Cass., Sez. II, sent. 25 novembre 2020, n. 37818
Sommario: Abstract- Premessa- I fatti di causa- Espianto coattivo: tra offesa alla persona e danno al patrimonio -L’ovocita è cosa mobile: analogia in malam partem o interpretazione costituzionalmente orientata? -Considerazioni conclusive: una giurisprudenza al (difficile) passo coi tempi.
Abstract: la pronuncia annotata prende le mosse dall’annoso dibattito circa la natura giuridica delle parti del corpo, ed in particolare degli ovuli femminili, da cui discende la possibilità di configurare i reati contro il patrimonio rispetto ai fatti che ne comportino la sottrazione e l’impossessamento ad opera di terzi.
La Suprema Corte stabilisce che gli ovociti acquisiscono natura giuridica di “cosa mobile” a seguito del loro distacco dal corpo femminile: di conseguenza, è configurabile il delitto di rapina, e non quello di violenza privata, nell’ipotesi in cui il soggetto agente, mediante una prima condotta violenta ai danni della donna, sottragga i suoi ovociti e se ne impossessi, al fine di procurarsi un ingiusto profitto.
Premessa: la decisione in esame riveste un particolare rilievo nell’ambito della giurisprudenza penale nazionale, in quanto per la prima volta i giudici di legittimità sono stati chiamati a prendere posizione sulla natura giuridica delle parti del corpo umano vivente, ed in particolare degli ovuli femminili, onde valutarne la riconducibilità alla nozione di “cosa mobile” ex art. 628 c.p.
Il quesito sottoposto alla Corte, impone riflessioni su delicati temi di carattere morale e sociale, come la dignità del corpo umano vivente ed i limiti entro cui sia eticamente accettabile equiparare una cellula coinvolta nel processo riproduttivo umano ad una res.
La problematica, tuttavia, lungi dal rivestire un’importanza meramente teorica, presenta importanti ricadute pratiche in punto di inquadramento penalistico della condotta dell’espianto ovocitario violento.
Ciò in quanto, qualificando il gamete come parte del corpo, la sottrazione di esso per mano del soggetto agente, e contro la volontà della vittima, integra il delitto di lesioni personali in concorso con la violenza privata. Viceversa, definendo l’ovocita in termini di res, la relativa sottrazione, propedeutica all’impossessamento, e funzionale al conseguimento di un ingiusto profitto da parte del soggetto agente, integra il più grave delitto di rapina.
Quest’ultima ricostruzione fa leva su una nozione di “cosa mobile” ex art 628 c.p. notevolmente estesa, che come tale solleva dubbi di compatibilità con il principio di stretta legalità, ed i suoi corollari di tassatività e divieto di analogia in malam partem in materia penale.
Tanto premesso, il presente scritto si propone di illustrare l’iter seguito dalla giurisprudenza per qualificare in termini di rapina la violenta sottrazione di ovociti, tralasciando l’esame degli ulteriori aspetti del caso irrilevanti a tale fine.
I fatti di causa: la vicenda vede imputato un ginecologo e direttore sanitario di una clinica privata, il quale, in concorso con un’anestesista ed un’assistente, costringeva una giovane infermiera a sottoporsi ad un prelievo di ovociti, dei quali si impossessava allo scopo di impiantarli in altre tre pazienti, sottoposte a pratiche di fecondazione artificiale.
Secondo la ricostruzione della pubblica accusa, la giovane infermiera avrebbe in un primo momento acconsentito a donare i suoi ovuli alla clinica verso un rimborso spese in denaro, salvo poi revocare tale consenso poco prima dell’operazione, per un ravvedimento morale.
Tale dissenso, tuttavia, non veniva rispettato dal medico, il quale, attirata la donna presso la clinica, la sedava contro la sua volontà tramite anestesia totale e la sottoponeva all’intervento di prelievo di ovociti.
In seguito, il ginecologo attestava falsamente nel certificato di dimissioni della paziente il consenso prestato a sottoporsi all’operazione.
Espianto coattivo: offesa alla persona o danno al patrimonio? con ordinanza del 25 maggio 2016, il Tribunale di Milano, in funzione di giudice del riesame, confermando le misure cautelari degli arresti domiciliari e dell’interdizione temporanea dall’esercizio della professione applicata dal GIP all’indagato A., riqualificava il reato di rapina[1] contestatogli in termini di violenza privata.
A parere del Tribunale, infatti, gli ovuli femminili non sarebbero cose mobili, bensì parti del corpo umano, tutelate dall’ordinamento per il tramite dei reati contro l’integrità fisica, e non contro il patrimonio.
Ciò è vero tanto nel caso in cui le parti del corpo siano asportate a persona vivente, quanto, a fortiori, in quello in cui vengano sottratte ad un cadavere.
A conferma di ciò si pone la scelta del legislatore penale di punire la condotta di chi “sottrae parti di un cadavere” non già per il tramite del delitto di furto, bensì ex art. 411 c.p.: delitto che offende la pietà dei defunti.
Oltre che per difetto del suo oggetto materiale, la rapina non sarebbe configurabile anche a causa dell’impossibilità logico-giuridica di ritenere che una parte del corpo umano sia passibile di legittima detenzione da parte del soggetto passivo, a norma dell’art. 628 c.p.
In proposito, non può accogliersi la ricostruzione offerta dalla Procura per la quale gli ovuli femminili sarebbero delle cellule, equivalenti a cose mobili, solo momentaneamente detenute dalla donna presso il suo utero.
I gameti femminili, osserva il Tribunale, sono al più degli organi, come tali insuscettibili di legittima detenzione da parte del corpo che li ospita: prova ne è che nessuno sosterrebbe mai di “detenere il proprio fegato” presso sé.
Nè è sufficiente, onde ricondurre gli ovociti alla nozione di cosa mobile, evidenziarne l’intrinseca capacità di movimento.
La Corte di Cassazione si pronunciava sull’ordinanza del Tribunale in sede cautelare con sentenza n 39541 del 17 agosto 2016.
In quell’occasione, i giudici di legittimità, in sezione feriale, stabilivano che la “cosa mobile” agli effetti penali è l’entità passibile di fisica detenzione, sottrazione, impossessamento ed appropriazione[2], che sia capace di muoversi nello spazio: vuoi per sua natura, vuoi in conseguenza di un’attività umana.
Quest’ultima ipotesi ricorre non solo nel caso in cui un soggetto trasporti da un luogo a un altro un bene già mobile, ma anche nel diverso caso in cui questi, imbattutosi in una cosa inizialmente immobile, la renda movibile, scorporandola dalla sua sede stabile mediante la sua condotta.
Tale è la tesi della mobilizzazione, richiamata dalla Corte per stabilire che anche gli ovociti divengono cose mobili, se vengono rimossi dal corpo della donna tramite la condotta di espianto posta in essere dal soggetto attivo.
Prima che avvenga tale distacco, però, gli ovuli costituiscono parte integrante del corpo della donna, in quanto, indipendentemente dalla loro definizione tecnica in termini di “organi” o di “cellule”, “fanno parte del circuito biologico dell’essere umano”[3] .
Tanto premesso, poiché nel giudizio de quo il capo di imputazione atteneva alla sola condotta di sottrazione ovocitaria, e non anche a quella successiva di impossessamento di essi da parte del soggetto agente, il Tribunale riteneva configurate le sole lesioni personali in concorso con la violenza privata, escludendo la rapina.
Ciò in quanto la condotta contestata si rivolgeva ad ovociti ancora in sede, e pertanto incideva direttamente sull’integrità fisica della vittima.
A quel tempo, a ben vedere, i gameti non erano ancora venuti ad esistenza come cose mobili, e di conseguenza difettava l’oggetto materiale della rapina.
Solo a seguito dell’integrazione del capo di imputazione da parte della Procura, tale da ricomprendervi anche la successiva condotta di impossessamento dei gameti da parte del soggetto agente, il Tribunale condannava l’imputato, tra gli altri, per il reato di rapina impropria pluriaggravata dall’avere commesso il fatto alla presenza di altre persone e ponendo la vittima in stato di incapacità di agire.
Il capo di condanna veniva confermato dalla Corte d’Appello, pronunciatasi in parziale riforma della sentenza del Tribunale.
Avverso la pronuncia emessa in sede di gravame veniva intentato ricorso per Cassazione, principalmente dalla difesa, la quale si doleva dell’erronea applicazione dell’art. 628 c.p.
La condotta contestata all’imputato a seguito dell’integrazione del capo d’accusa sarebbe stata erroneamente qualificata come impossessamento, trattandosi, invero, di un’apprensione materiale da ritenersi assorbita nei delitti di lesione personale e di violenza privata, o, al più, integrativa di furto.
La Suprema Corte, con sentenza n. 37818 del 2020, rigettava il motivo proposto, confermando la condanna ex art 628 commi 1 e 3 n. 2 e 3 c.p.
Si evidenziava la natura plurioffensiva del delitto di rapina: lesiva sia del patrimonio, e sia della libertà e dell’integrità fisica e morale della vittima.
Dirimente ai fini della sua configurazione, è l’esistenza di un nesso di strumentalità tra la condotta violenta necessaria alla sottrazione del bene, e l’impossessamento di esso, a sua volta funzionale al conseguimento di un ingiusto profitto. [4]
Nel caso di specie, era innegabile come la sottoposizione con la forza della vittima ad anestesia totale, fosse diretta allo specifico scopo di costringerla a tollerare la sottrazione degli ovuli, dai quali l’imputato avrebbe tratto un profitto.
Assorbire la condotta di impossessamento nel delitto di violenza privata, pertanto, avrebbe significato trascurare il nesso teleologico richiamato, privando la stessa condotta di rilevanza penale. Ciò in quanto, come messo in evidenza dalla stessa Corte, l’ordinamento non vieta al medico di prendere possesso dei gameti di una donatrice al fine di impiantarli, una volta fecondati, presso l’utero di pazienti sottoposte a pratiche di fecondazione artificiale, rispettati i limiti richiamati dalla sentenza n. 162 del 2014 della Corte Costituzionale.[5]
Per la stessa ragione non poteva essere accolta la tesi del concorso materiale nei delitti di violenza privata e di furto, in quanto, realizzando una scomposizione arbitraria del delitto complesso di rapina, lascerebbe ancora una volta impunita la condotta dell’impossessamento a scopo di profitto.
Con la richiamata pronuncia del 2020, pertanto, gli ermellini, rifacendosi alla tesi della mobilizzazione, corroborata dal richiamo di numerosi precedenti, confermavano la condanna dell’imputato per rapina pluriaggravata.
Il soggetto attivo, infatti, per procurarsi l’ingiusto profitto legato alla sottoposizione di altre pazienti a pratiche di inseminazione artificiale, mediante violenza consistente in una sedazione coattiva, si impossessava di circa sei ovociti, sottraendoli alla sua legittima detentrice.
L’ovocita è cosa mobile: analogia in malam partem o interpretazione costituzionalmente orientata?
Con sentenza n. 37818 del 2020, la Suprema Corte chiarifica ulteriormente il concetto di cosa mobile, sottolineando come, ai soli effetti penali, e non anche a quelli civili, vi rientrino anche i beni “mobilizzati”.
A riprova dell’effettiva applicazione in campo penale della tesi della mobilizzazione, gli ermellini richiamano alcuni precedenti giurisprudenziali di furto aventi ad oggetto beni mobilizzati, come un albero sradicato dal terreno,[6] un cancello scorporato da un complesso immobiliare[7], dell’acqua sottratta tramite deviazione del corso di un fiume[8], una colonnina telefonica espiantata dal suolo siccome legata ad un’auto in corsa.
Ciò, al fine di mettere in luce come qualsiasi condotta umana di simile enucleazione od avulsione sia in grado di rendere asportabile, e quindi movibile, una cosa inizialmente immobile.[9]
In quest’ottica, viene confermato che anche gli ovociti, inizialmente inglobati presso il corpo della donna, divengono cose oggetto di delitti contro il patrimonio, una volta scorporati dalla loro sede naturale per il tramite di una condotta del soggetto agente.
Tale è il meccanismo di “reificazione” del corpo umano, il quale, potrebbe suscitare talune perplessità.
In particolare, ci si chiede se sia giuridicamente corretta, ossia rispettosa del principio di tassatività della legge penale, un’interpretazione dell’art. 628 c.p. che muova dall’equiparazione di un corpo umano vivente ad un bene immobile, come un letto di fiume, una parte di suolo o di terreno od un complesso immobiliare.
Sebbene non esplicitato, difatti, tale parallelismo sembrerebbe quantomeno suggerito dalla Corte, nel pervenire alla soluzione del caso.
Il dubbio di un’applicazione analogica della disciplina sfavorevole di cui all’ art. 628 c.p. potrebbe muovere dalla difficoltà di concepire la sottrazione del gamete come un’offesa al patrimonio.
Ciò in quanto l’ovocita è un’entità insuscettibile di valutazione economica in senso tecnico, in quanto destinataria di un divieto assoluto di monetizzazione, commercio o di disposizione comunque diretta a fini di profitto. [10]
Può pertanto risultare problematico ritenere che una condotta sottrattiva che non provochi alcuna deminutio economicamente apprezzabile, si traduca in un’offesa al patrimonio.
La soluzione al quesito non è univoca, ma varia a seconda della concezione di patrimonio alla quale si intende aderire.
Infatti, la nozione di patrimonio agli effetti penali ha subito, nel corso del tempo, profonde evoluzioni: vuoi con riferimento alla natura dei beni che lo compongono, vuoi con riguardo alla posizione rivestita nella scala di valori tutelati dall’ordinamento.[11]
La primissima nozione di patrimonio era fortemente legata al suo aspetto economico, tanto che il codice Zanardelli dell’89 tutelava le offese ivi dirette per il tramite dei delitti contro “la proprietà”: a quel tempo bene supremo dell’ordinamento.
Con l’avvento del Codice Rocco, la centralità del bene patrimonio rimase immutata, ed il regime sanzionatorio diretto a presidiarlo risultava eccessivamente ed irragionevolmente severo.[12]
Per come allora concepito, il patrimonio si componeva di sole cose suscettibili di valutazione economica, e riconducibili al suo titolare in forza di un diritto o di una relazione di fatto.
Tale era la visione meramente economica di patrimonio,[13] la cui debolezza principale risiedeva nell’indeterminatezza delle relazioni di fatto richiamate, ed al rischio che fossero illecite.
A tale scopo, veniva introdotto il correttivo della necessaria liceità o non illiceità della signoria della persona sulla cosa, quale presupposto necessario di operatività della tutela penale.
Veniva in tal modo ad affermarsi una visione economico-giuridica [14]di patrimonio, per la quale questi aveva ad oggetto il complesso di rapporti giuridici (e quindi leciti) economicamente valutabili, facenti capo ad un soggetto.
Tale concezione, se da un lato manteneva intatta la componente economica, dall’altro mitigava gli eccessi della concezione previgente, arginando il rischio di una tutela cieca degli averi, comunque rientranti nella signoria del soggetto.
Con l’entrata in vigore della Costituzione repubblicana, si è assistito al definitivo svincolo del concetto di patrimonio dalla sua componente economica, ed alla valorizzazione di aspetti maggiormente legati alla sfera umana della persona.
La crescente sensibilità dell’ordinamento verso i valori della persona, riconosciuti e promossi dalla Carta Costituzionale, indusse ad una visione di patrimonio di tipo funzionale o personalista. [15]
Un certo bene è parte del patrimonio di un soggetto solo se, e nella misura in cui, è funzionale a soddisfare un bisogno della persona, non necessariamente materiale, ma anche morale o spirituale.[16]
Dirimente, pertanto, ai fini della natura patrimoniale del bene, è la sua idoneità a soddisfare un bisogno della persona, anche di tipo umano o solidaristico.[17]
A tale riguardo, appare decisivo il passaggio della sentenza n. 37818 del 2020, in cui gli ermellini, nel qualificare la donna come legittima detentrice dei suoi gameti, mettono in evidenza la sua facoltà di donarli a coppie con problemi di fertilità: ossia, di funzionalizzarli ad uno scopo solidale.
Tale osservazione tradisce l’adesione della Suprema Corte ad una concezione di patrimonio di tipo funzionale, la quale, peraltro, appare la più coerente con l’attuale contesto storico e con i principi fondamentali che governano il nostro ordinamento liberale.
La solidarietà, a ben vedere, è consacrata quale valore supremo ex art 2 Cost.
Più in generale, la Carta Costituzionale riconosce e promuove la tutela della persona concepita non solo nella sua dimensione individuale, ma anche in quella sociale.
Le conquiste di civiltà dell’attuale contesto storico-sociale ed i progressi del pensiero hanno reso evidente come i beni materiali da soli non siano più in grado di esaurire il patrimonio di un soggetto, e soddisfare quel complesso di bisogni di varia natura che caratterizzano l’umana esperienza.
L’ interpretazione costituzionalmente orientata di bene patrimoniale anzi illustrata, consente di ritenere ragionevole e conforme al sistema, l’interpretazione estensiva compiuta dalla giurisprudenza nel caso in esame.
Considerazioni conclusive: una giurisprudenza al (difficile) passo coi tempi
La problematica principale attorno a cui ruota la vicenda in esame attiene alla difficoltà della giurisprudenza odierna di adattare il tenore testuale di leggi risalenti nel tempo agli incessanti e rapidissimi mutamenti della società moderna.
Nel caso specifico, infatti, la sottrazione di un gamete femminile a fini di profitto – scenario evidentemente ignoto al legislatore del 30 – è frutto dei progressi del campo delle biotecnologie.
Ma la stessa problematica può porsi, ed in concreto si pone di sovente, con riferimento a tutte le innovazioni determinate dal progresso della tecnica.
Si pensi, ad esempio, al campo dell’informatica: interessante notare come sia la stessa sentenza n. 37818 del 2020 a fornire in proposito un ulteriore spunto di riflessione.
Si legge a pag. 23 che i beni immateriali non costituiscono cose mobili agli effetti penali, ma solo a fini civili.[18]
Ebbene, sul punto va osservato come, in vero, l’esclusione dei beni immateriali dall’ambito dei delitti contro il patrimonio non è più circostanza pacifica in giurisprudenza, come lo era in passato.
Una recentissima giurisprudenza della Corte di Cassazione, infatti, ha infatti ritenuto configurato il delitto di appropriazione indebita di un file informatico commesso attraverso la sua cancellazione di da un pc aziendale per mano di un pubblico ufficiale[19]:
Fino a poco tempo fa, di contro, l’orientamento assolutamente prevalente era nel senso di escludere che le entità digitali potessero essere oggetto dei delitti contro il patrimonio, i quali potevano venire ad esistenza nel solo caso in cui la condotta di sottrazione del soggetto agente avesse inciso sul supporto materiale su cui il file era impresso, e non già direttamente su di esso.[20]
Anche in questo caso, lo sforzo della giurisprudenza più recente è stato quello di modellare il concetto di “fisicità” del dato informatico, onde sussumerlo nella nozione di “cosa mobile” oggetto del delitto di appropriazione indebita.
Ad ulteriore riprova di come l’incedere delle innovazioni tecnologiche ed i mutamenti che in vario modo interessano il contesto sociale di riferimento, pongano con sempre maggiore frequenza l’interprete innanzi al difficile compito di individuare un punto di equilibrio tra istanze general preventive e rispetto dei più generali principi di tassatività e determinatezza in materia penale.
[1] Per un esame più puntuale del contenuto dell’ordinanza si veda: Ord. GIP Milano 9 maggio 2016 in Diritto Penale Contemporaneo: con l’ordinanza impugnata, eseguita il 13/5/16 , il Gip ha applicato ad Antinori Severino la misura degli arresti domiciliari in relazione ai seguenti reati: artt. 110, 628 commi 1 e 3 n. 2 e 3 c.p. perché [..] al fine di procedere all’impianto di embrioni in altre pazienti, con violenza [..] prelevava dall’utero di M. non meno di sei ovociti, sottraendoli alla persona offesa che aveva manifestato la sua volontà di non autorizzare il prelievo. Con la circostanza aggravante di avere commesso il fatto in più persone e ponendo la persona offesa in stato di incapacità di agire;
- b) artt. 110, 582, 585 in relazione all’art. 61 n. 2 c.p. perché, [..]esercitando nei confronti di M. le condotte violente [..]e sottoponendola a trattamento di prelievo ovocitario contro la sua volontà, cagionavano alla
[2]osserva la Corte di Cassazione: “Per cosa mobile deve intendersi qualsiasi di cui, in rerum natura, sia possibile una fisica detenzione, sottrazione, impossessamento ed appropriazione e che possa spostarsi da un luogo all’altro.” (Corte di Cassazione penale, sez. fer, 17 agosto 2016, n. 39541 in Guida al diritto 2016, 47, 83 (s.m))
[3]ad essere esaltata è la natura sostanzialmente corporea del gamete, indipendentemente dalle etichette formali proposte dalla Procura e dalla difesa: “gli ovociti benché destinati ad essere espulsi o trasformati mediante la fecondazione, fanno parte del circuito biologico dell’essere umano e non possono essere considerati cose mobili solo temporaneamente detenute dalla donna all’interno del suo corpo.”
[4]Sulla rilevanza del nesso teleologico e sul diverso atteggiarsi della violenza nel delitto di rapina si veda anche: Rapina [XXXVIII, 1987] di Pizzuti Giuseppe in Enciclopedia del Diritto: “la violenza alla persona nella rapina propria deve essere precedente o concomitante all’impossessamento della cosa mobile altrui, e va considerata come mezzo rispetto al fine costituito dall’impossessamento medesimo. Per violenza personale si intende l’estrinsecazione di energia fisica, adoperata dall’agente sul paziente, per annullarne o limitarne la capacità di autodeterminazione e di azione. La violenza personale comprende, altresì (..)tutte quelle attività insidiose, con cui il soggetto passivo viene posto, totalmente o parzialmente, nell’impossibilità di volere o di agire”; sullo stesso tema si vedano anche PISAPIA, Violenza, minaccia e inganno nel diritto penale, Napoli, 1940; A. PECORARO-ALBANI, Il concetto di violenza nel diritto penale, Milano, 1962;
[5]il richiamo è alla n. 162 del 10 giugno 2014 con la quale la Corte Costituzionale dichiarava illegittimo l’art. 4, comma 3 della legge 19 febbraio 2004, n. 40 recante il divieto assoluto di qualsiasi atto dispositivo del proprio corpo. A seguito della decisione del giudice delle leggi, tali atti dispositivi “quando rivolti alla tutela della salute, devono ritenersi leciti, sempre che non siano lesi altri interessi costituzionali.” (Corte di Cassazione penale, sez. II, anno 2020, n. 37818)
[6] In materia di furto di alberi si veda anche: Corte di Cassazione penale, sez. V, 16 dicembre 2020, n. 3788 in CED Cass. Pen. 202; Corte di Cassazione penale, sez. V , 14 aprile 2014 , n. 18282 in CED Cassazione penale 2014
[7] la sentenza fa espresso richiamo a: Sez. 1, n. 8514 del 12 febbraio 1974, Rossi, Rv. 128491
[8] sul furto di acque in giurisprudenza si vedano anche: Corte di Cassazione penale, sez. IV, 13 ottobre 1995, n. 11008 in Cass. pen. 1996, 2942 (s.m), Giust. pen. 1996 , II, 358 (s.m): “La deviazione del corso di un fiume a fine di trarre ingiusto profitto non integra solo il reato previsto dall’art. 632 c.p., ma anche quello del furto continuato dell’acqua che vi scorre.”; Corte di Cassazione penale , sez. IV , 14 novembre 2012 , n. 6965 in Cassazione Penale 2013, 9 ,3231; Corte di Cassazione Penale 2014, 2 , 626 NOTA (s.m.) (nota di: SCIUBA),CED Cassazione penale 2012: “L’impossessamento abusivo dell’acqua convogliata nelle condutture dell’acquedotto municipale integra il reato di furto aggravato”;Corte di Cassazione penale, sez. IV, 04 ottobre 2004, n. 46545 in Cass. pen. 2006, 1, 202: “Configura il reato di furto aggravato ai sensi dell’art. 625 n. 7 c.p. il prelievo di acqua dal fiume, senza la necessaria concessione”.
[9] Si richiama ad un concetto già espresso dalla Corte di Cassazione del 2016 in sede cautelare. Si veda sul punto: Corte di Cassazione penale, sez. IV, 24 novembre 2016, n. 6617 in Cassazione Penale 2017, 12 , 4417, CED Cass. pen. 2017: “in tema di reato contro il patrimonio, per “cosa mobile” deve intendersi qualsiasi entità […] compresa quella che, pur non mobile originariamente, sia resa tale mediante l’avulsione o l’enucleazione dal complesso immobiliare di cui faceva parte.”
[10] Sui divieti posti dall’ordinamento sovranazionale allo sfruttamento commerciale dei prodotti delle biotecnologie si veda: CALDERAI, voce «Consenso informato», in Enc. del dir., Annali VIII, Milano, 2015; Sui limiti posti dal diritto internazionale pattizio si vedano: art 21, Convenzione per la protezione dei Diritti dell’Uomo e della dignità dell’essere umano nei confronti dell’applicazioni della biologia e della medicina: “Il corpo umano e le sue parti non debbono essere, in quanto tali, fonte di profitto”; art. 3, Carta dei diritti dell’Unione: Diritto all’integrità della persona: “ogni persona ha diritto alla propria integrità fisica e psichica. Nell’ambito della medicina e della biologia devono essere in particolare rispettati: a) il consenso libero e informato della persona interessata, secondo le modalità definite dalla legge; b) il divieto delle pratiche eugenetiche, in particolare di quelle aventi come scopo la selezione delle persone; c) il divieto di fare del corpo umano e delle sue parti in quanto tali una fonte di lucro”; In punto di normativa interna sullo stesso tema si veda: Art. 12 Decreto Legislativo 6 novembre 2007, n. 191, Attuazione della direttiva 2004/23/CE sulla definizione delle norme di qualità e di sicurezza per la donazione, l’approvvigionamento, il controllo, la lavorazione, la conservazione, lo stoccaggio e la distribuzione di tessuti e cellule umani: la donazione di tessuti e cellule è volontaria e gratuita; sullo stesso tema in giurisprudenza si veda: Corte di Cassazione penale , sez. III , 06 giungo 2019 , n. 36221 in Guida al diritto 2019, 43 , 70:In tema di procreazione medicalmente assistita di tipo eterologo (che necessita di donazione e trasferimento di gameti), sono punibili, in quanto costituenti la mercificazione della procreazione assistita, tutte le condotte dirette, in qualsiasi forma, alla produzione e circolazione dei gameti, remunerate con corrispettivo in rapporto sinallagmatico con la condotta di produzione, circolazione e immissione nel mercato, in violazione dei principi di gratuità e volontarietà della donazione di tessuti e cellule; Corte di Cassazione penale, sez. III, 06 giugno 2019, n. 36221 in Guida al diritto 2019, 37, 119: “Qualunque condotta diretta a immettere nel mercato gameti in violazione dei principi di volontarietà e gratuità della donazione integra la fattispecie penale di commercializzazione di gameti”;
[11] per una disamina delle principali concezioni di patrimonio susseguitesi nel tempo si vedano: S. MOCCIA, ruolo del patrimonio nell’attuale contesto ordinamentale in Tutela penale del patrimonio e principi costituzionali, Padova, 1988; A. CARMONA, I reati contro il patrimonio, in A. Fiorella (a cura di), Questioni fondamentali della parte speciale del diritto penale, 2019, Giappichelli, Milano; per una visione di patrimonio come “bene categoriale” si veda anche E. MEZZETTI, Reati contro il patrimonio, in Trattato di diritto penale, Parte speciale, diretto da C.F. Grosso, Padovani, Pagliaro, Giuffré, Milano, 2013
[12] per un approfondimento sui paradossi sanzionatori del codice Rocco si veda A. MOCCIA, Rigorismo repressivo e funzione della pena nello stato sociale di diritto, in Tutela penale del patrimonio e principi costituzionali, e principi costituzionali, Padova, 1988
[13] sul punto si veda F. MANTOVANI, Diritto penale, Parte speciale, Delitti contro il patrimonio, II, Padova, 2009
[14] tesi elaborata e sostenuta dalla dottrina tedesca, tra cui: BIRKMEYER, F. VON LISZT, E. SCHMIDT.
[15] Si veda in proposito A. MOCCIA La valutazione del patrimonio all’ interno della Costituzione, Tutela penale del patrimonio e principi costituzionali, e principi costituzionali, Padova, 1988; nello stesso senso A. CARMONA, I reati contro il patrimonio, in A. Fiorella (a cura di), Questioni fondamentali della parte speciale del diritto penale, 2019, Giappichelli, Milano: “L’esigenza di un’interpretazione unitaria dell’ordinamento, in coerenza con i principi costituzionali, impone di collocare al centro del sistema la tutela della personalità individuale, da intendersi come completa realizzazione dell’individuo nella società, superando, dunque, gli aspetti puramente economici della sua esistenza”
[16]sulla questione si veda anche G. MARINI, Delitti contro il patrimonio, Torino, 1999
[17] in tal senso anche E. MEZZETTI, Reati contro il patrimonio, in Trattato di diritto penale, Parte speciale , diretto da C.F. Grosso, Padovani, Pagliaro, Giuffré, Milano, 2013
[18]così Corte di Cassazione penale, sez. II, anno 2020, n. 37818 “la nozione penalistica di cosa mobile non coincide con quella civilistica, rivelandosi per certi aspetti più ridotta e, per altri, più ampia: è più ridotta laddove non considera cose mobili le entità immateriali – come, appunto, le opere dell’ingegno e i diritti soggettivi – che, invece, l’art. 813 e.e., assimila ai beni mobili”
[19] il richiamo è a: Corte di Cassazione penale, sez. II , 07 novembre 2019 , n. 11959 in Guida al diritto 2020, 34-35 , 84: “i dati informatici (files) sono qualificabili come cose mobili ai sensi della legge penale e, pertanto, costituisce condotta di appropriazione indebita la sottrazione da un personal computer aziendale, affidato per motivi di lavoro, dei dati informatici ivi collocati, provvedendo successivamente alla cancellazione dei medesimi dati ed alla restituzione del computer formattato”; nello stesso senso si veda anche: Corte di Cassazione penale , sez. VI , 09 maggio 2018 , n. 33031 in Diritto & Giustizia 2018, 18 luglio: In tema di oggetto materiale del reato di cui all’ art. 314 cod. pen. (peculato), rientrano nella categoria dei beni mobili oggetto di possibile appropriazione anche i beni c.d. immateriali tutte le volte in cui gli stessi abbiano un diretto ed intrinseco valore economicamente
[20]Il riferimento è a: Corte di Cassazione penale, sez. V , 30 settembre 2014 , n. 47105 in Rivista penale 2015, 1 , 34: “In tema di appropriazione indebita, fermo restando che il reato non può avere ad oggetto che beni materiali, deve ritenersi sussistente tale condizione nel caso in cui l’agente si sia indebitamente appropriato del supporto cartaceo contenente alcuni dati attinenti ai rapporti bancari intrattenuti dalla persona offesa, nulla rilevando in contrario che proprio dalla presenza di detti dati, di per sé immateriali, derivi il valore economico del documento nel quale essi sono riportati”.; nello stesso senso si vedano anche: Tribunale di Milano, 04 giugno 1979 in Orient. giur. lav. 1979, 1249: “le entità puramente immateriali costituite dalle idee, dalle attività del pensiero e dell’ingegno non possono come tali essere oggetto di reati contro il patrimonio, è pur vero che, quando tali entità immateriali vengono trasfuse in un documento che le incorpora, il documento stesso viene ad acquisire tutto il maggior valore determinato da codesta attività dell’ingegno”; Corte di Cassazione penale sez. un., 20 dicembre 2012, (ud. 20/12/2012, dep. 02/05/2013), n.19054: “Sia in dottrina che in giurisprudenza (Sez. 2, n. 20647 dell’11/05/2010, Comiani, Rv. 247270; Sez. 2, n. 36592 del 26/09/2007, Trementozzi, Rv. 237807) si esclude che i beni immateriali – sia personali (vita, onore, prestigio, etc.), che patrimoniali (opere dell’ingegno, invenzioni industriali, ditta, insegna, marchio, etc.) – possano costituire oggetto di peculato, perchè non sono cose.”