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La responsabilità dell’amministratore di diritto e di quello di fatto nel reato di bancarotta fraudolenta documentale

Cass. pen., sez. V, sent. 7 marzo 2024, n. 9885

Abstract

Il presente elaborato trae spunto da una recente sentenza della Cassazione in tema di bancarotta fraudolenta documentale. La trama logica del percorso argomentativo della pronuncia in commento è rappresentata dalla tematica del rapporto tra amministratore di diritto e amministratore di fatto, nel reato di bancarotta, che è annoverato tra i reati propri, in quanto il soggetto attivo deve rivestire una determinata qualifica. Secondo un copione consueto, il caso di specie vede la presenza di un soggetto che, pur investito formalmente della carica di amministratore, rimane estraneo alla realtà sociale e un soggetto che esercita di fatto le prerogative tipiche del ruolo di amministratore. Soffermandosi sulla figura dell’amministratore di fatto nell’ambito dei reati fallimentari, che ancora oggi costituisce una delle vexatae questiones, l’Autrice conclude ritenendo necessario un intervento legislativo chiaro sul punto.

Abstract in inglese

This paper takes its cue from a recent ruling by the Supreme Court on the subject of fraudulent bankruptcy (on documents). The argumentative path of the ruling in comment is represented by the issue of the relationship between de jure administrator and de facto one, in the bankruptcy, which is counted among the offences specific to certain classes of offender. According to a usual script, the case sees the presence of a subject who, formally invested with the office of administrator, remains extraneous to the company’s reality and a subject who de facto exercises administrator’s typical prerogatives. Focusing on the figure of the de facto administrator, in the context of bankruptcy, which still today constitutes one of the vexatae questiones, the Author concludes by considering a clear legislative intervention on the point to be necessary.

Sommario.

1. Premesse. 2. La responsabilità dell’amministratore di diritto solo formale nella bancarotta fraudolenta documentale. 3. La responsabilità dell’amministratore di fatto. 4. La figura dell’amministratore di fatto nel diritto penale fallimentare. 5. Alcune riflessioni conclusive.

1. Premesse

La sentenza in commento affronta la tematica del rapporto tra amministratore di diritto e amministratore di fatto, nel reato di bancarotta, che è annoverato tra i reati propri, in quanto il soggetto attivo deve rivestire una determinata qualifica.

Secondo un copione consueto, il caso di specie vede la presenza di un soggetto che, pur investito formalmente della carica di amministratore, rimane estraneo alla realtà sociale e un soggetto che esercita di fatto le prerogative tipiche del ruolo di amministratore.

Nel caso di specie, la Corte di Cassazione conferma la sentenza della Corte d’appello di Trieste che, in conformità con la pronuncia di primo grado, aveva condannato il prestanome e l’amministratore di fatto di una società dichiarata fallita per il reato di bancarotta fraudolenta documentale[1].

Avverso la sentenza d’appello, entrambi gli imputati avevano proposto ricorso per Cassazione, contestando l’affermazione di reità.

In particolare, l’amministratore di diritto solo formale lamentava che non fosse sufficiente l’accettazione della carica di amministratore unico, peraltro in veste di prestanome, ai fini dell’attribuzione del reato di bancarotta fraudolenta documentale. Infatti, ad avviso del ricorrente, la condotta contestata consisteva nella sottrazione o distruzione della contabilità e sarebbe stato indispensabile provare un comportamento “attivo” dell’amministratore. Ancora, la documentazione contabile non sarebbe mai stata nella sua disponibilità. Dunque, i giudici di merito avrebbero ricostruito la sua responsabilità senza valorizzare la ricerca degli indici di fraudolenza riconducibili al prestanome e degli elementi di prova del dolo specifico, richiesto dalla norma incriminatrice.

Diversamente, l’imputato identificato come amministratore di fatto lamentava l’erronea applicazione della legge penale e il vizio di motivazione in relazione all’attribuzione della veste di soggetto di fatto e dell’individuazione dell’obbligo giuridico a fondamento dell’affermazione di responsabilità, poiché, a suo avviso, solo l’amministratore di diritto sarebbe stato destinatario del dovere di corretta conservazione della contabilità.

La Corte di Cassazione, nella sentenza in commento, ha offerto nella parte motiva argomentazioni che meritano di essere approfondite.

2. La responsabilità dell’amministratore di diritto solo formale nel reato di bancarotta fraudolenta documentale

I giudici di legittimità hanno respinto le doglianze del primo ricorrente ribadendo l’orientamento in base al quale vi sono due diversi criteri di imputazione soggettiva della bancarotta fraudolenta all’amministratore “testa di legno”, a seconda che si tratti di bancarotta patrimoniale o documentale.

Quest’ultima ricomprenderebbe anche quella per omessa tenuta delle scritture contabili. Infatti, ad avviso della Cassazione, è principio ermeneutico in fase di consolidamento quello che equipara la condotta di occultamento delle scritture contabili a quella della loro omessa tenuta[2], che si realizza attraverso un non facere. Entrambe le condotte devono poi essere assistite dall’esistenza e dalla prova del dolo specifico.

Dunque, occorre distinguere nettamente, da un lato, l’occultamento e l’omessa tenuta delle scritture contabili che richiedono il dolo specifico e, dall’altro, la fraudolenta tenuta di tali scritture, che richiede il dolo generico.

In caso di addebito che riguardi le scritture contabili, viene in rilievo il fatto che, in capo al prestanome, ossia al soggetto investito solo formalmente dell’amministrazione dell’impresa fallita, grava il diretto e personale obbligo di tenere e conservare le suddette scritture e di farlo correttamente. Dunque, in caso di omissione nella doverosa documentazione di attività societarie effettive, si presume che l’amministratore di diritto  si sia posto in violazione del suo dovere giuridico di garantire una corretta e completa rappresentazione contabile delle attività sociali al fine di assicurare la necessaria informazione del ceto creditorio.

Diversamente, con riferimento all’ipotesi della bancarotta patrimoniale o per distrazione, tale presunzione non opera perché la consapevole accettazione del ruolo di amministratore apparente non necessariamente implica la consapevolezza dei disegni criminosi dell’amministratore di fatto[3].

Ulteriormente, la Corte di Cassazione precisa che alla violazione dei doveri di vigilanza e controllo, che derivano dall’accettazione della carica, si debba aggiungere la prova non solo astratta e presunta, ma effettiva e concreta, della consapevolezza dello stato delle scritture, tale da impedire la ricostruzione del movimento degli affari o, per le ipotesi a dolo specifico, di farne emergere la strumentalità ai fini di arrecare pregiudizio in danno ai creditori[4].

In particolare, la prova dell’accertamento del dolo specifico si basa su indici rivelatori della fraudolenza[5].

I giudici di legittimità, nel caso concreto, hanno confermato che le pronunce di merito, inerenti alla bancarotta documentale per sottrazione o per omessa tenuta, con fine di trarne, anche per altri, un profitto ingiusto o di recare nocumento alla massa dei creditori, hanno dimostrato come la scelta cosciente e volontaria, dettata dal bisogno economico, di accettare un compenso mensile ad hoc in cambio della propria totale abdicazione al ruolo, al fine di consentire a terzi di svolgere l’attività di gestione concreta, incontrollata ed indiscriminata, rappresenta una prova sufficiente alla sussistenza del dolo omissivo di cui all’art. 40 cpv c.p.

Sul punto, ad avviso di chi scrive, è opportuno che la giurisprudenza superi definitivamente le logiche dell’accertamento presuntivo dell’elemento soggettivo. In tal modo, nei casi in cui non sia pienamente dimostrato il dolo, l’amministratore di diritto, che non abbia compiuto alcun atto di gestione, risponderà a titolo di bancarotta semplice documentale e non di concorso mediante omissione nel reato di bancarotta fraudolenta documentale posto in essere dall’amministratore di fatto[6].

3. La responsabilità dell’amministratore di fatto

Ancora più interessanti appaiono le statuizioni in merito al soggetto di fatto.

Con riferimento alla posizione di quest’ultimo, la Corte ha ribadito la propria giurisprudenza secondo cui «l’amministratore “di fatto” della società fallita è da ritenere gravato dell’intera gamma dei doveri cui è soggetto l’amministratore “di diritto”, per cui, ove concorrano le altre condizioni di ordine oggettivo e soggettivo, egli assume la penale responsabilità per tutti i comportamenti penalmente rilevanti a lui addebitabili»[7].

Sul punto, la Cassazione ha precisato che «fermo restando che la tenuta di una contabilità completa ed intellegibile, comunque tale da consentire la ricostruzione del patrimonio e dell’andamento degli affari, costituisce in linea di principio un obbligo specifico e diretto dell’amministratore di diritto», «l’immissione “in fatto” nell’attività gestoria rappresenta la fonte dell’assunzione della posizione di garanzia di cui all’art. 40 cpv. c.p., che può anche coesistere con quella del titolare della carica formale e dalla quale discendono tutti gli oneri connessi alla cura delle scritturazioni contabili», tanto più quando l’imprenditore occulto abbia un ruolo di protagonista assoluto in ogni componente dell’attività di conduzione dell’ente, incluso il settore dell’organizzazione amministrativa[8].

4. La figura dell’amministratore di fatto nel diritto penale fallimentare

La sentenza in commento non si sofferma a giustificare la configurabilità della figura dell’amministratore di fatto nel diritto penale fallimentare. Si ritiene che ciò sia dovuto, probabilmente, alla constatazione che i reati di bancarotta sono da sempre considerati il terreno privilegiato di coltura della tematica dell’amministratore di fatto.

A ben vedere, il criterio di selezione delle qualifiche soggettive e l’estensione della responsabilità penale dei soggetti attivi sono stati oggetto di annose questioni, che paiono non essere completamente sopite[9].

Sul punto, è noto l’ampio dibattito teorico tra i sostenitori della tesi formale e i fautori della tesi funzionalista.

Secondo i primi, nei reati propri dell’amministratore, la disciplina penale attinge dal diritto civile la qualificazione del soggetto agente[10]. La qualità soggettiva del medesimo è essenziale per la sussistenza del reato. Non essendo le norme incriminatrici suscettibili di estensione analogica, soltanto gli amministratori, così come qualificati dalla disciplina civilistica, potrebbero rispondere penalmente[11]. Si afferma come insuperabile l’esigenza giuridica della legalità del diritto penale: «il formalismo, nella configurazione del fatto tipico, non è un ingombrante orpello, o da parte dell’interprete, un feticistico omaggio alla lettera della legge. È garanzia irrinunciabile contro dilatazioni o comunque distorsioni del profilo della fattispecie e nel contempo strumento di calibratura e riconoscibilità degli elementi essenziali dell’illecito»[12]. Dunque, «quando la stessa norma penale designa i soggetti attivi del reato, l’elencazione non si può assumere che come tassativa» e ogni diversa interpretazione equivarrebbe ad una manifesta violazione del divieto di interpretazione analogica del precetto penale[13]. Tale impostazione, tra l’altro, non esclude la punibilità dei soggetti di fatto a titolo di concorso ex art. 110 c.p., al ricorrere di tutti i presupposti necessari per provare il concorso di persone nel reato[14].

Secondo la teoria funzionalistica, apparirebbe invece più convincente un’interpretazione meno rigida del dato normativo, tale da includere tra i soggetti attivi anche gli amministratori di fatto[15]. Il diritto penale avrebbe una vocazione sostanzialista, che guarderebbe al profilo della lesione degli interessi da proteggere e non al mero dato formale del possesso della qualifica formale. Da ciò deriverebbe: la necessità di procedere, in virtù del carattere autonomo del diritto penale, ad una interpretazione dei concetti di amministratore, direttore ecc… che non ricalchi in modo pedissequo la categoria civilistica di riferimento[16]; la possibilità di interpretare i termini civilistici in una prospettiva funzionalistica[17]; infine, la necessità di evitare quei vuoti di tutela e quelle difficoltà di prova che conseguono all’opposta teoria formalista[18]. Questo il ragionamento per scongiurare il paventato rischio di addivenire ad un’interpretazione analogica della norma penale[19]: poiché molti precetti penali non mostrano un legame con la disciplina civilistica in termini di accessorietà sanzionatoria, ed anche quelli che più ne sembrano debitori in punto di condotta vietata «non omettono mai un autonomo riferimento ai soggetti del reato», «non sembra consentito concludere nel senso di una completa sudditanza della norma penale alla perfezione della qualifica secondo i principi del diritto privato», tanto più se si considera che un’interpretazione non formalistica sarebbe legittimata dalla stessa area semantica delle parole usate, in quanto ad esempio il vocabolo “amministratore” si ricollega «alla radice verbale amministrare che esprime l’esercizio di una attività definita in modo chiaramente connesso al dinamismo delle funzioni e non alla fonte di legittimazione»[20]. Infine, a sostegno di questa interpretazione viene invocata la dottrina pubblicistica del “funzionario di fatto”, volta ad attribuire rilevanza all’apparenza della legittimazione in ogni caso in cui dallo svolgimento concreto delle attività conseguissero risultati apprezzabili su un piano sostanziale[21].

La giurisprudenza sul tema ha registrato, già in tempi risalenti[22], una netta apertura verso la figura dell’amministratore di fatto, giungendo ad interpretare le fattispecie in modo estensivo e annoverando tra i soggetti attivi non solo l’amministratore di diritto ma anche quello di fatto, sul presupposto che sarebbe irrazionale esonerare da responsabilità colui che, non formalmente investito dalla carica, ne abbia esercitato di fatto le funzioni[23].

A ben vedere, in occasione della riforma dei reati societari del 2002, il legislatore ha espressamente riconosciuto l’amministratore di fatto, definendo all’art. 2639 c.c. i criteri al ricorrere dei quali si reputa sussistente tale figura[24], ma ne ha circoscritto l’operatività ai soli reati societari.

Nonostante la lettera della norma, la giurisprudenza – granitica sul punto – ritiene che l’art. 2639 c.c. esprima un principio che permea di sé tutto il sistema, risultando applicabile non solo al diritto penale societario ma anche a settori diversi, tra cui, segnatamente, quello fallimentare.

Mentre la parte dominante della dottrina si pone in linea con la giurisprudenza, una parte degli Autori è, opportunamente, scettica[25].

5. Alcune riflessioni conclusive

Dall’analisi della sentenza in commento, emerge in modo chiaro come la giurisprudenza di legittimità, che da sempre in materia di reati fallimentari riconosce cittadinanza alla figura dell’amministratore di fatto, in nome del principio di effettività del diritto penale, finisca per accontentarsi del criterio formale, nel momento in cui è chiamata a far rispondere la c.d. “testa di legno”, dimenticando qualunque riferimento al concreto svolgimento della funzione.

Quanto alla responsabilità dell’amministratore di fatto, la sentenza in commento si limita a prendere atto del consolidato principio ermeneutico in base al quale, in capo all’amministratore di fatto, può riconoscersi una posizione di garanzia derivante dall’immissione in fatto nell’attività gestoria.

A parere di chi scrive, ciò non è condivisibile. Infatti, in assenza di una norma ad hoc che riconosca la figura dell’amministratore di fatto nell’ambito dei reati fallimentari, non pare che sia consentito all’interprete estendere la cerchia dei soggetti attivi del reato, se non a pena di violare il fondamentale divieto di analogia in malam partem.

È significativo che l’esigenza di un intervento chiaro da parte del legislatore pare si possa desumere anche dalle proposte di riforma della Commissione Bricchetti.

Infatti, il tema del soggetto di fatto è stato oggetto di dibattito in seno alla Commissione Bricchetti, che ha elaborato le proposte di riforma nell’ambito dell’articolato del 10 giugno 2022, contenente «Proposte di revisione delle disposizioni penale del d.lgs. 12 gennaio 2019, n. 14 (Codice della crisi e dell’insolvenza) e del R.d. 16 marzo 1942, n. 267 (legge fallimentare)», accompagnato dalla relazione e dall’integrazione del 21 luglio 2022[26].

La Commissione Bricchetti ha proposto di intervenire sui soggetti attivi con l’estensione espressa ai soggetti di fatto mediante la formula «chiunque nell’esercizio anche di fatto delle funzioni di amministrazione, direzione, controllo o liquidazione in una società o consorzio»[27].

Si tratta di una normativa destinata – nel caso divenisse legge[28] – a riconoscere formalmente il soggetto de facto nell’ambito dei reati fallimentari, recependo l’interpretazione giurisprudenziale consolidata in materia.

Tuttavia, mentre la dottrina e la giurisprudenza maggioritarie – estendendo l’applicabilità dell’art. 2639, co. 1 c.c.[29] – hanno riconosciuto la responsabilità penale del soggetto di fatto nei reati fallimentari, la Commissione Bricchetti ha elaborato una proposta diversa.

La scelta della Commissione pare essere quella di prediligere una formulazione più ampia e generica di quella cristallizzata nell’art. 2639, comma 1, c.c., in cui – al contrario – si specificano i requisiti di continuità e significatività. Come emerge dalla relazione, «la soggettività attiva delle fattispecie (tanto quella prefallimentare di cui al comma 1, quanto quella post-fallimentare ai sensi del comma 2) è ristretta a coloro che esercitano funzioni lato sensu gestorie (comprese quelle liquidatorie) o di controllo, secondo l’impostazione già invalsa nella normativa e nella prassi, con l’estensione espressa ai soggetti che tali funzioni esercitano di fatto. In tal senso si è preferito non replicare la definizione di tale categoria soggettiva contenuta, con riferimento ai reati societari, nell’art. 2639 c.c., per non vincolare l’interprete ad una formula che l’esperienza applicativa ha dimostrato non essere sempre sufficiente ad inquadrare le forme di manifestazione del fenomeno nello specifico contesto criminale di riferimento».

La scelta della Commissione in tema di reati fallimentari parrebbe porsi in linea con le formulazioni utilizzate in materia di responsabilità “amministrativa degli enti” ex art. 5 d.lgs. n. 231 del 2001 e in materia di sicurezza sul lavoro ex art. 299 d.lgs. n. 81 del 2008, in cui il riconoscimento della soggettività qualificata in capo ai soggetti di fatto non è vincolato ai requisiti di continuità e significatività delle funzioni.

In conclusione, a parere di chi scrive, appare necessario in primo luogo comprendere se il soggetto di fatto possa trovare cittadinanza nel diritto penale fallimentare nel pieno rispetto dei principi del sistema penale e, solo successivamente ed eventualmente, valutarne le conseguenze in termini di rapporto tra colui che riveste la qualifica formale e colui che, privo di qualifica, ne esercita di fatto le funzioni.


[1] Sul reato di bancarotta fraudolenta documentale, si veda nella manualistica, ex multis, N. Mazzacuva, E. Amati, Diritto penale dell’economia, Milano, 6° ed., 2023, p. 240 ss. Si veda, altresì, F. Martin, Sul rapporto tra bancarotta fraudolenta documentale e falso in bilancio, in questa Rivista, 6 dicembre 2022.

[2] Cfr. Cass., sez. V, n. 18634 del 1 febbraio 2017, Rv. 269904.

[3] Sul punto si veda anche Cass. sez. V, n. 19049 del 19 maggio 2010, Rv 247251: “in tema di bancarotta fraudolenta, mentre con riguardo a quella documentale per sottrazione o per omessa tenuta in frode ai creditori delle scritture contabili, ben può ritenersi la responsabilità del soggetto investito solo formalmente dell’amministrazione dell’impresa fallita (cosiddetto “testa di legno”), atteso il diretto e personale obbligo dell’amministratore di diritto di tenere e conservare le suddette scritture, non altrettanto può dirsi con riguardo all’ipotesi della distrazione, relativamente alla quale non può, nei confronti dell’amministratore apparente, trovare automatica applicazione il principio secondo il quale, una volta accertata la presenza di determinati beni nella disponibilità dell’imprenditore fallito, il loro mancato reperimento, in assenza di adeguata giustificazione della destinazione ad essi data, legittima la presunzione della dolosa sottrazione, dal momento che la pur consapevole accettazione del ruolo di amministratore apparente non necessariamente implica la consapevolezza di disegni criminosi nutriti dall’amministratore di fatto”. In senso conforme, si vedano anche Cass., sez. V, n. 54490 del 26 settembre 2018 e Cass., sez. V, n. 53227 del 25 ottobre 2018.

[4] Sul punto si vedano Cass., sez. V, n. 44293 del 17 novembre 2005, in CED Cass. pen., 2005 e, più di recente, Cass., sez. V, n. 43977 del 14 luglio 2017, Rv. 271754. Cfr. altresì, Cass., sez. V, n. 40176 del 02 luglio 2018 in cui si afferma che «se non è […] revocabile in dubbio che la carica di amministratore di diritto di una società conferisca alla persona che la ricopre doveri di vigilanza e controllo (sintetizzabile nella posizione di garanzia ex art. 2392 c.c.), la cui violazione comporta responsabilità penale a titolo di dolo, generico, è pur vero che l’addebito di consapevole mancanza di condotta impeditiva del fatto illecito può muoversi soltanto quando la condotta omissiva sia stata accompagnata dalla rappresentazione della situazione anti-doverosa, onde legittimare la prefigurazione dei consequenziali eventi tipici del reato o, nella prospettazione del dolo eventuale, l’accettazione del rischio del loro accadimento»; nonché Cass., sez. V, n. 40487 del 28 maggio 2018.

[5] Sul punto cfr. Cass., sez. 5, n. 15743 del 18 gennaio 2023, Rv. 284677 che afferma che: «in presenza di specifiche circostanze – come ad esempio, la coincidenza tra l’omissione e l’affermarsi di una condizione di insolvenza; l’accertamento di condotte distrattive specifiche; la totale irreperibilità del legale rappresentante dell’azienda o la mancata cooperazione dello stesso con gli organi della procedura fallimentare – è ben possibile argomentare come il quadro ricostruttivo appaia ragionevolmente incompatibile con un’ipotesi di trascuratezza colposa; in tal caso, quindi, è possibile ritenere il dolo specifico richiesto dalla norma incriminatrice, purché sorretto da adeguata motivazione che dia conto anche della specifica funzione delle scritture contabili e della finalizzazione della loro omissione alla determinazione dell’evento su cui deve cadere la rappresentazione e la volontà del soggetto agente».

[6] Sul punto si veda A. Gullo, Amministratore di diritto, amministratore di fatto e bancarotta documentale, in Corr. mer., 2005, 12, 1318 ss. In giurisprudenza, si veda quanto precisato da Cass., 3 luglio 2015, n. 45186 e Cass., 2 ottobre 2018, n. 2900, in cui si afferma che è proprio l’elemento soggettivo che consente di differenziare la fattispecie in questione dall’ipotesi criminosa di bancarotta semplice documentale: «il reato di bancarotta fraudolenta previsto dall’art. 216, comma 1, n. 2 r.d. n. 267 del 1942 e il reato di bancarotta semplice disciplinato dall’art. 217, comma 2, r.d. n. 267 del 1942, si differenziano non tanto sotto il profilo dell’elemento oggettivo, quanto invece per la diversa gradazione dell’elemento psicologico: soltanto la prima delle due fattispecie è contraddistinta dalla consapevolezza e dalla volontà, in capo al creditore, che l’irregolare ed illecita tenuta dei documenti contabili arrechi un danno ai suoi creditori».

[7] Cass. pen., sez. V, sent. n. 9885 del 7 marzo 2024. Cfr. in senso conforme Cass., sez. V, n. 39593 del 20 maggio 2011, Rv. 250844; Cass., sez. V, n. 15065 del 02 marzo 2011, Rv. 250094; Cass., sez. V. n. 7203 del 11 gennaio 2008, Rv. 239040.

[8] Cass. pen., sez. V, sent. n. 9885 del 7 marzo 2024.

[9] Sul punto, per una ricostruzione più ampia, sia consentito rimandare a R. Girani, La Cassazione torna sulla figura dell’amministratore di fatto nell’ambito dei reati fallimentari e tributari (Cassazione, sez. III penale, 26 maggio 2022, n. 20553), in Ind. Pen., 1, 2023, 67 ss.

[10] C. Pedrazzi, Gestione d’impresa e responsabilità penali, in Riv. Soc., 1962, 224 ss. e 253 ss.; C. Pedrazzi, F. Sgubbi, Reati commessi dal fallito. Reati commessi da persona diverse dal fallito, Commentario della legge fallimentare, a cura di F. Galgano, Art. 216-227, Bologna-Roma, 1995, 258 ss. In analoga direzione, si vedano: A. Alessandri, I reati societari: prospettive di rafforzamento e di riformulazione della tutela penale, in RIDPP, 1992, 491; Id., voce Impresa (responsabilità penali), in Dig. disc. pen., IV, Torino, 1992, 207 ss.; E. Escobedo, I cosiddetti amministratori di fatto delle società anonime e il reato di quasi bancarotta semplice, in Giust. pen., 1933, III, 685 ss.; P. Mirto, Il diritto penale delle società, Milano, 1954, 140 ss.; E. Musco, Diritto penale societario, Milano, 1999, 22 ss.; M. Romano, Profili penalistici del conflitto di interessi dell’amministratore di società per azioni, Milano, 1967, 20, nt. 42.

[11] C. Pedrazzi, Gestione d’impresa e responsabilità penali, cit., 228.

[12] A. Alessandri, voce Impresa, cit., 203.

[13] Cfr. C. Pedrazzi, Gestione d’impresa e responsabilità penali, cit. 245 ss. Nello stesso senso, si vedano anche A. Alessandri, voce Impresa, cit., 206 ss.; G. Marra, Legalità ed effettività delle norme penali, Torino, 2002, 115 ss.

[14] Sul punto, A. Alessandri, voce Impresa, cit. 208 che riconosce come tale lettura potrebbe comunque scontare qualche difficoltà probatoria. 

[15] In dottrina, ex plurimis, si vedano L. Alibrandi, I reati societari, Milano, 1993, 17 ss; R. Bricchetti, E. Cervio, Il falso in bilancio ed in altre comunicazioni, Milano, 1999, 76 ss.; A. Carmona, Premesse a un corso di diritto penale dell’economia, Padova, 2002, 230 ss; G. Casaroli, Bancarotta c.d. impropria: note su alcuni punti chiave in tema di soggetto attivo del reato, in Ind. pen., 1979, 214 ss.; L. Conti, I soggetti, in Trattato di diritto penale dell’impresa, diretto da A. Di Amato, I, Padova, 1992, 231 ss; Id., Diritto penale commerciale, I, Reati ed illeciti depenalizzati in materia societaria, 2° ed., Torino, 1980, 113 ss.; Id., I reati fallimentari, 2° ed., Torino, 1991, 206 ss.; L. Conti, E. Bruti Liberati, Esercizio di fatto dei poteri di amministrazione e responsabilità penali nell’ambito delle società irregolari, in Aa. Vv., Il diritto penale delle società commerciali, a cura di P. Nuvolone, Milano, 1971, 119 ss.; U. Giuliani Balestrino, I problemi generali dei reati societari, Milano, 1978, 113 ss.; G. Iadecola, M. Luongo, I reati societari, Padova, 1995, 13 ss.; M. La Monica, Manuale di diritto penale commerciale, Milano, 1993, 103 ss.; P. Mangano, Disciplina penale del fallimento, Milano, 1987, 79 ss.; F. Mucciarelli, Responsabilità penale dell’amministratore di fatto, in Le società, 1989, 121 ss.; V. Napoleoni, I reati societari, III, Falsità nelle comunicazioni sociali e aggiotaggio societario, Milano, 1996, 40; P. Nuvolone, Il diritto penale del fallimento e delle altre procedure concorsuali, Milano, 1955, 47 ss.; Id., Reati in materia di fallimento, in Enc. dir., XVI, Milano, 1967, 479; P. Pajardi, I Formaggia Terni De’ Gregori, I reati fallimentari, Milano, 1992, 156 ss.; C.N. Placco, Amministratore di fatto e responsabilità penale, in Giust. pen., 1999, II, 370 ss.; R. Provinciali, Trattato di diritto fallimentare, IV, Milano, 1974, 2695 ss.; A. Rossi Vannini, La responsabilità penale di amministratori e sindaci, in Trattato di diritto commerciale e di diritto pubblico dell’economia, diretto da F. Galgano, XIX, Padova, 1994, 318 ss.; Id. Una svolta definitiva nella individuazione normativa della responsabilità dei soggetti di fatto?, in Soc., 2000, 210; R. Rovelli, Disciplina penale dell’impresa, Milano, 1953, 36 ss.; C. Santoriello, I reati di bancarotta, Torino, 2000, 162 ss.; R. Sciolti, I reati degli amministratori, in I reati nel fallimento e nelle altre procedure concorsuali, coordinato da E. Carletti, Torino, 1990, 181 ss.; F. Tagliarini, Le disposizioni penali in materia di società e consorzi, in Trattato di diritto privato, diretto da P. Rescigno, XVII, Torino, 1985, 617; A. Traversi, Responsabilità penali d’impresa, Padova, 1983, 154 ss.; F. Zambelli, La responsabilità penale a titolo di bancarotta fraudolenta dell’amministratore di fatto e di diritto, in Riv. trim. dir. pen. econ., 1998, 946; G. Zuccalà, Il delitto di false comunicazioni sociali, Padova, 1964, 33.

[16] In questo senso appare opportuno sottolineare che la dottrina si è sforzata in via ermeneutica di dimostrare come le nozioni richiamate non risultano rigorosamente circoscritte alla sola figura di diritto nello stesso ambito civilistico. In questo senso si veda La Monica, voce Reati societari, in Enc. Dir., XXXVIII, Milano, 1987, 959 ss., il quale, dopo aver esaminato le norme più significative previste dal codice civile in cui si fa riferimento alla figura dell’amministratore, giunge alla conclusione che «nelle disposizioni privatistiche il vocabolo ‘amministratore’ non ha un significato limitato alla sola individuazione dell’amministratore di pieno diritto, ma ne ha uno, al contrario, esteso fino a comprendere anche l’amministratore cosiddetto di fatto».

[17] Cfr. F. Antolisei, Manuale di diritto penale. Leggi complementari, a cura di L. Conti, I, 11° ed., Milano, 1999, 73, che afferma che nell’ordinamento non vi sarebbe alcun ostacolo alla separazione della funzione dal titolo, con l’effetto di ricollegare solo alla funzione la titolarità degli obblighi penalmente sanzionati.

[18] In questo senso, si veda, ex pluribus, L. Conti, I soggetti, cit., 239 che significativamente afferma che «certo gli incommoda non valgono di per sé a risolvere argomentum. Quando tuttavia essi raggiungono il livello di gravità sopra segnalato, così da introdurre nel sistema elementi di sperequazione capaci di tralignare in vere e proprie assurdità, l’opera dell’interprete, pur nel rispetto dei limiti insuperabili posti dal dato normativo, deve essere tesa ad evitare soluzioni incongrue».

Cfr. anche V. Napoleoni, I reati societari, III, Falsità nelle comunicazioni sociali e aggiotaggio societario, Milano, 1996, 40; Ellero, Nordio, Reati societari e bancari, Padova, 1998, 27 ss; Placco, Amministratore di fatto e responsabilità penale, in Giust. Pen., II, 1999, 370 ss.; Fattori, Attribuzione della qualifica di amministratore di fatto e conseguente resposnabilità, in Società, 1995, 932 che riprende la tradizionale obiezione in base alla quale «nella pratica gli atti di mala gestio più gravi vengono compiuti da soggetti generalmente estranei alla struttura sociale, proprio allo scopo di sottrarsi ad una azione di responsabilità e di acquisire una ingiustificata impunità».

[19] L. Conti, I soggetti, cit., 240 ss. Nello stesso senso, si vedano A. Pagliaro, Problemi generali del diritto penale dell’impresa, in Ind. pen., 1985, 21; A. Rossi Vannini, La responsabilità penale degli amministratori e dei sindaci, in Trattato di dir. comm. e dir. pubbl. econ., diretto da F. Galgano, XIX, Padova, 1994, 317 ss.

[20] L. Conti, I soggetti, cit., 240 ss. I medesimi argomenti si rintracciano in F. Antolisei, Manuale di diritto penale. Leggi complementari, a cura di L. Conti, I, 11° ed., Milano, 1999, 72 ss.

[21] L’espressione “funzionario di fatto” è riassuntiva di una vastissima casistica, che affonda le sue radici nel periodo classico della giurisprudenza romana. Tradizionalmente, la teoria del funzionario di fatto è ricondotta ad un testo di Ulpiano (D. 1,14, 3, c.d. lex Barbarius): “Titulus errore communi reputatus versus, cum talis non esset, collates tamen ab eo qui conferre potest”. Il caso era quello di uno schiavo, Barbarius Philippus, da cui deriva il nome della legge, il quale aveva esercitato le funzioni di pretore e la cui mancata legittimazione, in quanto non godeva della libertà necessaria, divenne nota dopo la cessazione dalla carica. Sul punto si veda l’interessante ricostruzione storica di B. Cavallo, Profilo Storicistico di una metodica organizzatoria, in Aa.Vv, Il funzionario di fatto, a cura di B. Cavallo, Milano, 2005, p. 1 ss. Sotto l’angolo prospettico della moderna dottrina romanistica, cfr. M. Navarra, Ricerche sulla utilitas nel pensiero dei giuristi romani, Torino, 2002, p. 141 ss.

Ad oggi, il funzionario di fatto rappresenta una delle più complesse ed affascinanti figure del panorama del diritto amministrativo, anche per le naturali connessioni con altre discipline giuridiche, quali il diritto penale. La sua collocazione naturale si radica nel diritto amministrativo, ambito in cui si rintracciano le nozioni di riferimento, pur in assenza di un riferimento normativo esplicito.

[22] La figura dell’amministratore di fatto compare già in pronunce molto risalenti nel tempo. Sul punto si vedano: Cass. Torino, 31 marzo 1876, in Mon. Trib., 1876, 615 che chiarisce come il termine “amministratori” comprende «tutti coloro i quali prestano l’opera loro a gerire gli affari di una società, onde si possa raggiungere lo scopo per cui fu costruita»; Cass, Torino, 24 luglio 1878, in Mon. Trib., 1878, 987 ss in cui si afferma che «l’art. 669 c. comm., chiamando responsabili del fallimento tutti gli amministratori della società, con questa generica locuzione non può fare a meno di comprendere tanto gli amministratori di diritto che di fatto»; Cass. Torino, 3 dicembre 1884, in Riv. pen., 1885, 331: «ripugna […] ad ogni sentimento di giustizia il dover punire l’amministratore semplice e non colui che amministrò […] che ebbe ed usò più mezzi per maggiormente frodare la cosa sociale o per mandarla in rovina […] né vale addurre che quella nomina fu illegale, comecchè consentita dallo statuto […] il reato non cessa quando, mercè quelle funzioni, di fatto esercitate, si perviene similmente a consumare la bancarotta dolosa o colposa»; Cass. pen., 16 febbraio 1933, in Giust. Pen., 1933, II, 685; Cass. pen., 28 febbraio 1936, in Giust. Pen., 1937, III, 129.

In dottrina, sul punto si vedano A. Borgioli, Amministratori di fatto e direttori generali, in Giur. comm., 1975, I, 602 ss. e N. Abriani, Gli amministratori di fatto nelle società di capitali, Milano, 1998, 24 ss.

[23] Tra le tante pronunce in ambito penalistico, si vedano in tema di bancarotta, ex multis, Cass., 19 ottobre 1999 in CED Cass., n. 215878; Cass., 22 aprile 1998, in Cass. pen., 2000, 3451; Cass., 17 gennaio 1996, in Cass. pen., 1997, 547; Cass., 23 febbraio 1995 in Riv. trim. dir. pen. econ., 1995, 1427; Cass., 25 novembre 1987, in Riv. pen., 1988, 617; Cass., 25 febbraio 1987, in Cass. pen., 1988, 1730; Cass., 10 luglio 1984, in Cass. pen., 1986, 1389; Cass., 20 gennaio 1984, in Giust. pen., 1985, II, 166; Cass., 11 marzo 1983, in Giust. pen., 1984, II, 156; Cass., 19 marzo 1982, in Cass. pen., 1984, 184; Cass., 6 febbraio 1980, in Cass. pen., 1981, 899; Cass., 23 maggio 1979, in Cass. pen., 1980, 1468.

[24] I requisiti, ben noti e da intendersi come cumulativi, sono quelli della continuità e della significatività. Sui due criteri si vedano, ex multis, A. Alessandri, I soggetti, in Aa.Vv., Il nuovo diritto penale delle società. D.lgs. 11 aprile 2002, n. 61, a cura di A. Alessandri, Milanofiori-Assago, 2002, 46; G. Bersani, “Amministratore di fatto” e reati tributari, in Fisco, 2005, 7412; A. Bianconi, Art. 2639 c.c., in Leggi penali complementari, a cura di T. Padovani, Milano, 2007, 2498; A.M. Castellana, L’equiparazione normativa degli autori di fatto agli autori di diritto per i reati del riscritto titolo XI, libro V c.c., in Ind. pen., 2005, 1076 s.; O. Di Giovine, L’estensione delle qualifiche soggettive, in Aa.Vv., I nuovi diritti societari: diritto e processo, a cura di A. Giarda, S. Seminara, Padova, 2002, 31; F. Fossati, Estensione delle qualifiche soggettive (art. 2639 c.c.), in Dir. pen. delle società, 2° ed., in Trattato delle società, a cura di G. Schiano di Pepe, Milano, 2003, 392 s.; F. Giunta, Lineamenti di diritto penale dell’economia, 2° ed., Torino, 2004, 155; A.L. Maccari, Art. 2639 cod. civ., in F. Giunta, (a cura di), I nuovi illeciti penali ed amministrativi riguardanti le società commerciali: commentario del D.lgs. 11 aprile 2002, n. 61, Torino, 2002, 219; E. Mezzetti, Soggetti e responsabilità individuale e collettiva, in E.M. Ambrosetti, E. Mezzetti, M. Ronco, Diritto penale dell’impresa, Bologna, 2008, 33; E. Musco, I nuovi reati societari, 3° ed., Milano, 2007, 19 s.; C.E. Paliero, Nasce il sistema delle soglie quantitative: pronto l’argine alle incriminazioni, in Guida al dir., 2002, n. 16, 41; P. Palladino, L’amministratore di fatto tra reati fallimentari e reati societari, in Cass. pen., 2005, 3093; A. Rossi, I criteri per l’individuazione dei soggetti responsabili nell’ambito delle società: l’estensione delle qualifiche soggettive, in Reati societari, a cura di A. Rossi, Torino, 2005, 91; Id., Reati ed illeciti amministrativi societari, in F. Antolisei, Manuale di diritto penale. Leggi complementari, I, I reati e gli illeciti amministrativi societari e bancari. I reati di lavoro e previdenza. La responsabilità degli enti, a cura di C.F. Grosso, 13° ed., Milano, 2007, 80; G. Sciumbata, I reati societari, Milano, 2002, 112; P. Veneziani, sub art. 2639 c.c., in I reati societari. Commentario aggiornato alla legge 28 dicembre 2005 n.62 sulla tutela del risparmio, a cura di A. Lanzi, A. Cadoppi, Padova, 2007, 302; R. Zannotti, Il nuovo diritto penale dell’economia, Milano, 2006, 24.

[25] Cfr. sul punto, A. Sereni, Reati fallimentari e responsabilità personale, in Trattato delle procedure concorsuali, a cura di L. Ghia, C. Piccininni e F. Severini, vol. VI, Torino, 2012, 23. Sia consentito, altresì, il rimando a R. Girani, La clausola di equiparazione di cui all’art. 299 d.lgs. n. 81 del 2008: alcune riflessioni a margine di una recente sentenza della Cassazione, in Sistema penale, 2024, 4, p. 57 ss.

[26] Ci si riferisce alle proposte di revisione elaborate dalla Commissione ministeriale presieduta dal Dott. Renato Bricchetti, che era stata incaricata con decreto ministeriale del 13 ottobre 2021. Sul punto, si vedano: A. Melchionda, Diritto penale fallimentare e nuova disciplina di gestione della crisi d’impresa. Innovazioni e limiti di una riforma gattopardesca, in Arch. pen., 2022, p. 781; A. D’Avirro, Brevi osservazioni sulla proposta di revisione dei reati fallimentari, in www.ilpenalista.it, 15 luglio 2022; L. Foffani, La riforma dei reati fallimentari, in D. Castronuovo, D. Negri (a cura di), Forme, riforme e valori per la giustizia penale futura, Napoli, 2023, p. 555 ss.; F. Giunta, Linee e prospettive di riforma del “vecchio” diritto penale fallimentare, in Scritti in onore di Nicola Mazzacuva, a cura di E. Amati, L. Foffani, T. Guerini, 2023, p. 443 ss.; F. Mucciarelli, Proposte di revisione ai reati fallimentari: la relazione della Commissione Bricchetti, in Sist. pen., 7 luglio 2022; Id., Crisi d’impresa e insolvenza: verso un nuovo assetto della disciplina penale, in Dir. pen. proc., 2022, 1001; C. Santoriello, Qualche breve riflessione sulla proposta di riforma del diritto penale fallimentare, in Sist. pen., 27 luglio 2022; e in Discrimen, 2023, 1, 135; M. Schiavo Le proposte della Commissione Bricchetti in materia di bancarotta fraudolenta societaria, in LP, 20 marzo 2023; Id., La bancarotta societaria alla luce del diritto penale della crisi d’impresa e dell’insolvenza, in Arch. pen., 1, 2024; nonché, sia pure con riguardo prevalentemente ai profili processuali, G. Garuti, Processo penale e crisi di impresa: relazioni, interferenze e futuribili, in Arch. pen., 2022, e, in una prospettiva particolarmente ampia, A. Manna, Ricostruzione storico-dogmatica dei reati concorsuali e del curatore – Dal r.d. n. 267/1942 alla Commissione Bricchetti del 2021, in Riv. trim. dir. pen. econ., 2022, p. 451 ss.

[27] Corsivo aggiunto.

[28] Sul punto si ricorda che con decreto ministeriale del 5 maggio 2023 si è stabilita la ricostituzione della Commissione Bricchetti.

[29] Sull’applicabilità anche in questo settore del diritto penale dell’art. 2639, co. 1 c.c., si vedano, tra gli altri: A. Cadoppi, Riformulazione delle norme sui reati fallimentari che richiamano reati societari, in A. Lanzi, A. Cadoppi (a cura di), I reati societari. Commentario aggiornato alla legge 28 dicembre 2005 n. 262 sulla tutela del risparmio, Padova, 2007, p. 385; A. D’Avirro La bancarotta fraudolenta societaria, in La bancarotta fraudolenta impropria: reati societari e operazioni dolose, a cura di A. D’Avirro, E. De Martino, Milano, 2007, p. 16; U. Giuliani Balestrino, La bancarotta e gli altri reati concorsuali, 5a ed., Milano, 2006, p. 233 s.; S. Seminara, Il diritto penale societario dopo le riforme: otto anni di giurisprudenza della Corte di Cassazione, in Jus, 2011, p. 102 ss.; P. Veneziani, sub art. 2639 c.c.,cit., p. 310 ss.

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