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L’autoregolamentazione della magistratura, il ruolo del CSM e le buone prassi in materia di intercettazioni

 

 Sommario:

  1. Soft law del Consiglio Superiore della Magistratura. 2. Le ragioni della Risoluzione. 3. Sintesi delle linee guida consiliari. 4. La rinnovata attualità della Risoluzione a seguito della legge n. 7/2020: la controriforma. 5. Dal sindacato eventuale del pubblico ministero a seguito della annotazione della polizia giudiziaria  alle direttive del pubblico ministero. 6. Il ruolo del  pubblico ministero  nella previsione costituzionale e codicistica. 7. Le modalità e l’ambito di incidenza delle direttive del Pubblico ministero e del sostituto procuratore. 8. I criteri  per la  trascrizione nei brogliacci: casi tipizzati e non tipizzati. 9. La preselezione funzionale all’udienza stralcio e il  diritto di difesa. 10. La sobrietà contenutistica e il procedimento cautelare..

 

 1.         Soft law del Consiglio Superiore della Magistratura.

Nell’ambito delle competenze del Consiglio Superiore della Magistratura la Settima Commissione referente è dedicata all’organizzazione degli uffici giudiziari. Sempre più, a fronte delle insufficienze, quanto a risorse umane e materiali rispetto al numero di affari da trattare, nella quasi totalità degli uffici giudiziari italiani, da parte del Consiglio Superiore si è ricercata la strada per dare una risposta in termini di efficienza e responsabilità, per quanto spettante al governo autonomo, ai magistrati e ai dirigenti degli uffici giudiziari, al fine di offrire un servizio adeguato ai cittadini.

Ciò si è fatto, fermo restando che la responsabilità della magistratura in tal senso non può surrogare, né oscurare o rendere meno intensa quella politico-costituzionale attribuita dall’art. 110 Cost. al Ministro per la Giustizia, quanto ai servizi e alle risorse da fornire, nella consapevolezza che le diverse competenze, quella consiliare e quella di governo, debbano ricercare forme di collaborazione leale, come è proprio della dinamica fra i poteri dello Stato.

Il rispetto reciproco, la fermezza delle posizioni quando necessario e al tempo stesso la capacità di dialogo, costituiscono la strada maestra per una interlocuzione equilibrata fra poteri dello Stato, pur nella consapevolezza che ogni doveroso sforzo per la migliore organizzazione giudiziaria, per garantire il miglior servizio per i cittadini, non può fare a meno delle risorse indispensabili.

Questa premessa, per quanto appaia estranea al tema delle intercettazioni, in vero consente di collocare la Risoluzione consiliare dal titolo “Ricognizione di buone prassi in materia di intercettazione di conversazioni” nell’ambito ordinamentale che le è proprio[1].

A ben vedere lo strumento dell’intervento consiliare in commento non è stato quello della Circolare, bensì quello della Risoluzione, proprio perché opportunamente privo di valenza normativa[2].

La Risoluzione in tema di intercettazioni si inserisce, infatti,  all’interno di  una pluralità di interventi  consiliari  aventi un comune contenuto di ‘linee guida’, quale strumento di soft law.  Tali  delibere sono anche conseguenti ad un metodo di lavoro che ha visto il Consiglio sempre più recepire indicazioni provenienti dalle buone pratiche degli uffici giudiziari, validarle e rielaborarle per offrirle come modelli organizzativi  virtuosi,  come possibili soluzioni anche per altri uffici giudiziari[3].

Il Consiglio, come si legge nella delibera che approvava la pubblicazione del  Codice dell’organizzazione,  <non si sostituisce alle decisioni di competenza del giudice e dei dirigenti degli uffici giudiziari, ma effettua interventi che si collocano nell’ambito del soft law>[4] [5]. E d’altro canto anche il ricorso a strumenti non vincolanti può annoverarsi nell’ambito dei poteri atipici del CSM, propri dell’esercizio di una funzione di politica giudiziaria che è spetta all’organo di governo autonomo della magistratura[6].

In tale contesto la citata Risoluzione in tema di intercettazioni è paradigmatica della valorizzazione dei provvedimenti organizzativi assunti nelle singole Procure della Repubblica, poi rielaborati dal CSM e rimessi nuovamente alla valutazione degli uffici competenti.

Come si leggerà alcuni temi sono rimasti di attualità, in particolare in relazione al bilanciamento  fra le esigenze di riservatezza – degli indagati  e ancor più dei terzi, estranei all’indagine –  e le esigenze di ricerca della verità  connessa alla obbligatorietà dell’azione penale, valori da combinarsi con il diritto alla informazione.

Una lettura anche superficiale dei pareri resi dal Consiglio Superiore della Magistratura, ai sensi dell’art. 10 comma 2 della legge n. 195/1958, in merito ai disegni di leggi in tema di disciplina relativa alle intercettazioni degli ultimi decenni, palesa come il tema del bilanciamento dei predetti valori sia rimasto sostanzialmente irrisolto, nonostante le modifiche normative realizzate, o anche solo proposte, dal che le misure afferenti la previa selezione delle intercettazioni rilevanti, l’archivio riservato, l’udienza stralcio [7].

2.         Le ragioni della Risoluzione. 

La necessità della Risoluzione emergeva dall’esigenza di far fronte, attraverso i rimedi propri dell’organizzazione interna agli uffici giudiziari, al deficit di riservatezza manifestatosi in concreto in relazione a alcune inchieste, sollecitando un impiego oculato dello strumento delle intercettazioni, nella consapevolezza che solo un uso equilibrato, idoneo a limitare le pubblicazioni di parti delle conversazioni  non penalmente rilevanti, specie quando riguardanti terzi estranei alle condotte di reato, avrebbe evitato riduzioni nella disponibilità di uno strumento investigativo insostituibile.

Attraverso questa Risoluzione il Consiglio si poneva come Istituzione nel dibattito sul tema delle intercettazioni, a maggior ragione in considerazione della circostanza che l’istruttoria consiliare e la decisione in Plenum ebbero a sovrapporsi con l’iter di approvazione della riforma “Orlando”, conclusa con la legge 23 giugno 2017 n. 103, che solo alla fine del  2017 ha trovato poi completa attuazione con il d. lgs.29 dicembre 2017 n. 216 quanto alle intercettazioni.

La lettura delle modificazioni apportate al regime delle intercettazioni dalla legge delega n. 103/17 ricalca anche molte fra le indicazioni contenute della Risoluzione consiliare, come pure annotato in dottrina[8], anche se il tema della centralità/responsabilità  del Pm nella selezione delle conversazioni sembrava attutirsi decisamente nel decreto legislativo attuativo.

D’altro canto, l’attenzione del Consiglio Superiore al tema delle intercettazioni si era manifestato anche in merito alla questione della riservatezza dei dati sia con il richiedere, per quanto di competenza, le misure di salvaguardia fisiche e informatiche, come richiesto a più riprese dal Garante per la Protezione dei dati personali[9],  sia anche con accorgimenti giuridico-fattuali in grado di contenere il fenomeno delle cd. fughe di notizie e della violazione della riservatezza, quando il dato conosciuto non abbia rilevanza per l’indagine in sede penale.

La Risoluzione, valutando le circolari e le direttive assunte da alcuni Procuratori della Repubblica, chiarisce il  ruolo assegnato dalla Costituzione e dall’ordinamento al pubblico ministero nell’indagine, per ribadirne la responsabilità nella direzione, molto valorizzata nel documento consiliare, proprio al fine di praticare la previa selezione delle conversazioni, grazie alle direttive a darsi alla polizia giudiziaria. Come si vedrà questo tema è tornato, nell’attuale testo normativo,  ad assumere una assoluta centralità.

3.         Sintesi  delle linee guida consiliari. 

Prima di provvedere a una analisi approfondita dei profili della Risoluzione che mantengono ancora una loro attualità a fronte della riforma Bonafede, vanno da subito evidenziati alcuni degli ambiti di intervento e dei principi declinati nella delibera consiliare.

In primo luogo, come già accennato,  il Consiglio  ha riaffermato il  ruolo ordinamentale e processuale del pubblico ministero quale parte imparziale del processo e dominus delle indagini preliminari, ribadendo la dipendenza funzionale della polizia giudiziaria: tale centralità del pubblico ministero determina l’impossibilità di delegare, senza controllo, il compito di ‘filtro’ e selezione delle intercettazioni rilevanti ed utilizzabili, che invece deve essere assicurato  nell’ambito di un continuo e proficuo confronto con la polizia giudiziaria.

In relazione al contenuto della conversazione intercettata   il Consiglio suggeriva ai procuratori della Repubblica di   distinguere le intercettazioni oggetto di trascrizione e quelle suscettibili di mera ‘indicazione’, vale a dire contenenti i dati estrinseci della conversazione e la ragione della mancata trascrizione. In tal modo intercettazioni irrilevanti, intercettazioni di conversazioni contenenti dati sensibili, intercettazioni di conversazioni dei difensori e di altri soggetti garantiti, intercettazioni di conversazioni di parlamentari, intercettazioni di conversazioni di servizio previste dall’art. 270 bis c.p.p., potevano rifluire in casi in cui è opportuna la mera  ‘indicazione’ estrinseca delle ragioni dell’omessa trascrizione  da parte della polizia giudiziaria.

Il Consiglio rilevava,  poi, l’utilità di un indice separato contenente l’indicazione meramente numerica del progressivo delle conversazioni, privato anche dell’indicazione degli interlocutori (indicazione invece contenuta nel brogliaccio), il che avrebbe reso più agevole, nel contempo, la valutazione del PM sulle richieste di stralcio ex art. 268 comma 6 c.p.p., la possibilità per la difesa di individuare immediatamente le conversazioni che, accantonate dalla polizia giudiziaria e dal Pm in quanto ritenute irrilevanti, possano invece rivelarsi utili ai fini difensivi.

Le predette modalità avrebbero consentito – a parere del CSM –  la più agevole gestione da parte del giudice per le indagini preliminari, in occasione  del vaglio e della portata delle operazioni da compiersi nel corso dell’udienza stralcio, per la quale si sollecitava l’esigenza di una utilizzazione mirata e non massiva, secondo canoni di ‘sostenibilità organizzativa’, avendo preso atto che, come da precedente deliberazione del Consiglio, il limitato ricorso alla procedura di stralcio costituiva «… un fenomeno che ha destato, nel pubblico dibattito, allarme e perplessità rispetto alla tutela della riservatezza di terzi estranei al processo o delle stesse parti su circostanze irrilevanti per il processo ma di interesse per la cronaca».

La Risoluzione analizzava poi le ragioni processuali che hanno  condotto a una sorta di desuetudine nel ricorso a tale momento procedimentale, previsto dall’allora vigente art. 268, commi 6 e 7, c.p.p..

In primo luogo il ricorso significativo ai riti alternativi, che consentono l’utilizzo come prova dei cd. “brogliacci d’ascolto”, cosicchè inutile, se non in casi peculiari e limitati, risulta la trascrizione delle registrazioni.

Un fattore critico rispetto alla attivazione del procedimento di stralcio è consistito nella difficoltà di espletare in tempi brevi la conseguente perizia di trascrizione, che importa il decorso di un lasso temporale prezioso,  incidente sui termini di custodia cautelare, cosicchè nella prassi l’attività tecnica viene affidata al giudice del dibattimento.

Anche le questioni giurisprudenziali attinenti alla competenza funzionale,  del Gip piuttosto che del Gup a disporre la trascrizione delle conversazioni,  non hanno consentito l’individuazione di un unico giudice competente.

Inoltre è frequente il caso  che da un unico procedimento possano derivarne di ulteriori, cosicchè il  deposito degli  atti può essere parziale e anche il giudizio di rilevanza può mutare in relazione ad ogni singolo procedimento.

A fronte delle cause della desuetudine dell’istituto, il Consiglio suggerisce, con  la Risoluzione, un ricorso all’udienza prevista dall’art. 268 c.p.p. limitato, essenzialmente in due casi, appunto un uso mirato e non massivo.

Quando il pubblico ministero abbia avanzato una richiesta di misura cautelare e, nel selezionare il materiale posto a sostegno della stessa, abbia escluso le comunicazioni o le conversazioni vietate dalla legge e quelle che, oltre ad essere manifestamente irrilevanti, contengano anche dati sensibili.

Ovvero  allorchè  il pubblico ministero, pur non avendo avanzato una richiesta cautelare, dirigendo le indagini ai sensi dell’art. 327 cod. proc. pen., abbia assunto cognizione volta per volta della raccolta di conversazioni che presentano gli attributi indicati in precedenza – di rilevanza e irrilevanza  – e offra pertanto una selezione del materiale tratto dalle intercettazioni che può da subito essere valutato dal Gip.

Come si leggerà il tema dell’udienza stralcio, a seguito della riforma operata con legge n. 7 del 2020, tornare a essere centrale, potendo restituire, con il ruolo riattribuito al pubblico ministero, attualità anche alla Risoluzione consiliare del 2016.

4.         La rinnovata attualità della Risoluzione a seguito della legge n. 7/2020: la controriforma.

Il decreto legge del 30 dicembre  2019 n. 161, convertito in legge 28 febbraio 2020 n. 7,  è stato indicato dai primi commentatori come la <<riforma della riforma>> ovvero la <<controriforma>>[10], volendo di fatto intendersi la natura di “ritorno al passato” della riforma “Bonafede”, che riedita l’impostazione originaria del codice di rito, scavalcando la disciplina del decreto legislativo n. 216/2017, attuativo della cd. riforma “Orlando” [11] e differito a più riprese nella sua vigenza dal legislatore, come noto.

Oltre alla critiche relative allo strumento del decreto legge [12], questo alternarsi normativo, che di certo non aiuta gli operatori del diritto, esprime opzioni di natura politica ben diverse e ha determinato che di fatto la legge n. 7/2020 abbia ricondotto allo ‘status quo ante’ alcuni profili della disciplina delle intercettazioni.

Tale ‘retroazione’ rende in tal modo di nuovo attuali alcuni profili della Risoluzione consiliare che si rapportava proprio al quadro normativo anteriore alla riforma “Orlando”.

Certamente una chiara rivisitazione vi è stata in relazione al ruolo del pubblico ministero e al suo rapporto con la polizia giudiziaria, come pure vi è stato un ribaltamento quanto alla selezione delle conversazioni, nella riforma “Orlando” previsto ‘a monte’, in quella “Bonafede” di fatto ‘a valle’.

5.         Dal sindacato eventuale del pubblico ministero a seguito della annotazione della polizia giudiziaria  alle direttive del pubblico ministero.

Si anticipa da subito che deve condividersi il giudizio positivo in ordine alla rinnovata centralità attribuita al pubblico ministero dall’art. 268 c. 2-bis c.p.p.,  al quale oggi è chiesto di dare indicazioni e vigilare affinché nei verbali non siano riportate espressioni lesive della reputazione delle persone o quelle che riguardano dati personali definiti sensibili dalla legge, salvo risultino rilevanti ai fini delle indagini[13].

Questa impostazione ribalta quella che aveva delegato la polizia giudiziaria, nella precedente formulazione del citato comma 2-bis, vietando la trascrizione anche sommaria delle conversazioni irrilevanti, sia per l’oggetto che per i soggetti coinvolti, ovvero di quelle irrilevanti e aventi a oggetto  i dati sensibili. In tal caso la polizia giudiziaria si sarebbe limitata alcuni dati estrinseci (data, ora,  utenze o dispositivo), redigendo poi  una annotazione indirizzata al pubblico ministero  ex art. 267 comma 4 c.p.p., che a sua volta avrebbe effettuato il sindacato di rilevanza disponendo con decreto motivato la trascrizione della conversazione, se del caso.

Come è stato notato anche dal CSM,  con il parere in ordine all’ultimo d.d.l. di conversione [14], al pubblico ministero veniva, quindi, riservato un controllo successivo ed eventuale rispetto alla selezione effettuata dalla polizia giudiziaria, alla quale quindi veniva attribuita una eccessiva discrezionalità con riguardo all’individuazione delle conversazioni irrilevanti.

Già nella relazione illustrativa al D.Lgs. n. 216/2017 si chiariva che l’obbligo di informare il pubblico ministero per mezzo dell’annotazione di cui all’art. 357 c.p.p. sussistesse per i soli casi di dubbio  in ordine alla rilevanza della conversazione: cosicchè nei casi di ritenuta – da parte della polizia giudiziaria –  certa irrilevanza, al pubblico ministero  sarebbe stata del tutto sottratta la conoscenza del contenuto della captazione,  quindi anche  la facoltà di indirizzare le indagini  in modo conseguente, oltre che la possibilità  di  disporre la trascrizione immediata.

Tanto più che, se anche non si fosse intesa l’annotazione come conseguente solo ai casi dubbi ma per tutti i casi impeditivi della trascrizione, dunque in modo diffuso, il meccanismo ‘annotazione della polizia giudiziaria/delibazione del pubblico ministero’ avrebbe determinato una formalizzazione eccessiva dei rapporti fra il magistrato e la polizia giudiziaria, per altro evidenziata anche in dottrina[15], oltre che una sostanziale insostenibilità organizzativa della descritta dialettica procedimentale.

6.         Il ruolo del  pubblico ministero  nella previsione costituzionale e codicistica.

La Risoluzione consiliare, come anticipato, ribadiva come il pubblico ministero sia parte imparziale del processo, dominus delle indagini preliminari che effettua direttamente o delegando la polizia giudiziaria, che dal pubblico ministero dipende funzionalmente.

Si affermava come spetti al pubblico ministero, direttamente o attraverso le direttive fornite alla polizia giudiziaria, il primo delicato compito di “filtro” nella selezione delle intercettazioni, come momento preventivo,  teso a evitarne la verbalizzazione delle conversazioni intercettate quando  irrilevanti o inutilizzabili e dunque a impedire l’ingiustificata diffusione.

Tali affermazioni, di sistema, restano di assoluta attualità, e occorrerà verificare se e come siano adattabili, e con esse il generale potere di direttiva del pubblico ministero alla polizia giudiziaria, al nuovo dettato normativo.

Né, per altro, il CSM riteneva ammissibile, neanche nell’ambito specifico delle operazioni di intercettazione, una possibile delega “in bianco” alla polizia giudiziaria.

A tale ultima possibilità si opponevano e si oppongono tuttora plurime ragioni.

La prima fra queste attiene alle attribuzioni del Pubblico ministero nelle indagini, funzionali alle proprie e esclusive determinazioni in ordine all’esercizio dell’azione penale: la relazione fra pubblico ministero e polizia giudiziaria, ciascuno nell’ambito delle proprie attribuzioni (art. 326 c.p.p.), è caratterizzata dalla primazia del primo in quanto titolare dell’azione penale obbligatoria (art. 112 Cost.), della direzione delle indagini, del disporre della polizia giudiziaria.

Tale primazia si esprime anche nella previsione dell’art. 370 c.p.p. che sancisce che è il pubblico ministero che compie personalmente gli atti di indagine, salve le ipotesi di delega alla polizia giudiziaria.

Pertanto, sia la funzionalizzazione delle indagini alle scelte in ordine all’esercizio dell’azione penale, che spettano al Pubblico ministero; sia anche il disporre direttamente della polizia giudiziaria, ai sensi dell’art. 109 Cost., escludono una autonomia valutativa di quest’ultima in tema di intercettazioni.

D’altro canto la stessa disciplina delle intercettazioni ex art. 266 c.p.p. e ss. c.p.p. non prevede un potere di iniziativa della polizia giudiziaria, in quanto lo strumento investigativo è inserito nell’ambito di indagini preesistenti dirette dal Pubblico ministero  –  non a caso occorrono i gravi indizi di reato quale presupposto dei provvedimenti di autorizzazione alla captazione –  e per altro l’art. 267, comma quarto, c.p.p. sancisce che sia il pubblico ministero a procedere alle operazioni di captazione personalmente ovvero avvalendosi di un ufficiale di polizia giudiziaria [16].

Anche l’‘avvalersi’ indica una dimensione di dipendenza della polizia giudiziaria dal pubblico ministero, a maggior ragione in questo ambito, in coerenza con il disegno costituzionale e codicistico.

D’altro canto la stessa Corte costituzionale è intervenuta sulla portata dell’art. 109 Cost. a proposito del conflitto di attribuzioni sollevato dal Procuratore della Repubblica di Bari  in relazione all’art. 18, co. 5, D.lgs. 19 agosto 2016, n. 177 [17] nella parte in cui prevedeva che ai vertici delle forze di polizia fosse consentito dettare istruzioni per ricevere, nell’ambito della scala gerarchica, notizie in ordine all’inoltro delle informative di reato alla autorità giudiziaria.

Secondo la Corte, <<l’art. 109 Cost., prevedendo che l’autorità giudiziaria dispone direttamente della polizia giudiziaria, ha il preciso e univoco significato di istituire un rapporto di dipendenza funzionale della seconda nei confronti della prima, escludendo interferenze di altri poteri nella conduzione delle indagini, in modo che la direzione di queste ultime ne risulti effettivamente riservata all’autonoma iniziativa e determinazione dell’autorità giudiziaria medesima»[18]. Dunque la dipendenza della polizia giudiziaria dal pubblico ministero nell’ambito delle indagini risulta corollario del principio di indipendenza esterna della magistratura.

Ciò non impedisce, anzi implica una capacità di collaborazione e una intesa strettissima fra pubblico ministero e polizia giudiziaria, come pure un potere di iniziativa attribuito alla stessa pur sempre nell’ambito della relazione di dipendenza descritta.

Ulteriore ragione che impone la centralità del pubblico ministero nell’ambito delle intercettazioni attiene alla previsione dell’art. 358 c.p.p. che gli attribuisce il potere – dovere, ordinamentale e processuale, di raccogliere elementi a favore della persona sottoposta all’indagine. Anche in questa prospettiva la primazia del pubblico ministero nella ‘gestione’ delle intercettazioni risulta fondamentale, come declinazione dell’essere ‘parte imparziale’.

La terza ragione, come osservato dalla Risoluzione consiliare, sta nella circostanza che è il pubblico ministero l’unico organo, in quanto magistrato, in possesso degli imprescindibili strumenti conoscitivi, spesso di non facile applicazione rispetto al caso concreto, atti a consentire un appropriato vaglio delle conversazioni.

E soprattutto in indagini delicate e ad ampio spettro, è il collettore di plurimi accertamenti, a volte provenienti da diversificati settori della  polizia giudiziaria, talora svolti direttamente dal medesimo ufficio inquirente, i quali trovano proprio nella saldatura operata dal magistrato dell’accusa il loro momento di sintesi e di  complessiva valutazione, senza contare che proprio il pubblico ministero possa  valutarne la rilevanza anche rispetto ad altri procedimenti in corso.

Pertanto,  risulta coerente con le ragioni normative e di sistema predette l’opzione della legge n.7/2020 che richiede al pubblico ministero di dare indicazioni e vigilare anche sul contenuto del brogliaccio, ai sensi dell’art. 268 comma 2-bis c.p.p. Facoltà che già i procuratori della Repubblica avevano esercitato con le richiamate circolari prima della riforma  “Orlando”.

7. Le modalità e l’ambito di incidenza delle direttive del Pubblico ministero e del sostituto procuratore.

Il CSM con il richiamato parere[19]  ha condiviso il giudizio positivo quanto alla nuova previsione dell’art. 268, comma 2-bis, c.p.p.  che supera le criticità connesse alla precedente opzione legislativa, in particolare eliminando il divieto di trascrizione, anche sommaria, delle comunicazioni o conversazioni irrilevanti ai fini delle indagini.

D’altro canto, lo stesso parere evidenzia la criticità della nuova disposizione che grava il pubblico ministero di un <<obbligo di vigilanza la cui concreta attuazione può rivelarsi particolarmente complessa e difficile, fino a divenire di dubbia esigibilità nei casi di procedimenti con numero elevato di comunicazioni captate quotidianamente. Tanto più se la norma venisse interpretata in senso letterale, ossia disponendo una vigilanza concomitante alla redazione del verbale, il che non appare tecnicamente praticabile>>.

Due sono i temi da affrontare nella prospettiva dell’ordinamento giudiziario oltre che processuale: in primo luogo quali modalità debbano assumere le indicazioni del pubblico ministero alla polizia giudiziaria; in secondo luogo se l’ambito di intervento delle direttive del pubblico ministero debba limitarsi ai casi tipici indicati dal comma dall’art. 268 comma 2-bis c.p.p. – esclusione delle espressioni lesive della reputazione o afferenti dati personali sensibili – o sia possibile una estensione ad altri casi non tipizzati che giustifichino una trascrizione limitata.

Quanto al primo quesito, si è dato conto delle ragioni – supra § 6.  –  per le quali il  potere di indicazione e di vigilanza  sia frutto generale del  principio che individua nel pubblico ministero il dominus delle indagini preliminari.

L’esperienza ordinamentale pregressa ha visto, in assenza della disposizione del comma 2-bis, l’intervento dei procuratori della Repubblica con le circolari a tutela della riservatezza, sia dell’indagine che dei dati sensibili, esigenza poi fatta propria dalla Risoluzione consiliare e poi, seppur nella forma differente, dalle riforme “Orlando” e “Bonafede”.

Non si vede alcun impedimento a ritenere replicabile l’utilizzo di  circolari o direttive interne, con previsione di  criteri generali idonei a fornire indicazioni sulle modalità di espletamento delle trascrizioni valevoli in tutti i procedimenti [20]. Per altro il sostegno normativo a tale opzione oltre che dalla normativa codicistica e da quella ordinamentale primaria – decreto legislativo 106/2006 –  si trae anche dalla Circolare consiliare sull’organizzazione degli Uffici di Procura  che all’art. 2 c. 2 prevede che <<per assicurare l’efficacia e l’efficienza dell’attività dell’ufficio, il Procuratore della Repubblica può determinare i criteri generali ai quali i magistrati devono attenersi nell’impiego della polizia giudiziaria, nell’uso delle risorse tecnologiche assegnate e nella utilizzazione delle risorse finanziarie delle quali l’ufficio può disporre, nel rispetto delle disposizioni contenute nel decreto legislativo n. 106 del 2006>>[21].  Nella nozione di impiego della polizia giudiziaria ben può annoverarsi l’‘avvalersi’ dell’ufficiale di polizia giudiziaria previsto dall’art. 267 comma quarto c.p.p.

D’altro canto la nozione di pubblico ministero, alla quale fa riferimento il citato comma 2-bis, è da riferirsi all’ufficio del pubblico ministero, non al singolo sostituto.

Non di meno, essendo il sostituto assegnatario del fascicolo colui che deve provvedere alla attività di vigilanza in concreto ai sensi dell’art. 268 c. 2-bis c.p.p., deve ritenersi che, qualora sia necessario, ben possa integrare di ulteriori specifiche i criteri generali dettati in tema di intercettazione,  in ragione delle peculiarità dell’indagine e fermo il dovere di leale collaborazione con il dirigente, come prefissato sempre dal richiamato art. 2 della citata circolare.

Critiche sono state proposte alla modifica “Bonafede” in quanto, si è affermato,  attribuire un potere di vigilanza al pubblico ministero  implicherebbe – anche oltre l’intenzione – il  riconoscimento di un ruolo autonomo alla polizia giudiziaria nell’ambito delle intercettazioni, che la riforma “Orlando” non prevedeva [22].

Tali acute osservazioni, a ben vedere, non convincono, non solo per la stabile dipendenza funzionale della polizia giudiziaria dal pubblico ministero, ma anche perché resta ferma la facoltà, prevista  dall’art. 267 c. 4 c.p.p.,  che il pubblico ministero provveda di persona alle operazioni di  intercettazione, ovvero scelga di avvalersi della polizia giudiziaria.

In sostanza, la nuova previsione del citato comma 2-bis troverà applicazione quando il pubblico ministero si avvalga della polizia giudiziaria, il che solitamente avviene: ma l’ufficiale di p.g. oggi più di ieri dovrà rispondere, seppur in modo informale, e non a mezzo del macchinoso alternarsi di  annotazioni, ai criteri e alle direttive generali e specifici dettate dall’ufficio del  pubblico ministero.

Sul punto risulta di assoluta attualità quanto prevede la Risoluzione consiliare che per un verso, consapevole delle difficoltà logistiche specie negli uffici di grandi dimensioni, promuoveva la necessità che il procuratore della Repubblica, con una direttiva generale alla polizia giudiziaria, ed il pubblico ministero, nello specifico delle indagini, riservino all’organo inquirente il controllo nei soli  casi di dubbio. Si badi,  a differenza della riforma Orlando,  le direttive in questo caso provengono dall’ufficio del pubblico ministero e il dubbio deve riguardare l’applicazione delle stesse al caso concreto, con forte riduzione dell’autonoma valutazione da parte della polizia giudiziaria.

Per altro verso la Risoluzione prevedeva, in ordine al rapporto fra pubblico ministero e polizia giudiziaria la necessità  di un continuo e proficuo  confronto immediato anche per evitare  <<la redazione di sunti di conversazioni contenenti dati sensibili irrilevanti e/o inutilizzabili, con conseguente pericolo di illegittima divulgazione, dall’altro di garantire la non dispersione di tutti gli elementi di prova a favore o contro l’indagato, nell’ambito della riaffermazione di un principio di completezza ed onnicomprensività del fascicolo delle indagini del PM., che consiglia di evitare la redazione di note o appunti separati di problematica gestione e conservazione>.

Anche la questione dei sunti delle conversazioni nelle informative della polizia giudiziaria, con finalità di tutela dei dati caratterizzati da riservatezza, deve trovare però un bilanciamento con la messa a disposizione del pubblico ministero  prima  e del gip dopo, chiamato a autorizzare o prorogare le intercettazioni, della trascrizione, anche sommaria, della conversazione nella forma completa: solo in questo modo è possibile una delibazione reale delle conversazioni, che vede il magistrato requirente e giudicante unici interpreti del dialogo captato in funzione delle decisioni da assumere.

8.         I criteri  per la  trascrizione nei brogliacci: casi tipizzati e non tipizzati.

Massivo e radicale era il divieto della versione “Orlando” che impediva la <<trascrizione, anche sommaria> delle comunicazioni irrilevanti, ancor più se relative a dati personali sensibili,  imponendo la sola ‘indicazione’ dei dati estrinseci: data, ora, dispositivo.

La riforma “Bonafede” elimina il divieto e affida al pubblico ministero il compito di dare indicazioni e vigilare <affinchè nei verbali non siano riportate espressioni lesive della reputazione delle persone o quelle che riguardano dati personali definiti sensibili [23]per legge>>, salva la rilevanza ai fini della indagini.

Letteralmente si passa dal divieto dell’<intera conversazione> (riforma “Orlando”), perchè irrilevante oggettivamente e soggettivamente, a un ‘criterio ex lege’ al quale il pubblico ministero e la polizia giudiziaria devono attenersi, riferito alle sole <espressioni> (riforma “Bonafede”), il che lascerebbe ritenere che il resto della conversazione, nella parte in cui non è lesiva della reputazione o non attinga dati sensibili, si debba  trascrivere [24].

Si è evidenziata opportunamente la discutibilità, nel  passaggio dall’una all’altra riforma, della opzione minimalista della soluzione “Bonafede”: sia nel senso di limitare la selezione solo alle ‘espressioni’ afferenti dati sensibili o offensivi e non anche all’intera conversazione,  se necessario; sia anche quanto alla ipotizzata riduzione dei casi che legittimano l’omessa trascrizione, che non dovrebbero comprendere più la generale irrilevanza della conversazione per ragioni oggettive e soggettive, il che consentirebbe l’acquisizione di informazioni  ultra vires [25].

Certo esiste il divieto “a valle”, posto dall’art. 114 comma 2-bis c.p.p. quanto alla pubblicazione delle conversazioni non acquisite: se per un verso la fiducia nel divieto può dirsi fondata in ragione dell’esistenza dell’archivio riservato, fermo il divieto di copia e la possibilità di mero ascolto, per altro verso la sanzione prevista è stata giudicata correttamente irrisoria[26].

A fronte di ciò si è suggerita una condivisibile interpretazione che non frena la trascrizione in ordine alla sola <<espressione>> bensì all’intera conversazione – in caso di irrilevanza complessiva della stessa  –   in forza di una interpretazione logica-sistematica, collegata alla finalità della tutela dei dati sensibili non necessari all’indagine [27].

Non di meno, invece, qualora la conversazione sia complessivamente rilevante, potrà limitarsi a espungersi l’espressione (in sé non rilevante) offensiva o afferente dati sensibili.

Tornando alla natura della previsione dell’art. 268 c. 2-bis c.p.p., deve convenirsi con l’orientamento che ha rilevato come non tratti di divieto probatorio, bensì di un criterio fissato dal legislatore per il pubblico ministero a tutela del bene della riservatezza (dati sensibili) e dell’onore (espressioni lesive della reputazione) [28].

In effetti la norma non vieta, bensì riempie di contenuto le ‘indicazioni’ che il  pubblico ministero  deve necessariamente dare alla polizia giudiziaria per la tutela dei predetti beni: non vi è sanzione, tanto che si è escluso il divieto probatorio e ipotizzata l’irregolarità processuale[29].

Proprio questa condivisibile interpretazione, letterale e logico-sistematica, consente di ritenere che accanto ai contenuti minimali predetti  indicati dal legislatore,  perchè da inserire obbligatoriamente nelle direttive da dare alla polizia giudiziaria, ve ne debbano e possano essere di altri.

Infatti l’art. 103 c. 7 c.p.p., non modificato dalla riforma ‘Bonafede’, continua a  vietare la trascrizione anche sommaria delle conversazioni con il difensore,  imponendo solo l’ ‘indicazione’ dei dati estrinseci – data, ora, dispositivo.

A fronte di questo divieto, in questo caso, non solo non è precluso ma anzi deve ritenersi raccomandato che nelle direttive alla polizia giudiziaria il procuratore preveda esplicitamente la prescrizione del divieto di trascrizione della conversazione con il difensore, con le modalità che seguono.

La Risoluzione consiliare, anche su tale ipotesi, mantiene la sua attualità:

<< I testi delle intercettazioni – telefoniche ed ambientali- relative a colloqui tra l’indagato ed i propri difensori, dei quali è vietata l’utilizzazione ai sensi dell’art. 103 co. 5 cpp, non vanno riportati né nei brogliacci di intercettazioni, né nelle comunicazioni inviate al pubblico ministero. In tali casi la p.g. potrebbe indicare nel brogliaccio, oltre ai conversanti ed agli ulteriori dati estrinseci della conversazione, la dizione: “conversazione con difensore”. Opportuna è la scelta, effettuata in talune circolari, di prevedere che dell’esistenza di detti colloqui debba essere quanto prima dato avviso al pubblico ministero per le sue valutazioni>>.

Proprio il divieto dell’art. 103 c. 7, secondo periodo,  c.p.p., introdotto con la riforma “Orlando”,  recepiva la distinzione fra ‘trascrizione’ e ‘indicazione’ che la Risoluzione consiliare aveva proposto.

La ‘trascrizione’, anche sommaria, riproduce nel brogliaccio il contenuto della conversazione, in aggiunta ai dati estrinseci (conversanti, ora, data, utenze).

L’’indicazione’ invece – non a caso l’art. 103 c. 7 c.p.p. prevede che nel <<verbale sono indicate>> – è l’unica annotazione a farsi nel caso di mancata trascrizione sommaria, con l’aggiunta della causale della mancata trascrizione in ossequio alle direttive del procuratore della Repubblica o del sostituto.

Questa distinzione costituisce un modello che, universalizzato dalla Risoluzione consiliare [30], è stato recepito dal legislatore del 2017 e che oggi può essere nuovamente ripreso nelle circolari dei procuratori della Repubblica.

Plurime le ragioni per procedere alla ‘mera indicazione’ nei casi di irrilevanza e inutilizzabilità della conversazione: non trascrivere conversazioni inutili, che però mettono in circolazione dati riservati o sensibili, per altro imponendo anche alla polizia giudiziaria un onere superfluo di trascrizione; nonché garantire alla difesa, oltre che al pubblico ministero e alle altre parti, la conoscenza degli elementi essenziali e utili della conversazione per poter valutare se chiedere l’ascolto e la copia successivamente.

Il catalogo delle categorie di conversazioni da ‘indicare’ e non ‘trascrivere’ si rinviene nella Risoluzione consiliare.

In primo luogo con riferimento alle conversazioni irrilevanti ai fini delle indagini, categoria richiamata anche dall’attuale art. 268 c. 2-bis c.p.p.:

<<Intercettazioni irrilevanti. a) Ove le singole intercettazioni risultino palesemente estranee alle esigenze investigative e/o processuali, alla dimostrazione dei fatti costituenti reato e alla relativa responsabilità, la polizia giudiziaria potrebbe riportare nel brogliaccio di ascolto l’annotazione “intercettazione manifestamente irrilevante ai fini delle indagini”, senza alcun sunto o trascrizione, oltre che la mera indicazione, se conosciuti, degli interlocutori, nonché sinteticamente della tipologia di oggetto (es. “conversazione su argomenti familiari”, ovvero “conversazione su temi strettamente personali”, ecc.). b) Le trascrizioni, oltre a non essere riportate -per esteso o per estratto- nei brogliacci, nelle annotazioni di p.g. e nelle informative, non dovrebbero essere trasfuse dal magistrato procedente nelle richieste al giudice; c) In caso di dubbio o di inopportunità valutati da parte della polizia giudiziaria in merito alla possibile rilevanza della conversazione, sarebbe opportuno prevedere, come già prescritto in alcune delle direttive esaminate, la necessità di sottoporla al pubblico ministero designato per la trattazione delle indagini, affinché egli, nella cui competenza ricade la selezione delle conversazioni, ne esamini il contenuto. Le ragioni di metodo su evidenziate consigliano che la polizia giudiziaria riceva anche la direttiva, in caso di dubbio ovvero qualora sia opportuno per la qualità dei conversanti o per l’oggetto della conversazione, di segnalarla al Pm per il suo diretto ascolto. Il pubblico ministero, all’esito dell’ascolto, compiute le sue valutazioni ne disporrebbe la trascrizione o la mera indicazione nel brogliaccio. La peculiarità di ogni indagine, e la stessa sensibilità e preparazione professionale della polizia giudiziaria delegata, renderebbe necessario lasciare al singolo PM – in sede di formulazione delle specifiche direttive di indagine – la modulazione dei tempi di sottoposizione dei casi dubbi al suo esame.

Intercettazioni di conversazioni contenenti dati sensibili. Una speciale cautela, nella valutazione di pertinenza o rilevanza, si impone per le conversazioni il cui contenuto sia riferibile a dati sensibili ex art. 4 lett. d) D. Lgs. n. 196/03 (opinioni politiche o religiose, sfera sessuale, dati relativi alla salute), per i quali il c.d codice della privacy disegna uno statuto di protezione più marcata, riguardanti sia l’indagato sia terze persone non indagate o non intercettate direttamente. Quando dette conversazioni siano ritenute non rilevanti sul piano probatorio, se ne dovrà omettere la verbalizzazione anche riassuntiva, procedendo alla mera indicazione dei dati estrinseci con la dizione: ”conversazione privata relativa a dati sensibili”. Tali colloqui potrebbero essere trascritti e comunicati al pubblico ministero solo se ritenuti pertinenti e rilevanti sul piano investigativo, previa consultazione del Pm nei casi dubbi o di opportunità secondo le modalità quanto già indicate ai precedenti punti a), b), c). (…)

Intercettazioni di altri soggetti garantiti: si tratta delle conversazioni che intercorrano fra gli altri soggetti – comunque “garantiti” in quanto depositari di segreto professionale – indicati dal combinato disposto degli artt. art. 200 comma 1 lett. a), b), c) e d) cpp e l’indagato o terzo sottoposto ad intercettazione. Tali conversazioni potrebbero non essere trascritte ma meramente indicate nel brogliaccio con la seguente indicazione: “conversazione tra indagato e soggetto ex art. 200 comma 1cpp”, specificando a quale categoria della disposizione il medesimo appartenga. In tutti questi casi, di conversazioni che coinvolgono difensori o soggetti altrimenti garantiti, potrebbe applicarsi, in quanto compatibile, quanto già previsto ai precedenti punti a), b), c).

Intercettazioni di conversazioni di parlamentari. Nel caso in cui si verifichino intercettazioni “casuali” di conversazioni di parlamentari, esse non andrebbero immediatamente trascritte, ma meramente indicate nel brogliaccio con la dicitura “conversazione casualmente captata con parlamentare”, dandone immediata informativa al pubblico ministero per le sue valutazioni. Andrebbe applicato, per quanto compatibile, quanto previsto ai precedenti punti a), b), c)., Intercettazioni di conversazioni di servizio previste dall’art. 270 bis c.p.p. Andranno trascritte le conversazioni che appariranno immediatamente utilizzabili nei confronti di terzi indagati. Nel caso di captazione casuale di conversazioni di servizio di appartenenti al Dipartimento delle Informazioni per la sicurezza e ai servizi di informazione per la sicurezza, di cui all’art. 270 bis c.p.p., appare congrua la raccomandazione secondo la quale dovrà essere effettuata generica annotazione sul brogliaccio di intercettazioni (“conversazione ex art. 270 bis c.p.p.”) e dovrà essere avvertito tempestivamente il pubblico ministero, trattandosi di intercettazioni inutilizzabili (salvo che non ricorrano le condizioni di cui al co. 3 o il Presidente del Consiglio ne abbia autorizzato l’utilizzo o siano decorsi i termini di cui al co. 4 del medesimo art. 270 bis cpp). Andrebbe poi dove compatibile, quanto previsto ai precedenti punti a), b), c). >>.

Quello della Risoluzione risulta essere, a seguito della contro-riforma ‘Bonafede’, un catalogo e una proposta di modalità nei rapporti fra pubblico ministero e polizia giudiziaria di assoluta attualità[31].

9.         La preselezione funzionale all’udienza stralcio e il diritto di difesa.

La pre-selezione in fase di ascolto, in attuazione delle direttive e a seguito di interlocuzione informale con il pubblico ministero per i casi dubbi,  ha il pregio di fornire già una prima distinzione in vista dell’udienza stralcio fra conversazioni rilevanti e non, utilizzabili e non. Si tratta, per altro, di una prassi già seguita spesso dalla polizia giudiziaria, con la quale anche le difese hanno dimestichezza.

In sostanza sia che si tratti dell’udienza stralcio prevista dall’art. 268 c.p.p., ovvero del contraddittorio a seguito del deposito dell’avviso dell’art. 415 bis c.p.p. o anche della richiesta di giudizio immediato ai sensi dell’art. 454 c.p.p., il Pubblico ministero deve depositare l’elenco delle conversazioni rilevanti ai fini di prova [32]. E altrettanto spetta alla difesa.

La pre-selezione assicura maggior tutela ai dati sensibili, oltre a essere funzionale a semplificare il  momento dello stralcio, anche per il giudice in vista della perizia di trascrizione.

Accompagnando ai dati estrinseci previsti dall’art 103 c.p.p. (ora, data, dispositivo) anche l’identità dei conversanti e la causale della omessa trascrizione (conversazione con il difensore, su argomenti familiari, relativa a dati sensibili, ecc. ) si consente anche alla difesa  la consultazione di  una “mappa”  delle conversazioni non trascritte,  che può orientare a un ascolto mirato delle conversazioni per le quali richiedersi la trascrizione non ancora effettuata, avendo contezza della rilevanza di conversazioni che eventualmente la polizia giudiziaria ed il pubblico ministero non abbiano colto.

La Risoluzione consiliare consigliava anche, come misura utile e opportuna,  che la polizia giudiziaria mettesse a disposizione del pubblico ministero un indice separato contenente l’indicazione meramente numerica del progressivo delle conversazioni non trascritte, privato anche dell’indicazione degli interlocutori (indicazione invece contenuta nel brogliaccio) che renda più agevole, nel contempo, la valutazione del pubblico ministero  sulle richieste di stralcio ex art. 268 comma 6 cpp, la possibilità per la difesa di individuare immediatamente le conversazioni che, accantonate dalla polizia giudiziaria e dal Pm in quanto ritenute irrilevanti, possano invece rivelarsi utili ai fini difensivi, ed infine la più agevole gestione da parte del giudice per le indagini preliminari del vaglio e della portata delle operazioni dell’udienza stralcio.

Tale indice separato verrebbe a far parte della documentazione da archivio riservato e potrebbe suggerire alla difesa un ascolto mirato delle conversazioni presso l’archivio riservato, non potendo estrarre copia dei brogliacci, come pure costituire già un elenco ‘negativo’ per il pubblico ministero[33], oltre che  una ‘guida all’esame’  per il  giudice,  che deve operare, quando necessario,  lo stralcio anche d’ufficio, come recita l’art. 268 c. 6 c.p.p.

10.   La sobrietà contenutistica e il procedimento cautelare.

C’è un ulteriore profilo che sembra aver raccolto il legislatore, tratto dalla Risoluzione consiliare, che di fatto costituisce un richiamo alla responsabilità, all’etica professionale degli attori del processo.

Il CSM nel luglio 2016, infatti,  rilevava come indispensabile il contributo di tutte le parti del giudizio per la ricerca del contemperamento tra interessi individuali e collettivi, non solo con riferimento alle registrazioni irrilevanti e inutilizzabili, ma anche per quelle utili per il giudizio.

In effetti il legislatore della riforma ‘Orlando’, confermato dall’intervento ‘Bonafede’,  ha introdotto l’art. 291 comma 1-ter c.p.p. per effetto del quale la richiesta di misura cautelare formulata dal pubblico ministero non può contenere la riproduzione integrale delle intercettazioni, bensì solo quella dei brani essenziali [34].

Fu poi introdotta una speculare disposizione per il g.i.p.   – art. 292, comma 2-quater, c.p.p. secondo cui quando è necessario per l’esposizione delle esigenze cautelari e degli indizi, delle comunicazioni e conversazioni intercettate sono riprodotti soltanto i brani essenziali.

Questo richiamo all’essenzialità dei brani tratti dalle conversazioni intercettate è evidentemente funzionale a evitare che negli atti procedimentali siano rinvenibili  elementi di fatto non funzionali alla richiesta e all’ordinanza cautelare, con una superflua quando non dannosa  divulgazione dei risultati delle intercettazioni.

E’ stato opportunamente osservato come tali norme introducano una sorta di raccomandazione per il pubblico ministero e per il Gip, priva di sanzione e, quindi, senza alcuna garanzia che non si perpetui la diffusione dei brani integrali [35].

Non pare possibile una diversa formulazione dell’invito a selezionare il materiale tratto dalle intercettazioni, in quanto esclusivamente i soggetti del processo possono, in ragione delle valutazioni del caso per caso, rilevare la necessità o la superfluità dell’inserimento delle trascrizioni delle intercettazioni negli atti del procedimento.

In tal senso deve rilevarsi come in molti contesti, specie nelle indagini di criminalità organizzata, l’intercettazione è prova diretta, in quanto cristallizza la condotta di reato che si vuole provare (si pensi al caso di una richiesta estorsiva captata dalla microspia posta nell’autovettura dell’indagato) o anche il contesto che fornisce elementi utili a verificare l’inserimento in associazioni mafiose (cosicchè una pluralità di conversazioni comprovano l’affectio societatis e il contributo continuativo e costante offerto al sodalizio, pur non comprovando in sé alcun reato fine). Cosicchè ciò che fuori contesto può apparire irrilevante non lo è in certo ambito delinquenziale.

A fronte della peculiarità di ogni indagine non può che essere rimessa alla responsabilità di ogni attore del processo, pubblico ministero, difensore e giudice della cautela, l’esame di ciò che è essenziale e di ciò che non lo è.

La Risoluzione consiliare evidenziava un profilo di ulteriore importanza, anche a fronte di proposte di modifica normativa che per garantire la riservatezza dei dati sensibili proponevano che negli atti della cautela fossero inseriti i sunti delle conversazioni: maggiori garanzie anche per la difesa offre invece la riproduzione integrale della trascrizione ferma restando la possibilità di  escludere profili inutilmente lesivi della riservatezza di terzi che ne sono parti o che sono citati.

Tale impostazione appare ancora attuale e soprattutto è stata recepita dal comma 2-bis dell’art. 268 c.p.p, che consente l’espunzione anche di singole espressioni.

Spetterà ai magistrati valutare e evidenziare la necessità delle esclusione o meno del rilievo probatorio del dato sensibile nella motivazione del provvedimento, in tal modo di fatto illustrando il bilanciamento dei valori contrapposti e la ragione che giustifica la riproduzione della registrazione negli atti.

Non di meno incombe sul giudice come sul pubblico ministero e il difensore un onere che il CSM definisce di “sobrietà contenutistica”, di natura deontologica, per altro sostenuta dall’obbligo di correttezza e di lealtà nei confronti delle parti.

Non a caso nella Risoluzione vengono richiamate per un verso  le disposizioni deontologiche del codice etico dell’Associazione nazionale magistrati che agli artt. 12 e 13 prevede che il giudice <<nelle motivazioni dei provvedimenti … evita di pronunciarsi su fatti o persone estranei all’oggetto della causa …. ovvero – quando non siano indispensabili ai fini della decisione – sui soggetti coinvolti nel processo>> ed il pubblico ministero <<indirizza la sua indagine alla ricerca della verità acquisendo anche gli elementi di prova a favore dell’indagato e non tace al giudice l’esistenza di fatti a vantaggio dell’indagato o dell’imputato … Evita di esprimere valutazioni sulle persone delle parti, dei testimoni e dei terzi, che non sia conferenti rispetto alla decisione del giudice>>.

Nonché l’art. 13 del codice deontologico forense intitolato “Dovere di segretezza e riservatezza” che prevede: <<L’avvocato è tenuto, nell’interesse del cliente e della parte assistita, alla rigorosa osservanza del segreto professionale e al massimo riserbo su fatti e circostanze in qualsiasi modo apprese nell’attività di rappresentanza e assistenza in giudizio, nonché nello svolgimento dell’attività di consulenza legale e di assistenza stragiudiziale e comunque per ragioni

professionali>>.

Le raccomandazioni che il legislatore rivolge al pubblico ministero  e al giudice,  quanto al contenuto  della richiesta e dell’ordinanza cautelare, possono quindi riempirsi di contenuto deontologico, sollecitando una selezione del materiale al proprio vaglio nei limiti di quello effettivamente funzionale alla motivazione del provvedimento, limitando  la lesione della riservatezza dei terzi estranei alle indagini, anche ricorrendo, se ritenuto opportuno e comunque funzionalmente sostenibile, ad omissis quanto a riferimenti a cose o persone.

D’altro canto il compito di selezione è attribuito anche normativamente al giudice della cautela che ai sensi dell’art. 92 c. 1-bis disp. att. c.p.p. con la trasmissione della ordinanza al pubblico ministero dell’esecuzione trasmette anche i brogliacci di conversazioni non utilizzabili o irrilevanti rispetto all’ordinanza cautelare, per la conservazione nell’archivio riservato.

Anche questa una disposizione a tutela della riservatezza, che certamente potrà essere garantita da norme vincolanti,  ma che maggior tutela potrà avere da un comportamento responsabile e deontologicamente corretto di tutti gli attori  del processo e del mondo della informazione.

[1] Si tratta della Risoluzione n. 285/VV/2016 – Pratica 285/VV/2016, approvata con delibera del 29 luglio 2016, reperibile su www.csm.it, nonché in Foro it. anno 2017, parte III, col. 286.

[2] Sugli atti consiliari e sulle fonti dell’ordinamento giudiziario, da ultimo, F. Dal Canto, Lezioni di ordinamento giudiziario, Giappichelli, Torino, 2018, p. 65 ss.

[3] Da ultimo, anche in relazione all’emergenza determinata dalla pandemia del virus COVID-19 il CSM, recependo alcuni protocolli realizzati fra dirigenti degli uffici giudiziari e organismi dell’avvocatura in sede locale,  ha deliberato le  Linee guida ai Dirigenti degli uffici giudiziari in ordine all’emergenza sanitaria Covid-19 e proposta al Ministro della Giustizia ai sensi dell’art. 10, comma 2 L. n. 195 del 24 marzo 1958 (delibera 5 marzo 2020), nonché  Ulteriori linee guida in ordine all’emergenza sanitaria Covid-19 all’esito del D.L. n. 11 8.3.2020. (delibera 11 marzo 2020), reperibili in www.csm.it.

[4] L’espressione si rinviene nella delibera introduttiva del Codice dell’Organizzazione, p. 5,  costituente un testo unico ricognitivo dell’attività normativa in materia, approvato in Plenum nella seduta del 25 luglio 2018, è reperibile al link:  www.csm.it .

[5] Sulla categoria degli atti di soft law, che attraversa il tema delle fonti a livello internazionale, eurounitario e nazionale, come pure sui protocolli e le linee guida in sede di diritto processuale penale, F. Zammartino,  Le Autorità amministrative indipendenti: aspetti problematici e nuove prospettive, in  Dirittifondamentali.it, Fasc. 1/2020, p.  944 e ss., in particolare p. 953 e ss.; A. Algostino, La soft law comunitaria e il diritto statale: conflitto fra ordinamenti o fine del conflitto democratico?, in Costituzionalismo.it, Fascicolo n. 3/2016, 257;  F. Trapella, Brevissimo viaggio nel soft-law processuale, ovvero il giudizio penale al tempo dei protocolli, in Cass. pen., 2018, p. 4013; V. Bove, Brevi riflessioni su protocolli e linee guida: è a rischio il principio di legalità?,  in Dir. pen. contemp. (rivista online), 17 luglio 2015;  R. Bin, Soft law, no law, in A. Somma (a cura di), Soft law e hard law  nelle società postmoderne, Giappichelli, Torino, 2009.  

[6] Sul punto si richiama G. Volpe, voce Consiglio Superiore della Magistratura, in Enc. dir., Agg. IV, Giuffrè, Milano, 2000, p. 391, che definisce il senso dell’espressione ‘politica giudiziaria’ del Consiglio e vi annovera anche gli atti di indirizzo e orientamento funzionali allo spontaneo adeguarsi dei destinatari, come la Risoluzione in commento: <<Tra gli organi giudiziari, la Costituzione (art. 105 e 107) assegna al Consiglio le funzioni più importanti per quanto riguarda sia l’organizzazione sia l’indipendenza dei magistrati. Queste competenze riservate conferiscono poteri a tal punto vasti e rilevanti che, grazie anche alla forma e al contenuto normativi in cui possono essere esercitati, il Consiglio è in grado di elaborare e  volgere un indirizzo di politica giudiziaria, di delineare e di perseguire l’attuazione di un disegno generale di governo della magistratura.

Dipende dalla concreta capacità “politica” dei diversi consessi consiliari se l’esercizio delle competenze si risolva in interventi episodici e contingenti oppure risulti espressione coerente e sistemica di una politica dell’organizzazione e del funzionamento della magistratura (come i frammenti ricomponibili di un puzzle). Nella storia dei Consigli, se ne possono individuare alcuni che hanno svolto i loro poteri nell’ambito dell’ ‘amministrazione’, cioè di un sostanziale esercizio della classica discrezionalità amministrativa, ed altri che hanno trasformato l’esercizio di quei medesimi poteri in strategia di ‘politica giudiziaria’, di governo della magistratura. Resta comunque fermo che sia l’attività ‘amministrativa’ sia l’attività ‘governativa’ del Consiglio trovano fondamento nel riconoscimento dell’autonomia dell’ordine, di cui il Consiglio è costituzionalmente l’organo principale; e perciò da essa possono legittimamente scaturire sia atti amministrativo-normativi (astratti e generali) sia provvedimenti (concreti e singolari), tutti sottoposti al regime di controllo, impugnazione ed invalidazione tipico degli atti amministrativi; ma anche atti di indirizzo e di orientamento alla ricerca del consenso e dello spontaneo adeguarsi dei destinatari>>.

[7] Si richiamano sul punto, senza pretesa di esaustività,  le seguenti delibere consiliari, reperibili in www.csm.it ,  costituenti parere ex art. 10 c. 2 l. 195/1958 in relazione ai disegni di legge nel corso degli anni  proposti e alle relative ipotesi di modifica normativa in tema di disciplina delle intercettazioni, che già prevedevano, ad esempio, l’istituzione dell’archivio riservato con modifica dell’art. 269 c.p.p. (cfr. delibera 17 febbraio 2009),   come pure si riportano le indicazioni relative  al parere reso dal CSM  anche in ordine all’ultima modifica del dettato codicistico,  operata con disegno di legge di conversione del decreto legge n. 161/2019:

[8] La delibera è richiamata e illustrata da L. Giordano, La delega per la riforma della disciplina delle intercettazioni, ne La Riforma della giustizia penale, Giuffrè, 2007, 361 e ss. e sempre da L. Giordano in Il Consiglio Superiore della Magistratura sulle buone prassi in materia di intercettazioni: prime considerazioni, in Diritto Penale Contemporaneo, 2016, 11 ottobre 2016.   

[9] Si tratta del  Provvedimento in materia di misure di sicurezza nelle attività di intercettazione da parte delle Procure della Repubblica – n. 356 del  18 luglio 2013 (Pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale n. 189 del 13 agosto 2013), al quale ne sono seguiti di successivi , prescriveva misure di sicurezza fisica, informatica nonché quanto alle medesime misure per il luoghi diversi dalle Procure della Repubblica ove veniva praticato l’ascolto da remoto.

[10] Di <<riforma della riforma>> si legge in W. Nocerino, Prime riflessioni a margine del nuovo decreto legge in materia di intercettazioni, in Sist. pen., 1/2020, p. 67; di <<controriforma>  si legge in D. Pretti, La metamorfosi delle intercettazioni: la contro-riforma Bonafede e l’inarrestabile mito della segretezza delle comunicazioni, in  Sist. pen., 2/2020, p. 71. Tali contributi intervengono prima della conversione del decreto legge, come pure G. Santalucia,  Il diritto alla riservatezza nella nuova disciplina delle intercettazioni, in Sist. Pen.,  1/2020, p. 47; C. Larrini, La (contro)riforma delle intercettazioni: d.l. n. 161 del 2019,  in  disCrimen, 21 Gennaio 2020;  G. Pestelli, La controriforma delle intercettazioni di cui al d.l. 30 dicembre 2019 n. 161: una nuova occasione persa, tra discutibili modifiche, timide innovazioni e persistenti dubbi di costituzionalità, in Sist. pen., 2/2020, p. 109;  A. Scalfati,  Intercettazioni: spirito autoritario, propaganda e norme inutili,  in Arch. pen. 2020, n. 1, p.1; C. Gallo,  La procedura di deposito e selezione delle intercettazioni, in www.questionegiustizia.it. Successivi alla legge 7/2020 di conversione D. Pretti, La metamorfosi delle intercettazioni, ultimo atto? La  legge n. 7/2020 di conversione del D.L. n. 161/2019,  in Sist. Pen.,  scheda, 2 marzo 2020; G. Amato,   Pm “guardiano” della riservatezza, una scelta utopistica,  in  Guida dir., 13-14 marzo 2020, p. 47; G. Amato, Nella richiesta vanno riportati solo i brani essenziali, in Guida dir.,  13-14 marzo 2020, p.57;  A. Nappi,  Appunti sulla nuova disciplina delle intercettazioni, in www.giustiziainsieme.it, 17 aprile 2020. Si segnala altresì, all’esito della conversione, la Relazione dell’Ufficio del Massimario della Corte di cassazione n. 35/20 del 23 marzo 2020, rinvenibile in www.sistemapenale.it.

[11] Sulla riforma “Orlando”, G. Pestelli, Brevi note sul nuovo decreto legislativo in materia di intercettazioni: (poche) luci e (molte) ombre di una riforma frettolosa, in  Dir. pen. contemp., 1/18, p. 169; C. Parodi,  La delega in materia di intercettazioni contenuta nella Riforma della giustizia penale, in  Il Penalista, 24 luglio 2017; L. Giordano, Riforma Orlando: riprese fraudolente, intercettazioni, archiviazione e impugnazioni – meccanismi complessi non senza pericoli per il diritto di difesa, in Giur. It., 2018, 7, p. 1744. L. Filippi,  Intercettazioni: una riforma complicata e inutile, in

Dir. Pen. e Processo, 2018, 3, p. 294;   C. Conti, Riforma Orlando: riprese fraudolente, intercettazioni, archiviazione e

impugnazioni – le nuove norme sulla riservatezza delle intercettazioni: anatomia di una riforma discussa,  in Giur. It., 2018, 7, p.  1754; C. Conti, La riservatezza delle intercettazioni nella “delega Orlando”, in Dir. pen. cont., 3/2017, p. 78; A. Camon, Primi appunti sul nuovo procedimento d’acquisizione dei risultati delle intercettazioni, in Arch. pen., 2018/1, p.1; A. Camon, Intercettazioni e fughe di notizie: dal sistema delle circolari alla riforma Orlando, in Arch. pen. 2017/2,

 

[12] Di questo avviso Nocerino, Prime riflessioni, p.64;  Pretti, La metamorfosi, p. 72.; Scalfati, op.cit., p.1.

[13] Giudizio positivo è espresso anche da Pretti,  La metamorfosi, p. 76, che riferisce della sottrazione di ogni potere di delibazione alla polizia giudiziaria, con pieno recupero del ruolo del pubblico ministero; nello stesso senso anche Nocerino,   Prime riflessioni, p. 68 e s., pur se al nobile intento di attribuire al pubblico ministero la responsabilità della selezione, rileva difficoltà di ordine pratico legate alla impossibilità di garantire una adeguata vigilanza. Di diverso avviso Scalfati, op.cit., p. 2. che critica il meccanismo di selezione rimesso alla vigilanza del pubblico ministero.

[14] Parere sul Disegno di Legge n. 1659 AS di conversione del Decreto Legge n. 161/2019 recante modifiche urgenti alla disciplina delle intercettazioni di conversazioni o comunicazioni (GU Serie generale n. 305 del 31.12.2019) (Delibera del  13 febbraio 2020).

[15] Ritiene di non trascurabile macchinosità il sistema annotazione/sindacato del Pubblico ministero, Pretti,  La metamorfosi, p. 73; come pure Nocerino, cit., p. 68,  ritiene semplificata la procedura di selezione con attribuzione della responsabilità dell’operato esclusivamente alla pubblica accusa  che deve compiere la sintesi e la complessiva valutazione degli accertamenti operati.   Nello stesso senso Pestelli, op.cit., 118.

[16] Diverso il caso delle cd. intercettazioni preventive, nella forma prevista dall’art. 226 disp. att. c.p.p., ovvero nelle altre forme consentite dall’ordinamento, delle quali offre una interessante analisi W. Nocerino,  Le intercettazioni e i controlli preventivi sulle comunicazioni. strumenti d’indagine a rischio di “infiltrazioni processuali,  in  Riv.it. dir. proc. pen.,  2, p. 881.

[17] «Disposizioni in materia di razionalizzazione delle funzioni di polizia e assorbimento del Corpo forestale dello Stato, ai sensi dell’articolo 8, co. 1, lett. a), l. 7 agosto 2015, n. 124, in materia di riorganizzazione delle amministrazioni pubbliche».

[18] Si rinvia per la sentenza della Corte, con nota di G.  Battarino,  Autorità giudiziaria e polizia giudiziaria: ritorno alla Costituzione, in   Questione Giustizia, 13 dicembre 2018, www.questionegiustizia.it, con interessanti rinvii anche al dibattito della Assemblea Costituente sull’art. 109 Cost.

[19] Cfr. nota 12.

[20] In questo senso la Relazione dell’Ufficio del Massimario, cit., p. 18.

[21] Circolare sulla organizzazione degli Uffici di Procura (delibera del 16 novembre 2017 e succ.mod. al 18 giugno 2018) in www.csm.it.

[22] Santalucia, op. cit., 50.

[23] Quanto al contenuto  dei dati personali sensibili, indicati dalle due riforme, lo stesso era presente nelle indicazioni provenienti dalle circolari dei procuratori e della Risoluzione consiliare che così definisce la ‘categoria’: <<Una speciale cautela, nella valutazione di pertinenza o rilevanza, si impone per le conversazioni il cui contenuto sia riferibile a dati sensibili ex art. 4 lett. d) D. Lgs. n. 196/03 (opinioni politiche o religiose, sfera sessuale, dati relativi alla salute, ecc.), per i quali il c.d codice della privacy disegna uno statuto di protezione più marcata, riguardanti sia l’indagato sia terze persone non indagate o non intercettate direttamente. Quando dette conversazioni siano ritenute non rilevanti sul piano probatorio, se ne dovrà omettere la verbalizzazione anche riassuntiva, procedendo alla mera indicazione dei dati estrinseci con la dizione: ”conversazione privata relativa a dati sensibili”. Tali colloqui potrebbero essere trascritti e comunicati al pubblico ministero solo se ritenuti pertinenti e rilevanti sul piano investigativo, previa consultazione del Pm nei casi dubbi o di opportunità … >>.

[24] In questo senso Pretti,  La metamorfosi, p. 76.

[25] Nocerino,  Prime riflessioni, p. 69.

[26] Larinni, op.cit.,  p. 21.

[27] Relazione dell’Ufficio del Massimario, p. 21.

[28] Relazione dell’Ufficio del Massimario, p. 20 e 23.

[29] Vedi nota che precede.

[30] Così si legge nella Risoluzione n. 285/VV/2016 – Pratica 285/VV/2016, approvata con delibera del 29 luglio 2016, p. 5 e s.: < A tali fini, nonché per assicurare pieno diritto ad interloquire alla difesa, è buona prassi assicurare che quanto meno in termini sommari, gli elementi essenziali delle captazioni in oggetto siano riportate nel brogliaccio, con riferimento ai dati estrinseci della conversazione (indicazioni sulla identità dei conversanti, sull’ orario e sull’oggetto del colloquio). In tal senso può condividersi la distinzione fra la normale prassi operativa di trascrivere il contenuto delle conversazioni nel brogliaccio della polizia giudiziaria e, viceversa, la diversa ipotesi in cui è opportuna e sufficiente una “mera indicazione” dei dati estrinseci delle conversazioni per le intercettazioni, che si presentino come inutilizzabili o manifestamente irrilevanti. Pertanto nel prosieguo della risoluzione si distinguerà formalmente fra trascrizione e mera indicazione.(….). In sostanza condivisibilmente i dirigenti degli uffici requirenti indirizzano i pubblici ministeri, con l’ausilio della polizia giudiziaria delegata all’ascolto delle intercettazioni, a procedere ad effettuare un primo filtro di selezione delle conversazioni captate. Un primo vaglio, macroscopico, da operarsi nell’immediato, al momento dell’ascolto, che inciderà sulla scelta dell’an o del quomodo della trascrizione della conversazione, ovvero della diversa determinazione di procedere alla sua mera indicazione nel brogliaccio. Occorrerà poi un secondo vaglio, più raffinato, al momento della scelta e della selezione delle comunicazioni, trascritte o da trascrivere, da utilizzare a sostegno dell’accusa e dunque destinate ad essere utilizzate, depositate e rese conoscibili alle parti.>>.

[31] Di questo avviso, di fatto richiamando il valore maggiormente garantista della Risoluzione consiliare e per riempire di contenuto e effettività il dovere di vigilanza del procuratore, non limitabile alle sole ‘espressioni’ e si soli casi tipizzati, Amato,  Pm “guardiano”,  cit., p. 50.

[32] Santalucia, op.cit., p. 77, richiama le circolari dei procuratori come fonte di ispirazione del d.l. 161 del 2019  in ordine alla previsione dell’elenco, rilevando come  <<le buone prassi possono prendere il posto della legge nel mettere a punto soluzioni soddisfacenti quando sono in gioco interessi potenzialmente contrapposti>>.

[33] Pretti, La metamorfosi, p. 82 e p. 89, ipotizza che il pubblico ministero possa formare un elenco per esclusione, cioè anzicchè indicare le conversazioni rilevanti si limiti a indicare quelle irrilevanti e non trascrivibili.

[34] Sul punto Amato,  Nella richiesta, cit., p. 57.

[35] Relazione Ufficio del Massimario, p. 47.

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