1. Introduzione
Quando nel 2017 fu finalmente promulgata la legge 179 sulla tutela del whistleblower [1], una parte del mondo politico accolse la notizia negativamente, come un provvedimento che avrebbe favorito la delazione. Ancora oggi, nel dibattito pubblico la differenza semantica e concettuale tra i due termini appare purtroppo talvolta poco chiara e ciò dipende essenzialmente da un problema di natura culturale.
Nel nostro ordinamento, infatti, la tutela del whistleblower è una materia decisamente giovane e recente, mutuata dall’esperienza anglosassone [2], e resa di necessaria normazione (per la prima volta con la legge 190/2012) dagli impegni internazionali che l’Italia aveva assunto nel corso degli anni [3].
Ma il fatto stesso che nel dibattito pubblico si faccia ricorso comunemente a un termine straniero (whistleblower, letteralmente colui che soffia nel fischietto), ci fa comprendere quanto questo istituto sia lontano dall’esperienza culturale e giuridica italiana.
Non è un caso che anche la stessa Accademia della Crusca abbia dovuto riconoscere che “nel lessico italiano non esiste una parola semanticamente equivalente al termine angloamericano”, e che “l’assenza di un traducente adeguato è, in effetti, il riflesso linguistico della mancanza, all’interno del contesto socio-culturale italiano, di un riconoscimento stabile della “cosa” a cui la parola fa riferimento [4]”. Senza mezzi termini, si può quindi tranquillamente affermare che nella cultura italiana è proprio il concetto a mancare, perché come scriveva Heidegger: “Nessuna cosa esiste dove la parola manca [5]”.
E se manca il concetto di whistleblower (termine che immediatamente nella percezione anglosassone è considerato come un qualcosa di virtuoso, etico, socialmente utile [6]), si comprende come ancora oggi il whistleblower possa essere considerato un delatore. Ma la differenza sostanziale tra le due figure è evidente: il delatore è “chi per lucro, per vendetta personale, per servilismo verso chi comanda o per altri motivi, denuncia segretamente qualcuno presso un’autorità giudiziaria o politica, soprattutto qualora eserciti abitualmente tale attività [7]”. Il whistleblower, invece, segnala un fatto illecito o un’irregolarità di cui è venuto a conoscenza nella sua attività lavorativa, esclusivamente nell’interesse dell’integrità dell’amministrazione: quindi non per fini personali, ma solo per il corretto perseguimento dell’interesse pubblico, come d’altronde previsto dagli articoli 97 e 98 della Costituzione, pur sapendo che in questo modo sacrificherà il suo benessere individuale e la sua tranquillità.
Va considerato, inoltre, che se il delatore può denunciare fatti che sa non essere veri, incolpando in questo caso una persona innocente, e configurando in tal modo l’ipotesi di reato prevista dal codice penale all’art. 367 [8], il whistleblower segnala fatti che, in base alle proprie conoscenze, ritenga altamente probabile che si siano verificati [9]. Ben si comprende quindi come le due figure si trovino su un piano etico e morale completamente antitetico, sebbene talvolta vengano ancora sovrapposte [10].
2. Il whistleblower: strumento contro la corruzione, o manifestazione della libertà di espressione?
Partendo dalla considerazione che il whistleblower è un utile strumento “anticorruzione”, occorre fare alcune doverose precisazioni.
Va sottolineato che il whistleblowing ricopre già una duplice funzione, dato che la segnalazione può produrre un risultato sia di carattere repressivo, consentendo il ripristino dell’integrità pubblica [11], sia preventivo, permettendo di innalzare la capacità di scoprire eventuali fenomeni di natura corruttiva o irregolarità e illegalità (anche non penalmente rilevanti [12]).
In questo modo la misura della segnalazione incide su due vertici del cosiddetto triangolo della frode [13], in primo luogo sull’organizzazione (evidenziando eventuali falle permette di ridurre per il futuro il rischio che lo stesso evento si presenti nuovamente), ma anche sulla consapevolezza etica del dipendente, dal momento che la legge 190/2012 impone la partecipazione al processo di gestione del rischio di un evento corruttivo a tutti i dipendenti che diventano parte attiva soprattutto segnalando eventuali disfunzioni o irregolarità.
Ma, dando per scontato il legame tra tutela del whistleblower e lotta alla corruzione, come ampiamente affermato a livello internazionale e nazionale, nonché in giurisprudenza [14], e sottolineando la funzione preventiva dell’istituto, occorre ricordare anche un’altra dimensione legata invece al rafforzamento della rule of law [15].
Secondo certa dottrina [16], infatti, la tutela del whistleblower rileva anche come manifestazione del diritto alla libertà di espressione e di informazione, ai sensi della Dichiarazione Universale dei Diritti Umani [17], della Convenzione Internazionale sui Diritti Civili e Politici, della Carta dei Diritti Fondamentali dell’Unione Europea e della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo [18].
Molto esplicito in questa direzione è il Memorandum Esplicativo della Raccomandazione del Consiglio d’Europa del 30 aprile 2014 che sottolinea il legame tra whistleblowing e libertà di espressione:
“Il Consiglio d’Europa riconosce il valore del whistleblowing nello scoraggiare e prevenire la commissione di illeciti e nel rafforzare la responsabilità delle istituzioni democratiche (“democratic responsibility”) e la trasparenza. Il whistleblowing è un aspetto fondamentale della libertà di espressione e della libertà di coscienza ed è importante nella lotta contro la corruzione e la mala amministrazione nel settore pubblico e privato” [19].
Il whistleblower con la sua denuncia si trova inevitabilmente in una posizione di debolezza, visto il timore di ritorsioni. Di conseguenza, tutelare la sua posizione anche come manifestazione della libertà di espressione [20] diventa uno strumento di preservazione (se non addirittura estensione) dei valori democratici, perché se dalla segnalazione seguiranno azioni correttive di vario genere, la collettività ne trarrà beneficio, e di conseguenza “il whistleblowing come discorso senza paura manterrà vitali le democrazie liberali [21]”.
In questo modo il whistleblower va tutelato sotto un duplice profilo: non solo perché esercita un diritto umano inalienabile (quello della libertà di espressione), ma anche perché con la sua denuncia, permette alla collettività di conoscere eventuali truffe o danni alla cosa pubblica, al bene comune. Il whistleblowing diventa quindi un atto di “responsabilità democratica [22]”.
Ben si comprende come a questo spostamento di prospettiva corrisponda un mutamento nell’oggetto della tutela: non più una semplice facoltà, bensì la protezione di un diritto fondamentale della persona.
D’altronde su questo punto la Corte Europea dei Diritti dell’Uomo si era già espressa in modo inequivocabile nella sentenza del 2008 Guja c. Moldavia [23], affermando che l’articolo 10 della CEDU copre anche la diffusione di notizie da parte degli impiegati pubblici, qualora vi sia un forte interesse pubblico a conoscere la vicenda – come nel caso di specie la lotta alla corruzione – e non esistano congrui canali alternativi per denunciare il fatto [24].
La doppia dimensione della tutela del whistleblower, sia come strumento per contrastare (e prevenire) la corruzione, sia come manifestazione della libertà di espressione, trova collocazione normativa all’interno della Direttiva 1937/2019, sulla “Protezione degli individui che segnalano violazioni delle norme comunitarie”.
Nel Preambolo, infatti, è specificato il ruolo cruciale del whistleblower nella lotta alla corruzione nel momento in cui viene riconosciuto che: “Nel segnalare violazioni del diritto unionale che ledono il pubblico interesse, tali persone (gli informatori – whistleblowers) svolgono un ruolo decisivo nella denuncia e nella prevenzione di tali violazioni e nella salvaguardia del benessere della società [25]”. Il whistleblower fornisce con la sua segnalazione “informazioni che portano all’indagine, all’accertamento e al perseguimento dei casi di violazione delle norme dell’Unione, rafforzando in tal modo i principi di trasparenza e responsabilità [26]”.
Ma è al considerando 31 che viene invece esplicitata la dimensione attinente al piano dei diritti umani dal momento che la tutela investe la persona nel diritto di manifestare il suo pensiero, e al tempo stesso di essere informato:
“Coloro che segnalano minacce o pregiudizi al pubblico interesse di cui sono venuti a conoscenza nell’ambito delle loro attività professionali esercitano il diritto alla libertà di espressione. Il diritto alla libertà di espressione e d’informazione, sancito dall’articolo 11 della Carta e dall’articolo 10 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, comprende il diritto di ricevere o di comunicare informazioni nonché la libertà e il pluralismo dei media. Di conseguenza, la presente direttiva si basa sulla giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo (CEDU) relativa al diritto alla libertà di espressione e ai principi elaborati su tale base dal Consiglio d’Europa nella raccomandazione sulla protezione degli informatori adottata dal Comitato dei ministri del Consiglio d’Europa il 30 aprile 2014”.
Sebbene il termine per la trasposizione della Direttiva sia il 17 dicembre 2021, allo stato attuale l’Italia (come in realtà molti altri paesi europei) non ha rispettato la scadenza e non si sa quando riuscirà ad ottemperare all’obbligo comunitario. Nei contenuti però non si possono ignorare le differenze nel livello di tutele e garanzie accordate dal testo comunitario rispetto a quanto disposto dalla normativa domestica, come si vedrà nei paragrafi seguenti.
Va detto però che l’ANAC con il recente “Schema [27] di Linee guida in materia di tutela degli autori di segnalazioni di reati o irregolarità di cui siano venuti a conoscenza in ragione di un rapporto di lavoro, ai sensi dell’art. 54-bis, del d.lgs. 165/2001 (c.d. whistleblowing [28])” ha interpretato la legge italiana in senso più estensivo e più conforme ai contenuti della Direttiva 2019/1937, ponendosi come una sorta di “ponte” fra la legge italiana attuale e quella da adottare in rispetto degli obblighi comunitari [29]. Tuttavia, il Consiglio di Stato nel suo parere sullo Schema di Linee guida [30], ha scelto sotto diversi profili un’interpretazione più restrittiva e più lontana dal modello comunitario (si pensi ad esempio all’ambito di applicazione soggettivo, o all’esclusione delle attività prodromiche previste invece dalla Direttiva), forse in contrasto con l’art. 4.3. TUE che impone agli Stati un principio di leale collaborazione [31].
3. Le novità introdotte dalla legge 179/2017
In Italia, prima della legge 190/2012, mancava ogni riferimento normativo che potesse tutelare eventuali “segnalanti” [32].
La legge Severino prevedendo quindi l’inserimento di un nuovo art. 54bis al d.lgs. 2001/165, ha introdotto di fatto nel nostro ordinamento per la prima volta la tutela del dipendente che segnala illeciti. Una tutela che si esauriva sotto tre profili: tutela della riservatezza del denunciante; divieto di discriminazione nei confronti del whistleblower; sottrazione della segnalazione al diritto di accesso.
Tuttavia, nonostante l’indubbio impatto soprattutto di ordine culturale [33] di tale intervento legislativo, l’efficacia dell’istituto appariva limitata sotto diversi punti di vista [34].
In primo luogo, si criticava l’ambito di applicazione troppo ristretto (tutelando solo dipendenti pubblici, erano quindi esclusi, ad esempio, i dipendenti di società pubbliche). La legge 190/2012 inoltre era ritenuta inadeguata nella tutela contro atti discriminatori (il Dipartimento della funzione pubblica non aveva reali poteri di intervento, e quindi occorreva rivolgersi al giudice del lavoro, con esito incerto e alte spese processuali), e parzialmente anche nella tutela della riservatezza.
Per questi motivi, e per rispondere alle critiche mosse dal già citato Rapporto UE del 2014 [35], si è sentita l’esigenza di una razionalizzazione e sistematizzazione della materia. Così, dopo un lungo e acceso dibattito parlamentare, finalmente è stata emanata la nuova legge 179/2017 “Disposizioni per la tutela degli autori di segnalazioni di reati o irregolarità di cui siano venuti a conoscenza nell’ambito di un rapporto di lavoro pubblico o privato”, che di fatto fornisce maggiori tutele al segnalante rispetto all’embrionale protezione offerta dalla legge 190/2012 (anche se continua a non fornire elementi utili sulle procedure da adottare [36]).
Le novità introdotte dalla legge 179/2017 riguardano principalmente i profili dell’ambito di applicazione e l’efficacia delle tutele, sia in merito alla riservatezza dell’identità del segnalante, sia per quanto riguarda la protezione da misure ritorsive.
3.1. Ambito di applicazione
In primo luogo si segnala l’estensione della nozione stessa di dipendente pubblico, che ricomprende anche il dipendente di un ente pubblico economico [37] e il dipendente di un ente di diritto privato sottoposto a controllo pubblico ai sensi dell’articolo 2359 del c.c. Ma soprattutto viene estesa la tutela anche ai lavoratori e ai collaboratori delle imprese fornitrici di beni o servizi e che realizzano opere in favore dell’amministrazione pubblica, allo scopo di aumentare sempre più la capacità di far emergere (e quindi prevenire e sanzionare) episodi di cattiva amministrazione.
Non vengono, tuttavia, considerate, le segnalazioni provenienti da altri soggetti, inclusi i rappresentanti di organizzazioni sindacali. E non vengono nemmeno tutelati stagisti e tirocinanti [38], che invece rientrano nella previsione normativa della Direttiva 2019/1937 [39]. La direttiva in realtà ha un ambito decisamente più ampio, applicandosi direttamente, come afferma l’art. 4, a tutte le “persone segnalanti che lavorano nel settore privato o pubblico che hanno acquisito informazioni sulle violazioni in un contesto lavorativo”, specificando ai commi successivi, che rientrano nella tutela anche i lavoratori autonomi, gli azionisti e i membri dell’organo di amministrazione, direzione o vigilanza di un’impresa, compresi i membri senza incarichi esecutivi, i volontari e i tirocinanti retribuiti e non retribuiti, qualsiasi persona che lavora sotto la supervisione e la direzione di appaltatori, subappaltatori e fornitori. E vengono anche tutelate le persone il cui rapporto di lavoro intanto è terminato o non è ancora iniziato.
Ma la differenza maggiore con la legge italiana, per cui si attende con ansia la legge di attuazione della direttiva, riguarda la tutela dei cosiddetti “facilitatori [40]” nonché dei terzi connessi con le persone segnalanti e che potrebbero rischiare ritorsioni in un contesto lavorativo, quali colleghi o parenti delle persone segnalanti; e i soggetti giuridici di cui le persone segnalanti sono proprietarie, per cui lavorano o a cui sono altrimenti connesse in un contesto lavorativo, ambito soggettivo per il momento non contemplato dalla normativa italiana.
Inoltre, l’art. 2 della normativa introduce anche una tutela specifica del lavoratore dipendente da un privato datore di lavoro che segnali illeciti, andando a incidere sul d.lgs. n. 231/2001, che disciplina la responsabilità amministrativa e penale per le persone giuridiche.
Si è modificato l’impianto della legge 190/2012 anche in merito ai destinatari della segnalazione: il dipendente non segnala più l’illecito al superiore gerarchico, bensì al RPCT, vista anche l’importanza del suo ruolo in un’effettiva strategia di contrasto alla corruzione, o in alternativa all’ANAC [41]. Occorre però rilevare in tal punto un’incongruenza con il Codice di comportamento, che agli artt. 8 e 13(8) ancora prevede che le segnalazioni debbano essere effettuate al superiore gerarchico. Se da una parte si auspica un coordinamento tra i due testi, è anche vero che la legge 79/2017 prevale sul regolamento recante il Codice di Comportamento [42].
Per quanto riguarda invece l’ambito oggettivo di applicazione, la protezione si applica a due categorie di segnalazioni: la segnalazione di condotte illecite (di cui il dipendente sia venuto a conoscenza in ragione del suo rapporto di lavoro); e la comunicazione all’ANAC di misure ritorsive o discriminatorie adottate dall’amministrazione a seguito e a causa della segnalazione.
Sul primo punto, va però specificato che la tutela non si applica a tutte le possibili segnalazioni di condotte illecite di cui il lavoratore è venuto a conoscenza in ragione del proprio rapporto di lavoro, ma soltanto a quelle effettuate nell’interesse dell’integrità della pubblica amministrazione [43]. Lo scopo di tale norma è valorizzare il più possibile l’etica e la legalità nelle amministrazioni, e la valutazione della sussistenza di tale interesse spetta al RPCT o all’ANAC, caso per caso, a seconda di chi sia il destinatario della segnalazione. Nel caso in cui l’intesse personale del dipendente che segnala l’illecito dovesse coincidere con quello dell’integrità dell’amministrazione, come specifica lo Schema di linee guida dell’ANAC, non si può escludere la tutela del segnalante, purché questi palesi ab initio il suo interesse personale.
In sostanza [44], il dipendente pubblico con le proprie segnalazioni può richiamare l’attenzione delle autorità (interne all’ente di propria appartenenza, ma anche esterne) su condotte di illegalità, non necessariamente riconducibili nell’ambito della corruzione esclusivamente penalistica, ma intesa invece come comprensiva dei comportamenti di maladministration, allo scopo di riportare le procedure amministrative e i comportamenti dei dipendenti pubblici sui binari della legalità.
L’assenza di una lista tassativa di reati o irregolarità oggetto del whistleblowing, e l’utilizzo da parte del legislatore di termini diversi (condotte illecite, reati o irregolarità, illeciti) fa sì che vengano considerate rilevanti tutte le segnalazioni che riguardano non solo l’intera gamma dei delitti contro la PA di cui al Titolo II, Capo I del Codice penale, ma anche tutti i comportamenti, rischi, reati o irregolarità, consumati o tentati, a danno dell’interesse pubblico [45].
Su questo punto si nota una convergenza con il testo della Direttiva, nella parte in cui espressamente sancisce che è il pregiudizio al pubblico interesse a rilevare [46]. La Direttiva tuttavia va addirittura oltre, nel tutelare non solo le segnalazioni di violazioni già commesse, ma anche di violazioni che non sono ancora state commesse ma che molto verosimilmente potrebbero esserlo in futuro [47].
L’istituto mira quindi a sancire una stretta collaborazione e cooperazione tra amministrazione e dipendenti, i quali sono in grado di rilevare se ci siano comportamenti, nell’ente di appartenenza, ascrivibili latu sensu al fenomeno corruttivo.
Si tratta quindi di un comportamento etico e virtuoso, di una manifestazione di senso civico attraverso cui il whistleblower contribuisce all’emersione e alla prevenzione di rischi e situazioni pregiudizievoli per l’amministrazione di appartenenza e, di riflesso, per l’interesse pubblico collettivo.
Infine, considerando lo spirito della normativa, cioè “incentivare la collaborazione di chi lavora all’interno delle pubbliche amministrazioni al fine di far emergere possibili fenomeni corruttivi”, non è necessario che il dipendente sia certo dell’effettivo accadimento dei fatti denunciati ma solo che ne sia ragionevolmente convinto [48]”. È evidente però che se la segnalazione consapevolmente mendace (il cosiddetto malicious report) espone il segnalante alla responsabilità per calunnia e diffamazione, i motivi reconditi che hanno spinto il dipendente a segnalare sono irrilevanti, come previsto sia dal Considerando 32 della direttiva, sia dalle Linee guida ANAC [49].
3.2. Tutele per il whistleblower: riservatezza e protezione contro ritorsioni e discriminazioni
Per quanto riguarda la tutela dell’identità del segnalante, la nuova legge 179/2017 offre una protezione aumentata rispetto all’impianto originario previsto dalla legge 190/2012. Infatti, la legge 190/2012 prevedeva che, nell’ambito dell’eventuale procedimento disciplinare avviato nei confronti del soggetto segnalato, l’identità del segnalante non potesse essere rivelata senza il suo consenso, a meno che la contestazione fosse fondata, in tutto o in parte, sulla segnalazione: in questa eventualità, l’identità poteva essere rivelata solo, qualora la sua conoscenza fosse assolutamente indispensabile per la difesa dell’incolpato.
La nuova legge 179/2017, pertanto, da una parte aggiunge un obbligo specifico di non divulgazione dell’identità del segnalante qualora la contestazione disciplinare a carico del segnalato sia fondata su accertamenti distinti e ulteriori rispetto alla segnalazione, anche se conseguenti alla stessa.
Ma dall’altra dispone che, qualora la contestazione sia fondata, in tutto o in parte, sulla segnalazione e la conoscenza dell’identità del segnalante sia indispensabile per la difesa dell’incolpato, la segnalazione è utilizzabile ai fini del procedimento disciplinare solo in presenza di consenso del segnalante alla rivelazione della sua identità. Quindi se il segnalante non acconsente a rilevare la propria identità, l’ente non potrà procedere con il procedimento disciplinare.
Diverso è il caso dell’ambito del procedimento penale: il legislatore ha stabilito all’art. 1(3) della legge 179/2017 che “nell’ambito del procedimento penale, l’identità del segnalante è coperta dal segreto nei modi e nei limiti previsti dall’articolo 329 del Codice di procedura penale” cioè fino a quando l’imputato non ne possa avere conoscenza, e comunque fino alla chiusura della fase delle indagini preliminari [50].
Va poi ricordato che la segnalazione è sottratta alla misura dell’accesso agli atti previsto dalla legge 241/1990.
È infine opportuno sottolineare che la legge vuole certamente proteggere l’identità del segnalante, ma deve comunque garantire la sua identificabilità. Di conseguenza, anche sottolineando la totale assenza nell’istituto del whistleblowing di alcuna connotazione negativa di segretezza e anonimato legati a slealtà o al tradimento di un patto di fiducia, la segnalazione non può e non deve essere anonima. Le segnalazioni anonime non sono quindi ricomprese nell’ambito applicativo dell’art. 54 bis, e la loro considerazione è rimessa alla scelta della singola amministrazione [51]. D’altronde anche la direttiva 2019/1937 rinvia agli Stati membri la valutazione sul valore della segnalazione anonima.
Il fatto che però ci si debba ancora interrogare sull’accettabilità o meno di una segnalazione anonima, se da una parte è sintomo dell’opacità delle amministrazioni, e di un fallimento sotto il profilo etico della diffusione dell’istituto del whistleblowing, dall’altra, in un’ottica di una sorta di realpolitik giuridica, va anche considerato che le segnalazioni anonime, purtroppo, “sono tuttavia la risposta all’esistenza di canali di segnalazioni non sicuri e a trattamenti discriminatori conseguenti alla segnalazione [52]”.
Un’altra modifica fondamentale della legge 179/17 rispetto alla legge 190/2012 riguarda la tutela contro le misure ritorsive: l’eventuale adozione di misure discriminatorie o ritorsive oggi, infatti, non va più denunciata al Dipartimento della funzione pubblica, bensì all’ANAC che dispone di maggiori poteri sia di intervento, sia sanzionatori. Inoltre, non spetta al dipendente dimostrare il nesso causale tra segnalazione e misura ritorsiva o discriminatoria, ma l’onere della prova grava sull’amministrazione che deve dimostrare che la misura non ha niente a che vedere con la segnalazione [53].
In concreto, la tutela offerta dalla legge 179/2017 si manifesta nel fatto che sono nulli tutti “gli atti discriminatori o ritorsivi” eventualmente adottati, e il segnalante è “reintegrato nel posto di lavoro” in caso di licenziamento “a motivo della segnalazione” (con previsione di risarcimento pieno del danno che non prevede il tetto massimo delle 24 mensilità in quanto si applica in questo caso l’art. 2, d.lgs. n. 23 del 2015).
È opportuno ricordare che tra gli atti ritorsivi vanno ricompresi oltre al licenziamento e alle sanzioni disciplinari, anche il demansionamento e il trasferimento, e ogni altra misura organizzativa avente effetti negativi, diretti o indiretti sulle condizioni di lavoro, purché determinata dalla segnalazione [54].
La tutela è poi rafforzata dalla presenza di sanzioni amministrative (di diversa entità a seconda della irregolarità riscontrata) che l’ANAC [55] può imporre all’Amministrazione, qualora venga accertata l’adozione di misure discriminatorie nei confronti del lavoratore che ha segnalato un illecito [56] o qualora dovesse essere accertata l’assenza di procedure per l’inoltro e la gestione delle segnalazioni, o il mancato svolgimento da parte del responsabile di attività di verifica e analisi delle segnalazioni ricevute.
Una volta effettuata la segnalazione, infatti, questa sarà esaminata per decidere se avviare o meno un’istruttoria. In caso affermativo, potrebbero essere chieste integrazioni documentali, eventuali colloqui con il whistleblower, o con altri uffici dell’amministrazione, nonché acquisizione di informazioni da soggetti esterni. Tutto questo, entro dei precisi termini di avvio e conclusione della trattazione della segnalazione, porterà a una definizione della problematica, con eventuale trasmissione all’interno dell’Amministrazione (ad esempio Ufficio provvedimenti disciplinari), o all’esterno (ANAC, Corte dei conti, Procura della Repubblica).
Su questo punto la Direttiva è sicuramente più specifica, prevedendo anche dei tempi ragionevoli per il riscontro e seguito della segnalazione [57], e inoltre introduce un terzo canale di segnalazione (oltre quello interno ed esterno) non ancora contemplato dal diritto italiano, cioè la divulgazione pubblica [58], per cui qualora sussistano certe condizioni [59], il whistleblower può segnalare direttamente alla stampa o ai media.
Conclusioni
Alla luce di quanto descritto finora, risulta evidente che, tra le misure obbligatorie introdotte dalla legge 190/2012 in tema di prevenzione della corruzione, sicuramente il whistleblowing presenta numerose criticità circa la sua concreta applicazione, per problemi sia organizzativi, sia culturali, vista la resistenza a considerare l’istituto come una manifestazione di etica e senso civico e non un incentivo alla delazione.
Ma al di là del problema culturale, si ravvisano ancora delle difficoltà operative a inquadrare correttamente l’istituto, sia per quanto riguarda le procedure, sia l’effettività della tutela. A peggiorare la situazione si aggiunge la distanza tra la legislazione italiana e la direttiva comunitaria su alcuni punti, e nell’attesa della legge di trasposizione della direttiva rimangono aperte ancora diverse questioni.
In particolare, si segnala in generale un maggiore livello di tutela previsto dalla Direttiva (si pensi ad esempio all’ambito di applicazione soggettivo più ampio, o all’inclusione della protezione anche a chi segnala violazioni non ancora commesse ma che molto verosimilmente potrebbero esserlo [60]) rispetto alla normativa italiana. Forse la differenza più sostanziale nell’efficacia della tutela è rappresentata dalla previsione, nella Direttiva, di una serie di misure di sostegno che comportano un impegno finanziario non previsto dalla normativa italiana che dispone come di consueto la clausola di invarianza finanziaria. Invece, ai sensi dell’art. 20 della Direttiva 2019/1937, il whistleblower, oltre ad avere accesso gratuito a informazioni e consulenze esaustive e indipendenti sulle procedure e i mezzi di ricorso disponibili, all’assistenza legale e patrocinio a spese dello Stato, ha diritto anche a un sostegno, finanziario e psicologico nell’ambito dei procedimenti giudiziari.
Tutto ciò non fa che ribadire la necessità di un recepimento corretto e in tempi rapidi della Direttiva anche alla luce del particolare momento: non è troppo pessimista temere che nella gestione degli ingenti fondi previsti dal PNRR potrebbero esserci infiltrazioni criminali e di natura corruttiva, a maggiore ragione l’utilizzo corretto dell’istituto della protezione del whistleblower come strumento preventivo può contribuire alla riduzione di questo rischio.
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[1] “Disposizioni per la tutela degli autori di segnalazioni di reati o irregolarità di cui siano venuti a conoscenza nell’ambito di un rapporto di lavoro pubblico o privato”. Normativa che andava a integrare e ampliare la prima embrionale tutela del whistleblower contenuta nella legge 190/2012, all’art. 1(51).
[2]La prima normativa in materia è un testo statunitense del 1863, il False Claims Act, poi riformato diverse volte fino a prevedere anche una ricompensa a chi segnala, perché con la sua denuncia fa risparmiare soldi allo Stato. Questa componente premiale (decisamente controversa, visto che sposta l’accento dall’elemento virtuoso civico a una contropartita economica) viene quantificata in una percentuale, tra il 15 e il 30%, sul denaro che lo Stato ha risparmiato o recuperato.
[3]Ad esempio: la Convenzione OCSE contro la corruzione internazionale del 1997, la Convenzione dell’ONU contro la corruzione del 2003, e anche la Convenzione civile sulla corruzione emanata dal Consiglio d’Europa nel 1999. Tutti questi testi, che l’Italia ha firmato e poi ratificato, richiedono agli Stati aderenti di prevedere meccanismi di tutela per i dipendenti che segnalano fatti di corruzione. La Convenzione dell’ONU va addirittura oltre, non limitando la tutela al dipendente” ma estendendola in generale a “tutte le persone”. Si veda sul punto: R. Cantone, Il sistema della prevenzione della corruzione, 2020, p. 3 ss.; N. Parisi, Il contrasto alla corruzione e la lezione derivata dal diritto internazionale: non solo repressione, ma soprattutto prevenzione, in Dir. com. sc. int., 2016, p. 191 ss.
[4] https://accademiadellacrusca.it/it/consulenza/che-cosa-indica-e-come-si-traduce-la-parola-inglese-whistleblower/918.
[5]M. Heidegger, In cammino verso il linguaggio, Milano, 1959, citando a sua volta una poesia di Stefan George, Das Wort, 1919.
[6] Cfr. ad esempio M. P. Miceli, J.P. Near, The Organizational and Legal Implications for Companies and Employees, New York, 1992; Hayden Ramsay, Beyond Virtue: Integrity and Morality, London, , 1997; E. Ceva, M. Bocchiola, Is Whistleblowing a Duty?, Cambridge 2019; W. De Maria, Whistleblowers and Organizational Protesters, in Current Sociology, vol. 56, n. 6, pp. 865-883; J. Dungan, A. Waytz, L. Young, The psychology of whistleblowing, in Current opinion in Psychology, vol. 6, 2016, pp. 129-133.
[7]Questa è la definizione contenuta nel vocabolario Treccani (www.treccani.it/vocabolario/delatore/).
[8] “Chiunque, con denuncia, querela, richiesta o istanza, anche se anonima o sotto falso nome, diretta all’Autorità Giudiziaria o ad altra Autorità che a quella abbia obbligo di riferirne, afferma falsamente essere avvenuto un reato, ovvero simula le tracce di un reato, in modo che si possa iniziare un procedimento penale per accertarlo, è punito con la reclusione da uno a tre anni”.
[9]Come specificano le Linee guida ANAC: “non è necessario che il dipendente sia certo dell’effettivo accadimento dei fatti denunciati e/o dell’identità dell’autore degli stessi ma solo che ne sia ragionevolmente convinto”. (Schema di Linee guida in materia di tutela degli autori di segnalazioni di reati o irregolarità di cui siano venuti a conoscenza in ragione di un rapporto di lavoro, ai sensi dell’art. 54-bis, del d.lgs. 165/2001 (c.d. whistleblowing), Delibera n. 469 del 9 giugno 2021).
[10] Cfr. ad esempio M. Magri, che negando il carattere preventivo dell’istituto, ritiene che “l’incoraggiamento della delazione implica la consapevolezza, da parte del legislatore, della ineluttabilità di un ambiente lavorativo disfunzionale, del quale si dà già per presupposta la compromissione sistemica e che viene riorganizzato affinché gli illeciti siano scoperti “a tradimento”, prima di uniformare stabilmente gli uffici auna cultura dell’integrità”. M. Magri, Il whistleblowing nella prospettiva di una disciplina europea armonizzata: la legge 179/2017 sarà a breve da riscrivere?, in Federalismi.it, 2 ottobre 2019, p. 4.
[11] Sul punto cfr. N. Parisi, La funzione del whistleblowing nel diritto internazionale ed europeo, in A. Della Bella e S. Zorzetto (a cura di), Whistleblowing e prevenzione dell’illegalità, Atti del I convegno annuale del Dipartimento di Scienze Giuridiche “Cesare Beccaria” Milano, 18-19 novembre 2019, 2020, p. 3.
[12] Come d’altronde è ormai superata la nozione puramente penalistica del concetto di corruzione, che oggi è stato esteso fino a coincidere con “un cattivo funzionamento dell’amministrazione”, la cosiddetta maladministration. Cfr. S. Cassese, Maladministration e rimedi, in “Il Foro Italiano”, vol. 115, parte quinta, 1992, pp. 243-250, per cui la maladministration indica “quel complesso fenomeno di disfunzioni che va dalle resistenze al cambiamento al formalismo, all’indifferenza all’efficienza, all’ostilità verso la tecnologia, all’overstaffing, al nepotismo, alla corruzione”.
[13] D.R. Cressey, Other People’s Money: A Study in the Social Psychology of Embezzlement, Glencoe, 1953.
[14] Vedi ad esempio Cassazione penale febbraio 2018 n. 9047, che espressamente riconosce “il ruolo ausiliario dei whistleblowers nella lotta alla corruzione”.
[15]Cfr. N. Parisi, cit., p. 17: “In questa prospettiva l’istituto del whistleblowing è considerato un tassello importante, in quanto strumento di rafforzamento dei sistemi democratici, che consente di valorizzare la loro accountability verso i governati, riconoscendo loro il godimento e l’esercizio di alcuni fondamentali diritti della persona, in particolare del diritto alla libertà di coscienza, di pensiero, nonché di espressione e del diritto all’informazione, che di quest’ultima libertà è considerata una declinazione”.
[16]Cfr. Wim Vandekerckhove, Freedom of expression as the “broken promise” of whistleblower protection, in La Revue des droits de l’homme, 10, 2016; cfr. L. Valli, Whistleblowing, verità e democrazia: una riflessione, in Rivista semestrale di diritto, 1, 2019, pp. 49-61. Vedi anche N. Parisi, La prevenzione della corruzione nel modello internazionale ed europeo, in Federalismi.it, 8 maggio 2019, p. 20.
[17]Art. 19.
[18]Art. 10.
[19]CM/Rec (2014)7, art. 1.
[20] Sul diritto del whistleblower di “parlare senza paura”, cfr. M. Di Rienzo, La parresia del whistleblower. Il coraggio della verità e le convergenze pericolose, in “Azienditalia”, 10, 2021, pp. 1739-1749.
[21] A. Mansbac, Whistleblowing as Fearless Speech: The Radical Democratic Effects of Late Modern Parrhesia, in Whistleblowing and Democratic Values, 2011, p. 22.
[22]Cfr. Memorandum Esplicativo della Raccomandazione del Consiglio d’Europa CM/Rec (2014)7, art.41, 30 aprile 2014.
[23] Sentenza 12 febbraio 2008 ric. n. 14277/04: un funzionario aveva consegnato alla stampa due lettere di politici che esercitavano indebite pressioni sui giudici e di conseguenza era stato licenziato.
[24]Similmente cfr. anche Voskuil c. Paesi Bassi del 22 novembre 2007, ric. N. 64752/01, sulla tutela della confidenzialità delle fonti in ambito giornalistico, orientamento confermato con la più recente Jecker c. Svizzera (ricorso n. 35449/14), del 6 ottobre 2020, dove l’articolo 10 CEDU che assicura la libertà di espressione, compresa, quindi, la libertà di stampa, viene applicato a tutela della segretezza delle fonti, che svelano notizie al giornalista con garanzia dell’anonimato.
[25] Considerando 1.
[26] Considerando 2.
[27]Il fatto che sia solo uno “schema” dimostra come l’ANAC abbia rinunciato ad adottare Linee Guida proprio perché in attesa della legge di adeguamento alla Direttiva 2019/1937, ma chiaramente ciò crea dei problemi interpretativi anche rilevanti.
[28] Delibera n. 469 del 9 giugno 2021.
[29]N. Parisi, op. cit., p. 35.
[30]Parere 00111/2020, 4 marzo 2020.
[31]Art. 4.3.TUE: Gli Stati membri adottano ogni misura di carattere generale o particolare atta ad assicurare l’esecuzione degli obblighi derivanti dai trattati o conseguenti agli atti delle istituzioni dell’Unione. Gli Stati membri facilitano all’Unione l’adempimento dei suoi compiti e si astengono da qualsiasi misura che rischi di mettere in pericolo la realizzazione degli obiettivi dell’Unione.
[32]È evidente che gli articoli artt. 361 e 362 del Codice penale riguardanti l’omessa denuncia di reato da parte del pubblico ufficiale e dell’incaricato di pubblico servizio hanno un ambito soggettivo e oggettivo decisamente più limitato. Anche la disciplina in tema di protezione dei testimoni di giustizia non è sovrapponibile: se il whistleblower rischia ritorsioni nella sua vita professionale, il testimone di giustizia rischia la sua incolumità personale. Dal settore privato si poteva forse estrapolare l’obbligo di segnalazione che la legge 231/2001 impone a tutti i destinatari del modello organizzativo, ma anche in questo caso si tratta di un ambito soggettivo decisamente limitato. Non va trascurato tuttavia il ruolo dell’art. 46 della Costituzione, che riconoscendo il diritto dei lavoratori a collaborare, nei modi e nei limiti stabiliti dalle leggi, alla gestione delle aziende, implicitamente riconosce anche il diritto (dovere?) dei dipendenti a segnalare eventuali irregolarità. Sul punto cfr. S.M. Corso, Segnalazioni di illeciti e organizzazioni di lavoro, Torino, 2020, p. 81.
[33]“Un indiscutibile passo in avanti” secondo R. Cantone, Il dipendente pubblico che segnala illeciti. Un primo bilancio sulla riforma del 2017, in Sistema Penale, 2020, p. 5; vedi anche G. Gargano, La cultura del whistleblower quale strumento di emersione dei profili decisionali della pubblica amministrazione, in Federalismi.it, 1, 2016, per cui la legge 190/2012 “ha aperto uno spiraglio”, p. 39.
[34]Si veda in primo luogo la Relazione dell’Unione sulla Lotta alla Corruzione, COM(2014)38. In dottrina: cfr. R. Cantone, Il sistema della prevenzione della corruzione, Giappichelli, 2020, 282, R. Cantone, Il dipendente pubblico che segnala illeciti. Un primo bilancio sulla riforma del 2017, in Sistema Penale, 2020, p. 6, che parla di “debolezze”. Vedi anche E. Dolcini, La legge 190/2012: contesto, linee di intervento, spunti critici, in Diritto Penale Contemporaneo, 3, 2013, pp. 1-21; G. Massari, Il whistleblowing all’italiana: l’evoluzione del modello sino alla legge n. 179 del 2017, in Studium Iuris, 9, 2018, pp. 981-992. Si veda anche G.M. Flick, Dalla repressione alla prevenzione o viceversa? Dalle parole ai fatti per non convivere con la corruzione, in Cass. Pen., 9, 2014, pp.2754 ss., che definisce la legge 190/12 come “una svolta rispetto all’immobilismo e all’indifferenza precedenti”, ma allo stesso tempo definisce le innovazioni come “lacunose e insufficienti”.
[35] Relazione dell’Unione sulla lotta alla corruzione, COM(2014) 38.
[36] Cosa più esplicita invece nella direttiva 1937/2019, che descrive nel dettaglio le procedure per la segnalazione interna, esterna o la divulgazione pubblica, vedi infra.
[37] Ricomprendendo in questa fattispecie anche chi, prima, non poteva essere tutelato, si pensi ad esempio al caso di Andrea Franzoso, uno dei più noti whistleblower italiani, che ha raccontato la sua vicenda nel libro Il disobbediente. Trovare il coraggio di denunciare quando tutti vogliono il silenzio, Milano, 2021.
[38] Sui quali il Consiglio di Stato nel già citato parere si era espresso in senso negativo: “è poi da dubitare che l’estensione a stagisti e tirocinanti dell’ambito di applicazione delle linee guida sia compatibile con la figura del dipendente pubblico delineata dall’art. 54-bis, comma 2, del d.lgs. n. 165/2001”.
[39] Si immagina quindi che in questo ambito occorrerà a breve una revisione della normativa attuale.
[40] Come spiega l’art. 5(8), “il facilitatore è una persona fisica che assiste una persona segnalante nel processo di segnalazione in un contesto lavorativo e la cui assistenza deve essere riservata”.
[41] Occorre quindi sottolineare come ai sensi dell’art. 1(1) legge 179/2017, la segnalazione è diretta esclusivamente a RPCT o ANAC, mentre la “Denuncia”, all’autorità giudiziaria ordinaria o contabile.
[42] Come sottolineato dal Consiglio di Stato nel parere reso sulle Linee guida, 615/2020. Il RPCT resta quindi il principale destinatario della segnalazione, che però può essere trasmessa anche all’ANAC oltre che all’autorità giudiziaria ordinaria o contabile, mentre la comunicazione di eventuali misure ritorsive deve essere trasmessa esclusivamente all’ANAC
[43] Come specificato dalla Determinazione n. 6 del 28 aprile 2015 “Linee guida in materia di tutela del dipendente pubblico che segnala illeciti (c.d. whistleblower)”, non sono meritevoli di tutela le segnalazioni fondate su meri sospetti o voci: ciò in quanto è necessario sia tenere conto dell’interesse dei terzi oggetto delle informazioni riportate nella segnalazione, sia evitare che l’amministrazione o l’ente svolga attività ispettive interne che rischiano di essere poco utili e comunque dispendiose. In ogni caso, considerato lo spirito della norma – che è quello di incentivare la collaborazione di chi lavora all’interno delle pubbliche amministrazioni per l’emersione dei fenomeni corruttivi – ad avviso dell’Autorità non è necessario che il dipendente sia certo dell’effettivo avvenimento dei fatti denunciati e dell’autore degli stessi, essendo invece sufficiente che il dipendente, in base alle proprie conoscenze, ritenga altamente probabile che si sia verificato un fatto illecito nel senso sopra indicato.
[44] Come specificato dal rapporto ANAC 2017, “Prevenzione della corruzione – segnalazione di illeciti e tutela del dipendente pubblico: presentazione del secondo monitoraggio nazionale sull’applicazione del whistleblowing”.
[45] A titolo meramente esemplificativo, il rapporto ANAC 2017 cita casi di sprechi, nepotismo, demansionamenti, ripetuto mancato rispetto dei tempi procedimentali, assunzioni non trasparenti, irregolarità contabili, false dichiarazioni, violazione delle norme ambientali e di sicurezza sul lavoro. Ovviamente non possono essere oggetto di segnalazione eventuali accertamenti di un diritto denegato al segnalante (per questo esiste il giudice o l’Ispettorato per la Funzione Pubblica presso il Dipartimento della Funzione Pubblica) e nemmeno doglianze di carattere personale del segnalante o
rivendicazioni/istanze che rientrano nella disciplina del rapporto di lavoro o rapporti col superiore gerarchico o colleghi: come specificato dal rapporto ANAC 2017, infatti, un whistleblower è tale quando si fa carico di un interesse pubblico, collettivo, e non del proprio, individuale.
[46] Considerando 3, 5, 42, 84, 108.
[47] Considerando 43. Anche su questo punto il Consiglio di Stato si era espresso negativamente (in contrasto con la posizione dell’ANAC che avrebbe voluto seguire un’interpretazione più ampia e conforme alla direttiva comunitaria), sostenendo che: “Ad avviso della Sezione, il riferimento alle mere “attività prodromiche” e a quelle che costituiscono un “ambiente favorevole” risulta pertanto non facilmente riconducibile al più netto dettato legislativo.”
[48] Linee guida 2021, p. 13. Vedi anche la Direttiva al considerando 32: “Per beneficiare della protezione della presente direttiva, le persone segnalanti dovrebbero avere ragionevoli motivi, alla luce delle circostanze e delle informazioni di cui dispongono al momento della segnalazione, che i fatti che segnalano sono veri. Tale requisito è una garanzia essenziale contro le segnalazioni dolose e futili o infondate, in modo da garantire che le persone che, al momento della segnalazione, hanno fornito deliberatamente e scientemente informazioni errate o fuorvianti, siano escluse dalla protezione. Al tempo stesso, tale requisito assicura che la persona segnalante continui a beneficiare della protezione laddove abbia effettuato una segnalazione imprecisa in buona fede”.
[49] “Posta la sussistenza dell’interesse generale all’integrità della pubblica amministrazione alla base della segnalazione, gli ulteriori motivi, anche personali, che hanno indotto il whistleblower a effettuare la segnalazione, sono da considerarsi irrilevanti al fine di decidere sul riconoscimento delle tutele previste dall’art. 54-bis. Tale riconoscimento, infatti, è connesso alla valutazione oggettiva dei fatti segnalati che sveli l’interesse pubblico sotteso alla segnalazione, a prescindere dai concorrenti ed eventuali interessi personali del whistleblower”. Schema di Linee Guida, p. 14.
[50] Invece, “nell’ambito del procedimento dinanzi alla Corte dei conti, l’identità del segnalante non può essere rivelata fino alla chiusura della fase istruttoria”. Dopo, potrà essere svelata dall’autorità contabile, per essere utilizzata nel procedimento.
[51] È evidente che se la segnalazione è anonima non solo non si è in grado di accertare lo status di dipendente pubblico, ma soprattutto non c’è alcun whistleblower da tutelare. È opportuno ricordare che nel sistema informatico di inoltro e gestione delle segnalazioni predisposto dall’ANAC è possibile trasformare una segnalazione inizialmente anonima in una vera segnalazione ai sensi della tutela del whistleblower dato che le segnalazioni, inviate in forma anonima in prima istanza, potranno essere successivamente integrate con le generalità del segnalante ai fini di acquisire l’eventuale tutela legale. (https://servizi.anticorruzione.it/segnalazioni/).
[52] N. Parisi, op. cit., p. 11. L. Valli, Segnalazioni di illeciti e anonimato: una decisione del Tribunal Supremo di Spagna, in Jusinitinere, 16 marzo 2020.
[53] Sul punto cfr. M. Peruzzi, La prova del licenziamento ritorsivo nella legge 179/17 sul whistleblowing, in Lavoro e diritto, 4, 1, 2020, pp. 33-50.
[54] Come specificano le Linee guida, 2021, la misura ritorsiva non si configura solo in un atto o provvedimento, ma anche in comportamenti od omissioni “posti in essere dall’amministrazione nei confronti del dipendente/segnalante, volti a limitare e/o comprimere l’esercizio delle funzioni proprie del lavoratore in guisa tale da disvelare un intento vessatorio o comunque da peggiorare la situazione lavorativa” (p. 20). Anche su questo punto la Direttiva 2019/1937 va oltre e in termini più precisi, elencando tutta una serie di comportamenti che possono costituire “misura ritorsiva”, come ad esempio (oltre a quelli già previsti dalla normativa italiana) la mancata promozione, sospensione della formazione, referenze negative, note di biasimo, mancata conversione di un contratto di lavoro a termine in un contratto di lavoro permanente, laddove il lavoratore avesse legittime aspettative di vedersi offrire un impiego permanente; annullamento di una licenza o di un permesso; sottoposizione ad accertamenti psichiatrici o medici.
[55] Cfr. “Regolamento ANAC per la gestione delle segnalazioni e tutela degli autori di segnalazioni di illeciti o irregolarità di cui siano venuti a conoscenza nell’ambito di un rapporto di lavoro”, in vigore dal 3 settembre 2020 e l’art. 1(6) legge 179/2017.
[56] Con delibera 782/2019 l’ANAC ha irrogato la prima sanzione pecuniaria contro il firmatario di provvedimenti ritorsivi adottati nei confronti di un dipendente che aveva segnalato illeciti nella sua amministrazione. Si tratta di un dirigente che aveva segnalato i componenti dell’UPD per abuso d’ufficio e omissione d’atti d’ufficio, ma a seguito della segnalazione era stato sospeso dal servizio con privazione della retribuzione. L’ANAC ha ritenuto il provvedimento, irrogando quindi una sanzione pecuniaria di 5000 euro.
[57] Artt. 9 e 11 Direttiva 2019/1937.
[58] Art. 15 Direttiva 2019/1937.
[59]Il segnalante deve aver già segnalato internamente ed esternamente, o direttamente esternamente conformemente alle disposizioni della direttiva, ma non è stata intrapresa un’azione appropriata in risposta alla segnalazione entro il termine previsto, oppure ha fondati motivi di ritenere che la violazione possa costituire un pericolo imminente o palese per il pubblico interesse. Oppure, in caso di segnalazione esterna, sussiste il rischio di ritorsioni o le prospettive che la violazione sia affrontata efficacemente sono scarse.
[60] Considerando 43.
La tutela del whistleblower tra resistenze culturali e criticità legislative
1. Introduzione
Quando nel 2017 fu finalmente promulgata la legge 179 sulla tutela del whistleblower [1], una parte del mondo politico accolse la notizia negativamente, come un provvedimento che avrebbe favorito la delazione. Ancora oggi, nel dibattito pubblico la differenza semantica e concettuale tra i due termini appare purtroppo talvolta poco chiara e ciò dipende essenzialmente da un problema di natura culturale.
Nel nostro ordinamento, infatti, la tutela del whistleblower è una materia decisamente giovane e recente, mutuata dall’esperienza anglosassone [2], e resa di necessaria normazione (per la prima volta con la legge 190/2012) dagli impegni internazionali che l’Italia aveva assunto nel corso degli anni [3].
Ma il fatto stesso che nel dibattito pubblico si faccia ricorso comunemente a un termine straniero (whistleblower, letteralmente colui che soffia nel fischietto), ci fa comprendere quanto questo istituto sia lontano dall’esperienza culturale e giuridica italiana.
Non è un caso che anche la stessa Accademia della Crusca abbia dovuto riconoscere che “nel lessico italiano non esiste una parola semanticamente equivalente al termine angloamericano”, e che “l’assenza di un traducente adeguato è, in effetti, il riflesso linguistico della mancanza, all’interno del contesto socio-culturale italiano, di un riconoscimento stabile della “cosa” a cui la parola fa riferimento [4]”. Senza mezzi termini, si può quindi tranquillamente affermare che nella cultura italiana è proprio il concetto a mancare, perché come scriveva Heidegger: “Nessuna cosa esiste dove la parola manca [5]”.
E se manca il concetto di whistleblower (termine che immediatamente nella percezione anglosassone è considerato come un qualcosa di virtuoso, etico, socialmente utile [6]), si comprende come ancora oggi il whistleblower possa essere considerato un delatore. Ma la differenza sostanziale tra le due figure è evidente: il delatore è “chi per lucro, per vendetta personale, per servilismo verso chi comanda o per altri motivi, denuncia segretamente qualcuno presso un’autorità giudiziaria o politica, soprattutto qualora eserciti abitualmente tale attività [7]”. Il whistleblower, invece, segnala un fatto illecito o un’irregolarità di cui è venuto a conoscenza nella sua attività lavorativa, esclusivamente nell’interesse dell’integrità dell’amministrazione: quindi non per fini personali, ma solo per il corretto perseguimento dell’interesse pubblico, come d’altronde previsto dagli articoli 97 e 98 della Costituzione, pur sapendo che in questo modo sacrificherà il suo benessere individuale e la sua tranquillità.
Va considerato, inoltre, che se il delatore può denunciare fatti che sa non essere veri, incolpando in questo caso una persona innocente, e configurando in tal modo l’ipotesi di reato prevista dal codice penale all’art. 367 [8], il whistleblower segnala fatti che, in base alle proprie conoscenze, ritenga altamente probabile che si siano verificati [9]. Ben si comprende quindi come le due figure si trovino su un piano etico e morale completamente antitetico, sebbene talvolta vengano ancora sovrapposte [10].
2. Il whistleblower: strumento contro la corruzione, o manifestazione della libertà di espressione?
Partendo dalla considerazione che il whistleblower è un utile strumento “anticorruzione”, occorre fare alcune doverose precisazioni.
Va sottolineato che il whistleblowing ricopre già una duplice funzione, dato che la segnalazione può produrre un risultato sia di carattere repressivo, consentendo il ripristino dell’integrità pubblica [11], sia preventivo, permettendo di innalzare la capacità di scoprire eventuali fenomeni di natura corruttiva o irregolarità e illegalità (anche non penalmente rilevanti [12]).
In questo modo la misura della segnalazione incide su due vertici del cosiddetto triangolo della frode [13], in primo luogo sull’organizzazione (evidenziando eventuali falle permette di ridurre per il futuro il rischio che lo stesso evento si presenti nuovamente), ma anche sulla consapevolezza etica del dipendente, dal momento che la legge 190/2012 impone la partecipazione al processo di gestione del rischio di un evento corruttivo a tutti i dipendenti che diventano parte attiva soprattutto segnalando eventuali disfunzioni o irregolarità.
Ma, dando per scontato il legame tra tutela del whistleblower e lotta alla corruzione, come ampiamente affermato a livello internazionale e nazionale, nonché in giurisprudenza [14], e sottolineando la funzione preventiva dell’istituto, occorre ricordare anche un’altra dimensione legata invece al rafforzamento della rule of law [15].
Secondo certa dottrina [16], infatti, la tutela del whistleblower rileva anche come manifestazione del diritto alla libertà di espressione e di informazione, ai sensi della Dichiarazione Universale dei Diritti Umani [17], della Convenzione Internazionale sui Diritti Civili e Politici, della Carta dei Diritti Fondamentali dell’Unione Europea e della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo [18].
Molto esplicito in questa direzione è il Memorandum Esplicativo della Raccomandazione del Consiglio d’Europa del 30 aprile 2014 che sottolinea il legame tra whistleblowing e libertà di espressione:
“Il Consiglio d’Europa riconosce il valore del whistleblowing nello scoraggiare e prevenire la commissione di illeciti e nel rafforzare la responsabilità delle istituzioni democratiche (“democratic responsibility”) e la trasparenza. Il whistleblowing è un aspetto fondamentale della libertà di espressione e della libertà di coscienza ed è importante nella lotta contro la corruzione e la mala amministrazione nel settore pubblico e privato” [19].
Il whistleblower con la sua denuncia si trova inevitabilmente in una posizione di debolezza, visto il timore di ritorsioni. Di conseguenza, tutelare la sua posizione anche come manifestazione della libertà di espressione [20] diventa uno strumento di preservazione (se non addirittura estensione) dei valori democratici, perché se dalla segnalazione seguiranno azioni correttive di vario genere, la collettività ne trarrà beneficio, e di conseguenza “il whistleblowing come discorso senza paura manterrà vitali le democrazie liberali [21]”.
In questo modo il whistleblower va tutelato sotto un duplice profilo: non solo perché esercita un diritto umano inalienabile (quello della libertà di espressione), ma anche perché con la sua denuncia, permette alla collettività di conoscere eventuali truffe o danni alla cosa pubblica, al bene comune. Il whistleblowing diventa quindi un atto di “responsabilità democratica [22]”.
Ben si comprende come a questo spostamento di prospettiva corrisponda un mutamento nell’oggetto della tutela: non più una semplice facoltà, bensì la protezione di un diritto fondamentale della persona.
D’altronde su questo punto la Corte Europea dei Diritti dell’Uomo si era già espressa in modo inequivocabile nella sentenza del 2008 Guja c. Moldavia [23], affermando che l’articolo 10 della CEDU copre anche la diffusione di notizie da parte degli impiegati pubblici, qualora vi sia un forte interesse pubblico a conoscere la vicenda – come nel caso di specie la lotta alla corruzione – e non esistano congrui canali alternativi per denunciare il fatto [24].
La doppia dimensione della tutela del whistleblower, sia come strumento per contrastare (e prevenire) la corruzione, sia come manifestazione della libertà di espressione, trova collocazione normativa all’interno della Direttiva 1937/2019, sulla “Protezione degli individui che segnalano violazioni delle norme comunitarie”.
Nel Preambolo, infatti, è specificato il ruolo cruciale del whistleblower nella lotta alla corruzione nel momento in cui viene riconosciuto che: “Nel segnalare violazioni del diritto unionale che ledono il pubblico interesse, tali persone (gli informatori – whistleblowers) svolgono un ruolo decisivo nella denuncia e nella prevenzione di tali violazioni e nella salvaguardia del benessere della società [25]”. Il whistleblower fornisce con la sua segnalazione “informazioni che portano all’indagine, all’accertamento e al perseguimento dei casi di violazione delle norme dell’Unione, rafforzando in tal modo i principi di trasparenza e responsabilità [26]”.
Ma è al considerando 31 che viene invece esplicitata la dimensione attinente al piano dei diritti umani dal momento che la tutela investe la persona nel diritto di manifestare il suo pensiero, e al tempo stesso di essere informato:
“Coloro che segnalano minacce o pregiudizi al pubblico interesse di cui sono venuti a conoscenza nell’ambito delle loro attività professionali esercitano il diritto alla libertà di espressione. Il diritto alla libertà di espressione e d’informazione, sancito dall’articolo 11 della Carta e dall’articolo 10 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, comprende il diritto di ricevere o di comunicare informazioni nonché la libertà e il pluralismo dei media. Di conseguenza, la presente direttiva si basa sulla giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo (CEDU) relativa al diritto alla libertà di espressione e ai principi elaborati su tale base dal Consiglio d’Europa nella raccomandazione sulla protezione degli informatori adottata dal Comitato dei ministri del Consiglio d’Europa il 30 aprile 2014”.
Sebbene il termine per la trasposizione della Direttiva sia il 17 dicembre 2021, allo stato attuale l’Italia (come in realtà molti altri paesi europei) non ha rispettato la scadenza e non si sa quando riuscirà ad ottemperare all’obbligo comunitario. Nei contenuti però non si possono ignorare le differenze nel livello di tutele e garanzie accordate dal testo comunitario rispetto a quanto disposto dalla normativa domestica, come si vedrà nei paragrafi seguenti.
Va detto però che l’ANAC con il recente “Schema [27] di Linee guida in materia di tutela degli autori di segnalazioni di reati o irregolarità di cui siano venuti a conoscenza in ragione di un rapporto di lavoro, ai sensi dell’art. 54-bis, del d.lgs. 165/2001 (c.d. whistleblowing [28])” ha interpretato la legge italiana in senso più estensivo e più conforme ai contenuti della Direttiva 2019/1937, ponendosi come una sorta di “ponte” fra la legge italiana attuale e quella da adottare in rispetto degli obblighi comunitari [29]. Tuttavia, il Consiglio di Stato nel suo parere sullo Schema di Linee guida [30], ha scelto sotto diversi profili un’interpretazione più restrittiva e più lontana dal modello comunitario (si pensi ad esempio all’ambito di applicazione soggettivo, o all’esclusione delle attività prodromiche previste invece dalla Direttiva), forse in contrasto con l’art. 4.3. TUE che impone agli Stati un principio di leale collaborazione [31].
3. Le novità introdotte dalla legge 179/2017
In Italia, prima della legge 190/2012, mancava ogni riferimento normativo che potesse tutelare eventuali “segnalanti” [32].
La legge Severino prevedendo quindi l’inserimento di un nuovo art. 54bis al d.lgs. 2001/165, ha introdotto di fatto nel nostro ordinamento per la prima volta la tutela del dipendente che segnala illeciti. Una tutela che si esauriva sotto tre profili: tutela della riservatezza del denunciante; divieto di discriminazione nei confronti del whistleblower; sottrazione della segnalazione al diritto di accesso.
Tuttavia, nonostante l’indubbio impatto soprattutto di ordine culturale [33] di tale intervento legislativo, l’efficacia dell’istituto appariva limitata sotto diversi punti di vista [34].
In primo luogo, si criticava l’ambito di applicazione troppo ristretto (tutelando solo dipendenti pubblici, erano quindi esclusi, ad esempio, i dipendenti di società pubbliche). La legge 190/2012 inoltre era ritenuta inadeguata nella tutela contro atti discriminatori (il Dipartimento della funzione pubblica non aveva reali poteri di intervento, e quindi occorreva rivolgersi al giudice del lavoro, con esito incerto e alte spese processuali), e parzialmente anche nella tutela della riservatezza.
Per questi motivi, e per rispondere alle critiche mosse dal già citato Rapporto UE del 2014 [35], si è sentita l’esigenza di una razionalizzazione e sistematizzazione della materia. Così, dopo un lungo e acceso dibattito parlamentare, finalmente è stata emanata la nuova legge 179/2017 “Disposizioni per la tutela degli autori di segnalazioni di reati o irregolarità di cui siano venuti a conoscenza nell’ambito di un rapporto di lavoro pubblico o privato”, che di fatto fornisce maggiori tutele al segnalante rispetto all’embrionale protezione offerta dalla legge 190/2012 (anche se continua a non fornire elementi utili sulle procedure da adottare [36]).
Le novità introdotte dalla legge 179/2017 riguardano principalmente i profili dell’ambito di applicazione e l’efficacia delle tutele, sia in merito alla riservatezza dell’identità del segnalante, sia per quanto riguarda la protezione da misure ritorsive.
3.1. Ambito di applicazione
In primo luogo si segnala l’estensione della nozione stessa di dipendente pubblico, che ricomprende anche il dipendente di un ente pubblico economico [37] e il dipendente di un ente di diritto privato sottoposto a controllo pubblico ai sensi dell’articolo 2359 del c.c. Ma soprattutto viene estesa la tutela anche ai lavoratori e ai collaboratori delle imprese fornitrici di beni o servizi e che realizzano opere in favore dell’amministrazione pubblica, allo scopo di aumentare sempre più la capacità di far emergere (e quindi prevenire e sanzionare) episodi di cattiva amministrazione.
Non vengono, tuttavia, considerate, le segnalazioni provenienti da altri soggetti, inclusi i rappresentanti di organizzazioni sindacali. E non vengono nemmeno tutelati stagisti e tirocinanti [38], che invece rientrano nella previsione normativa della Direttiva 2019/1937 [39]. La direttiva in realtà ha un ambito decisamente più ampio, applicandosi direttamente, come afferma l’art. 4, a tutte le “persone segnalanti che lavorano nel settore privato o pubblico che hanno acquisito informazioni sulle violazioni in un contesto lavorativo”, specificando ai commi successivi, che rientrano nella tutela anche i lavoratori autonomi, gli azionisti e i membri dell’organo di amministrazione, direzione o vigilanza di un’impresa, compresi i membri senza incarichi esecutivi, i volontari e i tirocinanti retribuiti e non retribuiti, qualsiasi persona che lavora sotto la supervisione e la direzione di appaltatori, subappaltatori e fornitori. E vengono anche tutelate le persone il cui rapporto di lavoro intanto è terminato o non è ancora iniziato.
Ma la differenza maggiore con la legge italiana, per cui si attende con ansia la legge di attuazione della direttiva, riguarda la tutela dei cosiddetti “facilitatori [40]” nonché dei terzi connessi con le persone segnalanti e che potrebbero rischiare ritorsioni in un contesto lavorativo, quali colleghi o parenti delle persone segnalanti; e i soggetti giuridici di cui le persone segnalanti sono proprietarie, per cui lavorano o a cui sono altrimenti connesse in un contesto lavorativo, ambito soggettivo per il momento non contemplato dalla normativa italiana.
Inoltre, l’art. 2 della normativa introduce anche una tutela specifica del lavoratore dipendente da un privato datore di lavoro che segnali illeciti, andando a incidere sul d.lgs. n. 231/2001, che disciplina la responsabilità amministrativa e penale per le persone giuridiche.
Si è modificato l’impianto della legge 190/2012 anche in merito ai destinatari della segnalazione: il dipendente non segnala più l’illecito al superiore gerarchico, bensì al RPCT, vista anche l’importanza del suo ruolo in un’effettiva strategia di contrasto alla corruzione, o in alternativa all’ANAC [41]. Occorre però rilevare in tal punto un’incongruenza con il Codice di comportamento, che agli artt. 8 e 13(8) ancora prevede che le segnalazioni debbano essere effettuate al superiore gerarchico. Se da una parte si auspica un coordinamento tra i due testi, è anche vero che la legge 79/2017 prevale sul regolamento recante il Codice di Comportamento [42].
Per quanto riguarda invece l’ambito oggettivo di applicazione, la protezione si applica a due categorie di segnalazioni: la segnalazione di condotte illecite (di cui il dipendente sia venuto a conoscenza in ragione del suo rapporto di lavoro); e la comunicazione all’ANAC di misure ritorsive o discriminatorie adottate dall’amministrazione a seguito e a causa della segnalazione.
Sul primo punto, va però specificato che la tutela non si applica a tutte le possibili segnalazioni di condotte illecite di cui il lavoratore è venuto a conoscenza in ragione del proprio rapporto di lavoro, ma soltanto a quelle effettuate nell’interesse dell’integrità della pubblica amministrazione [43]. Lo scopo di tale norma è valorizzare il più possibile l’etica e la legalità nelle amministrazioni, e la valutazione della sussistenza di tale interesse spetta al RPCT o all’ANAC, caso per caso, a seconda di chi sia il destinatario della segnalazione. Nel caso in cui l’intesse personale del dipendente che segnala l’illecito dovesse coincidere con quello dell’integrità dell’amministrazione, come specifica lo Schema di linee guida dell’ANAC, non si può escludere la tutela del segnalante, purché questi palesi ab initio il suo interesse personale.
In sostanza [44], il dipendente pubblico con le proprie segnalazioni può richiamare l’attenzione delle autorità (interne all’ente di propria appartenenza, ma anche esterne) su condotte di illegalità, non necessariamente riconducibili nell’ambito della corruzione esclusivamente penalistica, ma intesa invece come comprensiva dei comportamenti di maladministration, allo scopo di riportare le procedure amministrative e i comportamenti dei dipendenti pubblici sui binari della legalità.
L’assenza di una lista tassativa di reati o irregolarità oggetto del whistleblowing, e l’utilizzo da parte del legislatore di termini diversi (condotte illecite, reati o irregolarità, illeciti) fa sì che vengano considerate rilevanti tutte le segnalazioni che riguardano non solo l’intera gamma dei delitti contro la PA di cui al Titolo II, Capo I del Codice penale, ma anche tutti i comportamenti, rischi, reati o irregolarità, consumati o tentati, a danno dell’interesse pubblico [45].
Su questo punto si nota una convergenza con il testo della Direttiva, nella parte in cui espressamente sancisce che è il pregiudizio al pubblico interesse a rilevare [46]. La Direttiva tuttavia va addirittura oltre, nel tutelare non solo le segnalazioni di violazioni già commesse, ma anche di violazioni che non sono ancora state commesse ma che molto verosimilmente potrebbero esserlo in futuro [47].
L’istituto mira quindi a sancire una stretta collaborazione e cooperazione tra amministrazione e dipendenti, i quali sono in grado di rilevare se ci siano comportamenti, nell’ente di appartenenza, ascrivibili latu sensu al fenomeno corruttivo.
Si tratta quindi di un comportamento etico e virtuoso, di una manifestazione di senso civico attraverso cui il whistleblower contribuisce all’emersione e alla prevenzione di rischi e situazioni pregiudizievoli per l’amministrazione di appartenenza e, di riflesso, per l’interesse pubblico collettivo.
Infine, considerando lo spirito della normativa, cioè “incentivare la collaborazione di chi lavora all’interno delle pubbliche amministrazioni al fine di far emergere possibili fenomeni corruttivi”, non è necessario che il dipendente sia certo dell’effettivo accadimento dei fatti denunciati ma solo che ne sia ragionevolmente convinto [48]”. È evidente però che se la segnalazione consapevolmente mendace (il cosiddetto malicious report) espone il segnalante alla responsabilità per calunnia e diffamazione, i motivi reconditi che hanno spinto il dipendente a segnalare sono irrilevanti, come previsto sia dal Considerando 32 della direttiva, sia dalle Linee guida ANAC [49].
3.2. Tutele per il whistleblower: riservatezza e protezione contro ritorsioni e discriminazioni
Per quanto riguarda la tutela dell’identità del segnalante, la nuova legge 179/2017 offre una protezione aumentata rispetto all’impianto originario previsto dalla legge 190/2012. Infatti, la legge 190/2012 prevedeva che, nell’ambito dell’eventuale procedimento disciplinare avviato nei confronti del soggetto segnalato, l’identità del segnalante non potesse essere rivelata senza il suo consenso, a meno che la contestazione fosse fondata, in tutto o in parte, sulla segnalazione: in questa eventualità, l’identità poteva essere rivelata solo, qualora la sua conoscenza fosse assolutamente indispensabile per la difesa dell’incolpato.
La nuova legge 179/2017, pertanto, da una parte aggiunge un obbligo specifico di non divulgazione dell’identità del segnalante qualora la contestazione disciplinare a carico del segnalato sia fondata su accertamenti distinti e ulteriori rispetto alla segnalazione, anche se conseguenti alla stessa.
Ma dall’altra dispone che, qualora la contestazione sia fondata, in tutto o in parte, sulla segnalazione e la conoscenza dell’identità del segnalante sia indispensabile per la difesa dell’incolpato, la segnalazione è utilizzabile ai fini del procedimento disciplinare solo in presenza di consenso del segnalante alla rivelazione della sua identità. Quindi se il segnalante non acconsente a rilevare la propria identità, l’ente non potrà procedere con il procedimento disciplinare.
Diverso è il caso dell’ambito del procedimento penale: il legislatore ha stabilito all’art. 1(3) della legge 179/2017 che “nell’ambito del procedimento penale, l’identità del segnalante è coperta dal segreto nei modi e nei limiti previsti dall’articolo 329 del Codice di procedura penale” cioè fino a quando l’imputato non ne possa avere conoscenza, e comunque fino alla chiusura della fase delle indagini preliminari [50].
Va poi ricordato che la segnalazione è sottratta alla misura dell’accesso agli atti previsto dalla legge 241/1990.
È infine opportuno sottolineare che la legge vuole certamente proteggere l’identità del segnalante, ma deve comunque garantire la sua identificabilità. Di conseguenza, anche sottolineando la totale assenza nell’istituto del whistleblowing di alcuna connotazione negativa di segretezza e anonimato legati a slealtà o al tradimento di un patto di fiducia, la segnalazione non può e non deve essere anonima. Le segnalazioni anonime non sono quindi ricomprese nell’ambito applicativo dell’art. 54 bis, e la loro considerazione è rimessa alla scelta della singola amministrazione [51]. D’altronde anche la direttiva 2019/1937 rinvia agli Stati membri la valutazione sul valore della segnalazione anonima.
Il fatto che però ci si debba ancora interrogare sull’accettabilità o meno di una segnalazione anonima, se da una parte è sintomo dell’opacità delle amministrazioni, e di un fallimento sotto il profilo etico della diffusione dell’istituto del whistleblowing, dall’altra, in un’ottica di una sorta di realpolitik giuridica, va anche considerato che le segnalazioni anonime, purtroppo, “sono tuttavia la risposta all’esistenza di canali di segnalazioni non sicuri e a trattamenti discriminatori conseguenti alla segnalazione [52]”.
Un’altra modifica fondamentale della legge 179/17 rispetto alla legge 190/2012 riguarda la tutela contro le misure ritorsive: l’eventuale adozione di misure discriminatorie o ritorsive oggi, infatti, non va più denunciata al Dipartimento della funzione pubblica, bensì all’ANAC che dispone di maggiori poteri sia di intervento, sia sanzionatori. Inoltre, non spetta al dipendente dimostrare il nesso causale tra segnalazione e misura ritorsiva o discriminatoria, ma l’onere della prova grava sull’amministrazione che deve dimostrare che la misura non ha niente a che vedere con la segnalazione [53].
In concreto, la tutela offerta dalla legge 179/2017 si manifesta nel fatto che sono nulli tutti “gli atti discriminatori o ritorsivi” eventualmente adottati, e il segnalante è “reintegrato nel posto di lavoro” in caso di licenziamento “a motivo della segnalazione” (con previsione di risarcimento pieno del danno che non prevede il tetto massimo delle 24 mensilità in quanto si applica in questo caso l’art. 2, d.lgs. n. 23 del 2015).
È opportuno ricordare che tra gli atti ritorsivi vanno ricompresi oltre al licenziamento e alle sanzioni disciplinari, anche il demansionamento e il trasferimento, e ogni altra misura organizzativa avente effetti negativi, diretti o indiretti sulle condizioni di lavoro, purché determinata dalla segnalazione [54].
La tutela è poi rafforzata dalla presenza di sanzioni amministrative (di diversa entità a seconda della irregolarità riscontrata) che l’ANAC [55] può imporre all’Amministrazione, qualora venga accertata l’adozione di misure discriminatorie nei confronti del lavoratore che ha segnalato un illecito [56] o qualora dovesse essere accertata l’assenza di procedure per l’inoltro e la gestione delle segnalazioni, o il mancato svolgimento da parte del responsabile di attività di verifica e analisi delle segnalazioni ricevute.
Una volta effettuata la segnalazione, infatti, questa sarà esaminata per decidere se avviare o meno un’istruttoria. In caso affermativo, potrebbero essere chieste integrazioni documentali, eventuali colloqui con il whistleblower, o con altri uffici dell’amministrazione, nonché acquisizione di informazioni da soggetti esterni. Tutto questo, entro dei precisi termini di avvio e conclusione della trattazione della segnalazione, porterà a una definizione della problematica, con eventuale trasmissione all’interno dell’Amministrazione (ad esempio Ufficio provvedimenti disciplinari), o all’esterno (ANAC, Corte dei conti, Procura della Repubblica).
Su questo punto la Direttiva è sicuramente più specifica, prevedendo anche dei tempi ragionevoli per il riscontro e seguito della segnalazione [57], e inoltre introduce un terzo canale di segnalazione (oltre quello interno ed esterno) non ancora contemplato dal diritto italiano, cioè la divulgazione pubblica [58], per cui qualora sussistano certe condizioni [59], il whistleblower può segnalare direttamente alla stampa o ai media.
Conclusioni
Alla luce di quanto descritto finora, risulta evidente che, tra le misure obbligatorie introdotte dalla legge 190/2012 in tema di prevenzione della corruzione, sicuramente il whistleblowing presenta numerose criticità circa la sua concreta applicazione, per problemi sia organizzativi, sia culturali, vista la resistenza a considerare l’istituto come una manifestazione di etica e senso civico e non un incentivo alla delazione.
Ma al di là del problema culturale, si ravvisano ancora delle difficoltà operative a inquadrare correttamente l’istituto, sia per quanto riguarda le procedure, sia l’effettività della tutela. A peggiorare la situazione si aggiunge la distanza tra la legislazione italiana e la direttiva comunitaria su alcuni punti, e nell’attesa della legge di trasposizione della direttiva rimangono aperte ancora diverse questioni.
In particolare, si segnala in generale un maggiore livello di tutela previsto dalla Direttiva (si pensi ad esempio all’ambito di applicazione soggettivo più ampio, o all’inclusione della protezione anche a chi segnala violazioni non ancora commesse ma che molto verosimilmente potrebbero esserlo [60]) rispetto alla normativa italiana. Forse la differenza più sostanziale nell’efficacia della tutela è rappresentata dalla previsione, nella Direttiva, di una serie di misure di sostegno che comportano un impegno finanziario non previsto dalla normativa italiana che dispone come di consueto la clausola di invarianza finanziaria. Invece, ai sensi dell’art. 20 della Direttiva 2019/1937, il whistleblower, oltre ad avere accesso gratuito a informazioni e consulenze esaustive e indipendenti sulle procedure e i mezzi di ricorso disponibili, all’assistenza legale e patrocinio a spese dello Stato, ha diritto anche a un sostegno, finanziario e psicologico nell’ambito dei procedimenti giudiziari.
Tutto ciò non fa che ribadire la necessità di un recepimento corretto e in tempi rapidi della Direttiva anche alla luce del particolare momento: non è troppo pessimista temere che nella gestione degli ingenti fondi previsti dal PNRR potrebbero esserci infiltrazioni criminali e di natura corruttiva, a maggiore ragione l’utilizzo corretto dell’istituto della protezione del whistleblower come strumento preventivo può contribuire alla riduzione di questo rischio.
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[1] “Disposizioni per la tutela degli autori di segnalazioni di reati o irregolarità di cui siano venuti a conoscenza nell’ambito di un rapporto di lavoro pubblico o privato”. Normativa che andava a integrare e ampliare la prima embrionale tutela del whistleblower contenuta nella legge 190/2012, all’art. 1(51).
[2]La prima normativa in materia è un testo statunitense del 1863, il False Claims Act, poi riformato diverse volte fino a prevedere anche una ricompensa a chi segnala, perché con la sua denuncia fa risparmiare soldi allo Stato. Questa componente premiale (decisamente controversa, visto che sposta l’accento dall’elemento virtuoso civico a una contropartita economica) viene quantificata in una percentuale, tra il 15 e il 30%, sul denaro che lo Stato ha risparmiato o recuperato.
[3]Ad esempio: la Convenzione OCSE contro la corruzione internazionale del 1997, la Convenzione dell’ONU contro la corruzione del 2003, e anche la Convenzione civile sulla corruzione emanata dal Consiglio d’Europa nel 1999. Tutti questi testi, che l’Italia ha firmato e poi ratificato, richiedono agli Stati aderenti di prevedere meccanismi di tutela per i dipendenti che segnalano fatti di corruzione. La Convenzione dell’ONU va addirittura oltre, non limitando la tutela al dipendente” ma estendendola in generale a “tutte le persone”. Si veda sul punto: R. Cantone, Il sistema della prevenzione della corruzione, 2020, p. 3 ss.; N. Parisi, Il contrasto alla corruzione e la lezione derivata dal diritto internazionale: non solo repressione, ma soprattutto prevenzione, in Dir. com. sc. int., 2016, p. 191 ss.
[4] https://accademiadellacrusca.it/it/consulenza/che-cosa-indica-e-come-si-traduce-la-parola-inglese-whistleblower/918.
[5]M. Heidegger, In cammino verso il linguaggio, Milano, 1959, citando a sua volta una poesia di Stefan George, Das Wort, 1919.
[6] Cfr. ad esempio M. P. Miceli, J.P. Near, The Organizational and Legal Implications for Companies and Employees, New York, 1992; Hayden Ramsay, Beyond Virtue: Integrity and Morality, London, , 1997; E. Ceva, M. Bocchiola, Is Whistleblowing a Duty?, Cambridge 2019; W. De Maria, Whistleblowers and Organizational Protesters, in Current Sociology, vol. 56, n. 6, pp. 865-883; J. Dungan, A. Waytz, L. Young, The psychology of whistleblowing, in Current opinion in Psychology, vol. 6, 2016, pp. 129-133.
[7]Questa è la definizione contenuta nel vocabolario Treccani (www.treccani.it/vocabolario/delatore/).
[8] “Chiunque, con denuncia, querela, richiesta o istanza, anche se anonima o sotto falso nome, diretta all’Autorità Giudiziaria o ad altra Autorità che a quella abbia obbligo di riferirne, afferma falsamente essere avvenuto un reato, ovvero simula le tracce di un reato, in modo che si possa iniziare un procedimento penale per accertarlo, è punito con la reclusione da uno a tre anni”.
[9]Come specificano le Linee guida ANAC: “non è necessario che il dipendente sia certo dell’effettivo accadimento dei fatti denunciati e/o dell’identità dell’autore degli stessi ma solo che ne sia ragionevolmente convinto”. (Schema di Linee guida in materia di tutela degli autori di segnalazioni di reati o irregolarità di cui siano venuti a conoscenza in ragione di un rapporto di lavoro, ai sensi dell’art. 54-bis, del d.lgs. 165/2001 (c.d. whistleblowing), Delibera n. 469 del 9 giugno 2021).
[10] Cfr. ad esempio M. Magri, che negando il carattere preventivo dell’istituto, ritiene che “l’incoraggiamento della delazione implica la consapevolezza, da parte del legislatore, della ineluttabilità di un ambiente lavorativo disfunzionale, del quale si dà già per presupposta la compromissione sistemica e che viene riorganizzato affinché gli illeciti siano scoperti “a tradimento”, prima di uniformare stabilmente gli uffici auna cultura dell’integrità”. M. Magri, Il whistleblowing nella prospettiva di una disciplina europea armonizzata: la legge 179/2017 sarà a breve da riscrivere?, in Federalismi.it, 2 ottobre 2019, p. 4.
[11] Sul punto cfr. N. Parisi, La funzione del whistleblowing nel diritto internazionale ed europeo, in A. Della Bella e S. Zorzetto (a cura di), Whistleblowing e prevenzione dell’illegalità, Atti del I convegno annuale del Dipartimento di Scienze Giuridiche “Cesare Beccaria” Milano, 18-19 novembre 2019, 2020, p. 3.
[12] Come d’altronde è ormai superata la nozione puramente penalistica del concetto di corruzione, che oggi è stato esteso fino a coincidere con “un cattivo funzionamento dell’amministrazione”, la cosiddetta maladministration. Cfr. S. Cassese, Maladministration e rimedi, in “Il Foro Italiano”, vol. 115, parte quinta, 1992, pp. 243-250, per cui la maladministration indica “quel complesso fenomeno di disfunzioni che va dalle resistenze al cambiamento al formalismo, all’indifferenza all’efficienza, all’ostilità verso la tecnologia, all’overstaffing, al nepotismo, alla corruzione”.
[13] D.R. Cressey, Other People’s Money: A Study in the Social Psychology of Embezzlement, Glencoe, 1953.
[14] Vedi ad esempio Cassazione penale febbraio 2018 n. 9047, che espressamente riconosce “il ruolo ausiliario dei whistleblowers nella lotta alla corruzione”.
[15]Cfr. N. Parisi, cit., p. 17: “In questa prospettiva l’istituto del whistleblowing è considerato un tassello importante, in quanto strumento di rafforzamento dei sistemi democratici, che consente di valorizzare la loro accountability verso i governati, riconoscendo loro il godimento e l’esercizio di alcuni fondamentali diritti della persona, in particolare del diritto alla libertà di coscienza, di pensiero, nonché di espressione e del diritto all’informazione, che di quest’ultima libertà è considerata una declinazione”.
[16]Cfr. Wim Vandekerckhove, Freedom of expression as the “broken promise” of whistleblower protection, in La Revue des droits de l’homme, 10, 2016; cfr. L. Valli, Whistleblowing, verità e democrazia: una riflessione, in Rivista semestrale di diritto, 1, 2019, pp. 49-61. Vedi anche N. Parisi, La prevenzione della corruzione nel modello internazionale ed europeo, in Federalismi.it, 8 maggio 2019, p. 20.
[17]Art. 19.
[18]Art. 10.
[19]CM/Rec (2014)7, art. 1.
[20] Sul diritto del whistleblower di “parlare senza paura”, cfr. M. Di Rienzo, La parresia del whistleblower. Il coraggio della verità e le convergenze pericolose, in “Azienditalia”, 10, 2021, pp. 1739-1749.
[21] A. Mansbac, Whistleblowing as Fearless Speech: The Radical Democratic Effects of Late Modern Parrhesia, in Whistleblowing and Democratic Values, 2011, p. 22.
[22]Cfr. Memorandum Esplicativo della Raccomandazione del Consiglio d’Europa CM/Rec (2014)7, art.41, 30 aprile 2014.
[23] Sentenza 12 febbraio 2008 ric. n. 14277/04: un funzionario aveva consegnato alla stampa due lettere di politici che esercitavano indebite pressioni sui giudici e di conseguenza era stato licenziato.
[24]Similmente cfr. anche Voskuil c. Paesi Bassi del 22 novembre 2007, ric. N. 64752/01, sulla tutela della confidenzialità delle fonti in ambito giornalistico, orientamento confermato con la più recente Jecker c. Svizzera (ricorso n. 35449/14), del 6 ottobre 2020, dove l’articolo 10 CEDU che assicura la libertà di espressione, compresa, quindi, la libertà di stampa, viene applicato a tutela della segretezza delle fonti, che svelano notizie al giornalista con garanzia dell’anonimato.
[25] Considerando 1.
[26] Considerando 2.
[27]Il fatto che sia solo uno “schema” dimostra come l’ANAC abbia rinunciato ad adottare Linee Guida proprio perché in attesa della legge di adeguamento alla Direttiva 2019/1937, ma chiaramente ciò crea dei problemi interpretativi anche rilevanti.
[28] Delibera n. 469 del 9 giugno 2021.
[29]N. Parisi, op. cit., p. 35.
[30]Parere 00111/2020, 4 marzo 2020.
[31]Art. 4.3.TUE: Gli Stati membri adottano ogni misura di carattere generale o particolare atta ad assicurare l’esecuzione degli obblighi derivanti dai trattati o conseguenti agli atti delle istituzioni dell’Unione. Gli Stati membri facilitano all’Unione l’adempimento dei suoi compiti e si astengono da qualsiasi misura che rischi di mettere in pericolo la realizzazione degli obiettivi dell’Unione.
[32]È evidente che gli articoli artt. 361 e 362 del Codice penale riguardanti l’omessa denuncia di reato da parte del pubblico ufficiale e dell’incaricato di pubblico servizio hanno un ambito soggettivo e oggettivo decisamente più limitato. Anche la disciplina in tema di protezione dei testimoni di giustizia non è sovrapponibile: se il whistleblower rischia ritorsioni nella sua vita professionale, il testimone di giustizia rischia la sua incolumità personale. Dal settore privato si poteva forse estrapolare l’obbligo di segnalazione che la legge 231/2001 impone a tutti i destinatari del modello organizzativo, ma anche in questo caso si tratta di un ambito soggettivo decisamente limitato. Non va trascurato tuttavia il ruolo dell’art. 46 della Costituzione, che riconoscendo il diritto dei lavoratori a collaborare, nei modi e nei limiti stabiliti dalle leggi, alla gestione delle aziende, implicitamente riconosce anche il diritto (dovere?) dei dipendenti a segnalare eventuali irregolarità. Sul punto cfr. S.M. Corso, Segnalazioni di illeciti e organizzazioni di lavoro, Torino, 2020, p. 81.
[33]“Un indiscutibile passo in avanti” secondo R. Cantone, Il dipendente pubblico che segnala illeciti. Un primo bilancio sulla riforma del 2017, in Sistema Penale, 2020, p. 5; vedi anche G. Gargano, La cultura del whistleblower quale strumento di emersione dei profili decisionali della pubblica amministrazione, in Federalismi.it, 1, 2016, per cui la legge 190/2012 “ha aperto uno spiraglio”, p. 39.
[34]Si veda in primo luogo la Relazione dell’Unione sulla Lotta alla Corruzione, COM(2014)38. In dottrina: cfr. R. Cantone, Il sistema della prevenzione della corruzione, Giappichelli, 2020, 282, R. Cantone, Il dipendente pubblico che segnala illeciti. Un primo bilancio sulla riforma del 2017, in Sistema Penale, 2020, p. 6, che parla di “debolezze”. Vedi anche E. Dolcini, La legge 190/2012: contesto, linee di intervento, spunti critici, in Diritto Penale Contemporaneo, 3, 2013, pp. 1-21; G. Massari, Il whistleblowing all’italiana: l’evoluzione del modello sino alla legge n. 179 del 2017, in Studium Iuris, 9, 2018, pp. 981-992. Si veda anche G.M. Flick, Dalla repressione alla prevenzione o viceversa? Dalle parole ai fatti per non convivere con la corruzione, in Cass. Pen., 9, 2014, pp.2754 ss., che definisce la legge 190/12 come “una svolta rispetto all’immobilismo e all’indifferenza precedenti”, ma allo stesso tempo definisce le innovazioni come “lacunose e insufficienti”.
[35] Relazione dell’Unione sulla lotta alla corruzione, COM(2014) 38.
[36] Cosa più esplicita invece nella direttiva 1937/2019, che descrive nel dettaglio le procedure per la segnalazione interna, esterna o la divulgazione pubblica, vedi infra.
[37] Ricomprendendo in questa fattispecie anche chi, prima, non poteva essere tutelato, si pensi ad esempio al caso di Andrea Franzoso, uno dei più noti whistleblower italiani, che ha raccontato la sua vicenda nel libro Il disobbediente. Trovare il coraggio di denunciare quando tutti vogliono il silenzio, Milano, 2021.
[38] Sui quali il Consiglio di Stato nel già citato parere si era espresso in senso negativo: “è poi da dubitare che l’estensione a stagisti e tirocinanti dell’ambito di applicazione delle linee guida sia compatibile con la figura del dipendente pubblico delineata dall’art. 54-bis, comma 2, del d.lgs. n. 165/2001”.
[39] Si immagina quindi che in questo ambito occorrerà a breve una revisione della normativa attuale.
[40] Come spiega l’art. 5(8), “il facilitatore è una persona fisica che assiste una persona segnalante nel processo di segnalazione in un contesto lavorativo e la cui assistenza deve essere riservata”.
[41] Occorre quindi sottolineare come ai sensi dell’art. 1(1) legge 179/2017, la segnalazione è diretta esclusivamente a RPCT o ANAC, mentre la “Denuncia”, all’autorità giudiziaria ordinaria o contabile.
[42] Come sottolineato dal Consiglio di Stato nel parere reso sulle Linee guida, 615/2020. Il RPCT resta quindi il principale destinatario della segnalazione, che però può essere trasmessa anche all’ANAC oltre che all’autorità giudiziaria ordinaria o contabile, mentre la comunicazione di eventuali misure ritorsive deve essere trasmessa esclusivamente all’ANAC
[43] Come specificato dalla Determinazione n. 6 del 28 aprile 2015 “Linee guida in materia di tutela del dipendente pubblico che segnala illeciti (c.d. whistleblower)”, non sono meritevoli di tutela le segnalazioni fondate su meri sospetti o voci: ciò in quanto è necessario sia tenere conto dell’interesse dei terzi oggetto delle informazioni riportate nella segnalazione, sia evitare che l’amministrazione o l’ente svolga attività ispettive interne che rischiano di essere poco utili e comunque dispendiose. In ogni caso, considerato lo spirito della norma – che è quello di incentivare la collaborazione di chi lavora all’interno delle pubbliche amministrazioni per l’emersione dei fenomeni corruttivi – ad avviso dell’Autorità non è necessario che il dipendente sia certo dell’effettivo avvenimento dei fatti denunciati e dell’autore degli stessi, essendo invece sufficiente che il dipendente, in base alle proprie conoscenze, ritenga altamente probabile che si sia verificato un fatto illecito nel senso sopra indicato.
[44] Come specificato dal rapporto ANAC 2017, “Prevenzione della corruzione – segnalazione di illeciti e tutela del dipendente pubblico: presentazione del secondo monitoraggio nazionale sull’applicazione del whistleblowing”.
[45] A titolo meramente esemplificativo, il rapporto ANAC 2017 cita casi di sprechi, nepotismo, demansionamenti, ripetuto mancato rispetto dei tempi procedimentali, assunzioni non trasparenti, irregolarità contabili, false dichiarazioni, violazione delle norme ambientali e di sicurezza sul lavoro. Ovviamente non possono essere oggetto di segnalazione eventuali accertamenti di un diritto denegato al segnalante (per questo esiste il giudice o l’Ispettorato per la Funzione Pubblica presso il Dipartimento della Funzione Pubblica) e nemmeno doglianze di carattere personale del segnalante o
rivendicazioni/istanze che rientrano nella disciplina del rapporto di lavoro o rapporti col superiore gerarchico o colleghi: come specificato dal rapporto ANAC 2017, infatti, un whistleblower è tale quando si fa carico di un interesse pubblico, collettivo, e non del proprio, individuale.
[46] Considerando 3, 5, 42, 84, 108.
[47] Considerando 43. Anche su questo punto il Consiglio di Stato si era espresso negativamente (in contrasto con la posizione dell’ANAC che avrebbe voluto seguire un’interpretazione più ampia e conforme alla direttiva comunitaria), sostenendo che: “Ad avviso della Sezione, il riferimento alle mere “attività prodromiche” e a quelle che costituiscono un “ambiente favorevole” risulta pertanto non facilmente riconducibile al più netto dettato legislativo.”
[48] Linee guida 2021, p. 13. Vedi anche la Direttiva al considerando 32: “Per beneficiare della protezione della presente direttiva, le persone segnalanti dovrebbero avere ragionevoli motivi, alla luce delle circostanze e delle informazioni di cui dispongono al momento della segnalazione, che i fatti che segnalano sono veri. Tale requisito è una garanzia essenziale contro le segnalazioni dolose e futili o infondate, in modo da garantire che le persone che, al momento della segnalazione, hanno fornito deliberatamente e scientemente informazioni errate o fuorvianti, siano escluse dalla protezione. Al tempo stesso, tale requisito assicura che la persona segnalante continui a beneficiare della protezione laddove abbia effettuato una segnalazione imprecisa in buona fede”.
[49] “Posta la sussistenza dell’interesse generale all’integrità della pubblica amministrazione alla base della segnalazione, gli ulteriori motivi, anche personali, che hanno indotto il whistleblower a effettuare la segnalazione, sono da considerarsi irrilevanti al fine di decidere sul riconoscimento delle tutele previste dall’art. 54-bis. Tale riconoscimento, infatti, è connesso alla valutazione oggettiva dei fatti segnalati che sveli l’interesse pubblico sotteso alla segnalazione, a prescindere dai concorrenti ed eventuali interessi personali del whistleblower”. Schema di Linee Guida, p. 14.
[50] Invece, “nell’ambito del procedimento dinanzi alla Corte dei conti, l’identità del segnalante non può essere rivelata fino alla chiusura della fase istruttoria”. Dopo, potrà essere svelata dall’autorità contabile, per essere utilizzata nel procedimento.
[51] È evidente che se la segnalazione è anonima non solo non si è in grado di accertare lo status di dipendente pubblico, ma soprattutto non c’è alcun whistleblower da tutelare. È opportuno ricordare che nel sistema informatico di inoltro e gestione delle segnalazioni predisposto dall’ANAC è possibile trasformare una segnalazione inizialmente anonima in una vera segnalazione ai sensi della tutela del whistleblower dato che le segnalazioni, inviate in forma anonima in prima istanza, potranno essere successivamente integrate con le generalità del segnalante ai fini di acquisire l’eventuale tutela legale. (https://servizi.anticorruzione.it/segnalazioni/).
[52] N. Parisi, op. cit., p. 11. L. Valli, Segnalazioni di illeciti e anonimato: una decisione del Tribunal Supremo di Spagna, in Jusinitinere, 16 marzo 2020.
[53] Sul punto cfr. M. Peruzzi, La prova del licenziamento ritorsivo nella legge 179/17 sul whistleblowing, in Lavoro e diritto, 4, 1, 2020, pp. 33-50.
[54] Come specificano le Linee guida, 2021, la misura ritorsiva non si configura solo in un atto o provvedimento, ma anche in comportamenti od omissioni “posti in essere dall’amministrazione nei confronti del dipendente/segnalante, volti a limitare e/o comprimere l’esercizio delle funzioni proprie del lavoratore in guisa tale da disvelare un intento vessatorio o comunque da peggiorare la situazione lavorativa” (p. 20). Anche su questo punto la Direttiva 2019/1937 va oltre e in termini più precisi, elencando tutta una serie di comportamenti che possono costituire “misura ritorsiva”, come ad esempio (oltre a quelli già previsti dalla normativa italiana) la mancata promozione, sospensione della formazione, referenze negative, note di biasimo, mancata conversione di un contratto di lavoro a termine in un contratto di lavoro permanente, laddove il lavoratore avesse legittime aspettative di vedersi offrire un impiego permanente; annullamento di una licenza o di un permesso; sottoposizione ad accertamenti psichiatrici o medici.
[55] Cfr. “Regolamento ANAC per la gestione delle segnalazioni e tutela degli autori di segnalazioni di illeciti o irregolarità di cui siano venuti a conoscenza nell’ambito di un rapporto di lavoro”, in vigore dal 3 settembre 2020 e l’art. 1(6) legge 179/2017.
[56] Con delibera 782/2019 l’ANAC ha irrogato la prima sanzione pecuniaria contro il firmatario di provvedimenti ritorsivi adottati nei confronti di un dipendente che aveva segnalato illeciti nella sua amministrazione. Si tratta di un dirigente che aveva segnalato i componenti dell’UPD per abuso d’ufficio e omissione d’atti d’ufficio, ma a seguito della segnalazione era stato sospeso dal servizio con privazione della retribuzione. L’ANAC ha ritenuto il provvedimento, irrogando quindi una sanzione pecuniaria di 5000 euro.
[57] Artt. 9 e 11 Direttiva 2019/1937.
[58] Art. 15 Direttiva 2019/1937.
[59]Il segnalante deve aver già segnalato internamente ed esternamente, o direttamente esternamente conformemente alle disposizioni della direttiva, ma non è stata intrapresa un’azione appropriata in risposta alla segnalazione entro il termine previsto, oppure ha fondati motivi di ritenere che la violazione possa costituire un pericolo imminente o palese per il pubblico interesse. Oppure, in caso di segnalazione esterna, sussiste il rischio di ritorsioni o le prospettive che la violazione sia affrontata efficacemente sono scarse.
[60] Considerando 43.
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