ELEMENTI TEORICI E SPUNTI APPLICATIVI
Abstract: Il saggio propone i lineamenti teorici e ampie esemplificazioni applicative sui caratteri che deve possedere l’illecito penale in ambito liberal democratico
The essay proposes the theoretical outlines and extensive applicative examples on the characteristics that criminal offense must possess in the liberal-democratic sphere.
Sommario: 1. I limiti morali del diritto penale. – 2. Il rifiuto del moralismo positivo. – 3. Il moralismo c.d. negativo come limite all’incriminazione. – 4. Precisazioni sulla c.d. natura meramente sanzionatoria del diritto penale. – 5. Come il diritto penale deve rivolgersi ai cittadini. – 6. La voce della comunità politica liberale. – 7. Il linguaggio morale dell’illecito. – 8. I reati come illeciti pubblici e il legame con le teorie del bene giuridico e della prevenzione del danno agli altri. – 9. Il pensiero e le sue mere espressioni non possono essere reato. – 10. Le condotte che danneggiano solo l’agente non possono essere reati. – 11. Il tema della prostituzione e il superamento del moralismo positivo. – 12. Quando la depenalizzazione conseguente al riconoscimento di libertà illimitate può seriamente incrinare la tutela di beni essenziali di ciascun membro della comunità politica. – 13. Le offese ai sentimenti non possono essere reati. -14. I reati sono illeciti pubblici perché riguardano tutti i cittadini. – 15. Le leggi penali come leggi costituzionali. – 16. Il divieto di un uso propulsivo del diritto penale. –
1. I limiti morali del diritto penale.
In una ideale prosecuzione del complesso percorso per individuare il comportamento umano che solo può essere previsto come reato – dati per presupposti e condivisi il riconoscimento dei limiti posti dalla teoria del bene giuridico e dal principio della prevenzione del danno agli altri (harm prevention principle: HPP), nonché i principi di extrema ratio, sussidiarietà, antigiuridicità e colpevolezza [1] – va considerato che dette teorie e principi, pur perseguendo e producendo una radicale laicizzazione del diritto penale, non escludono che vi sia un rapporto tra gli illeciti penali e la morale da cui possano derivare ulteriori limiti al legislatore penale: si può, infatti, pretendere che il reato sia in qualche modo immorale e richiedere per la punizione anche la colpevolezza morale [2]. In tal senso il Model Penal Code statunitense, nel § 1.02(1)(c), dichiara che tra gli obiettivi del diritto penale (liberale) vi è quello di evitare la sanzione penale di un comportamento incolpevole [3].
La pena e la minaccia della stessa possono essere, infatti, viste anche sotto la prospettiva di una comunicazione con una persona capace di emettere giudizi morali, il che presuppone che la condotta punibile sia meritevole di una censura di tale natura [4]. Del resto, il principio di colpevolezza è riconosciuto pienamente nel nostro ordinamento [5] anche con il concorso di valutazioni di tipo morale. Né ciò è in contraddizione con i principi liberali, i quali non sono affatto estranei alla morale [6], sebbene per molti aspetti si allontanino dal moralismo tradizionale.
2. Il rifiuto del moralismo positivo.
Per spiegare il senso dell’attribuzione di un ruolo alla morale nella criminalizzazione dei comportamenti occorre riprendere il tema del c.d. moralismo giuridico positivo [7] che – in contrapposizione alle posizioni strumentaliste (o utilitaristiche) e liberali, orientate al perseguimento di scopi pragmatici, essenzialmente costituiti dall’impedire la lesione e il pericolo di lesione di beni giuridici [8] – mette la immoralità e la colpevolezza morale al centro delle preoccupazioni proprie della legge penale, sostenendo che vi sono buoni motivi per incriminare qualsiasi tipo di condotta immorale [9]. Tesi che contrasta con l’evidenza che vi sono numerose condotte immorali che non possono riguardare il diritto penale: ad esempio il tradimento di un amico, magari corteggiandone la fidanzata, evidentemente non è una questione pubblica che riguarda lo Stato o la comunità politica in quanto tale, e non perché non sia grave giacché evidentemente incrina una amicizia o perché vi si oppongano ragioni pratiche di elaborazione e applicazione della legge penale, ma perché attiene alla sfera privata che non è semplicemente affare della legge e tanto meno della legge penale [10].
Posizioni tradizionali sostengono che la natura del diritto penale è perseguire «le principali forme del vizio» [11], per cui la condotta è correttamente criminalizzata non solo perché è pericolosa per la società e, quindi, deve essere prevenuta, ma anche per gratificare i sentimenti di odio, vendetta, etc., eccitati da essa in menti pur sane [12]. In questa prospettiva – ancorché sembri ancora attribuirsi un fondamento strumentalista al diritto penale, in quanto la soddisfazione di tali sentimenti evita una più violenta, incontrollata e socialmente dannosa espressione [13] – in realtà detti sentimenti sono considerati risposte in sé adeguate alle forme principali del vizio e meritevoli di essere soddisfatti [14]. Le versioni contemporanee di tale posizione vanno dalla assicurazione della coesione sociale con la tutela della moralità costituita [15] alla attribuzione al diritto penale della funzione di realizzare la giustizia retributiva, cosicché ne viene individuato il fondamento nella finalità di punire gli agenti colpevoli per la loro condotta immorale [16], senza nemmeno l’obiettivo di ridurne l’incidenza [17].
Non convince nemmeno la versione aggiornata del moralismo positivo che propugna la incriminazione di condotte immorali particolarmente gravi ma che non provocano danni a beni giuridici [18], che si riduce ad essere la tutela di un valore in sé stesso, di un principio morale [19]. In tale contesto possono collocarsi quelle fattispecie che nemmeno un combinato utilizzo della teoria del bene giuridico e dell’harm-offense principle riesce a giustificare. Un caso ancora attuale è quello dell’incesto tra adulti consenzienti [20], in cui emerge la tutela di specifici orientamenti di valore, per i quali si giustifica l’incriminazione per la produzione di una influenza negativa sul clima sociale in misura tale che i beni giuridici dei membri della società vengono messi in pericolo o addirittura danneggiati [21]. Con tale motivazione viene confermata la legittimità costituzionale della sanzione penale dell’incesto dal Bundesverfassungsgericht 26.2.2008 [22], affermando che le facoltà del legislatore non possono essere limitate invocando i beni giuridici e che i fini che la norma penale persegue non possono dedursi dalla teoria del bene giuridico, poi però tentando di individuare un fondamento della sanzione dell’incesto nei beni giuridici della famiglia, dell’autonomia sessuale e della salute genetica [23]. La sanzione penale della bigamia, pur richiamata quale espressione di moralismo positivo, può trovare giustificazione, invece, diversamente anche dall’adulterio, nella tutela di beni giuridici funzionali quando l’ordinamento giuridico riconosca esclusivamente il matrimonio monogamico come base della comunità politica, correlando ad esso una complessa normativa sia quanto al riconoscimento sia quanto alla regolamentazione.
Un esempio di moralismo positivo giudicato, invece, illegittimo dalla Corte cost. n. 162/2014 è costituito dal divieto della fecondazione eterologa – evidenziante una analogia con il rapporto sessuale moralmente illecito in quanto con persona diversa dal partner – previsto dall’art. 4 co. 3, l. n. 40/2004, in materia di procreazione medicalmente assistita, la cui violazione era sanzionata con sanzione amministrativa (art. 12 co. 1, l. n. 40/2004). La Consulta oppone che la «scelta della coppia di diventare genitori e di formare una famiglia che abbia anche dei figli costituisce espressione della fondamentale e generale libertà di autodeterminarsi, libertà che … è riconducibile agli artt. 2, 3 e 31 Cost., poiché concerne la sfera privata e familiare», nonché diritto alla salute psichica della coppia, concludendo che le «limitazioni di tale libertà, ed in particolare un divieto assoluto imposto al suo esercizio, devono essere ragionevolmente e congruamente giustificate dall’impossibilità di tutelare altrimenti interessi di pari rango», assenti nella specie [24].
Se tutte le versioni di moralismo giuridico sostengono che l’immoralità della condotta rilevi in modo significativo nel senso della sua criminalizzazione, in realtà le implicazioni di tale asserzione sono attualmente meno drammatiche di quanto potrebbe apparire perché il moralismo giuridico positivocontemporaneo si limita ad attribuire all’immoralità un ruolo nella criminalizzazione ma non una valenza assoluta a suo favore o, comunque, la reputa una presunzione superabile da altre considerazioni, in particolare relative all’impatto nei confronti della libertà individuale [25]. D’altra parte, si ammettono altre valide ragioni per criminalizzare oltre all’immoralità. Né il moralismopositivo è indissolubilmente legato alla punizione retributiva, ma può accompagnarsi afinalità preventive e, dunque, condurre alla criminalizzazione di condotte immorali di cui sia in grado di ridurre la incidenza [26].
Va da sé, comunque, che se fossimo di fronte a una scelta netta, tra una visione moralista radicale ed una meramente strumentalista del diritto penale, la scelta per quest’ultima sarebbe inevitabile, non ha infattisenso creare e mantenere l’intero edificio del diritto penale (che per taluno, oltretutto, pone problemi morali) semplicemente per punire azioni immorali [27] e certamente il nucleo centrale dei fini di un sistema penale contemporaneo deve essere quello di proteggere i cittadini contro specifici tipi di danno ai loro beni, evitando i comportamenti che li provocano.
La questione, però, va vista in filigrana ed occorre evitare di attribuire la pretesa del moralismo positiva esclusivamente alle visioni religiose del mondo, perché non può nemmeno condividersi il moralismo di Stato che pretenda di imporre con il diritto penale o sanzionatorio una asserita laicità, in assenza di qualsivoglia lesione di beni giuridici altrui, come nel caso della sanzione francese (pur solo amministrativa) dell’uso di un costume da bagno coprente tutto il corpo (cd. burkini), che può offendere solo il nostro buon gusto, da parte di credenti musulmane, sanzione tipica espressione di iper-moralismo positivo [28], proponente «un’ideologia confessionale dello Stato ateo» [29] non molto dissimile dall’ateismo di Stato professato dai regimi comunisti, con la contrazione se non l’eliminazione della libertà religiosa, essenziale al pari delle altre libertà nello stato liberale liberal-democratico.
3. Il moralismo c.d. negativo come limite all’incriminazione.
Altra cosa rispetto al moralismo positivo è il ruolo liberale che può assolvere il moralismo negativo, per il quale l’immoralità costituisce solo una condizione necessaria, ma non sufficiente, per la penalizzazione e, dunque, agisce – come del resto il retribuzionismo negativo – quale vincolo al perseguimento degli obiettivi che forniscono le ragioni positive per il mantenimento di un ordinamento penale [30]. Nella dottrina tedesca una tale posizione venne elaborata già agli inizi del Novecento da M.E. Mayer, nella teoria delle Kulturnormen, secondo cui il reato deve essere un fatto stigmatizzato dalle regole culturali diffuse nella società, le quali però non tutte debbono avere rilevanza penale, in una prospettiva di rafforzamento di valori già condivisi [31] e non, invece, con lo scopo di svolgere una funzione promozionale di nuovi valori [32].
Nella dottrina italiana Mario Romano [33] si chiede «con quale legittimazione sostanziale … l’autore di un fatto potrà essere sottoposto al sacrificio della libertà personale se la comunità di cui è parte non ritiene – o non ha mai ritenuto, o non ritiene più – quel comportamento meritevole della più grave delle riprovazioni?». In tal senso, la celebre Corte cost. n. 364/1988 sottolinea la «necessità che il diritto penale costituisca davvero la extrema ratio di tutela della società, sia costituito da norme non numerose, eccessive rispetto ai fini di tutela, chiaramente formulate, dirette alla tutela di valori almeno di rilievo costituzionale e tali da esser percepite anche in funzione di norme extrapenali, di civiltà, effettivamente vigenti nell’ambiente sociale nel quale le norme penali sono destinate ad operare».
A tali condivisibili asserzioni si oppone però la presenza di molti reati che sembrano costituire mala quia prohibita, vale a dire condotte la cui illiceità dipende dalla legge penale che le vieta (anche detti reati artificiali), piuttosto che essere mala in se, cioè condotte illecite indipendentemente dalla legge penale. Siffatta distinzione, sebbene non sia né chiara né incontroversa, evidenzia il dato molto significativo che a fianco di condotte, come l’omicidio doloso, di cui è indiscutibile la illiceità indipendentemente dalla legge penale, ve ne sono altre che non sembrano avere la stessa natura, il che certo impone un maggiore rigore – ed in tal senso è apprezzabile il moralismo negativo – nella verifica della legittimazione della criminalizzazione, sebbene anchei cd. mala quia prohibita possano essere giustificati – ma con rigorosa dimostrazione – quando il legislatore crei un tipo di regolamentazione richiesta dal perseguimento di un qualche aspetto rilevante del bene comune la cui inosservanza sanzioni penalmente [34]. Come nei casi delle regole sulle armi e sul fine vita, che si ricollegano alla necessità di garantire la vita e l’integrità fisica altrui, di cui tratteremo più avanti [35].
Assumono un ruolo rilevante in tema i cc. dd. beni funzionali, costituiti dalla regolamentazione e dalle istituzioni preposte alla loro applicazione concernenti settori nevralgici della vita in comune, quali edificare un immobile o realizzare una attività industriale, che, per l’appunto, vengono assoggettati ad un sistema di regole e controlli preventivi e successivi sul loro rispetto da parte di specifiche istituzioni, che rappresentano un bene giuridico a pieno titolo [36], la cui lesione può rilevare penalmente.
4. Precisazioni sulla c.d. natura meramente sanzionatoria del diritto penale.
Nel dibattito europeo la questione sembra avere comunanza con l’attribuzione al diritto penale di natura meramente sanzionatoria [37] o ulteriormente sanzionatoria[38], nel senso che rafforza con la propria sanzione i precetti degli altri rami del diritto. Tuttavia, sebbene sia coerente con il principio di sussidiarietà esterna [39]che la sanzione penale intervenga una volta dimostrata l’inefficacia degli altri strumenti di tutela e, dunque, logicamente, soltanto successivamente agli altri settori dell’ordinamento, ciò però non significa che sussista una accessorietà del diritto penale intesa come subordinazione nozionale e funzionale alle altre branche del diritto e, in particolare, al diritto privato ed al diritto pubblico [40]. Al contrario, il diritto penale ha carattere autonomo, nel senso che la scelta di incriminare una determinata condotta può prescindere dalla preesistente adozione di altri strumenti giuridici di tutela (storicamente il diritto penale è la prima forma di tutela di fondamentali beni giuridici) e che, per le sue particolarmente marcate peculiarità, si avvale di principi e regole del tutto autonomi dagli altri settori dell’ordinamento giuridico ed anche quando richiama direttamente concetti e categorie propri di questi ultimi le sue specifiche esigenze ne comportano di norma una autonoma (o parzialmente autonoma) riscrittura. Ne deriva che può verificarsi che vi siano beni giuridici a cui il diritto penale offra tutela prima ancora che vi provvedano altri settori dell’ordinamento giuridico o che si faccia carico di fronteggiare in via esclusiva specifici comportamenti illeciti in particolari settori o, comunque, operi quale prima ratio nel contesto di una significativa deregolamentazione dello specifico settore, ad esempio in materia economica, per evitare di costringerne le relative attività in regole eccessive che ne impediscano il buon funzionamento [41].
Anche in tali casi, però, proprio la teoria del bene giuridico è volta ad evitare che si creino mala quia prohibita garantendo si tratti di mala in se sebbene di nuovo riconoscimento, in ragione delle mutate condizioni sociali, economiche, etc.; in altre parole, si propone di assicurare che vengano tutelati beni giuridici prepositivi e fondanti, ancorché solo emergenti in tutto il loro rilievo per le necessità della contemporaneità, e che non vengano arbitrariamente creati ex novo beni da tutelare che non presentino le qualità individuate.
5. Come il diritto penale deve rivolgersi ai cittadini.
Nella strada percorsa, il bisogno di limiti morali alle posizioni strumentaliste nasce in particolare dalla preoccupazione che queste ultime non rispettino gli individui e i loro diritti, poiché possono promuovere un ingiusto sacrificio dei beni individuali a favore di obiettivi asseritamente “superiori” variamente definiti [42]. Ma più radicalmente occorre interrogarsi se il diritto penale possa essere considerato come una tecnica la cui positiva giustificazione risiede unicamente nei suoi effetti benefici, oppure se – anche per superare le difficoltà in cui si imbattono la teoria del bene giuridico e della prevenzione del danno [43]e sostenerle nel loro obiettivo di limitare il legislatore penale – debba anche costituire un modo intrinsecamente appropriato di affrontare e rispondere al tipo di condotta (il crimine o reato) che costituisce il suo oggetto.
Per intendersi, la moderna pedagogia rifiuta la sanzione corporale come metodo educativo benché chi abbia conosciuto tale metodo ne riconosca talvolta l’efficacia, si reputa, però, che essa sia intrinsecamente inadeguata al fine che deve perseguire, perché – oltre che per i limiti in cui incorre qualsiasi finalismo – bisogna mostrare all’interessato il rispetto che gli è dovuto quale agente morale e, dunque, l’obiettivo non deve essere solo di convincerlo, con qualsiasi mezzo efficace, ad agire come deve, ma quello di condurlo, attraverso una discussione morale razionale, a vedere da solo il modo in cui dovrebbe agire [44].
Analogamente, in tema di giustificazione dell’ordinamento penale si pone la centrale questione – da sempre implicita nella tradizione europea che dibatte, oltre che sul contenuto, sulla forma della legge penale – della voce, dei toni e dei termini, con cui il diritto penale deve rivolgersi a coloro che pretende di vincolare [45].
Per una tesi – che si fa opinabilmente risalire ad Hobbes [46]– la legge penale non è indirizzata ai cittadini, ma al giudice ed ai funzionari pubblici, stabilendo le azioni che debbono tenere in presenza di determinate condizioni [47], sebbene si riconosca che debba essere messa a conoscenza o essere facilmente conoscibile dai cittadini, su cui incide pesantemente, ma per una questione di equità non perché ne siano i destinatari. Ma se ciò può ammettersi in taluni casi, non vale per l’ordinamento penale nel suo complesso, specialmente nello Stato liberal-democratico, e in particolare quando definisce i reati. La legge penale, individuando i reati, parla evidentemente a tutti i cittadini, indicando ciò che possono fare o meno, o a categorie di cittadini impegnati in attività particolari: ad esempio la maggior parte delle norme sulla sicurezza sul lavoro sono rivolte (tra gli altri) ai datori di lavoro, la maggior parte delle leggi sulla circolazione stradale sono rivolte agli automobilisti [48], etc.
Preso atto di ciò, occorre rispondere all’interrogativo è suquali siano i giusti toni e i corretti termini con cui il diritto penale deve rivolgersi ai cittadini. Una tesi, propria delle classiche teorie positiviste, afferma che la legge penale, in quanto rivolta ai cittadini, si basa su imperativi [49] e consiste in una serie didivieti di tenere una determinata condotta o, meno frequentemente, dicomandi di compiere una determinata azione,sostenuti dalla minaccia della pena per assicurarne l’obbedienza [50] da parte di chi altrimenti potrebbe non osservarli [51]. Precetti a cui si deve obbedire per l’autorità della legge (dura lex sed lex) o per il suo potere (altrimenti si verrà puniti), anche se nel pensiero positivista classico l’autorità della legge sembri ridursi al suo potere [52]. Così effettivamente suona la voce della legge agli oppositori dei sistemi politici della cui legge si tratti ed agli oppressi dall’altrui sovranità: tale posizione viene estremisticamente espressa dai penalisti nazionalsocialisti della scuola di Kiel [53], secondo i quali la stessa concezione del bene giuridico riflette una visione individualistico-liberale superata dal mutamento del rapporto stato-cittadino, che pone al centro del reato la violazione del dovere di fedeltà nei confronti dello Stato etico, impersonato dal suo capo (Führer) [54].
6. La voce della comunità politica liberale.
Non può, però, essere questa la voce della legge penale di una comunità politica liberale, la quale se vuole rivolgersi ai membri della comunità i cui valori pretende di esprimere, ad agenti responsabili, deve parlare con la razionale voce dei valori che richiedono la fedeltà dei cittadini quali valori della comunità [55]. La legge penale di un sistema politico liberale deve cioè tendere ad essere una legge che appartiene ai cittadini, come una espressione dei valori che li accomunano, piuttosto che un diritto imposto da un sovrano straniero, che li considera come sudditi [56]. Il legislatore deve affermare che vi sono buone ragioni per incriminare il tipo di condotta che definisce come reato e che i cittadini non debbono tenere, buone ragioni che riflettono i valori della comunità politica [57].
Ed è in questi termini che si può condividere l’affermazione che alla base della legge penale vi debbono essere ragioni correlate alla illiceità morale della condotta incriminata. Perché, se la legge dichiara che determinati comportamenti non vanno tenuti, anche se possono soddisfare egoistici interessi, e li sanziona con la pena è davvero difficile pensare – a partire dall’idea contrattualista di legittimazione dello Stato e della pena – ad una giustificazione diversa dal riferimento ai doveri morali che i cittadini hanno reciprocamente e nei confronti della comunità politica.
D’altra parte, la legge penale parla tradizionalmente un linguaggio che appare analogo a quello extragiuridico della morale: responsabilità, colpa, colpevolezza, giustificazione, illiceità, e omicidi, stupri, corruzione, furto e simili, tutte espressioni che non possono avere significati radicalmente differenti nell’uso legale ed extragiuridico, altrimenti la legge penale non sarebbe facilmente comprensibile per i cittadini, cosicché va riconosciuto che le definizioni legali dei reati sono destinate ad essere le definizioni legali di illeciti morali, di tipi di condotta che sono illeciti anche pre-giuridicamente, cioè sono mala in se, o sono violazioni di regole che, una volta create, per il ruolo che hanno per il comune benessere, i cittadini hanno in primo luogo l’obbligo morale di osservare [58]. Le definizioni legislative dei reati spesso non corrispondono con precisione alla comprensione extragiuridica dei relativi illeciti morali, poiché vi possono essere vincoli pratici e morali (i limiti liberali) relativi all’applicazione della legge e al processo penale che lo impongono, ma le definizioni della legge debbono essere fondate su quelle concezioni morali extragiuridiche. Ciò che il diritto penale deve dire ai cittadini non è, quindi, che essi debbono astenersi da tali comportamenti perché sono proibiti dalla legge ma che debbono astenersi da tali comportamenti perché sono intrinsecamente illeciti [59].
La dottrina tedesca ha elaborato la teoria della meritevolezza (in riferimento a genere e gravità del fatto) e del bisogno (nel senso di necessità) della pena [60] per dare concretezza al concetto materiale di reato. Sono reati in senso materiale solo quelle condotte rispetto alle quali risulta adeguato reagire con la pena, da intendersi quale sanzione a cui si associa un rimprovero etico-sociale specialmente grave [61]. Condotte che si caratterizzano per un disvalore di azione e di risultato specialmente elevato, con una lesione specialmente grave di beni particolarmente qualificati e una decisione dell’agente qualificata contro le altrui pretese su detti beni [62]. Quanto minore sarà la realizzazione di siffatte condizioni quanto più problematico sarà reagire penalmente contro di esse.
7. Il linguaggio morale dell’illecito.
Insomma, l’ordinamento penale è necessario per dissuadere i cittadini che ne hanno bisogno dal commettere un tipo di illecito assurto al rango di reato di rilievo anche morale. La nota tesi strumentalista secondo cui lo scopo centrale dell’ordinamento penale è quello di ridurre l’incidenza dei reati, minacciando coloro che potrebbero commetterli con pene che li scoraggino, dunque utilizzando il linguaggio coercitivo della dissuasione, non esclude che, in primis, l’appello della legge ai cittadini vada posto con il linguaggio morale dell’illecito e non soltanto perché siffatto appello è probabilmente anche strumentalmente efficace, ma soprattutto perché è intrinsecamente appropriato ai rapporti della legge penale con i cittadini di una comunità politica liberale.
Il diritto penale deve dare una risposta adeguata agli illeciti di natura penale, li riconosce pubblicamente e li stigmatizza definendoli come reati, chiama gli accusati a risponderne attraverso un processo e li dichiara colpevoli e li punisce quando ne dimostra la responsabilità, così comunicando anche la censura della comunità. Si tratta di una risposta al crimine giustificata non solo strumentalmente, ma – come sostiene il moralismo giuridico – anche perché ad esso intrinsecamente adeguata. In tali termini si può riconoscere che in una democrazia liberale il diritto è essenzialmente la positivizzazione di un settore della morale sociale, lo stesso procedimento che lo produce è frutto delle scelte dei membri rappresentativi della società, che portano con sé le convinzioni morali proprie e di coloro che rappresentano; e, a maggior ragione, lo è il diritto penale, che esprime il nucleo delle convinzioni sostenute dai gruppi che configurano la società [63]. Con le parole della dottrina tedesca della meritevolezza [64], può dirsi che possono punirsi solo le condotte che presentano le proprietà che consentono una pena, insomma, dobbiamo considerare seriamente tale peculiare gruppo di illeciti se vogliamo prendere sul serio i valori che offendono.
Dunque, l’obiettivo centrale della legge penale, peculiare rispetto ad altri tipi di legge e che ne giustifica l’esistenza, è quello di definire e dichiarare la penalità di peculiari tipi di illeciti, al fine non soltanto di dissuadere i cittadini dal commetterli, ma anche di dare risposte adeguate a coloro che li commettono. Nel definire come criminale una condotta, la legge la identifica come un comportamento da cui vi sono buone ragioni per astenersi e, quindi, come un comportamento del quale verrà chiesta pubblica giustificazione e a cui conseguirà la condanna e la punizione. Giustificare un sistema di diritto penale è affermare che vi sono tipi di illeciti che lo Stato deve individuare e a cui deve rispondere in siffatto specifico modo, tipi di illeciti che lo Stato prende sul serio e si attende dai cittadini analoga attenzione [65].
8. Gli illeciti pubblici e il legame con le teorie del bene giuridico e della prevenzione del danno agli altri.
Chiariti questi ulteriori profili possiamo procedere a rispondere all’interrogativo su quale tipo di comportamento illecito merita la definizione di reato. Tra gli estremi del moralismo giuridico positivo e la tesi opposta che nega all’immoralità un qualsivoglia ruolo nell’incriminazione, la esperienza sembra indicare una terza via, cioè la presenza di un particolare tipo di condotte immorali con riguardo alle quali unicamente è appropriata l’utilizzazione della legge penale, che possiamo definire illeciti pubblici, mentre gli illeciti semplicemente privati o sono estranei al diritto o sono questioni civili e non penali; resta, però, il problema di individuare i primi e di trovare il modo di distinguerli da quelli privati [66].
Per una teoria strumentalista pura ovviamente si tratta di una questione pragmatica: decidiamo quale tipo di immoralità criminalizzare e quale affrontare in altro modo o ignorare, individuando le tecniche più adatte ai nostri fini, sia extragiuridiche: ad es. istruzione, pubblicità e prevenzione situazionale, cioè riduzione delle opportunità criminali [67]; sia legali: ad esempio il sistema fiscale, cioè la tassazione di una condotta che si vuole limitare, o la previsione del risarcimento di qualunque danno causato. Ma la conseguenza di quanto affermato in punto di immoralità della condotta è che la scelta tra queste tecniche non può essere puramente pragmatica, sebbene le questioni di efficienza siano importanti, prima va individuato quale misura sia intrinsecamente appropriataper la condotta illecita considerata e, specificamente, se merita un pubblico procedimento e la condanna penale [68].
Per trovare indicazioni idonee a delimitare la categoria dell’illecito pubblico di recente si è felicemente ricollegato il principio della prevenzione del danno agli altri alla teoria del bene giuridico, di cui si è evidenziata la prossimità al principio di dannosità sociale [69], ambedue finalizzati a porre dei limiti alla incriminazione: se è danno la lesione di un interesse rilevante [70] e si interpreta tale interesse come una risorsa alla cui integrità ha diritto un soggetto coinvolto, è dannosa la condotta che colpisce una siffatta risorsa. Il concetto di risorsaè, dunque,diverso dai fini di tutela e deve intendersi con un mezzo o una capacità che normalmente ha un certo valore per il mantenimento di uno standard di qualità della vita per un certo lasso di tempo [71], essenziale ai fini della propria autorealizzazione [72]: ad es. proprietà o integrità fisica. Cosicché si comprende come l’interesse del terzo danneggiato anglosassone esprima un concetto non dissimile dal bene giuridico della tradizione continentale [73] e possa in qualche misura concorrere a determinarlo, poiché il principio della prevenzione del danno agli altri sottolinea quella che per una parte significativa della dogmatica continentale [74] è la necessità che il bene giuridico sia di natura individuale o personale, fino a considerare i beni giuridici collettivi la somma di quelli individuali [75]. Infatti, il principio del danno può considerare condotte lesive di beni collettivi, ma esige che il fondamento della protezione di tali beni si basi sulla protezione della qualità della vita degli esseri umani, ad es. il diritto penale tributario si basa sul fatto che la tassazione si riflette nella qualità della vita dei cittadini garantendo fondamentali servizi pubblici [76], ciò vale anche per la tutela dell’ambiente o del territorio, nonché della sicurezza pubblica, quando concerna in definitiva la integrità fisica dei cittadini. Si afferma anche che un bene giuridico collettivo può essere tutelato penalmente quando la sua lesione si rifletta simultaneamente nella elisione di un bene giuridico individuale [77]. Sono esclusi, pertanto, gli interessi superindividuali privi di un sostrato personale afferrabile [78] – tra cui, ad esempio, lo stesso concetto di ordine pubblico inteso in senso ideale – che finiscono per comportare la sanzione di condotte inoffensive per i consociati in carne ed ossa e costituiscono una mera disobbedienza all’autorità [79], per tutti, per l’appunto, «la creazione artificiale del topos immaginario della sicurezza collettiva che ha come bene finale di copertura niente meno che il Grundrechtsgut della vita dei cittadini» [80].
Tali principi sono anche alla base della Costituzione italiana, che afferma il primato della persona e dei suoi diritti fondamentali (art. 2 Cost.), il pluralismo e la laicità dello Stato, a partire dalla pari dignità ed eguaglianza di religioni, opinioni politiche, condizioni personali e sociali (art. 3 co. 1), l’inviolabilità della libertà personale (art. 13) e il riconoscimento della salute quale diritto e non quale dovere (art. 32), in definitiva fondandosi sul riconoscimento della «precedenza sostanziale della persona umana rispetto allo Stato e la definizione di questo al servizio di quella» [81]. Può anche farsi riferimento ai diritti fondamentali dell’uomo quali oggetto e fondamento della tutela penale [82], sebbene nemmeno la dimensione europea di tali diritti sia in grado di fornire risposte definitive alla questione [83].
Insomma, può concludersi che l’unico scopo per il quale la pena può essere legittimamente utilizzata nei confronti di un membro di una comunità civilizzata è quello di prevenire danni agli altri [84], cioè la lesione dibeni giuridici altrui; di conseguenza è correttamente candidata alla criminalizzazione esclusivamente una condotta che danneggi ingiustamente o minacci di danneggiare concretamente beni altrui.
9. Il pensiero e le sue mere rappresentazioni non possono essere reati.
Una prima conseguenza esclude che il mero pensiero possa essere criminalizzato ancorché possa essere moralmente scorretto [85]. Il pensiero è privato, solo la condotta è pubblica e sicuramente solo ciò che effettivamente incide sul nostro condiviso mondo sociale o materiale può essere propriamente di interesse per lo Stato e per il suo diritto penale, non il mero pensiero che non sia espresso o attuato, il quale non ha siffatto impatto: insomma non può esservi un reato se la volontà criminosa non si materializza in un comportamento esterno (cd. principio di materialità).
Si tratta però di un limite davvero modesto, che non è nemmeno in grado di escludere dalla incriminazione la espressione del pensiero: il discorso (speech), che ha certamente un impatto sul mondo.
Si pensi al problema del negazionismo, inteso come negazione del genocidio degli ebrei e di consimili eventi storici come il genocidio degli armeni, riguardo a cui si legittima la sanzione penale quando la condotta sia tenuta in circostanze di tempo e di luogo in concreto pericolose per la pace pubblica [86]. Mentre la incriminazione del negazionismo come mera manifestazione di una opinione è da respingere in virtù della massima libertà di espressione e di ricerca e prima ancora per l’assenza di un danno a un bene giuridico, essendo semmai presente una offesa ai sentimenti [87], la cui sanzione penale in un mondo pluralista non pare accettabile [88], poiché si tratta della tutela di un valore identitario incompatibile con un paradigma laico di diritto penale [89].
Il tema è controverso. Se, da un lato, va segnalato che il Tribunal Constitucional spagnolo 7.11.2007, n. 235, ha dichiarato incostituzionale la sanzione penale della negazione del genocidio (art. 670.2 c.p.); e il Conseil constitutionnel francese 28.2.2013, n. 647, ha giudicato incostituzionale la sanzione penale della negazione del genocidio armeno commesso dai turchi tra il 1915/1917 perché vulnera la libertà di opinione e comporta una ingerenza inammissibile nel lavoro della scienza storica. Mentre, C. edu GC, 15.10.2015, n. 27510/08, Perinçek c. Svizzera, esclude che le affermazioni neganti l’olocausto armeno del ricorrente [90] possano essere assimilabili a crimini d’odio (hate speeches), in quanto è assente la componente di incitamento all’odio, alla violenza o alla discriminazione (§ 240) o la ‘capacità, diretta o indiretta, di produrre conseguenze negative nei confronti del popolo armeno’ (§ 207), concludendo per la violazione dell’articolo 10 CEDU (libertà di espressione) da parte della Svizzera. Dall’altro, la Corte edu V, 31.1.2019, n. 64496/17, Williamson c. Germania, afferma che la criminalizzazione di dichiarazioni negazioniste (nella specie contenute nella legislazione tedesca: art. 130 § 3 StGB), pur limitando la libertà di espressione, è conforme alla CEDU, poiché costituisce un’ingerenza nel diritto alla libertà di espressione necessaria in una società democratica.
Questi argomenti si riflettono, tra l’altro, sulla valutazione della previsione dell’art. 604 bis c.p., di cui sono criticabili per la genericità delle espressioni utilizzate il co. 1°, lett. a) [91] e il co. 2° [92], ma soprattutto il co. 3°, relativo al negazionismo [93], con particolare riferimento alla propaganda collegata al pericolo di diffusione, che pur così delineata si pone al confine con la sanzione della mera espressione di una idea pur aberrante.
Di tal genere sono anche le preoccupazioni concernenti le iniziative legislative volte a dare speciale tutela anche penale alle persone omosessuali, che pongono seri interrogativi sulla loro potenzialità espansiva nella direzione della sanzione penale per chi afferma (o predica) che l’omosessualità sia un peccato, secondo note concezioni religiose, che la clausola che attribuisce rilievo penale alla libera espressione di convincimenti od opinioni quando «idonea a determinare il concreto pericolo di atti discriminatori», contenuta nell’art. 4 del cd. d.d.l. Zan, non è certo capace di escludere, anzi, finisce per confermare nella sua ambiguità e vaghezza. Infatti, la norma sanziona il pericolo (idonea a) di pericolo [94] di atti discriminatori conseguenti alla libera espressione di convincimenti od opinioni, potrebbero essere, dunque, coinvolte, con buona probabilità visti i precedenti storico, quale fonte di pericolo di pericolo di discriminazione comodamente le Sacre scritture e le predicazioni che vi fanno riferimento e, in verità, ogni altra espressione non conforme alla nuova dottrina da imporsi con il diritto penale. Tale iniziativa legislativa rientra perfettamente, dunque, negli schemi utilizzati per analizzare e criticare le pretese di sanzione penale a tutela delle concezioni morali cattoliche (ormai però recessive, mentre altre si propongono e preoccupantemente con lo stesso vecchio armamentario) e le attività dei c.d. imprenditori della moralità. Infatti, anche in tal caso la azione dei moral entrepreneurs «si indirizza in modo univoco su una domanda di incriminazione per condotte su cui il bisogno di pena non è avvertito incondizionatamente dalla collettività ma … è invece assai controverso nell’opinione pubblica», sennonché il vero obiettivo perseguito è «il riconoscimento della cultura e dei valori espressi dalla propria classe sociale». «Le conseguenze sono perciò evidenti: all’imprenditore di moralità non interessa affatto la tutela della vittima (che il più delle volte non c’è…)» [95].
Rinunciare a porre in discussione questo genere di previsioni, che sconfinano nella sanzione della espressione immorale per questa o quella concezione e, dunque, con il moralismo positivo e la tutela dei meri sentimenti significa rinunciare alla costruzione di uno Stato di diritto, ovvero alla necessità di porre limiti anche al legislatore nel perseguimento delle sue politiche, adeguandosi al moralismo positivo del momento.
10. Le condotte che danneggiano solo l’agente non possono essere reati.
Nella prospettiva indicata non è giustificata anche la incriminazione di condotte che danneggiano solo l’agente, come propugna invece il cd. paternalismo duro [96] o dispotico [97].
Tutt’altra cosa è il c.d. paternalismo debole (soft) o tutorio [98], che interviene legittimamente, anche penalmente, per proteggere la persona quando la sua scelta non sia autonoma, ma viziata in termini di età, capacità, etc., e dunque garantisce l’effettiva libertà di tutti [99], costituendo, dunque, in realtà un corollario del principio della prevenzione del danno ai terzi costituiti dai soggetti deboli [100]. È decisiva, pertanto, la rigorosa individuazione dei soggetti deboli, per evitare operazioni di occultamento di scelte frutto di paternalismo duro [101], come nella giustificazione di Roxin [102] della sanzione del consumo di droghe perché riduce i pericoli della droga «per i consumatori incapaci di responsabilità», in cui vi è sostanzialmente la identificazione tra consumatore e incapace di responsabilità, un semplice trucco retorico per evitare la contestazione della sanzione penale di un “vizio”.
La necessità dell’altruità del danno ad un bene giuridico mette di per sé in crisi ogni genere di proibizionismo contro droghe, alcool, prostituzione che pretenda di avvalersi del diritto penale [103] ancorché non direttamente sul consumatore finale. Al rifiuto netto di forme, anche moderate, di paternalismo legale che usino il diritto penale per la affermazione di una società senza vizi individuali non possono infatti opporsi i costi sociali di cure e ospedalizzazioni degli utilizzatori gravanti sull’intera comunità – come propugna un uso, non tanto conservatore [104], quanto fraudolento del principio del danno – per tre ordini di ragioni: pragmatiche, poiché i costi del diritto penale in termini economici e di libertà individuale sono ben maggiori di qualsiasi altro intervento statuale; morali, perché il diritto penale non è una risposta in sé appropriata a tali problemi; ed, infine, di principio, perché la salute è un bene giuridico personalissimo per definizione e non può ritenersi oggetto di alcun contratto sociale che la metta tout court a disposizione della collettività [105].
Va evidenziato, d’altra parte, che la criminalizzazione (ma vale anche per la sanzione amministrativa) dell’uso può trasformare una droga in un frutto proibito più appetibile per i potenziali consumatori e mettere la produzione nelle mani di bande criminali che rendono il consumo sempre più dannoso. Gli utenti possono diventare meno disposti a cercare cure mediche per paura di esporsi e possono finire con precedenti penali che portano all’esclusione sociale e danneggiano le loro prospettive di lavoro negli anni a venire [106], cosicché appare chiaro che il danno provocato dalla criminalizzazione è sproporzionato rispetto a qualsiasi danno prevenuto e che il rapporto costi benefici pende, dunque, nel senso della sottrazione alla sfera penale di tutta la materia, che è diventata un fertile terreno di arricchimento delle più pericolose associazioni criminali e terroristiche internazionali. Insomma, il paternalismo penale, oltre ad essere inammissibile in teoria [107] è anche inutile in concreto e addirittura criminogeno favorendo la grande criminalità organizzata [108].
Diversa questione, ovviamente, è la sanzione penaledei danni a terziprovocati a causa dell’assunzione di sostanze stupefacenti o in stato ubriachezza, laddove la legge penale deve senz’altro intervenire rigorosamente.
11. Il tema della prostituzione e il superamento del moralismo positivo.
Il tema della prostituzione, di cui è controversa la collocazione tra paternalismo duro e paternalismo debole, è stato recentemente affrontato dalle sentenze della Corte cost. nn. 141/2019 e 278/2019, con riguardo alle condotte che la favoriscono, sentenze che costituiscono un utile riferimento per districarsi nella materia dei limiti al legislatore e dei possibili interventi correttivi delle corti costituzionali.
La Corte configura la prostituzione come attività economica di tipo autonomo, non come diritto fondamentale, il che pare più che evidente, ed afferma che i limiti posti dall’art. 41 co. 2 Cost. giustificano la compressione delle possibilità di sviluppo dell’attività di prostituzione – di cui si presentano tutti i profili critici nella prospettiva della libertà e della dignità della persona – che deriva dalle norme in questione. Viene, dunque, respinto un approccio moralistico positivo e richiamati i temi della tutela dei terzi deboli di cui la legislazione deve farsi carico.
Per quanto riguarda i limiti al legislatore, con riferimento alla censura delle previsioni per contrasto con il principio di offensività, la Consulta reputa insindacabile l’incriminazione in questione poiché «costituisce materia affidata alla discrezionalità del legislatore. Gli apprezzamenti in ordine alla meritevolezza e al bisogno di pena – dunque, sull’opportunità del ricorso alla tutela penale e sui livelli ottimali della stessa – sono, infatti, per loro natura, tipicamente politici (sentenze n. 95 del 2019 e n. 394 del 2006). Le scelte legislative in materia sono pertanto censurabili, in sede di sindacato di legittimità costituzionale, solo ove trasmodino nella manifesta irragionevolezza o nell’arbitrio (ex plurimis, sentenze n. 95 del 2019, n. 273 e n. 47 del 2010; ordinanze n. 249 e n. 71 del 2007; nonché, con particolare riguardo al trattamento sanzionatorio, sentenze n. 179 del 2017, n. 236 e n. 148 del 2016)» [109]. Affermazioni che appaiono alla Corte cost. ancor più valide «in rapporto a un fenomeno come quello della prostituzione, il quale, per quanto rilevato in apertura di discorso, si presta a un’ampia varietà di differenti valutazioni e strategie d’intervento» [110].
In particolare, quanto alla limitazione della discrezionalità legislativa che deriva dall’esigenza di rispetto del principio di offensività, la Corte ribadisce che tale principio opera «su due piani distinti. Da un lato, come precetto rivolto al legislatore, il quale è tenuto a limitare la repressione penale a fatti che, nella loro configurazione astratta, presentino un contenuto offensivo di beni o interessi ritenuti meritevoli di protezione (cosiddetta offensività in astratto). Dall’altro, come criterio interpretativo-applicativo per il giudice comune, il quale, nella verifica della riconducibilità della singola fattispecie concreta al paradigma punitivo astratto, dovrà evitare che ricadano in quest’ultimo comportamenti privi di qualsiasi attitudine lesiva (cosiddetta offensività in concreto) (sentenze n. 225 del 2008, n. 265 del 2005, n. 519 e n. 263 del 2000).
Quanto al primo versante, il principio di offensività in astratto non implica che l’unico modulo di intervento costituzionalmente legittimo sia quello del reato di danno. Rientra, infatti, nella discrezionalità del legislatore l’opzione per forme di tutela anticipata, le quali colpiscano l’aggressione ai valori protetti nello stadio della semplice esposizione a pericolo, nonché, correlativamente, l’individuazione della soglia di pericolosità alla quale riconnettere la risposta punitiva (sentenza n. 225 del 2008): prospettiva nella quale non è precluso, in linea di principio, il ricorso al modello del reato di pericolo presunto (sentenze n. 133 del 1992, n. 333 del 1991 e n. 62 del 1986)» [111]. Con il limite «che la valutazione legislativa di pericolosità del fatto incriminato non risulti irrazionale e arbitraria, ma risponda all’id quod plerumque accidit» [112].
Sul tema specifico la Consulta – dopo avere preso atto del passaggio, nella lettura giurisprudenziale, del bene tutelato dalla moralità pubblica e buon costume alla dignità della persona esplicata attraverso lo svolgimento dell’attività sessuale, che non potrebbe costituire materia di contrattazioni [113]– risponde alle critiche secondo cui il «richiamo al concetto di dignità – che nella cornice del più recente orientamento assume chiaramente una valenza oggettiva – maschererebbe, nella sostanza, una riesumazione della vecchia prospettiva della tutela della morale dominante: valore insuscettibile – in assunto – di assurgere a oggetto della tutela penale, ostandovi il principio di laicità dello Stato, che impedirebbe di assoggettare a pena determinate condotte solo perché considerate dai più eticamente scorrette»[114], affermando che le incriminazioni in questione sono «conciliabili con il principio di offensività in astratto ove riguardate nell’ottica della protezione dei diritti fondamentali dei soggetti vulnerabili e delle stesse persone che esercitano la prostituzione per scelta» [115], seppur non costituzionalmente imposte.
Alla valutazione di ragionevolezza della fattispecie incriminatrice la Consulta fa seguire, tuttavia, la necessità di operare una valutazione della offensività in concreto «e, dunque, il potere-dovere del giudice comune di escludere la configurabilità del reato in presenza di condotte che, in rapporto alle specifiche circostanze, si rivelino concretamente prive di ogni potenzialità lesiva» [116], ovvero non coinvolgano negativamente libertà e dignità della persona.
In conclusione, la Corte, nella pur opportuna astensione dall’attribuirsi un ruolo attivo nella costruzione della fattispecie incriminatrice, richiedendo la verifica giudiziale “in concreto” dell’offesa a libertà e dignità della persona, non fa altro che introdurre un “astratto” elemento di fattispecie in termini di evento lesivo, implicito nella lettura costituzionalmente orientata della previsione, che in realtà supera anche la lettura del moralismo positivo laico, emergente anche nella citata giurisprudenza di legittimità, per cui la attività economica della prostituzione costituisce in sé una attività deprecabile, ammettendo che vi possa essere un suo esercizio rispettoso della libertà e dignità della persona.
12. Quando la depenalizzazione conseguente al riconoscimento di libertà illimitate può seriamente incrinare la tutela di beni essenziali di ciascun membro della comunità politica.
Emerge anche dalla giurisprudenza appena citata che vi sono ambiti in cui legittimamente il diritto penale entra in campo contraendo i diritti individuali in una prospettiva di tutela di beni di maggior rilievo e di interesse di ciascun membro della comunità politica. Un esempio significativo può essere costituito dalla criminalizzazione del possesso di armi, notoriamente non ammessa negli USA, ma prevista in Italia. Infatti, se possedere una pistola non è di per sé dannoso e la maggioranza (anche negli U.S.A.) le possiedono senza mettere a rischio irragionevolmente la vita altrui, la superficiale applicazione del principio del danno agli altri dovrebbe impedirne la criminalizzazione di ciò che è riconosciuto come un diritto, persino di rango costituzionale negli U.S.A.. Tuttavia, proprio una puntuale applicazione del principio della prevenzione del danno agli altri consente di criminalizzare il generale possesso (non autorizzato) di armi perché evita danni che non sarebbero altrimenti prevenuti a un costo non sproporzionato [117].
Non dissimile il modo con cui va affrontata la questione dell’aiuto al suicidio e dell’eutanasia, fuori dal contesto del rifiuto di cure salva vita [118] in cui la questione si identifica con la volontà di evitare una agonia dolorosa [119], riguardo a cui non vi sono evidentemente ragioni opponibili di concreti pericoli per la tutela della vita dei membri della comunità [120].
In generale, invece, in materia di tutela della vita – al livello più alto nel catalogo dei beni da tutelare – a dover preoccupare il legislatore sono gli effetti sul piano della significativa riduzione della tutela della vita della generalità dei partecipanti alla comunità politica che uno squilibrato bilanciamento legislativo dei diritti può comportare: è legittimo dunque operare secondo il principio della prevenzione del danno agli altri. Nella materia, particolarmente delicata per la libertà individuale, è chiaro che i limiti e le regolamentazioni stringenti, quali la sanzione dell’aiuto al suicidio e dell’omicidio del consenziente, sono rivolti alla salvaguardia della vita di ciascuno e della generalità dei partecipanti – specialmente i più deboli – alla comunità politica, la quale la reputa il più alto bene da tutelare e, pertanto, bilancia le estreme istanze individuali di esercizio della libertà con il più alto valore individuale e comunitario della vita.
In tale prospettiva è innegabile che dare spazio nell’ordinamento giuridico a una totale e incontrollata libertà sintetizzabile nello slogan «la vita è mia e ne faccio ciò che voglio» incrina una credibile tutela della vita di ciascuno e dell’insieme dei membri della comunità politica. Insomma, unitamente alla laicizzazione del tema, occorre confrontarsi – liberi da schemi ideologici preconcetti – con la concreta e complessa realtà, avendo sempre presente la centralità del bene vita come bene individuale della cui tutela si deve fare carico la comunità politica, il cui disinteresse al riguardo, come taluno pretende, sarebbe del tutto estraneo a qualsiasi consorzio umano e, soprattutto, alla Carta fondativa della nostra comunità statuale.
È necessario, da un lato, che l’esercizio dei diritti individuali, in particolare per i soggetti più deboli, sia autenticamente libero, e, dall’altro, che nella formulazione della disciplina complessiva della materia si evitino concreti e verificabili pericoli per la salvaguardia del bene vita a danno della generalità e di ciascuno dei cittadini ed, in particolare, il concreto pericolo per la vita dei soggetti vulnerabili [121], nella specie da intendersi in senso molto ampio e ricomprendente larghi strati della popolazione, conseguente al totale disinteresse statuale per tutta una gamma di condotte ascrivibili alle fattispecie di aiuto al suicidio e omicidio del consenziente, come ben evidenzia la Corte costituzionale nella sentenza n. 50/2022.
La differenza fondamentale tra proibizionismo in materia di droghe, contestabile legittimamente per essere espressione di paternalismo duro, e la sanzione penale di aiuto al suicidio e omicidio del consenziente sono il rilievo dei beni in gioco e la prossimità alla lesione degli stessi. La vita è direttamente e irrimediabilmente coinvolta dalla tutela fornita da questi ultimi reati, mentre il primo concerne la generica salute personale e collettiva dei soggetti dediti all’uso delle sostanze stupefacenti, cioè una troppo ampia e generica categoria di bene interessato e di comportamenti proibiti perché non possa seriamente dubitarsi della legittimità di una interferenza paternalistica nelle decisioni personali, che può essere considerata in definitiva la mera sanzione di un vizio.
Esemplare e condivisibile in proposito la sentenza della Corte cost. n. 50/2022, che giudica inammissibile il referendum sull’art. 579 c.p.. La quale sottolinea, in primo luogo, che «il diritto alla vita, riconosciuto implicitamente dall’art. 2 Cost., è “da iscriversi tra i diritti inviolabili, e cioè tra quei diritti che occupano nell’ordinamento una posizione, per dir così, privilegiata, in quanto appartengono – per usare l’espressione della sentenza n. 1146 del 1988 – all’essenza dei valori supremi sui quali si fonda la Costituzione italiana” (sentenza n. 35 del 1997). Esso “concorre a costituire la matrice prima di ogni altro diritto, costituzionalmente protetto, della persona” (sentenza n. 238 del 1996).
Posizione, questa, confermata da ultimo, proprio per la tematica delle scelte di fine vita, nell’ordinanza n. 207 del 2018 e nella sentenza n. 242 del 2019, ove si è ribadito che il diritto alla vita, riconosciuto implicitamente dall’art. 2 Cost. (sentenza n. 35 del 1997), nonché, in modo esplicito, dall’art. 2 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali (CEDU), firmata a Roma il 4 novembre 1950, ratificata e resa esecutiva con legge 4 agosto 1955, n. 848, è il “primo dei diritti inviolabili dell’uomo (sentenza n. 223 del 1996), in quanto presupposto per l’esercizio di tutti gli altri”, ponendo altresì in evidenza come da esso discenda “il dovere dello Stato di tutelare la vita di ogni individuo: non quello – diametralmente opposto – di riconoscere all’individuo la possibilità di ottenere dallo Stato o da terzi un aiuto a morire”». In particolare, affermando che la ratio di tutela dell’art. 579 cod. pen., alla luce del mutato quadro costituzionale, «guarda alla persona umana come a un valore in sé, e non come a un semplice mezzo per il soddisfacimento di interessi collettivi» (già Corte cost. n. 207/2018), in quanto, «vietando ai terzi di farsi esecutori delle altrui richieste di morte, pur validamente espresse, l’incriminazione dell’omicidio del consenziente assolve, in effetti, come quella dell’aiuto al suicidio (ordinanza n. 207 del 2018), allo scopo, di perdurante attualità, di proteggere il diritto alla vita, soprattutto – ma occorre aggiungere: non soltanto – delle persone più deboli e vulnerabili, in confronto a scelte estreme e irreparabili, collegate a situazioni, magari solo momentanee, di difficoltà e sofferenza, o anche soltanto non sufficientemente meditate».
Bene fa, dunque, la Corte a evidenziare che, in nome di una concezione astratta dell’autonomia individuale, non possano essere ignorate «le condizioni concrete di disagio o di abbandono nelle quali, spesso, simili decisioni vengono concepite» (già ordinanza n. 207 del 2018) e che «quando viene in rilievo il bene della vita umana … la libertà di autodeterminazione non può mai prevalere incondizionatamente sulle ragioni di tutela del medesimo bene, risultando, al contrario, sempre costituzionalmente necessario un bilanciamento che assicuri una sua tutela minima». Insomma, «discipline come quella dell’art. 579 cod. pen., poste a tutela della vita, non possono, pertanto, essere puramente e semplicemente abrogate, facendo così venir meno le istanze di protezione di quest’ultima a tutto vantaggio della libertà di autodeterminazione individuale». Puntualmente sottolineando che «le situazioni di vulnerabilità e debolezza alle quali hanno fatto riferimento le richiamate pronunce di questa Corte non si esauriscono, in ogni caso, nella sola minore età, infermità di mente e deficienza psichica, potendo connettersi a fattori di varia natura (non solo di salute fisica, ma anche affettivi, familiari, sociali o economici); senza considerare che l’esigenza di tutela della vita umana contro la collaborazione da parte di terzi a scelte autodistruttive del titolare del diritto, che possono risultare, comunque sia, non adeguatamente ponderate, va oltre la stessa categoria dei soggetti vulnerabili».
13. Le offese ai sentimenti non possono essere reati. La questione della anticipazione della tutela.
Sono, infine, discutibili e non coerenti con la teoria del bene giuridico gli ulteriori principi posti più recentemente nella elaborazione anglosassone a base della legittimazione della incriminazione per i loro effetto espansivo di una materia che, invece, va contenuta [122]. In particolare, è contestabile il principio della molestia(offense), che fonda la incriminazione di condotte che non danneggiano ma sono gravemente moleste per gli altri, cioè provocano sentimenti indesiderati [123], ovvero ledono sentimenti [124], disturbano gli altrui sensi (con gli odori o il rumore), il sistema nervoso vegetativo (con il disgusto), la sensibilità morale (o sentimento religioso o morale) e la cd. pace interiore (con la paura, l’umiliazione. Infatti, in una società multiculturale basata sulla tolleranza possono esservi legittimamente condotte che contrastano anche fortemente con i valori di una parte della comunità e ne ledano i sentimenti [125].
Nella casistica proposta per rappresentare la molestia occorre valutare se sussista un effettivobene giuridicoleso che non sia un mero sentimento [126]: ad es. nell’esibizionismo il bene giuridico tutelato può essere individuato nella riservatezza individuale, colpita non solo dalla invasione nella propria sfera riservata (ad es. telecamera nascosta nel proprio bagno), ma anche dall’essere resi partecipi senza consenso della sfera specialmente intima altrui, peraltro non è detto che un siffatto bene debba essere necessariamente tutelato penalmente [127]. Diversamente non può essere la sola ripulsione provocata dalle condotte altrui a costituire la base di una incriminazione: ad esempio, fa parte ormai del folklore culturale la repulsione provocata nei cd. bigotti alla fine degli anni Settanta dagli hot pants portati in città o dal monokini nelle spiagge, sfociata anche in ben contestabili procedimenti penali.
Comunque, nemmeno l’utilizzazione della teoria del bene giuridico o del principio della prevenzione del danno – certo di difficile definizione [128]– sembra determinare confini netti della incriminazione [129].
Non risolve, in particolare, il problema forse più spinoso costituito dalla anticipazione della tutela fino ad un punto in cui è estremamente debole il legame con la lesione del bene, poiché le leggi penali esistenti anche in ambito anglosassone [130] non criminalizzano solo condotte che causano immediatamente un danno, ma anche condotte la cui relazione causale con il danno è più remota (remote Harm) [131], e problemi particolarmente gravi pone la vasta categoria dei nonconsummate offenses [132], che include le condotte che hanno lo scopo di causare danni, quelle che, comunque, mettono in pericolo gli altri, nonché quelle che, pur non concretamente pericolose (o di cui non vi sia bisogno di provare la concreta pericolosità), usualmente lo sono, assimilabili alle varie figure di reati di pericolo conosciute dalla tradizione continentale [133]. Un ulteriore esempio è costituito dalle condotte che contribuiscono all’altrui commissione del reato. Tematiche che non possono essere qui affrontate ma anche riguardo alle quali occorre fissare dei limiti alla legge penale [134].
14. I reati sono illeciti pubblici perché riguardano tutti i cittadini.
Molti aspetti di ciò che può meritare la definizione di reato sono stati delineati, ma ancora incerta resta la distinzione tra il danno causato a beni pubblici e beni privati e l’attribuzione di rilevanza solo al primo, cosicché ad esempio il tradimento di un’amicizia o di un matrimonio non possono essere puniti in quanto provocano solo danni privati, riguardo a cui non sono decisive le stesse concezioni del bene giuridico e della prevenzione del danno agli altri, per quanto fondamentali, cosicché occorre individuare ulteriori criteri distintivi.
Si ricorda al riguardo che, per una nota lettura [135], un illecito o un danno è pubblico se e in quanto offenda o danneggi il pubblico, e non solo una singola vittima, che può essere adeguatamente tutelata dai tribunali civili, come appare in modo chiaro in alcuni reati che danneggiano o mettono in pericolo un insieme di individui tra i quali non possono identificarsi singole vittime oppure in quelli che interessano una collettività di beni condivisi, casi in cui si parla anche di reati senza vittima o a vittima diluita [136]. Nel primo gruppo sono ricompresi i reati integrati daaggressioni all’ordine pubblico causate da comportamenti violenti, turbolenti, che costituiscono una minaccia di un danno grave per ogni persona presente nei luoghi coinvolti e possono minare quel senso condiviso di sicurezza garantita da cui dipende la nostra vita civile [137], ma pongono anche il grave problema del possibile abuso politico [138]; nonché i reati contro l’incolumità pubblica. Al secondo gruppo sono ascritti i reati che ledono o minacciano le istituzioni propriedella comunità politica, tra cui i reati contro l’amministrazione della giustizia, contro la pubblica amministrazione, in materia elettorale e in materia fiscale, per quanto da questi ultimi non si possa evincere che sia tout court il valore delle istituzioni stabili a legittimare l’esistenza del diritto penale [139].
I reati che si presentano in queste forme confutano, oltretutto, insuperabilmente l’idea che il diritto penale possa essere rappresentato dalla polarità tra reo e vittima [140] e che, dunque, abbiano fondamento le teorie abolizioniste basate sull’idea che il diritto penale ruba i conflitti a coloro a cui appartengono.
Ma è evidente che non si possono giustificare tutti i reati in questo modo. Si tenta allora di raggiungere tale risultato con l’attribuzione al diritto penale della finalità di tutelare il buon funzionamento della società e la salvaguardia dell’ordine [141] o con la omologa tesi secondo cui l’illiceità penale delle condotte consiste nella loro tendenza a provocare volatilità sociale [142]o a minare il tipo di fiducia da cui dipende la vita civile [143], per le quali ciò che rende i reati – inclusi l’omicidio e lo stupro – illeciti penali non è il danno che causano alle loro immediate vittime individuali, ma i più ampi effetti che provocano su stabilità sociale o fiducia.
Un altro argomento utilizzato è l’idea di iniquità – ingiustizia[144], secondo cui i reati meritano la pena perché l’autore ne trae un vantaggio sleale nei confronti dei concittadini onesti: egli accetta i benefici dell’altrui autocontrollo rispettoso della legge (la sicurezza reciproca prevista da un efficace ordinamento giuridico), ma si rifiuta di dare il suo contributo a tale ordinamento non esercitando tale autocontrollo.
L’ovvia obiezione è che così rappresentandoli si altera il carattere specificodei reati, sarebbe come dire che un assassino o uno stupratore deve essere punito non per ciò che ha fatto alla sua vittima, ma per avere creato instabilità sociale o minato la fiducia dei cittadini o, ancora, per avere conseguito uno sleale vantaggio rispetto ai concittadini rispettosi della legge [145]. Esemplare il caso della violenza domesticache, pur prevista come reato, in passato non veniva presa sul serio dalla giustizia penale, in particolare la polizia era spesso riluttante ad intervenire perché la vedeva come un problema della coppia da risolvere all’interno delle mura domestiche, con sullo sfondo l’idea che si trattasse di illeciti privati piuttosto che pubblici. Ma l’attuale riconoscimento della violenza domestica come un reato da perseguirsi severamente non è certo giustificata perché provoca instabilità sociale, poiché spesso si tratta di reati commessi da uomini che nella loro vita sociale sono modelli di conformismo pacifico, o perché mina la generale fiducia da cui dipende la vita sociale, trattandosi di fatti confinati dentro le mura domestiche, o, ancor meno, perché arreca uno sleale vantaggio rispetto ai soggetti rispettosi della legge, come se fossero esigenze di giustizia-equità a trattenere questi ultimi dal commettere tali illeciti. Va da sé che per spiegare la rilevanza penale degli abusi domestici non va rinvenuto un danno pubblico distinto dal danno causato alle vittime individuali, ma rileva solo quest’ultimo. Gli illeciti subiti dalle donne abusate non sono però un loro affare privato, ma un affare di tutta la comunità politica a cui appartengono; va riconosciuta la loro forte richiesta di protezione e di sostegno da parte dei concittadini, al pari delle vittime di aggressioni da parte di estranei, fondata semplicemente sullaloro partecipazione alla comunità politica.
Insomma, occorre considerare che gli illeciti di rilevanza penale sono illeciti pubblici non perché ledono il pubblico, ma perché riguardano propriamente il pubblico, tutti i cittadini, il sistema politico e isuoi membri – e solo in tal senso si può anche dire che si tratta di illeciti contro o dannosi per il pubblico – poiché negano i valori fondamentali in cui la comunità politica si riconosce e i vincoli normativi che definiscono i rapporti civili dei suoi membri e, pertanto, sono illeciti non solo contro le loro vittime individuali, ma contro tutti i componenti la comunità politica nella misura in cui si identificano con quelle vittime, sono illeciti che si condividono collettivamente [146]. Come evidenzia Demostene nell’orazione contro Midia nel 360 a.C., laddove (7, 1-12) motiva la sua azione affermando di non essere la sola vittima della húbris di Midia, bensì i giudici, le leggi e tutti gli altri cittadini.
Parlare in questo senso di illeciti o lesioni pubbliche non vuol dire, comunque, che si tratta di illeciti che debbono essere criminalizzati, ma che si tratta di illeciti che riguardano tutta la comunità politica [147].
Dunque, nemmeno l’idea di illeciti o danni pubblici può fornire criteri o principi assoluti per la incriminazione, si può dire che il diritto penale è interessato agli illeciti pubblici, piuttosto che ai privati, ma ciò consegue alla precedente classificazione della condotta lesiva come una specie di illecito idoneo alla incriminazione, di cui cioè gli autori debbono essere chiamati a rispondere dal sistema politico nel suo complesso, non solo dalla vittima individuale.
15. Le leggi penali come leggi costituzionali.
Dal quadro delineato emergono la debolezza ma anche la, per così dire, necessità delle concezioni del danno e del bene giuridico, le quali possono interagire [148], sostenendosi l’un l’altra, e fornire criteri utili per determinare quali tipi di condotte siano idonee alla incriminazione in uno stato liberale di diritto. Deve trattarsi di comportamenti che ledono beni giuridici altrui e negano, implicitamente o esplicitamente, i valori fondamentali della comunità politica alla base della convivenza civile. Mentre costituisce un evidente abuso del potere statale imporre con i mezzi del diritto penale concezioni di valore particolari [149]. Infine, si deve trattare di illeciti dai quali ogni cittadino è categoricamente assicurato dalla comunità che non verrà colpito nel corso della sua esistenza, piuttosto che illeciti da cui il cittadino può attendersi di essere colpito, salva la possibilità di chiederne il risarcimento. Insomma, debbono causare un danno pubblico piuttosto che un danno privato all’individuo. Da ciò deriva anche che il cittadino deve mantenere in linea di principio la disposizione dei beni di cui è titolare e necessita dell’intervento dello Stato solo quando non sia capace di difendere con le sue forze i beni di cui è titolare [150].
Occorre, dunque, comprendere che cosa unisce i cittadini di una comunità politica e che cosa si debbono garantire reciprocamente, poiché il diritto e la procedura penale – gli agenti statali parlano per tutti noi e sono gli unici legittimati a ciò [151]– altro non sono che l’adempimento di tale funzione, che presenta il valore di rendere la comunità fedele ai valori nei quali i membri si identificano [152]. Una analisi che può produrre risultati differenti nelle diverse situazioni storico-politiche, espressa dalla asserzione che il reato è un’entità giuridica storicamente condizionata [153].
Il compito di decidere «sulle occasioni, gli scopi, gli strumenti degli obblighi e dei divieti penali» [154], cioè di cogliere il nesso essenziale tra società e leggi che solo può vivificare l’arida normatività del diritto [155], è affidato ai parlamenti democraticamente eletti, espressione della sovranità popolare. È indubbio che nell’individuare i beni da proteggere contro i danni arrecati da terzi con le pene più afflittive di cui dispone – beni che non possono essere creati di volta in volta dal legislatore a suo piacimento, né sono una mera abbreviazione dell’idea di scopo, ma preesistono – il legislatore deve interpretare i segnali che provengono dalla società e, quindi, ricercare ampio consenso sociale ed estese convergenze parlamentari, procedendo con ogni cautela possibile nella scelta di incriminare determinate condotte, nella costruzione del tipo e nell’entità delle pene. La necessità che si attenga ad una politica dei beni giuridici è una «direttiva di livello costituzionale» [156] imposta dal principio del diritto penale del fatto ricavabile dalla Costituzione italiana e una sottolineatura dell’irrinunciabile esigenza del contenimento numerico e qualitativo delle norme penali che è, oltretutto, condizione per un soddisfacente funzionamento dell’intero sistema.
In questa prospettiva è condivisibile l’idea di considerare le leggi penali come leggi costituzionali, ovvero la cui approvazione richieda una maggioranza qualificata o un procedimento aggravato [157], come è previsto nell’art. 81 della Costituzione spagnola del 1978 (seppure con la sola maggioranza assoluta degli eletti). Con la precisazione che deve trattarsi di nuove fattispecie incriminatrici, mentre per le previsioni comunque limitanti la responsabilità penale valgono le regole generali [158]. Si tratta forse dell’unica modalità per garantire dal punto di vista sostanziale sul piano legislativo il principio in dubio pro reo ovvero pro libertate [159], ovvero impedire l’approvazione della incriminazione di un comportamento in presenza di una ampia opposizione che dubiti sulla sua legittimazione sotto i profili in precedenza esaminati.
Assume, inoltre, un peculiare significato la stessa idea illuminista e poi liberale di codice e in particolare di codice penale, di cui sono compiuta prima espressione i codici penale e di procedura penale napoleonici, approvati nel 1810, entrati in vigore nel 1811 [160], i quali costituiscono non solo elemento di chiarezza ma anche strumento capace di indicare con «i suoi contenuti e con la sua struttura, i valori fondamentali della società e le più gravi modalità della loro lesione» [161], insomma «catechismo della coscienza cittadina» [162]. Come si legge nelle prime parole della relazione al primo libro del Code pénal : «Si la lecture des lois pénal d’un peuple peut donner une juste idée de sa morale publique et de ses mœurs privées, le Code pénal qui vous est annoncé, et dont nous vous portons le premier Livre, attestera les progrès immenses qu’on faits parmi nous la raison et la philosophie». Idea ripresa, pur tra limiti e difficoltà, con il principio di riserva di codice.
Anche «la Costituzione italiana, come le altre Costituzioni democratiche e pluraliste contemporanee, richiede un continuo e vicendevole bilanciamento tra principi e diritti fondamentali, senza pretese di assolutezza per nessuno di essi», il cui «punto di equilibrio, dinamico e non prefissato in anticipo, deve essere valutato – dal legislatore nella statuizione delle norme e dal giudice delle leggi in sede di controllo – secondo criteri di proporzionalità e ragionevolezza, tali da non consentire un sacrificio del loro nucleo essenziale» [163]. Per tali ragioni la individuazione dei reati è un compito del legislatore su cui la Corte costituzionale interviene solo in caso di grave vulnus dei detti principi.
Questione aperta sono, peraltro, i termini di un effettivo controllo della Corte costituzionale [164] su tale attività e, in particolare, sulla reale significatività del bene giuridico tutelato dai reati, che si accompagna all’idea del vincolo di razionalità per il legislatore legato alla sussistenza del danno sociale [165]. Controllo, dunque, non solo limitato all’inosservanza delle procedure previste per il varo delle leggi o alla violazione dei diritti fondamentali del singolo e al principio di eguaglianza, ma esteso anche alla sussistenza dei caratteri propri del reato in senso materiale e, dunque, al rispetto dei principi diragionevolezza-proporzionalità in senso ampio [166] e di offensività [167].
Minimi sono stati gli interventi della Consulta utilizzando in funzione critica il principio della tutela dei beni giuridici, che ha toccato solo norme incriminatrici marginali [168]. La Corte costituzionale ha, d’altra parte, utilizzato il bene giuridico come strumento di razionalizzazione quantitativa delle sanzioni, facendo in particolare leva sul principio di eguaglianza, intervenendo con dichiarazione di parziale illegittimità sul quantum della sanzione ampliando la portata delle fattispecie sanzionate in misura minore.
Con autorevole dottrina [169] si può affermare, comunque, che il controllo di costituzionalità (proporzionalità, ragionevolezza, offensività) presupponga (ancorché non si esaurisca nella valutazione del-) la sussistenza di un bene giuridico tutelato, dal che consegue che un precetto penale che non protegge beni giuridici può essere incostituzionale in quanto limitazione irragionevole (sproporzionata) della libertà del cittadino [170].
16. Il divieto di un uso propulsivo del diritto penale.
In questo quadro complessivo, faticosamente ricostruito, si comprende che sia del tutto estranea al diritto penale liberale l’attribuzione ad esso di qualsivoglia funzione promozionale o propulsiva, del miglioramento della società, compito proprio di altri settori dell’ordinamento giuridico [171]. L’idea contestata è nel cuore (se non nella mente) anche dei legislatori contemporanei di ogni fede politica, quando si presenta il diritto penale come «strumento che concorre alla realizzazione del modello e degli scopi di promozione sociale prefigurati dalla Costituzione» [172]; e ne è evidente la matrice totalitaria espressa dall’Antolisei [173] quando afferma che il diritto penale, nel quadro della svolta eticizzante compiuta dallo Stato fascista, non può limitarsi alla conservazione di beni statici preesistenti, ma deve contribuire «a trasformare le condizioni di vita della comunità sociale ed anche la coscienza del popolo allo scopo di conseguire determinate finalità nazionali e sociali» [174].
La pretesa di migliorare la società con la pena è semplicemente inaccettabile [175], in quanto si traduce nella giustificazione dell’uso della “violenza” statuale per usurpatori d’ogni risma che si propongono come gli autentici depositari dei bisogni, delle esigenze e delle volontà dei propri cittadini/sudditi [176]: è ciò che caratterizza negativamente gli stati totalitari (e i portatori occulti e spesso inconsapevoli del pensiero totalitario) di ogni colore nei confronti dello Stato liberale, che garantisce la libertà individuale sopra ogni cosa ed in cui la questione penale si identifica con la questione dei limiti all’uso di tale strumento.
Va, pertanto, in questa sede rimarcato criticamente come la Corte edu e la CGUE sembrino accantonare il principio secondo cui la legge penale deve essere impiegata solo come ultima ratio per la tutela dei beni giuridici, dei quali in definitiva viene messa in discussione la funzione critica e limitatrice [177], esprimendo, in generale «una posizione decisamente punitiva, inconciliabile con i principi di uno Stato di diritto» [178]. Da un lato, la Corte di giustizia, interpreta le istanze del diritto euro-unitario con una logica funzionale che mira alla massimizzazione della sua effettività anche con l’uso del diritto penale [179], nella prospettiva politica di incrementare la collaborazione degli stati membri [180]. Dall’altro, in part. la Corte eduha un approccio vittimo-centrico e punitivista che passa attraverso gli obblighi positivi di incriminazione e l’ermeneutica di lotta del giudice, chiamato ad abbandonare posizioni di equidistanza ed a praticare interpretazioni evolutive ampliative per le incriminazioni e restrittive per le disposizioni di favore in nome della sicurezza dei diritti [181], che stravolge secoli di elaborazione della pressoché unanime dottrina penalistica continentale, poiché l’unico giudice di scopo (ovvero che persegua obiettivi di politica criminale) tollerato dal diritto penale costituzionale continentale è quello che diminuisce la sofferenza che la pena reca con sé, invece di accrescerla in nome della tutela dei beni e dei cittadini onesti [182].
In particolare, pare esprimere una significativa divergenza con le posizioni espresse anche dalla dottrina italiana sulla negazione della sussistenza di obblighi costituzionali di incriminazione [183], la affermazione della Corte di Strasburgo di obblighi di incriminazione discendenti dalla Cedu in tema di aggressioni dolose contro vita, incolumità e la libertà delle persone [184]. In questa prospettiva anche il Comitato per i diritti umani dell’ONU e la Corte interamericana dei diritti umani [185], con riferimento alle formule «ensure» e «right-to-remedy» contenute nelle rispettive convenzioni [186]. Capovolgendo l’uso liberale dei diritti da limite allo ius puniendi statale (scudo) a fonte di obblighi di incriminazione (spada). Ciò ovviamente a prescindere dal fatto che anche l’applicazione del principio di extrema ratio in una prospettiva general-preventiva possa condurre ad analoghi esiti, ma il punto è che tale principio impone per definizione un bilanciamento che deve essere effettuato da un organo rappresentativo e non da un organo giurisdizionale [187], come esattamente afferma la Corte costituzionale, e che gli indirizzi assunti dalla Corte edu fanno ritenere che lo strumento penale sia considerato un comune (e non eccezionale) strumento di tutela dei beni giuridici di rilievo [188].
Discutibili anche il divieto di sotto-protezione e, quindi, l’obbligo di tutela penale elaborato dalla Corte costituzionale tedesca [189], nonché il tentativo di ascrivere ad un diritto di protezione della vittima l’obbligo di intervento penale dello Stato [190].
La spiegazione della affermazione di diritti soggettivi e correlativi obblighi di protezione in materia – che evidenzia la lontananza delle asserzioni della Corte edu dai temi di carattere più generale che ci occupano – è il fatto che la Corte edu pretende di pronunciarsi retrospettivamente [191] sulla asserita violazione degli obblighi convenzionali, e sotto impulso individuale, cosicché le decisioni in materia alternano la prospettiva dei doveri oggettivi di garanzia alla prospettiva dei diritti soggettivi delle vittime, senza approfondimenti [192]. L’obiettivo pragmatico – che emerge dietro l’incerta forma dogmatica – è assicurare una sorta di effetto preventivo intimidatorio attraverso le indagini statali nei casi di morte di detenuti che ha bisogno della possibilità di denuncia creata dal riconoscimento di un diritto soggettivo. Insomma, come si osserva [193], «è piuttosto uno stratagemma processuale per poter giudicare nei casi di sparizione forzata o direttamente di omicidio, poiché, altrimenti, la generale privazione di diritti e l’arbitrarietà dello stato minaccerebbero nelle stanze oscure senza giustizia».
Parlare di obblighi penali di protezione, quale pendant di diritti soggettivi delle vittime, potrebbe avere, invece, un fondamento nei confronti dei pericoli che continuano a sussistere dopo la commissione del reato [194], come nei casi trattati dalla Corte costituzionale tedesca [195], ad esempio, quando una vittima sopravvive al reato e continua a subire le conseguenze psicologiche dell’aggressione, dovendo riacquisire fiducia nell’ordine normativo o nella propria sicurezza, per quanto anche con riguardo a quest’ultimo gruppo di fattispecie non sia affatto detto che il diritto penale possa fornire un aiuto decisivo per il superamento dei vissuti traumatici delle vittime [196].
In conclusione. Qualunque sia lo spazio concesso alla discrezionalità legislativa per conformarsi agli asseriti obblighi di protezione dei beni giuridici, quali che siano i rigorosi parametri che limitino siffatti obblighi [197], essi presuppongono e richiedono un controllo di costituzionalità che capovolge la tradizionale prospettiva limitatrice del bene giuridico, già in tale ruolo non del tutto soddisfacente per la sua genericità, in definitiva ledendo il principio di riserva di legge parlamentare e la divisione dei poteri nonché inficiando il principio di extrema ratio, rimettendo la valutazione della scelta incriminatrice ad un organo giurisdizionale, che contrasta con quanto affermato dalla nostra Carta per la stessa giurisprudenza della Corte costituzionale [198].
In definitiva ad impedire l’affermazione in Italia di obblighi costituzionali di tutela penale è l’impossibilità di sostituirsi al legislatore in una siffatta scelta della Corte costituzionale, la quale può solo limitarsi ad eliminare zone di irragionevole impunità in presenza di una scelta incriminatrice legislativa [199]. Si tratta del principio della separazione dei poteri costitutivo della identità costituzionale italiana opponibile anche alle corti europee [200].
[1] Rinvio in tema, come introduzione all’argomento, a COCCO, Introduzione a un concetto sostanziale di reato, in Studi economico-giuridici dell’Università di Cagliari, n. 1/2023 (in corso di pubblicazione), scritto rispetto al quale il presente contributo si pone in continuità.
[2] BRAITHWAITE, PETTIT, Not Just Deserts, Oxford, 1990, 99 ss.
[3] FEIBERG, The Moral Limits of the Criminal Law, I, Harm to Others, New York, 1984, cap. 3; DUFF, Theories of Criminal Law, in Stanford Encyclopedia of Philosophy, 2008.
[4] HIRSCH, Censure and Sanctions, Oxford, 1993, cap. 2; HIRSCH, HÖRNLE, Positive Generalprävention und Tadel, in GA, 1995, 270 ss.
[5] Per tutti v. Corte cost. n. 364/1988.
[6] Come sottolineato in COCCO, Introduzione a un concetto sostanziale di reato, cit., in part. § 4.
[7] Su cui già COCCO, Introduzione a un concetto sostanziale di reato, cit., § 5.
[8] Sulle teorie del reato e conseguenti prese di posizione al riguardo rinvio a COCCO, Teorie sulla pena e applicazione pratica, in Cocco, Ambrosetti (cur.), Trattato breve di diritto penale. Parte Generale, II, Punibilità e pene, Padova, 3a ed., 2022.
[9] Cfr. in tema MORRIS H., Persons and Punishment, The Monist 1968, 475; MORRIS N., The Future of Imprisonment, Chicago, 1974; MURPHY, Marxism and Retribution, in PPA, 1973, 217; HIRSCH, Doing Justice: The Choice of Punishments, New York , 1976; più di di recente WHITE (cur.), Retributivism: Essays on Theory and Policy, New York, 2011; TONRY (cur.), Retributivism Has a Past: Has it a Future?, New York, 2011. FRANCOLINI, Il dibattito angloamericano sulla legittimazione del diritto penale: la parabola del principio del danno tra visione liberale e posizione conservatrice, in Fiandaca, Francolini (cur.), Sulla legittimazione del diritto penale, Torino, 2008, 9.
[10]. Il che evidenzia la debolezza della individuazione del tipo di danno da incriminare in quello che ostacola gli interessi al benessere poiché tra i beni essenziali per il nostro benessere (RESCHER, Welfare: The Social Issue in Philosophical Perspective, Pittsburgh, 1972, 6; FEINBERG, The Moral Limits of the Criminal Law, I, cit., 37 ss.) vanno annoverati certamente anche l’amicizia e le altre relazioni sentimentali.
[11] Cfr. Rapporto Wolfenden, Report of the Departmental Committee on Homosexual Offenses and Prostitution, Cmd 247, London, 1957, par. 61. Si veda, ad esempio, la definizione della omosessualità come “turpe vizio” nei Lavori preparatori del codice penale e del codice di procedura penale, vol. V. Progetto definitivo di un nuovo codice penale con la relazione del guardasigilli on. Alfredo Rocco, Parte II, Relazione sui libri II e III del progetto, Roma, 1929, 314-315, che però reputa non necessario perseguirla penalmente.
[12] Così STEPHEN, Liberty, Equality, Fraternity (1873), ed. cur. White, Cambridge, 1967, 152.
[13] Cfr. GARDNER, Crime: In Proportion and in Perspective, in Ashworth, Wasik (cur.), Fundamentals of Sentencing Theory, Oxford, 1998, 31 ss.
[14] Cfr. DUFF, Theories of Criminal Law, cit.
[15] DEVLIN, The Enforcement of Morals, Oxford, 1965, 13 s.; MANZINI, Trattato di diritto penale italiano, vo. I, 5a ed., agg. di Nuvolone e Pisapia, Torino, 1985, 25 s., ritiene l’osservanza del minimo etico assoluto garantito dal d.p. necessario e sufficiente per la sicura e civile convivenza in un determinato momento storico.
[16] MOORE, Placing Blame: A Theory of Criminal Law, Oxford, 1997, 35.
[17] MOORE, Placing Blame, cit., 662.
[18] V. FEINBERG, The Moral Limits of the Criminal Law, IV, Harmless Wrongdoing, New York, 1988; DWORKIN, Paternalism, in The Monist, 1972, 64.
[19] HIRSCH, El concepto de bien jurídico y el ‘principio del daño’, in Hefendehl, Hirsch, Wohlers (cur.), La teoría del bien jurídico, ¿Fundamento de legitimación del Derecho penal o juego de abalorios dogmático?, Madrid, 2006, 51 (Das Rechtsgutsbegriffs und das ‛Harm Principle’, in GA, 2002, 2 ss.).
[20] § 173 co. 2 StGB e art. 564 c.p..
[21] Cfr. WOHLERS, Le fattispecie penali come strumento per il mantenimento di orientamenti sociali di carattere assiologico? Problemi di legittimazione da una prospettiva europea continentale e da una angloamericana, in Fiandaca, Francolini (cur.), Sulla legittimazione del diritto penale, cit., 131 s..
[22] BVerfG 26.2.2008, 2 BvR 392/07, BVerfGE v. 120, 241 e in RIDPP, 2009, 2091 (n. Dodaro).
[23] Critici, per tutti, HASSEMER, Opinione dissenziente del giudice Hassemer alla decisione del Secondo Senato del 26 febbraio 2008, in RIDPP, 2009, 2104, nella sua opinione dissenziente alla decisione quale giudice del BVerfG 26.2.2008, che evidenzia anche la violazione del principio di proporzione; e ROXIN, Zur Strafbarkeit des Geschwisterinzests, in StV, 2009, 544 ss.
[24] COCCO, L’eredità illuministica in materia penale: principi forti per affrontare le sfide contemporanee, in Cocco (cur.), Per un manifesto del neoilluminismo penale, Padova, 2016, 26 s., ivi ult. rif..
[25] MOORE, Placing Blame, cit., cap. 18.
[26] V. FEINBERG, The Moral Limits of the Criminal Law, IV, cit., 324; FEINBERG, The Moral Limits of the Criminal Law, I, cit., 27.
[27] Cfr. De MAGLIE, Alle radici del bisogno di criminalizzazione. riflessioni in tema di moralità, immoralità e diritto penale, in Crim, 2018, 15.
[28] PALIERO, La laicità penale alla sfida del ‘secolo delle paure’, in RIDPP, 2016, 1161.
[29] CANESTRARI, Libertà di espressione e libertà religiosa: tensioni attuali e profili penali, in RIDPP, 2016, 937.
[30] MOORE, Placing Blame, cit., 72 ss.; SIMESTER, HIRSCH, Crimes, Harms, and Wrongs. On the Priciples of Criminalisation, Oxford, 2011, 22 s.; DUFF, Towards a Modest Legal Moralism, in Crim. L. and Philosophy, 2014, 218 s.; HUSAK, Overcriminalization: The Limits of Criminal Law, Oxford, 2008, 92 s.; cfr. EDWARDS, Theories on Criminal Law, in Stanford Encyclopedia of Philosophy,2018.
[31] CADOPPI, Il reato omissivo proprio, Padova, 1988; CADOPPI, “Too much criminal law”. Per una drastica riduzione della criminalizzazione, in SSen, 2022, 1 ss.
[32] Sul divieto liberale di utilizzare il diritto penale quale strumento di promozione di nuovi valori v., infra, par. 16.
[33] ROMANO M., Legislazione penale e consenso sociale, in Jus, 1985, 422.
[34] GREEN, Why it’s a Crime to Tear the Tag off a Mattress: Over-Criminalization and the Moral Content of Regulatory Offenses, in Emory L.J., 1997, 1533 ss.; GREEN, The Conceptual Utility of Malum Prohibitum, in Dialogue, 2015, 39; GREEN, L’utilità concettuale della nozione di malum quia prohibitum, in Crim, 2016, 15; DUFF, Answering for Crime: Responsibility and Liability in the Criminal Law, Oxford, 2007, cap. 4.4, 7.3; critico HUSAK, Malum Prohibitum and Retributivism, in Duff, Green (cur.), Defining Crimes: Essays on the Special Part of the Criminal Law, Oxford, 2005, 65 ss.
[35] V, infra, par. 11.
[36] Il tema è approfondito in COCCO, Beni giuridici personali versus bene giuridico personalistico, in Studi Marinucci, Milano, 2006, I, 167, a cui si rinvia.
[37] BINDING, Die Normen und ihre Übertretung, t. I, Leipzig, 1a ed. 1872 (3a ed., 1916), 73.
[38] GRISPIGNI, Diritto penale italiano, vol. I, Introduzione e parte prima. Le norme penali sinteticamente considerate, 2ª ed. (rist.), Milano, 1952, 232 ss.
[39] Su cui si rinvia, di nuovo, a COCCO, Introduzione a un concetto sostanziale di reato, cit., in part. § 9.
[40] FIANDACA, MUSCO, Diritto Penale, Parte Generale, 8a ed., Bologna, 2019, 35 s.; DELITALIA, voce Diritto penale, in ED XII, 1964, 1097; LÜDERSSEN, Primäre oder sekundäre Zuständigkeit des Strafrechts?, in FS Eser, München, 2005, 163.
[41] TIEDEMANN, Wirtschaftsstrafrecht. AT, München, 2a ed., 2007, passim; TIEDEMANN, Strafrecht in der Marktwirtschaft, in FS Stree e Wessels, Heidelberg, 1993, 527; TRENDELENBURG, Ultima Ratio?, Subsidiaritätswissenschaftliche Antworten am Beispiel der Strafbarkeit von Insiderhandel und Firmenbestattungen, Frankfurt a M., 2011, 172 ss.
[42] SCHÜNEMANN, El derecho penal es la ultima ratio para la protección de bienes jurídicos! Sobre los límites inviolables del derecho penal en un Estado liberal de derecho, Bogotà, 2007, 7; e LEONARD, Towards a Legal History of American Criminal Theory: Culture and Doctrine from Blackstone to the Model Penal Code, in Buffalo Crim. L.R., 2003, 691, ascrivono la tendenza ad utilizzare il diritto penale come strumento del «terrorismo di stato» al common law, il cui pensiero giuridico-penale non emana dall’Illuminismo e dalla filosofia idealista, ma dal puritanesimo e dall’utilitarismo.
[43] Su cui rinvio, di nuovo, a COCCO, Introduzione a un concetto sostanziale di reato, cit., in part. § 7.
[44] Cfr. DUFF, Theories of Criminal Law, cit..
[45] DUFF, Theories of Criminal Law, cit.; SIMESTER, HIRSCH, Crimes, Harms, and Wrongs, cit., 10.
[46] Cfr. BYRD, HRUSCHKA, Kant zu Strafrecht und Strafe im Rechtsstaat, in JZ, 2007, 961.
[47] V. HART, The Concept of Law, Oxford, 2a ed. 1994, 35 s., su Kelsen.
[48] DUFF, Theories of Criminal Law, cit.
[49] BINDING, Die Normen, cit., 42 s.; KELSEN, Reine Rechtslehre, Vienna, 1934 (trad. cur. Treves, Lineamenti di dottrina pura del diritto, Torino, 1951); Vienna, 2ª ed. 1960 (trad. e intr. Losano, La dottrina pura del diritto, Torino, 1966), 22 s.; HOYER, Strafdogmatik nach Armin Kaufmann. Lebendiges und Totes in Armin Kaufmanns normentheorie, Berlin, 1996, 43 s.; cfr. RENZIKOWSKI, Normentheorie als Brücke zwischen Strafrechtsdogmatik und Allgemeiner Rechtslehre, in ARSP (87), 2001, 110.
[50] BINDING, Die Normen, cit., 42.
[51] Cd. imperatività della norma penale: ANTOLISEI, Manuale di diritto penale, parte generale, 15a ed., agg. Conti, Milano, 2000, 51.
[52] AUSTIN, The Province of Jurisprudence Determined, 1832 (rist. a cura di Rumble, Cambridge, 1995); BENTHAM [a], Principles of Penal Law, in Bowring (cur.), The Works of Jeremy Bentham, 11 vol., Edinburgh, 1838-43, I, 336 ss.
[53] DAHM, Der Methodenstreit in derheutigen Strafrechtwissenschaft, in ZStW, 1938, 225 s.; SCHAFFSTEIN, Der Streit um das Rechtsgutsverletzungsdognia, in DStR, 1937, 335 s.
[54] FIANDACA, MUSCO, Diritto Penale, Parte Generale, 8a ed., Bologna, 2019, 10 s..
[55] V. DUFF, Punishment, Communication, and Community, New York, 2001, 56 s.; DUFF, Prävention oder Überredung?, in Schünemann, Hirsch, Jareborg (cur.), Positive Generalprävention, Heidelberg, 1998, 184 s.; crit. GRECO, Lebendiges und Totes in Feuerbachs Straftheorie: ein Beitrag zur gegenwärtigen strafrechtlichen Grundlagendiskussion, Berlin 2009, 398.
[56] Cfr. DUFF, Theories of Criminal Law, cit.; COTTERRELL, Law’s Community, Oxford, 1995, cap. 11.
[57] Per la sottolineatura della censura morale MORRIS H., A Paternalistic Theory of Punishment, in American Phil. Quarterly, 1981, 263 ss.; HAMPTON, The Moral Education Theory of Punishment, in Phil. and Public Affairs, 1984, 208 ss.; DEMETRIOU, Justifying Punishment: The Educative Approach as Presumptive Favorite, in Crim. Justice Ethics, 2012, 2.
[58] Cfr. GREEN, Why it’s a Crime, cit., 1533; DUFF, Theories of Criminal Law, cit..
[59] DUFF, Theories of Criminal Law, cit.; HOSKINS, Deterrent Punishment and Respect for Persons, in Ohio State J. of Crim. L. 2011, 369.
[60] FRISCH, An der Grenzen des Strafrechts, in FS Stree e Wessels, Heidelberg, 1993, 77 ss.; KÜHLEN, Es posible limitar el derecho penal por medio de un concepto material de delito, in Wolter, Freund (cur.), El sistema integral del derecho penal, Madrid, 2004, 131 ss.
[61] FRISCH, An der Grenzen des Strafrechts, cit., 85; KÜHLEN, Es posible limitar, cit., 133.
[62] FRISCH, An der Grenzen des Strafrechts, cit., 87.
[63] SEHER, La legitimación de normas penales basada en principios y el concepto de bien jurídico, in Hefehndel, Hirsch, Wohlers (cur.), La teoría del bien jurídico, cit., 87 ss.
[64] Per tutti FRISCH, An der Grenzen des Strafrechts, cit., 69 ss.
[65] DUFF, Theories of Criminal Law, cit.
[66] LAMOND, What is a Crime?, in OJLS, 2007 609.
[67] HIRSCH, GARLAND, WAKEFIELD (cur.), Ethical and Social Perspectives on Situational Crime Prevention, Oxford, 2000.
[68] DUFF, Theories of Criminal Law, cit..
[69] Cfr. sul punto ROXIN, Strafrecht. Allgemeiner Teil, v. I, Grundlagen. Der Aufbau der Verbrechenslehre, München, 4a ed., 2006, 54; SCHÜNEMANN,Die Kritik am strafrechtlichen Paternalismus – eine Sisyphus-Arbeit?, in Hirsch, Neumann, Seelmann (cur.), Paternalismus im Strafrecht: Die Kriminalisierung von selbstschädigendem Verhalten, Baden-Baden, 2010, 222 ss..
[70] FEINBERG, The Moral Limits of the Criminal Law, I, cit., cap. 1.
[71] HIRSCH, El concepto de bien jurídico, cit., 42; HIRSCH, JAREBORG, Ganging criminal harm: A living standard analysis, in OJLS, 1991, 1 ss..
[72] FEINBERG, The Moral Limits of the Criminal Law, I, cit., 31 s.
[73] WOHLERS, Le fattispecie penali, cit., 130.
[74] In specie la scuola penalistica di Francoforte e per tutti Hassemer.
[75] Cfr. COCCO, Introduzione (reati contro l’incolumità pubblica), in Cocco, Ambrosetti (cur.), Trattato breve di diritto penale. Parte speciale, I, I reati contro le persone, Padova, 2014, 155 ss..
[76] HIRSCH, El concepto de bien jurídico, cit., 45.
[77] GRECO, Gibt es Kriterien zur Postulierung eines kollektiven Rechtsguts?, in FS Roxin, Berlin-New York, 2011, 213.
[78] Per tutti CAVALIERE, Paternalismo, diritto penale e principi costituzionali: profili di teoria generale, in i-lex, 2013, n. 20, 427, ivi rif. in n. 13.
[79] Cfr. MOCCIA, La perenne emergenza. Tendenze autoritarie nel sistema penale, 2ª ed., Napoli, 1997, 66-67.
[80] PALIERO, L’agorà e il palazzo. Quale legittimazione per il diritto penale?, in Crim, 2012, 109; DONINI, Sicurezza e diritto penale, in CP, 2008, 3558 s.; PAVARINI, Degrado, paure e insicurezza nello spazio urbano, in CP, 2009, 805 ss.; PULITANÒ, Sicurezza e diritto penale, in RIDPP, 2009, 547 s..
[81] DOSSETTI, in Atti Assemblea costituente, I Sc., 10.9.1946; CAVALIERE, Paternalismo, cit., 424; COCCO, Un punto sul diritto di libertà di rifiutare terapie mediche anche salva vita (con qualche considerazione penalistica), in Resp. Civ. Prev., 2009, 485; COCCO, L’eredità illuministica in materia penale, cit., 1 ss.
[82] DELMAS-MARTY, Le flou du droit. Du code pénal aux droits de l’homme, Paris, 1986 (Dal codice penale ai diritti dell’uomo, cur. Palazzo, tr. Bernardi A., Milano, 1992).
[83] PALAZZO, Il limite della political question fra Corte costituzionale e corti europee. Che cosa è ‘sostanzialmente penale’, in Donini, Foffani (cur.), La ‘materia penale’ tra diritto nazionale ed europeo, cit., 10.
[84] MILL J.S., On Liberty, London, 1859, cap. 1, par. 9; DONINI, ‘Danno e ‘offesa’ nella c.d. tutela penale dei sentimenti, in RIDPP, 2008, 1546; FORTI, Principio del danno e legittimazione ‘personalistica’ della tutela penale, in RIDPP, 2008, 597; FRANCOLINI, L’harm principle del diritto angloamericano nella concezione di Joel Feinberg, in RIDPP, 2008, 276; ROXIN, Strafrecht. Allgemeiner Teil, v. I, cit., 21.
[85] Ad es. desiderare la donna d’altri è vietato dai Dieci comandamenti ma mai potrebbe essere considerato un reato.
[86] Così § 130.3 StGB; pro ROMANO M. [a], La legittimazione delle norme penali: ancora su limiti e validità della teoria del bene giuridico, in Crim, 2011, 42; ROMANO M. [d], Principio di laicità dello Stato, religioni, norme penali, in RIDPP, 2007, 502.
[87] V., infra, § 13.
[88] HÖRNLE, Grob anstößiges Verhalten. Strafrechtlicher Schutz von Moral, Gefühlen und Tabus, Frankfurt a.M., 2005; ROXIN, Was darf der Staat unter Strafe stellen? Zur Legitimation von Strafdrohungen, in Studi Marinucci, Milano, 2006, I, 715; GIMBERNAT, Presentación, in Hefendehl, Hirsch, Wohlers (cur.), La teoría del bien jurídico, cit., 21; KÜHL, in Bernstein, Ulsenheimer (cur.), Bochumer Beiträge zu aktuellen Strafrechtsthemen, 2003, 103 s.; Di MARTINO, Assassini della memoria: strategie argomentative in tema di rilevanza (penale?) del negazionismo, in Cocco (cur.), Per un manifesto del neoilluminismo penale, cit., 191.
[89] PALIERO, La laicità penale, cit., 1190.
[90] Condannato dai tribunali elvetici ex art. 261bis c.p. svizzero, che al co. 4 sanziona «chiunque, pubblicamente, mediante parole, scritti, immagini, gesti, vie di fatto o in modo comunque lesivo della dignità umana, discredita o discrimina una persona o un gruppo di persone per la loro razza, etnia o religione o, per le medesime ragioni, disconosce, minimizza grossolanamente o cerca di giustificare il genocidio o altri crimini contro l’umanità»
[91] La lett. a) sanziona con la reclusione fino ad un anno e sei mesi o con la multa fino a 6.000 euro chi propaganda idee fondate sulla superiorità o sull’odio razziale o etnico, ovvero istiga a commettere o commette atti di discriminazione per motivi razziali, etnici, nazionali o religiosi. La lett. b), invece, sanziona con la reclusione da sei mesi a quattro anni chi, in qualsiasi modo, istiga a commettere o commette violenza o atti di provocazione alla violenza per motivi razziali, etnici, nazionali o religiosi.
[92] Vieta ogni organizzazione, associazione, movimento o gruppo avente tra i propri scopi l’incitamento alla discriminazione o alla violenza per motivi razziali, etnici, nazionali o religiosi, e sanziona chi partecipa a tali organizzazioni, associazioni, movimenti o gruppi, o presta assistenza alla loro attività, per il solo fatto della partecipazione o dell’assistenza, con la reclusione da sei mesi a quattro anni; mentre coloro che promuovono o dirigono tali organizzazioni, associazioni, movimenti o gruppi sono puniti, per ciò solo, con la reclusione da uno a sei anni
[93] Il quale sanziona con la reclusione da due a sei anni se la propaganda ovvero l’istigazione e l’incitamento, commessi in modo che derivi concreto pericolo di diffusione, si fondano in tutto o in parte sulla negazione, sulla minimizzazione in modo grave o sull’apologia della Shoah o dei crimini di genocidio, dei crimini contro l’umanità e dei crimini di guerra, come definiti dagli articoli 6, 7 e 8 dello statuto della Corte penale internazionale.
[94] Definito “concreto pericolo” che non deve però realizzarsi: un banale trucco linguistico per occultare che non v’è affatto necessità di alcun reale evento lesivo o pericoloso per l’integrazione della previsione, ma è sufficiente una fastidiosa libera espressione di convincimenti od opinioni.
[95] V. De MAGLIE, Alle radici del bisogno di criminalizzazione. riflessioni in tema di moralità, immoralità e diritto penale, in Crim, 2018, 27 s., in tema di aborto, a sottolineare che l’ambizione di utilizzare impropriamente il diritto penale non ha colore.
[96] Cfr. FEINBERG, The Moral Limits of the Criminal Law, III, Harm to Self, New York, 1986.
[97] SPENA, Esiste il paternalismo penale? Un contributo al dibattito sui principi di criminalizzazione, in RIDPP, 3/2014, 1209 ss.
[98] SPENA, Esiste il paternalismo penale?, cit., 1209 ss.
[99] FEINBERG, The Moral Limits of the Criminal Law, III, cit., 12 s.; CADOPPI [b], Liberalismo, paternalismo e diritto penale, in Fiandaca, Francolini (cur.), Sulla legittimazione del diritto penale, Torino, 2008, 93-94; CANESTRARI, FAENZA, Paternalismo penale e libertà individuale: incerti equilibri e nuove prospettive nella tutela della persona, inCadoppi (cur.), Laicità, valori e diritto penale, The Moral Limits of the Criminal Law. In ricordo di Joel Feinberg, Milano, 2010, 185.
[100] SPENA, Esiste il paternalismo penale?, cit., 1222.
[101] PULITANÒ, Paternalismo penale, in Studi M. Romano, Napoli, 2011, 511.
[102] ROXIN, Strafrecht. Allgemeiner Teil, v. I, cit..
[103] ROXIN, Strafrecht. Allgemeiner Teil, v. I, cit., 21; HIRSCH, El concepto de bien jurídico, cit., 45 s.; crit. ROMANO M., La legittimazione delle norme penali, cit., 41; ROMANO M., Danno a sé stessi, paternalismo legale e limiti del diritto penale, in RIDPP,2008, 994 s.
[104] Così FRANCOLINI, Il dibattito angloamericano, cit., 21 ss.; HARCOURT, The Collapse of the Harm Principle, in JCLC, 1999, 109 ss.
[105] È il principio affermato dall’art. 32 Cost., in tema COCCO, Un punto sul diritto di libertà, cit., 490 s.
[106] V. United Nations Office on Drugs and Crime, 2015.
[107] SCHÜNEMANN, El derecho penal es la ultima ratio, cit., 31 s., criticamente su BVerfG 9.3.1994, in BVerfGE 90, 145, che legittima la sanzione penale del possesso per autoconsumo di cannabis;la Corte suprema argentina 25.8.2009 ha affermato, invece, la incostituzionalità del divieto penale del consumo personale di droghe perché invade la sfera della libertà individuale (su cui v. GRECO, The Conceptual Utility of Malum Prohibitum, in Dialogue, 2015, 73 s.
[108] HUSAK, Droghe illecite: un test dei ‘limiti morali del diritto penale’ di Joel Feinberg, in Cadoppi (cur.), Laicità, valori e diritto penale, cit., 32.
[109] C. cost. n. 141/2019.
[110] C. cost. n. 141/2019.
[111] C. cost. n. 109/2016; conf. C. cost. n. 141/2019.
[112] C. cost. n. 225/2008; in prec. C. cost. n. 333/1991; conf. C. cost. nn. 109/2016; 141/2019.
[113] C. III, 17.11.2017, n. 14593/2018; C. III, 19.7.2017, n. 5768/2018.
[114] C. cost. n. 141/2019
[115] C. cost. n. 141/2019
[116] C. cost. n. 141/2019.
[117] EDWARDS, Theories on Criminal Law, cit.
[118] COCCO, Un punto sul diritto di libertà, cit., 485.
[119] COCCO, È lecito evitare l’agonia derivante dal rifiuto di cure salva vita, in Resp. Civ. Prev., 2020, 382.
[120] COCCO, È lecito evitare l’agonia, cit., 382 ss.
[121] Sulla cui base si può consentire il divieto assoluto di aiuto al suicidio compatibile con l’art. 8 Cedu, lasciandone la valutazione all’apprezzamento dei singoli Stati (v. C. edu IV, 29.4.2002, Pretty c. Regno Unito, n. 2346/02; anche C. edu I, 20.1.2011, Haas c. Svizzera, n. 31322/07; C. edu IV, 19.7.2012, Koch c. Germania, n. 497/09). Evoca in senso analogo il concetto di slippery slope SPENA, Esiste il paternalismo penale?, cit., 1230. In tema rec. VITARELLI, Verso la legalizzazione dell’aiuto (medico) a morire? Considerazioni “multilivello”, in Sistema penale 2022.
[122] Critico anche CADOPPI, “Too much criminal law”, cit., 13, che evidenzia come Feinberg si riferisca al sistema statunitense che non conosce un sistema autonomo di illeciti amministrativi.
[123] V. FEINBERG, The Moral Limits of the Criminal Law, II, Offense to Others, New York, 1985, 49 s.
[124] Cfr. HÖRNLE, Grob anstößiges Verhalten, cit., passim.
[125] ROXIN, El concepto, cit., 19, esclude, ad esempio, che i reati che sanzionano i maltrattamenti agli animali o tutelano i defunti possano ascriversi alla tutela dei sentimenti.
[126] HIRSCH, El concepto de bien jurídico, cit., passim; SIMESTER, HIRSCH, Crimes, Harms, and Wrongs, cit., 275.
[127] In Italia è stato depenalizzato dal d. lgs. n. 8/2016 l’art. 527 c.p., ora colpito solo da sanzione amministrativa, evidentemente non ritenendosi le modalità offensive particolarmente gravi o insidiose.
[128] KLEINIG, Crime and the Concept of Harm, in American Phil. Quarterly, 1978, 32 ss.; FEINBERG, The Moral Limits of the Criminal Law, I, cit.; RAZ, Autonomy, Toleration, and the Harm Principle, in Gavison (cur.), Issues in Contemporary Legal Philosophy, Oxford, 1987, 313; RAZ, The Morality of Freedom, Oxford, 1986, cap. 15.
[129] In generale HOLTUG, The Harm Principle, in Ethical Theory and Moral Practice, 2002, n. 4, 357; DUFF, Answering for Crime: Responsibility and Liability in the Criminal Law, Oxford, 2007, cap. 6; FRANCOLINI, Il dibattito angloamericano, cit., 19.
[130] Cfr. HIRSCH, Extending the Harm Principle: ‘Remote’ Harms and Fair Imputation, in Simester, Smith (cur.), Harm and Culpability, Oxford, 1996, 259 ss.
[131] WOHLERS, Le fattispecie penali, cit., 134.
[132] HUSAK, The Nature and Justifiability of Nonconsummate Offenses, in Arizona L.R., 1995, 151.
[133] Per una sintesi delle problematiche cfr. COCCO, Reati di danno e di pericolo. Temi della contemporaneità. Tra reati di mero comportamento e tutela di beni funzionali, in Cocco, Ambrosetti (cur.), Trattato breve di diritto penale. Parte Generale, I, 2, Il reato, Padova, 2a ed., 2021, 53 ss.
[134] HARCOURT, The Collapse of the Harm Principle, in JCLC, 1999, 109 ss.; inoltre DUBBER, Policing Possession: The War on Crime and the End of Criminal Law, in JCLC, 2001, 829 ss.
[135] BLACKSTONE, Commentaries on the Laws of England, 4 vol., Oxford (1765-9), in www.yale.edu/lawwebavalon/ blackstone/blacksto.htm, v. IV, cap. 1, 5.
[136] HASSEMER, Perché punire è necessario, Bologna, 2012 (Warum strafe sein muss, Berlin, 2009), 216 s.
[137] Cfr. BRAITHWAITE, PETTIT, Not Just Deserts, Oxford, 1990, 60-68.
[138] Cfr. LACEY, WELLS, QUICK, Reconstructing Criminal Law, London, 3a ed., 2003, cap. 2.
[139] Nel senso criticato CHIAO, What is the Criminal Law For?, in Law and Philosophy, 2016, 137 ss., che contrappone la tesi all’illegittimità morale della violazione delle loro regole, anch’essa non condivisibile.
[140] HASSEMER, Perché punire è necessario, cit., 218.
[141] DEVLIN, The Enforcement of Morals, Oxford, 1965, 5.
[142] BECKER, Criminal Attempts and the Theory of the Law of Crimes, in PPA, 1974, 262.
[143] DIMOCK, Retributivism and Trust, in L&P, 1997, 37.
[144] Cfr. MURPHY, Marxism and Retribution, in PPA, 1973, 217; DAGGER, Playing Fair with Punishment, in Ethics, 1993, 473; DAGGER, Punishment as Fair Play, in Res Publica, 2008, 259; DAGGER, Republicanism and the Foundations of Criminal Law, in Duff, Green (cur.), Philosophical Foundations of Criminal Law, Oxford, 2011, 44; STICHTER, Rescuing Fair Play as a Justification of Punishment, in Res Publica, 2010, 73; DUUS-OTTERSTRÖM, Fairness-Based Retributivism Reconsidered, in Crim. L. and Phil., 2017, 481 ss.
[145] DUFF, Theories of Criminal Law, cit.
[146] V. MARSHALL, DUFF, Criminalization and Sharing Wrongs, in Canadian Journal of L. & J., 1998, 7 ss.
[147] DUFF, Theories of Criminal Law, cit.
[148] SEHER, Liberalismus und Strafe. Zur Strafrechtsphilosophie von Joel Feinberg, Berlin, 2000, 81.
[149] WOHLERS, Le fattispecie penali, cit., 151. Già Beccaria.
[150] SCHÜNEMANN, El derecho penal es la ultima ratio, cit., 71, che fa derivare ciò dall’idea di contratto sociale.
[151] THORBURN, Constitutionalism and the Limits of the Criminal Law, in Duff et al (cur.), The Structures of the Criminal Law, Oxford, 2011, 98 s.
[152] MARSHALL, DUFF, Criminalization, cit., 83 ss.
[153] MARINUCCI, DOLCINI, Corso di diritto penale, 1, Le norme penali: fonti e limiti di applicabilità. Il reato: nozione, struttura e sistematica, Milano, 3a ed., 2001, 429.
[154] HASSEMER, Opinione dissenziente, cit..
[155] ROMANO M., La legittimazione delle norme penali, cit., 2011, 33.
[156] PEDRAZZI, Presentazione, in Studi Marinucci, Milano, 2006, I, XV.
[157] CADOPPI, “Too much criminal law”, cit., 1 s.; CADOPPI, Il «reato penale». Teorie e strategie di riduzione della «criminalizzazione», Napoli, 2022, passim; FOFFANI, Codice penale e legislazione complementare: da un modello ‘policentrico’ a un modello ‘piramidale’, in Donini (cur.), Modelli ed esperienze di riforma del diritto penale complementare, Milano, 2003, 304 s.; FORNASARI, Argomenti per una riserva di legge rafforzata in ambito penale, in RTDPC, 2/2018, 162 s.; LOSAPPIO, Diritto penale del nemico, diritto penale dell’amico, nemici del diritto penale, in IP, 2007, 51 s.; MUSCO, L’illusione penalistica, Milano, 2004, 185; DRIPPS, The Liberal Critique of the Harm Principle, in Criminal Justice Ethics, 1998, 3 s.; VORMBAUM, Strafgesetze als Verfassungsgesetze. In memoriam Knut Amelung, in JZ, 2018, 53 s.; ZACZYK, Die Notwendigkeit systematischen Strafrechts – Zugleich zum Begriff ‘fragmentarisches Strafrecht’, in ZStW, 2011, 691.
[158] Cfr. CADOPPI, “Too much criminal law”, cit., passim; CADOPPI, Il «reato penale», cit., passim; contra FORNASARI, Argomenti per una riserva di legge, cit., 162 s.; VORMBAUM, Strafgesetze als Verfassungsgesetze, cit., 53 ss..
[159] CADOPPI, “Too much criminal law”, cit., passim; CADOPPI, Il «reato penale», cit., passim.
[160] V. COCCO, L’eredità illuministica in materia penale, loc. cit.
[161] Cfr. PAPA, Dal codice penale ‘scheumorfico’ alle playlist. Considerazioni inattuali sul principio della riserva di codice, in RTDPC,5/2018, 137.
[162] CARRARA, Codicizzazione (1869), in Opuscoli di diritto criminale, II, Firenze, 5 ed., 1898, 223.
[163] C. cost. n. 85/2013.
[164] ROXIN, El concepto de bien jurídico como instrumento de crítica legislative sometido a examen, in RECPC, 2013, 22, invocando il principio di proporzionalità; SCHÜNEMANN, El derecho penal es la ultima ratio, cit., 17, 25 s.; FRISCH, An der Grenzen des Strafrechts, cit., 69; crit. ROMANO M., La legittimazione delle norme penali, cit., 43; contra BACIGALUPO, Rechtsgutsbegriff und Grenzen des Strafrechts, in FS Jakobs, Köln-Berlin-München, 2007, 12 s.; STUCKENBERG, Grundrechtsdogmatik statt Rechtsgutslehre. Bemerkungen zum Verhältnis von Strafe und Staat, in GA, 2011, 658.
[165] Il che spiega gli incarichi dati a Beccaria e Feuerbach dai sovrani dell’epoca di riformare il diritto penale.
[166] Verhältnismäβigkeit nel linguaggio della dogmatica tedesca.
[167] Per la sua costituzionalizzazione: C. cost. n. 519/2000.
[168] C. cost. n. 189/1987, che ha dichiarato costituzionalmente illegittimi gli artt. 1 e 3, l. n. 1085/1929 (disciplina della esposizione di bandiere estere); C. cost. n. 354/2002, che ha dichiarato l’illegittimità dell’art. 688 co. 2 c.p.. Per esempi di rigetto le già citate sentenze in tema di prostituzione, supra, par. 11.
[169] ROXIN, El concepto de bien jurídico, cit., 22; FRISTER, Strafrecht, Allgemeiner Teil, München, 5ª ed., 2011, cap. 3, nm 32.
[170] ROXIN, El concepto de bien jurídico, cit., 24.
[171] CADOPPI, Il reato omissivo proprio, Padova, 1988, 373 s.; PALIERO, La laicità penale, cit., 1189; GŰNTHER, Die Genese eines Straftatbestandes, in JuS, 1978, 11.
[172] NEPPI MODONA, Tecnicismo e scelte politiche nella riforma del diritto penale,in DD,1977, 682.
[173] ANTOLISEI, Manuale di diritto penale, parte generale, cit., 107.
[174] Cfr. FIANDACA, MUSCO, Diritto Penale, Parte Generale, 8a ed., Bologna, 2019, 11.
[175] Esemplare l’immagine delle guardie rosse di Mao che educano i professori universitari a bastonate nel noto film ‘L’ultimo imperatore’ di B. Bertolucci.
[176] DAHRENDORF, ‘Erasmiani’. Gli intellettuali alla prova del totalitarismo, Roma-Bari, 2007, passim.
[177] PALIERO, L’agorà e il palazzo, cit., 110 s.; SOTIS, Il diritto senza codice. Uno studio sul sistema penale europeo vigente, Milano, 2007; SOTIS, La Corte di Giustizia. Ruoli, mentalità e ideologie, in Guarnieri, Insolera G., Zilletti (cur.), Giurisdizioni europee e sistemi nazionali. Tendenze e criticità, Roma, 2018, 55; SATZGER, Le Carenze della politica criminale europea, in RIDPP, 2010, 1280 ss..
[178] Così SCHÜNEMANN, Un progetto alternativo per l’europeizzazione del diritto penale, in Militello (cur.), Un progetto alternativo di giustizia penale europea, Milano, 2007, 10 (Schünemann (cur.), Alternativentwurf Europäische Strafverfolgung, München, 2004), con gli autori del progetto alternativo di giustizia penale europea.
[179] GIUNTA, Europa e diritto penale. Tra linee di sviluppo e nodi problematici, in Crim, 2020, 300; cfr. ROMAGNOLI, Diritto penale e Unione Europea: “The dark side of the moon”. Le esigenze esistenziali e logiche del primato, i limiti dei controlimiti e l’inerzia del legislatore nazionale, in disCrimen 21.2.2022, 113.
[180] V. COCCO, Il ‘primato’ della riserva di legge parlamentare in materia penale affermato da Corte Cost. n. 115/2018 e il diritto eurounitario, in Resp. Civ. Prev., n. 4/2019, 1087 ss.
[181] Cfr. VALENTINI, Legalità penale convenzionale e obbligo d’interpretazione conforme alla luce del nuovo art. 6 TUE, in DPC, 2/2012, 170 s.
[182] VALENTINI, Legalità penale convenzionale, cit., 171; DONINI, Europeismo giudiziario e scienza penale. Dalla dogmatica classica alla giurisprudenza-fonte, Milano, 2011; DONINI, Integrazione europea e scienza penale, in Grandi (cur.), I volti attuali del diritto penale europeo, Pisa, 2021, 215; per una posizione contraria VIGANÒ, Obblighi convenzionali di tutela penale?, in Manes, Zagrebelsky V. (cur.), La Convenzione europea dei diritti dell’uomo nell’ordinamento penale italiano, cit., 243 s; VIGANÒ, L’arbitrio del non punire. Sugli obblighi di tutela penale dei diritti fondamentali, in Studi Romano M., Napoli, 2011, IV, 2645 s.
[183] PULITANÒ, Obblighi costituzionali di tutela penale?, in RIDPP, 1983, 485; MARINUCCI, DOLCINI, Corso, cit., 501-516.
[184] C. edu 7.4.2015, ad es., reputa necessario che l’ordinamento giuridico italiano «si munisca di strumenti giuridici idonei a sanzionare in maniera adeguata i responsabili di atti di tortura o di altri trattamenti inumani» ai sensi dell’art. 3, nonché idonei a evitare «che costoro possano beneficiare di norme in contrasto con la giurisprudenza della Corte di Strasburgo»; cfr. De VERO, La giurisprudenza della Corte di Strasburgo, in De Vero, Panebianco, Delitti e pene nella giurisprudenza delle corti europee, Torino, 2007, 28 s.; MANACORDA, ‘Dovere di punire’? Gli obblighi di tutela penale nell’era della internazionalizzazione del diritto, in RIDPP, 2012, 1364 s.; VIGANÒ, Diritto penale sostanziale e Convenzione europea dei diritti dell’uomo, in RIDPP, 2007, 36; SALCUNI, L’europeizzazione del diritto penale: problemi e prospettive, Milano, 2011, 235 s., 300 s.; PAONESSA, Gli obblighi di tutela penale. La discrezionalità legislativa nella cornice dei vincoli costituzionali e comunitari, Pisa, 2009, 174 s., ivi ult. rif..
[185] Crit. MALARINO, Las víctimas en la jurisprudencia de la corte interamericana de derechos humanos, in Maculan, Gil Gil (cur.), La influencia de las víctimas en el tratamiento jurídico de la violencia colectiva, Madrid, 2017, 43.
[186] In tema AMBOS, Derecho penal y Constitución: ¿existe una pretensión al establecimiento de leyes penales, persecución penal e imposición de pena?, in RECPC, 30.11.2020, 11.
[187] Cfr. DONINI, Il principio di offensività. Dalla penalistica italiana ai programmi europei, in RTDPC, 4/2013, 31.
[188] Sul carattere espansivo del diritto penale europeo, per tutti, LÜDERSSEN, Europäisierung des Strafrechts und gubernative Rechtsetzung, in GA, 2003, 71; NAUCKE, Europäische Gemeinsamkeiten in der neuen Strafrechtsgeschichte und Folgerungen für die aktuelle Debatte, in Jahrbuch der juristischen Zeitgeschichte (2000/2001), 1.
[189] BVerfG 28.5.1993, 2 BvF 2/90, 2 BvF 4/90, 2 BvF 5/922, in NJW, 1993, 1751; contra, nella dottrina tedesca, per un’ampia discrezionalità legislativa, tra i tanti: APPEL, Verfassung und Strafe, Berlin, 1998, 68; LAGDONY, Strafrecht vor den Schranken der Grundrechte, Tübingen, 1996, 445 s.
[190] HOLZ, Justizgewährungsanspruch des Verbrechensopfers, Berlin, 2007, 52 ss., 200 ss.; WEIGEND, ‘Die Strafe für das Opfer’? – Zur Renaissance des Genugtuungsgedankens im Straf- und Strafverfahrensrecht, in RW, 2010,50 ss.; HÖRNLE, Anmerkung, in JZ, 2015, 895 s..
[191] Oscura rimanendo la fonte e il contenuto di tale pretesa: così WEIGEND, ‘Die Strafe für das Opfer’?, cit.,47 s.
[192] MALARINO, Las víctimas en la jurisprudencia, cit., 39.
[193] GÄRDITZ, Demokratizität des Strafrechts und Ultima Ratio-Grundsatz, in JZ, 2015, 899.
[194] HÖRNLE, Anmerkung, in JZ, 2015, 894 s.
[195] BVerfG, 19.5.2015 – 2 BvR 987/11, e in JZ, 2015, 890; BVerfG, 23.3.2015 – 2 BvR 1304/12, e in NStZ-RR, 2015, 347; BVerfG, 6.10.2014 – 2 BvR 1568/12, StV 2015, 203; BVerfG 26.6.2014 – 2 BvR 2699/10, nm. 12.
[196] Cfr. WEIGEND, ‘Die Strafe für das Opfer’?, cit.,50 s.; AMBOS, Derecho penal y Constitución, cit., 17.
[197] Una sintesi della letteratura portoghese e continentale in BRANDÃO, Bem jurídico e direitos fundamentais: entre a obrigação estadual de proteção e a proibição do excesso, in Estudos Costa Andrade, Coimbra, 2017, 239.
[198] Né certo possiamo acriticamente far nostro quanto afferma in un diverso assetto costituzionale la Corte costituzionale tedesca (BVerfGE 25.2.1975, 39, 1, 44 s.), che delinea un obbligo costituzionale del legislatore in materia di tutela della vita (con riferimento all’aborto) – in assenza di altri mezzi che forniscano una protezione adeguata ed efficace secondo il canone della sussidiarietà – di ricorrere alla legge penale per soddisfare i suoi doveri di tutela.
[199] V. COCCO, Riserva di legge e controllo di costituzionalità. Breve rassegna della giurisprudenza costituzionale, in Resp. civ. prev., 2023, in tema di controllo di costituzionalità sulle norme di favore.
[200] Esemplare la vicenda Taricco, su cui, COCCO, Il ‘primato’ della riserva di legge parlamentare, cit., 1087.