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La rilevanza dell’elemento psicologico nella tutela penale delle banche dati

 

Cass., Sez. III, 30 ottobre 2019 (dep. 9 gennaio 2020), n. 220, Izzo Presidente – Corbetta Relatore – Izzo P.M. Canevelli

 

Cass., Sez. III, 30 ottobre 2019 (dep. 9 gennaio 2020), n. 220

Nell’ipotesi di trasferimento su altro supporto del contenuto di una banca dati appartenente a una società e contenente gli indirizzi da utilizzare per l’invio di comunicazioni elettroniche di Direct e-mail marketing in violazione delle disposizioni di cui agli artt. 64-quinquies e 64-sexies e di successiva estrazione e reimpiego in violazione delle disposizioni di cui agli artt. 102-bis e 102-ter della medesima legge, si esclude la responsabilità per il reato di abusivo utilizzo della banca dati di cui all’art. 171 bis, co. 2, della L. 22 aprile 1941 n. 633 a carico chi utilizzi la banca dati da altri illegittimamente copiata, senza avere la consapevolezza della sua illecita provenienza.

 

Sommario: 1. La tutela penale del diritto d’autore – 2. Il reato di utilizzo abusivo di banche dati – 3. I chiarimenti della Suprema Corte – 4. Osservazioni conclusive.

 

  1. La tutela penale del diritto d’autore

Prima di analizzare la sentenza in commento e le motivazioni della Suprema Corte, occorre brevemente ripercorrere i tratti caratterizzanti la tutela penale del diritto d’autore in Italia, che trova una propria autonoma disciplina extra codicem negli artt. 171 – 174 quinques della L. 22.4.1941, n. 633[1].

Quest’ultima riconosce all’autore[2]  varie tipologie di diritti[3] sia di natura morale – quali la paternità dell’opera, e quindi, non solo il diritto a essere riconosciuto come autore, ma anche il diritto di inedito, di modificare l’opera e quello di mantenere l’anonimato – sia di natura patrimoniale, legati al diritto esclusivo all’utilizzazione e sfruttamento economico dell’opera.

Si tratta di diritti differenti tra loro soprattutto poiché i primi trovano fondamento nell’art. 2 della Costituzione quali diritti inviolabili della persona umana e, come tali, sono imprescrittibili e inalienabili, mentre i diritti patrimoniali hanno una durata limitata al settantesimo anno solare dopo la morte dell’autore e sono trasmissibili e suscettibili di bilanciamento con altri valori costituzionali, che possono limitarne l’esercizio.

Ebbene, tutte le fattispecie di reato poste a tutela del diritto d’autore ne proteggono la sola manifestazione economica, tendono a garantire, cioè, il pieno godimento dei diritti di sfruttamento economico dell’opera da parte del titolare, senza prendere in considerazione le facoltà morali. Ciò ha indotto parte della dottrina a ricondurre tali fattispecie nella categoria dei reati contro il patrimonio, individuato, quindi, quale bene giuridico tutelato[4].

Le norme penali a tutela del diritto d’autore, inoltre, sono spesso fondate su un precetto di natura squisitamente civilistica e ricostruito secondo le categorie proprie del diritto civile, mentre la sanzione è quella tipica del diritto penale.  Si connotano, quindi, per una natura eminentemente sanzionatoria, nel senso che si pongono come ulteriore presidio di situazioni soggettive già garantite dalla tutela civilistica.

Peraltro, il legislatore ha adottato un metodo “casistico” nella descrizione delle condotte incriminate che vengono analiticamente individuate. Tale tecnica legislativa espone la tutela penale del diritto d’autore al rischio di essere inesorabilmente superata dalla rapida evoluzione tecnologica, che crea continuamente nuove forme di comunicazione e diffusione dei prodotti intellettuali e moltiplica i problemi di coordinamento tra le singole fattispecie.

Tanto è vero che si tratta di uno dei settori normativi più intensamente soggetti a modifiche nell’ultimo decennio. Si è assistito, infatti, a vari interventi di riforma spinti dall’esigenza di far fronte alle nuove forme di aggressione al diritto d’autore legate essenzialmente allo sviluppo della tecnologia digitale e alla trasformazione dei mercati, che hanno drasticamente mutato l’intero panorama delle condotte illecite tanto sotto l’aspetto quantitativo, quanto sotto il profilo qualitativo.

 

  1. Il reato di utilizzo abusivo di banche dati.

Come anticipato la condotta presa in esame dalla sentenza in commento è quella descritta all’art. 171 bis, co. 2, l. n. 633/1971, introdotto dal D.Lgs. 6 maggio 1999, n. 169 (attuazione della Dir. 96/9/CE relativa alla tutela giuridica delle banche di dati), e modificato dalla L. 18 agosto 2000, n. 248 (nuove norme di tutela del diritto di autore).

La norma in parola è volta a sanzionare “chiunque, al fine di trarne profitto, su supporti non contrassegnati SIAE[5] riproduce, trasferisce su altro supporto, distribuisce, comunica, presenta o dimostra in pubblico il contenuto di una banca di dati in violazione delle disposizioni di cui agli articoli 64-quinquies e 64-sexies, ovvero esegue l’estrazione o il reimpiego della banca di dati in violazione delle disposizioni di cui agli articoli 102-bis e 102-ter, ovvero distribuisce, vende o concede in locazione una banca di dati, è soggetto alla pena della reclusione da sei mesi a tre anni e della multa da euro 2.582 a euro 15.493. La pena non è inferiore nel minimo a due anni di reclusione e la multa a euro 15.493 se il fatto è di rilevante gravità[6].

Si tratta del principale presidio penale di tutela dei diritti riconosciuti all’autore e al costitutore di una banca dati, ferma restando l’eventuale applicabilità di altre fattispecie penali, quali ad esempio i reati informatici oppure di altre norme penali poste a tutela di diritti insistenti sul contenuto della banca dati (che come si vedrà in seguito esula dall’ambito applicativo dell’art. 171 bis in parola).

Analogamente alle altre fattispecie in materia di diritto d’autore, si tratta di una norma tipicamente sanzionatoria dell’illecito civile, cui rinvia per l’individuazione della condotta “abusiva” penalmente rilevante[7].

Elemento centrale nella norma è rappresentato, ovviamente, dalla banca dati definita quale “raccolte di opere, dati o altri elementi indipendenti sistematicamente o metodicamente disposti ed individualmente accessibili mediante mezzi elettronici o in altro modo. La tutela delle banche di dati non si estende al loro contenuto e lascia impregiudicati diritti esistenti su tale contenuto”. La banca dati è tutelata non per il suo contenuto, ma per il sistema logico con cui i vari elementi sono stati raccolti e organizzati.

La fattispecie in commento valorizza anche il ruolo del contrassegno SIAE che, alla luce della riforma attuata dalla l. n. 248/2000, è divenuto obbligatorio ex art. 181 bis, l. n. 633/1941, divenendo elemento essenziale del reato[8].

Sotto il profilo della condotta, a ben vedere l’art. 171 bis, comma 2, l. n. 633/1941 prevede una pluralità di fattispecie raggruppabili a seconda del loro oggetto di tutela, sostanzialmente coincidente con i diritti che l’ordinamento riconosce all’autore (diritto d’autore per le banche dati creative[9]) o al costitutore della banca dati (diritto sui generis per le banche dati non creative)[10].

Il primo dei due gruppi di fattispecie è riferibile alle condotte di riproduzione, trasferimento su supporto, distribuzione, comunicazione, presentazione o dimostrazione in pubblico del contenuto della banca di dati, punite in quanto “abusive” e cioè se poste in essere in violazione delle disposizioni di cui agli artt. 64 quinquies e 64 sexies della medesima legge. Quest’ultimi articoli sono stati introdotti con la riforma operata dall’art. 4, D.lgs. 6 maggio 1999, n. 169, che ha inserito nella legge in commento la sezione VII, rubricata “Banche di dati” e sono volti a disciplinare i diritti dell’autore di una banca dati.

In specie, quest’ultimo ha il diritto esclusivo di eseguirne o autorizzarne la riproduzione, la traduzione e qualsiasi forma di distribuzione o comunicazione al pubblico, salvo alcune ipotesi eccezionali che non necessitano di autorizzazione[11].

Pertanto, le attività di cui sopra possono essere poste in essere solo dall’autore di una banca dati o da soggetto autorizzato dallo stesso, ricadendosi, diversamente, nella prima parte della fattispecie incriminatrice in commento[12].

Con riferimento alla seconda tipologia di condotte incriminate, queste sono riferibili al diritto sui generis che ricorre in capo al costitutore della banca dati, ossia colui il quale ha effettuato investimenti rilevanti per la sua realizzazione, verifica o presentazione impegnando, a tal fine, mezzi finanziari, tempo o lavoro.

Si tratta di una forma di tutela atipica, individuata come un binario parallelo di protezione, che si affianca a quello tradizionale in materia di banca dati. Difatti, con tale norma si mira a salvaguardare il costitutore della banche dati in riferimento agli investimenti economicamente sostenuti, ma non viene in ogni caso conferita allo stesso la tutela tipica della legge sul diritto di autore in mancanza della creatività, configurante requisito indispensabile per tutte le opere dell’ingegno[13].

Il costitutore, quindi, gode di una tutela indipendente da quella relativa al carattere creativo dell’opera, che si sostanzia nel diritto di vietare le operazioni di estrazione ovvero di reimpiego della totalità o di una parte sostanziale della stessa[14].

In dettaglio, l’art. 102 bis, l. n. 633/1941 definisce l’estrazione come “il trasferimento permanente o temporaneo della totalità o di una parte sostanziale del contenuto di una banca di dati su un altro supporto con qualsiasi mezzo o in qualsivoglia forma. L’attività di prestito dei soggetti di cui all’articolo 69, comma 1, non costituisce atto di estrazione”.

Il reimpiego, invece, viene individuato come “qualsivoglia forma di messa a disposizione del pubblico della totalità o di una parte sostanziale del contenuto della banca di dati mediante distribuzione di copie, noleggio, trasmissione effettuata con qualsiasi mezzo e in qualsiasi forma”.

Si prevede che sia l’estrazione che il reimpiego debbano riguardare la totalità della banca dati o una “parte sostanziale” della medesima; tuttavia, costituiscono illecito anche le condotte riferibili a parti non sostanziali se ripetute e sistematiche e sempre che presuppongano operazioni contrarie alla normale gestione della banca di dati o arrechino un pregiudizio ingiustificato al costitutore della stessa.

La disciplina è completata dall’art. 102 ter, l. n. 633/1941, il quale individua i diritti e gli obblighi degli utenti di una banca dati messa a disposizione del pubblico.

Le diverse condotte sopra descritte, che connotano l’art. 171 bis, co. 2, l. n. 633/1941, sono accomunate sotto il profilo dell’elemento soggettivo dal dolo specifico costituito dal fine di profitto inteso come qualsiasi utilità anche non patrimoniale perseguita dall’autore delle condotte[15]. La genericità di tale locuzione, secondo parte della dottrina, priva il dolo specifico della sua funzione selettiva all’interno delle condotte punibili[16].

 

  1. La pronuncia della Suprema Corte

In questo solco normativo si inserisce la pronuncia della Corte di Cassazione in commento, che fornisce un’interpretazione dell’elemento soggettivo che connota la fattispecie in parola[17].

La vicenda all’esame della Suprema Corte trae origine dal ricorso proposto dalle parti civili avverso la sentenza di assoluzione per non aver commesso il fatto pronunciata dalla Corte d’Appello di Milano – che confermava la sentenza del Tribunale di Milano – per il reato di cui all’art. 171 bis, co. 2, l. n. 633/1971. In particolare, la condotta contestata all’imputata consisteva nel trasferimento in concorso con altri del contenuto di banca dati di proprietà di una società, al fine di trarne profitto, su un altro supporto, in violazione delle disposizioni di cui all’art. 64 quinquies e 64 sexies l. n. 633/1971 e nel successivo reimpiego e estrazione della stessa in violazione degli artt. 102 bis e 102 ter della medesima legge. Il contenuto della banca dati illegittimamente sottratto era stato poi conferito ad altra società di nuova costituzione operante nello stesso settore di mercato.

I giudici di legittimità, nel rigettare per inammissibilità il ricorso proposto, incidentalmente hanno affrontato la questione relativa alla configurabilità dell’elemento soggettivo della fattispecie in parola.

In dettaglio, la Corte non ha ritenuto raggiunta la prova di un’effettiva consapevolezza dell’imputata circa la provenienza illecita dei dati e, conseguentemente, ha considerato ragionevole l’assoluzione della stessa per insussistenza del fatto di reato[18].

La Corte di Cassazione, ha, infatti, chiarito che in mancanza della prova di un effettivo concorso dell’imputata nella duplicazione e trasferimento della banca dati “non risulta nemmeno provato il profilo della contestazione concernente il reimpiego illegittimo della banca dati, non avendo la Corte territoriale ritenuto provato il presupposto fattuale di tale prospettazione, ossia che l’imputata fosse a conoscenza della provenienza illecita di detta banca dati”.

La consapevolezza della provenienza illecita assurge, quindi, a elemento fondante l’elemento psicologico della fattispecie di cui all’art. 171 bis, co. 2, l. n. 633/1941, seppure non richiamata nella norma, rendendo maggiormente complessa la prova del dolo.

La consapevolezza della provenienza illecita diviene così elemento necessario ai fini della configurabilità della condotta di reimpiego dei dati in violazione delle disposizioni sul diritto d’autore, atteso che tale condotta può qualificarsi come illecita solo se sorretta dal presupposto fattuale della consapevolezza della provenienza illecita dei dai riutilizzati.

La pronuncia in commento apre anche lo scenario a questioni relative al rapporto tra il primo e il secondo comma dell’art. 171 bis in parola.

L’art. 171 bis, comma 1, l. n. 633/1941 è relativo alla tutela dei programmi per elaboratore informatico e prevede due distinte fattispecie di reato: da un lato, la abusiva duplicazione, per trarne profitto, di programmi per elaboratore (prima ipotesi di reato) e, dall’altro lato, l’importazione, distribuzione, vendita, detenzione a scopo commerciale e imprenditoriale, concessione in locazione non già di programmi abusivamente duplicati, ma esclusivamente di programmi contenuti in supporti non contrassegnati dalla Siae[19].

Tale fattispecie è stata oggetto di un intervento riformatore ad opera della l. n.248/2000 che ha eliminato dalla norma in commento l’inciso “sapendo o avendo motivo di sapere che si tratta di copie non autorizzate”, con ciò semplificando il profilo psicologico del reato e facilitando la perseguibilità penale della condotta.

Ebbene, l’interpretazione che la Suprema Corte fornisce con la sentenza in commento è destinata a creare una profonda divergenza tra le due fattispecie, atteso che, nel primo caso, la volontà legislativa sembra escludere la rilevanza di qualsiasi consapevolezza circa la provenienza illecita delle copie, mentre la fattispecie di cui al secondo comma si fonderebbe proprio sulla consapevolezza di reimpiegare dati di provenienza illecita.

Siffatta interpretazione rende maggiormente complesso l’accertamento del reato di cui all’art. 171 bis, co. 2, l. n. 633/1941, creando di fatto un trattamento più favorevole al reo, rispetto a quello di cui al primo comma, nonostante la pari rilevanza dei beni giuridici tutelati.

 

  1. Osservazioni conclusive

La pronuncia oggetto di commento è tra le poche che analizza una fattispecie quale quella di cui all’art. 171 bis, co. 2, l. n. 633/1941 fino ad oggi scarsamente oggetto di applicazione ed è il segnale di una recente inversione di tendenza del contesto normativo e giurisprudenziale, che inizia a manifestare maggiore interesse per la tutela penale delle banche dati.

Tanto è vero che le ultime pronunce di legittimità in merito si connotano per un crescente ricorso a nuovi strumenti per il contrasto alle forme di plagio di banche dati prima inutilizzati, (come il sequestro preventivo), e, soprattutto, per una più frequente contestazione dell’illecito non solo nei confronti delle persone fisiche, ma anche nei confronti della società ai sensi del D.Lgs. n. 231/2001, in virtù del richiamo operato dall’art. 25 novies, D.Lgs. n. 231/2001 (“delitti in materia di violazioni del diritto d’autore”) introdotto dalla L. 23 luglio 2009, n. 99. Quest’ultima ha esteso la cd. responsabilità amministrativa degli enti anche al delitto ex art. 171 bis, l. n. 633/1941 commesso dalle persone fisiche nell’interesse o a vantaggio della persona giuridica prevedendo una sanzione pecuniaria fino a 500 quote e le sanzioni interdittive di cui all’art. 9, co. 2, della medesima legge di durata non inferiore ad un anno[20].

La possibilità di celebrare il processo penale anche nei confronti della società coinvolta può rendere particolarmente efficace la tutela penale del bene giuridico, sia dal punto di vista sanzionatorio, vista l’efficacia repressiva e preventiva delle sanzioni previste dal D.Lgs. n. 231/2001, sia data la possibilità di adottare nei confronti della società efficaci misure cautelari già nel corso delle indagini preliminari per prevenire la commissione di illeciti della stessa indole di quello per cui si procede.

Tale rinnovato interesse per la tutela del diritto d’autore sule banche dati deriva dal loro crescente valore economico e dalle innovative forme di aggressione alle stesse derivanti dall’evoluzione tecnologica.

Quest’ultima conferisce un’importanza cruciale al possesso e trattamento dei dati, che rappresentano un elevato valore economico per le aziende, unitamente ad altre risorse immateriali quali brevetti, marchi e loghi.

Peraltro, la sempre maggiore digitalizzazione dei dati consente di accrescere il valore dei database rendendoli interoperabili e, quindi, consentendo a banche dati diverse di dialogare tra di loro, attuando una condivisione di informazioni digitali, opportunamente armonizzate[21].

All’aumento del valore economico delle banche dati e, quindi, dell’importanza della proprietà intellettuale delle stesse si è affiancato anche lo sviluppo di tecniche sempre più sofisticate per la loro duplicazione, rendendo indispensabile un incisivo intervento penale a tutela della proprietà intellettuale in tale settore, che probabilmente richiederebbe oltre a una “presa di coscienza” giurisprudenziale,  anche un intervento di riforma legislativa volto a valorizzare i nuovi beni giuridici emergenti in tale ambito e le nuove tecniche di tutela possibili alla luce delle innovazioni tecnologiche.

 

[1] Onorato, La tutela penale del diritto d’autore. Le fattispecie incriminatrici dopo la legge n. 248/2000, in Cass. pen., 2003, 675 ss.; Morra, I reati in materia di diritto d’autore: le fattispecie incriminatrici e le altre disposizioni penali, Milano, 2008, 50 ss.

[2] Secondo quanto previsto dall’ art. 7, l. n. 633/1941 “è considerato autore dell’opera collettiva chi organizza e dirige la creazione dell’opera stessa”. L’art. 8 della medesima legge prevede che “è reputato autore dell’opera, salvo prova contraria, chi è in essa indicato come tale nelle forme d’uso, ovvero, è annunciato come tale nella recitazione, esecuzione, rappresentazione o radio-diffusione dell’opera stessa. Valgono come nome lo pseudonimo, il nome d’arte, la sigla o il segno convenzionale, che siano notoriamente conosciuti come equivalenti al nome vero”.

[3] Terracina, La tutela penale del diritto d’autore e dei diritti connessi, Torino, 2006, 75 ss.

[4] Bricola, Voce teoria generale del reato, in Noviss. Dig. It., Xix, 15 ss.; Musco, Bene giuridico e tutela dell’onore, Milano, 1974.

[5] La Corte di Giustizia UE, con la sentenza Schwibbert, Causa C- 20/05, ha affermato che «la direttiva del parlamento europeo e del consiglio 22 giugno 1998, 98/34/ce, che prevede una procedura d’informazione nel settore delle norme e delle regolamentazioni tecniche e delle regole relative ai servizi della società dell’informazione, come modificata con direttiva del parlamento europeo e del consiglio 20 luglio 1998, 98/48/ce, dev’essere interpretata nel senso che disposizioni nazionali come quelle di cui trattasi nella causa principale, in quanto stabilito successivamente all’entrata in vigore della direttiva del consiglio 28 marzo 1983, 83/189/cee, che prevede una procedura d’informazione nel settore delle norme e delle regolamentazioni tecniche, l’obbligo di apporre sui dischi compatti contenenti opere d’arte figurativa il contrassegno “siae” in vista della loro commercializzazione nello stato membro interessato, costituiscono una regola tecnica che, qualora non sia stata notificata alla commissione, non può essere fatta valere nei confronti di un privato». Ciò non significa, ovviamente, che la decisione vada ad incidere anche sulla tutela del diritto d’autore in quanto tale, rimanendo vietata qualsiasi attività che comporti l’abusiva diffusione, riproduzione o contraffazione delle opere dell’ingegno. Sul tema Terracina, op. cit., 78 ss.

[6] Musso, La tutela penale delle banche dati: un bilancio, in Il Diritto industriale, 2018, 415 ss.

[7] Musso, op. cit.

[8] In dettaglio, l’art. 181 bis, l. n. 633/1941 attribuisce alla SIAE il compito di apporre un contrassegno su ogni supporto contenente programmi per elaboratore o multimediali (per i quali in precedenza il contrassegno era solo facoltativo), nonché su ogni supporto che reca la fissazione di opere letterarie, musicali, artistiche o cinematografiche destinate al commercio o all’uso lucrativo e stabilisce che il contrassegno viene apposto sul supporto ai soli fini della tutela dei diritti relativi alle opere dell’ingegno, previa attestazione da parte di chi richiede la vidimazione di aver assolto gli obblighi relativi ai diritti d’autore e a quelli connessi. infine, la norma precisa che agli effetti dell’applicazione della legge penale il contrassegno è considerato segno distintivo di opera dell’ingegno.

[9] La giurisprudenza di legittimità ha chiarito che “affinché una banca dati sia meritevole della tutela ai sensi della l. 22 aprile 1941, n. 633, così come integrata dal d.lgs. 6 maggio 1999, n. 169, e successive modificazioni, è necessario che essa rappresenti una creazione intellettuale originale circa il metodo utilizzato per selezionare i dati, la disposizione all’interno della banca medesima ed il suo funzionamento, senza che assuma alcun rilievo il contenuto della stessa”. Cfr. Cass. pen., sez. III, 29.05.2018, n. 6734, in Ced cass. pen., 2020.

[10] Musso, op. cit.

[11] L’art. 64 sexies, l. n. 633/1941 dispone che “1. Non sono soggetti all’autorizzazione di cui all’articolo 64-quinquies da parte del titolare del diritto: a) l’accesso o la consultazione della banca di dati quando abbiano esclusivamente finalità didattiche o di ricerca scientifica, non svolta nell’ambito di un’impresa, purché si indichi la fonte e nei limiti di quanto giustificato dallo scopo non commerciale perseguito. Nell’ambito di tali attività di accesso e consultazione, le eventuali operazioni di riproduzione permanente della totalità o di parte sostanziale del contenuto su altro supporto sono comunque soggette all’autorizzazione del titolare del diritto; b) l’impiego di una banca di dati per fini di sicurezza pubblica o per effetto di una procedura amministrativa o giurisdizionale.2. Non sono soggette all’autorizzazione dell’autore le attività indicate nell’articolo 64-quinquies poste in essere da parte dell’utente legittimo della banca di dati o di una sua copia, se tali attività sono necessarie per l’accesso al contenuto della stessa banca di dati e per il suo normale impiego; se l’utente legittimo è autorizzato ad utilizzare solo una parte della banca di dati, il presente comma si applica unicamente a tale parte.3. Le clausole contrattuali pattuite in violazione del comma 2 sono nulle ai sensi dell’articolo 1418 del codice civile.4. Conformemente alla Convenzione di Berna per la protezione delle opere letterarie e artistiche, ratificata e resa esecutiva con legge 20 giugno 1978, n. 399, le disposizioni di cui ai commi 1 e 2 non possono essere interpretate in modo da consentire che la loro applicazione arrechi indebitamente pregiudizio al titolare del diritto o entri in conflitto con il normale impiego della banca di dati”.

[12] Alessandri, Sub art. 171 legge 633/1941, in Ubertazzi (a cura di), Commentario breve alle leggi su proprietà intellettuale e concorrenza, VI ed., 2016, 2176.

[13] La Corte di Giustizia nella causa C-604/10, in merito alla distinzione tra tutela giuridica accordata alle banche dati sulla scorta del diritto d’autore e tutela basata sul c.d. “diritto sui generis”, ha chiarito che si applica la prima tutela “se la scelta o la disposizione del contenuto costituisce una creazione intellettuale del proprio autore”, per cui la nozione di ‘creazione dell’ingegno’ che è un requisito necessario per potere beneficiare della tutela in base al diritto d’autore, rinvia unicamente al criterio di originalità. Secondo la Corte “tale criterio è soddisfatto quando, mediante la scelta o la disposizione dei dati in essa contenuti, il suo autore esprima la sua capacità creativa con originalità, effettuando scelte libere e creative”. Qualora, invece, la scelta o la disposizione dei dati in essa contenuti non sia collegabile ad un impulso creativo ma discenda da considerazioni di carattere tecnico, non può invocarsi il rispetto del diritto d’autore. In assenza di una creazione intellettuale può pertanto subentrare la tutela apprestata dal diritto sui generis purché il conseguimento, la verifica o la presentazione del loro contenuto abbia richiesto un investimento rilevante.

[14] Sul punto Cass. pen., sez. III, 29.05.2018, n. 6734, cit.

[15] Farina, Il dolo specifico e la tutela penale del diritto d’autore: il caso della pirateria altruistica on line, in Dir. pen. e proc., 2007, 1022 ss.; Pioletti, “Furto” di software e fine di profitto. divieto delle “forme di vendita piramidali” ed onere della prova. considerazioni a margine di due sentenze della corte di cassazione, in Giur. merito, 12, 2013, 2647 ss.

[16] Cass. pen. Sez. III, 08.05.2008, n. 25104, in Dir. Internet, 2008, 5, 500.

[17] Cass. pen., Sez. III, 8.1.2020, n. 220, in Il Quotidiano Giuridico.

[18] Tale prova secondo le parti civili, poteva rinvenirsi nella partecipazione dell’imputata alla costituzione della nuova società in cui quelle banche dati sono poi state conferite. La Corte ha, invece, ritenuto che il compendio probatorio complessivo dimostrasse solo l’interesse dell’imputata per la costituzione di una nuova società come opportunità di crescita professionale, senza tuttavia comprovare l’esistenza di un coinvolgimento nella commissione di reati informatici e nella duplicazione della banca dati.

[19] Sul punto Cass. pen., sez. III, 26.01.2016, n. 23365, in Diritto d’Autore, 2016, 2, 346 ss. La fattispecie in particolare dispone che “Chiunque abusivamente duplica, per trarne profitto, programmi per elaboratore o ai medesimi fini importa, distribuisce, vende, detiene a scopo commerciale o imprenditoriale o concede in locazione programmi contenuti in supporti non contrassegnati dalla Società italiana degli autori ed editori (SIAE), è soggetto alla pena della reclusione da sei mesi a tre anni e della multa da lire cinque milioni a lire trenta milioni. La stessa pena si applica se il fatto concerne qualsiasi mezzo inteso unicamente a consentire o facilitare la rimozione arbitraria o l’elusione funzionale di dispositivi applicati a protezione di un programma per elaboratori. La pena non è inferiore nel minimo a due anni di reclusione e la multa a lire trenta milioni se il fatto è di rilevante gravità”.

[20] Tribunale Lucca, Sez. riesame, 10.10.2017.

[21] Moro Visconti, La valutazione economica dei data base (banche dati), in Il Diritto Industriale, 2017, 4, 358 ss. L’Autore afferma che “le strategie di monetizzazione dei database possono essere declinate nelle seguenti fattispecie:1. utilizzo dei dati per finalità interne, mantenendone la proprietà e l’impiego in esclusiva;2. utilizzo per agevolare l’ingresso in nuovi business, anche attraverso differenziazioni di prodotto; 3. licenze in via esclusiva o condivisa a terzi, con abbonamenti o servizi di pay per use lungo archi temporali tipicamente pluriennali (29); 4. interscambio e condivisione di dati (anche con partners commerciali); 5. vendita di prodotti premium associati alla fruibilità esclusiva di dati (data vending; attraverso piattaforme digitali); 6. messa a disposizione gratuita dei dati (con proventi pubblicitari o di altra natura); 7. utilizzo selettivo dei dati per finalità di vertical advertising (pubblicità profilativa)”.

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