs. n. 231/2001

[vii] Ex pluribis CERQUA, Diritto penale delle società, tomo I, Padova, 2009, 1467; CERESA-GASTALDO, Procedura penale delle società, Torino, 2021.

[viii] In questo senso SFAMENI, Responsabilità patrimoniale dell’ente in Responsabilità “penale” delle persone giuridiche, in GIARDA, MANCUSO, SPANGHER, VARRASO (a cura di), Milano, 2007, 243 e ss

[ix] Al fine di fornire una spiegazione alla “dimenticanza” in questione, si è sostenuto in dottrina che il tema della estinzione dell’ente mediante cancellazione del registro delle imprese abbia assunto effettiva rilevanza a seguito della riforma del diritto societario del 2003, prima della quale l’effettiva estinzione della società poteva invece verificarsi solo a seguito della definizione di tutti i rapporti giuridici, così SICIGNANO, Gli effetti della cancellazione della società dal registro delle imprese sulla responsabilità “da reato” dell’ente, in Diritto Penale Contemporaneo 2/2014, 158 ss. Tale precisazione, certamente corretta per quanto attiene alla disamina degli effetti pratici della riforma e all’ampio utilizzo della “cancellazione” quale strumento improprio ed elusivo, finisce tuttavia per confermare che il legislatore del 2001 avesse comunque dato per “scontato” che l’estinzione dell’ente precludesse la prosecuzione del procedimento, salvo eventualmente “confidare” su una diversa modulazione civilistica degli istituti in questione. Non a caso, le ampie considerazioni svolte inducono l’Autore a soffermarsi sui più ampi profili critici derivanti dall’attuale qualificazione civilistica della cancellazione dal registro delle imprese l’esigenza di un intervento normativo ed a prospettare egli stesso la ritenuta esigenza di un apposito intervento normativo che prenda spunto dal codice penale spagnolo.

[x] Come opportunamente evidenziato in dottrina l’importanza della norma in esame si coglie in particolare con riferimento alle società e associazioni prive di personalità giuridica per le obbligazioni delle quali i soci e gli associati rispondono negli altri casi solidalmente e illimitatamente, cfr. PALAZZO-PALIERO, Commentario breve alle leggi penali complementari, 2354,Padova, 2007. Ma anche in relazione all’eventuale assegnazione di una parte dei beni dell’ente estinto a seguito di riparto o di liquidazione, l’esplicito riferimento al “patrimonio dell’ente” sembra escludere la possibilità di rivolgersi direttamente ai soci quali suoi possibili successori nell’obbligazione in questione, non trattandosi di una ipotesi prevista dal d.lgs. n.231/2001. In questo senso cfr. anche Tribunale di Milano, Sez. X, 20 ottobre 2011, in Dir. pen. cont., 26 ottobre 2011.  

[xi] Sotto tale profilo, la previsione contenuta nell’art.35, secondo la quale “all’ente si applicano le disposizioni processuali relative all’imputato, in quanto compatibili” dovrebbe indurre ragionevolmente ad escludere l’ammissibilità di una partecipazione meramente formale che veda l’ente rappresentato da un procuratore e/o da un difensore divenuti privi di qualsiasi legittimazione. In tal senso sembrano altresì deporre le previsioni contenute nell’art.43 in tema di notificazioni al legale rappresentante, di elezione di domicilio e di sospensione del procedimento in caso di irreperibilità dell’ente. Del resto, la stessa giurisprudenza civile ha avuto modo di evocare una vera e propria “perdita della capacità processuale della società”. Per altro verso, come correttamente evidenziato nei primi commenti nel caso in cui l’estinzione dell’ente “intervenga a procedimento in corso” l’eventuale prosecuzione del procedimento stesso dinanzi al giudice penale avverrebbe di fatto non già nei confronti dell’ente quanto piuttosto proprio “nei confronti di soci e liquidatori” e “al solo fine di accertarne la responsabilità di natura civilistica per il mancato pagamento di una sanzione pecuniaria ancora da irrogare”, cfr. COLAIANNI-COLOMBO, Cancellazione dal registro delle imprese e responsabilità 231: per la Cassazione l’illecito non si estingue, in Giurisprudenza penale web, 1 aprile 2022.

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