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Le conseguenze di uno slogan che diventa legge: la difesa domiciliare

Abstract

Il lavoro tratta di un recente caso giurisprudenziale in tema di “difesa domiciliare”, in cui l’aggredito, ritenendo di farsi giustizia da sé, reagisce in maniera del tutto arbitraria.
Il caso risulta emblematico in rapporto agli esiti che possono scaturire dalle riforme in tema di legittima difesa del 2006 e del 2019, in ordine al disorientamento culturale che esse comportano.

This paper deals with a recent case of “domicile defense”. The man who was initially attacked, to get private justice, reacts in a definitely arbitrary and illegitimate way.
This case represents one of the possible consequences of 2006 and 2019 self-defense law reforms with regard, also, to cultural disorientation.

1. Un emblematico caso di vendetta successiva ad un’“aggressione domiciliare”; 1.1 La convinzione dell’imputato di aver agito “secondo diritto”; 2. La traduzione dello slogan politico in provvedimento legislativo; 3. Le distorsioni di natura criminogena che possono derivare da una prevenzione situazionale realizzata mediante diffusione di armi; 4. Una legislazione disfunzionale rispetto al perseguimento del fine fondamentale.

1. Un emblematico caso di vendetta successiva ad un’“aggressione domiciliare”

Nel video registrato dalle telecamere di sorveglianza si vede l’imputato uscire dalla porta della propria gioielleria, dopo aver subito la rapina, quando i tre rapinatori si trovavano già nei pressi dell’autovettura al fine di darsi alla fuga. L’imputato esplode numerosi colpi di pistola all’indirizzo dei tre, realizzando un duplice omicidio volontario e un tentato omicidio nei confronti del terzo rapinatore che, seppur ferito, riesce a scappare e mettersi in salvo.

All’esito di un dibattimento la cui ricostruzione probatoria non ha presentato alcun profilo di incertezza, in quanto la dinamica è stata integralmente videoregistrata, l’imputato è stato condannato alla pena di diciassette anni di reclusione per i reati di duplice omicidio volontario e tentato omicidio, e per aver portato illegalmente armi in luogo pubblico.

Le risultanze dibattimentali rivelano una spietata aggressione da parte della iniziale vittima nei confronti dei tre rapinatori che, al momento della violenta reazione, non stavano tenendo alcuna condotta pericolosa per l’incolumità né del proprietario della gioielleria, né di alcun terzo; anzi, erano semplicemente disarmati ed intenti alla fuga.

Il gioielliere, successivamente alla consumazione della rapina, li rincorre ed esplode più colpi di pistola, sia all’interno della vettura, colpendo in maniera non letale il fuggitivo che era al posto di guida e che poi riuscirà a mettersi in salvo, sia, da distanza ravvicinata, alle spalle degli altri due, attingendone organi vitali. Uno di questi si accascia a terra e decede immediatamente; l’altro, che resta in vita qualche momento in più, risulta vittima di un significativo accanimento da parte del gioielliere, che probabilmente rappresenta il momento di maggiore spietatezza dell’intera vicenda.

Infatti, l’imputato, non soltanto, dopo aver colpito i fuggitivi in maniera evidentemente letale, l’imputato, non essendo resosi conto di aver già sparato tutti i colpi a sua disposizione, continua a premere il grilletto a vuoto ma, per di più, quando uno di essi, nel tentare la fuga dopo essere stato colpito, cade riverso a terra quasi esanime, si accanisce con violenza contro di lui, sferrandogli tre violenti calci al volto, mentre questi non risulta in grado di opporre alcuna seria resistenza, ma con un ultimo moto di energie, si alza in piedi, prova ad iniziare una colluttazione, ma subito si allontana verso il centro della strada e stramazza esanime sull’asfalto[1].

1.1. La convinzione dell’imputato di aver agito “secondo diritto”

La pena per il gioielliere è stata determinata partendo dalla pena base minima per il primo omicidio, di anni ventuno di reclusione, diminuita per la concessione dell’attenuante dello stato d’ira determinato dal fatto ingiusto altrui, ulteriormente diminuita per il riconoscimento delle attenuanti generiche, poi aumentata per il vincolo della continuazione con i reati di cui agli altri capi d’imputazione.

Risultano degni di nota i motivi per cui sono state riconosciute le circostanze attenuanti generiche.

Infatti, in sentenza si legge che queste vengono ritenute sussistenti in quanto l’imputato ha partecipato alle udienze processuali ed ha risarcito parzialmente il danno già prima della sentenza di primo grado; tuttavia, e questo è l’aspetto rilevante, i giudici[2] affermano che «nel valutare la concessione del beneficio, deve considerarsi quanto, anche nel corso del processo, l’imputato abbia dichiarato agli organi di stampa, [ossia] interviste acquisite al fascicolo del dibattimento, nel corso delle quali egli ha manifestato la propria convinzione di aver agito correttamente».

Ed infatti, ancora, tra le motivazioni della sentenza viene riportato che, successivamente alla consumazione della rapina, l’imputato effettua una telefonata al numero di emergenza ed esclama: «Due morti, ne ho ammazzati due!»; e dalla ricostruzione dei fatti, i giudici ricavano che l’imputato ritiene di aver agito (piuttosto che in osservanza dei tradizionali parametri della legittima difesa) per assicurare alla giustizia i rapinatori che si stavano dando alla fuga ed al fine di farsi giustizia da sé[3].

Dunque, il dato più allarmante che può ricavarsi è che sembra che l’imputato ritenga di aver agito in conformità con l’ordinamento giuridico[4].

2. La traduzione dello slogan politico in provvedimento legislativo

Le brutali modalità di realizzazione della fattispecie concreta del noto caso di cronaca risultano degne di riflessione, non tanto per le motivazioni della relativa sentenza della Corte di Assise di Asti, che in termini di diritto non aggiungono molto a quanto già diffusamente analizzato ed affermato in dottrina e giurisprudenza in tema di applicazione dell’art. 52 c.p., e che escludono la configurabilità della cosiddetta difesa domiciliare, in quanto l’arma da fuoco è stata utilizzata fuori dai luoghi previsti dalla relativa disciplina[5]; quanto, piuttosto, perché rappresentano con chiarezza il rischio che può derivare da una comunicazione mediatica superficiale relativa a una riforma legislativa che presenta profili di incostituzionalità[6] e che rischia di rappresentare un sovvertimento dei valori fondamentali del nostro ordinamento, sui quali dovrebbe fondarsi proprio la legittimità della difesa[7].

Se la difesa non viene realizzata nell’osservanza dei principi fondamentali affermati a livello costituzionale, già in termini definitori non può dirsi legittima.

Eppure, non è questo il messaggio, poi tradotto in legge, dei sostenitori delle riforme del 2006 e del 2019[8], mediante cui vengono strumentalizzati ed ingigantiti, in maniera artificiosa, alcuni, non numerosi, episodi di cronaca[9].

«Se qualcuno viola la casa altrui, costui deve sapere di non avere scampo», in quanto «è chi intende aggredire a dover valutare attentamente i rischi che può correre»[10]; «è giunta l’ora di prendere finalmente posizione per le autentiche vittime del crimine, rappresentate dai cittadini onesti, i quali debbono avere la possibilità di difendere i propri beni patrimoniali anche quando ciò dovesse comportare (…) l’uccisione dell’aggressore»[11].

È questo il tenore di molti interventi parlamentari a sostegno della riforma del 2006, che si riscontra anche in quelli riferiti alla riforma di tredici anni dopo, e che rischia di rappresentare un’istigazione all’uso della violenza, con conseguenti effetti criminogeni[12].

La narrazione politica e mediatica che viene portata avanti è quella di un’emergenza derivante dal dilagare di una criminalità predatoria realizzata da certe categorie di persone, di regola appartenenti alle sfere più emarginate della società, in cui la vittima (sovente appartenente a sfere sociali meno svantaggiate), isolata, non risulta in grado di difendersi[13].

Dunque, viene affermato che «branchi di uomini feroci (…) non esitano a versare sangue innocente ed inerme, ad uccidere e torturare»; che è necessario fare «una riflessione sulle tante azioni violente perpetrate da irregolari e clandestini (…), tese innanzitutto all’impossessamento dei beni»; nonché, che bisogna «ricordare le tante vittime portate alla ribalta nazionale dalla recente cronaca criminale: persone uccise nell’esecuzione di azioni criminali portate a termine, nei più efferati modi, da clandestini che soprattutto nel nord Italia hanno invaso case serene, incustodite, violate nella serenità di una notte»[14].

Ebbene, il caso in esame non soltanto inverte del tutto i termini di tale narrazione mediatica, laddove la condotta spietata è tenuta dal cittadino appartenente alla categoria sociale che i politici proponenti le riforme avevano in mente di proteggere; ma, probabilmente, rappresenta emblematicamente proprio i rischi che possono derivare da opzioni politico-legislative quali quelle caratterizzanti le riforme dell’art. 52 c.p.

Si tratta di opzioni che, nella inosservanza della natura personalistico-solidaristica della nostra Costituzione, affermano, piuttosto, una visione individualistica dell’ordinamento, fondata su una su una ipervalutazione, quasi su concezione sacra, del domicilio – compresi i luoghi ad esso equiparati ex art. 52 co. 3 c.p. –, e del patrimonio privato[15].

Dal momento che la possibile necessità di difesa all’interno del proprio domicilio non nasce con le riforme, ma ben poteva già realizzarsi secondo i parametri di legittimità contenuti nel primo comma dell’art. 52 c.p.[16], deve dedursi che, con l’aggiunta dei successivi commi, il legislatore abbia inteso affermare il messaggio secondo cui «chi entra illegittimamente in casa mia può uscirne morto»[17].

Si tratta di una rappresentazione allarmistica per fini propagandistici, mediante cui sono state prospettate una emergenza ed una retorica, ispirate alla Castle doctrine[18], ed al principio dello Stand your ground[19], di derivazione angloamericana che, alla luce dei dati giurisprudenziali, non corrisponde alla realtà, e dunque non si giustifica[20].

3. Le distorsioni di natura criminogena che possono derivare da una prevenzione situazionale realizzata mediante diffusione di armi

Anche volendo ammettere le reali intenzioni preventive manifestate dai sostenitori delle riforme, non può trascurarsi il dato secondo cui le tecniche legislative adoperate e le modalità caratterizzanti la relativa narrazione determinano il rischio di una distorsione riguardo agli effetti auspicati.

Infatti, com’è noto, le tecniche di prevenzione situazionale – qual’è quella approntata mediante la predisposizione della disciplina in materia di “difesa domiciliare”[21] –, nel rinunciare ad indagare le cause della criminalità che si intende fronteggiare, ma risultando finalizzate soltanto alla rimozione delle occasioni contingenti della stessa, sovente divengono criminogene, talvolta con conseguenze anche più gravi di quelle che sarebbero destinate a prevenire, per via dell’“effetto spostamento” ad esse connesso[22].

Nel tema che ci occupa, il tentativo di prevenzione viene perseguito mediante armando il ‘guardiano’[23]. E tale intervento si inserisce in un trend legislativo più ampio, di diffusione delle armi ed armamento della popolazione, che contribuisce a rafforzare la cultura della violenza e le relative conseguenze criminose[24].

Di conseguenza, un semplice furto in appartamento può divenire qualcosa di molto più grave[25]. È stato infatti individuato, tra gli altri, anche il rischio di un effetto boomerang per la vittima di aggressione domiciliare che, verosimilmente meno esperta nell’uso delle armi, potrebbe avere la peggio nello scontro con l’aggressore; quest’ultimo, a sua volta, prevedendo una probabile difesa armata, potrebbe giungere sul luogo del crimine ancora meglio attrezzato[26].

Ed ancora, è probabile che anche da furti o rapine in banche o in supermercati (luoghi equiparati al domicilio ai fini della disciplina in esame ai sensi del co. 3 dell’art. 52 c.p.), possano derivare effetti più significativi sul piano dell’offesa a beni personali[27].

Ma gli effetti criminogeni delle nuove disposizioni vengono dimostrati anche da alcuni casi giurisprudenziali in cui si registra il tentativo di sussumere sotto la nuova disciplina domiciliare comportamenti che vanno ben al di là di una “difesa legittima”, e che dimostrano anche una diffusa, fallace comprensione della portata della norma.

L’incerta formulazione dei nuovi commi dell’art. 52 c.p. ed i numerosi messaggi superficiali trasmessi dal mondo della politica e della comunicazione, hanno indotto parte dei consociati a ritenere di avere il diritto di sparare colpi di pistola, purché legittimamente detenuta, contro una persona, in presenza di qualsivoglia forma di aggressione, anche molto remota, ed anche rivolta soltanto al patrimonio[28].

E così, in più d’una circostanza, si è assistito a episodi in cui il soggetto legittimamente presente nel proprio domicilio esplode colpi di arma da fuoco contro persone che hanno oramai interrotto il tentativo di furto, che sono oramai in fuga, che non rappresentano più un pericolo neppure per i beni patrimoniali, o che addirittura debbano ancora intraprendere l’iter criminis penalmente rilevante[29].

Nel 2013, è stato condannato per tentato omicidio un soggetto che sparò dal balcone di casa propria, con un fucile a pompa legalmente detenuto, alle spalle di una persona che oramai stava fuggendo dopo un tentato furto di automobile[30]. È stato condannato per omicidio volontario il soggetto che, sempre nel 2013, dopo una lunga caccia all’uomo per le strade, sparò con il proprio fucile legalmente detenuto ed uccise la persona che alcune ora prima si era introdotta nella casa del fratello.

Ancora, è del 2019 l’episodio del tabaccaio di Pavone Canavese (Torino) che dal balcone della propria abitazione, senza che vi fosse alcun rischio per la propria o altrui incolumità, ha sparato un intero caricatore dell’arma da lui regolarmente detenuta contro tre persone che stavano tentando di rubare dalla tabaccheria una macchinetta cambiasoldi, uccidendone una[31].

Ancor più recente, risalente all’aprile del 2021, il tragico epilogo della rapina nella gioielleria di Grinzane che ha dato spunto alle presenti riflessioni.   

Il panorama appena descritto risulta in linea con i dati statistici relativi alla diffusione delle armi, raccolti in Italia nel tempo successivo alla riforma del 2006[32].

Dall’indagine Eurispes del 2008, infatti, emerge che 4,8 milioni di persone risultavano in possesso di un’arma da fuoco legittimamente detenuta, e da una più recente indagine svolta da Small Arms Survey nel 2017 emerge che tra i cittadini in Italia ci sarebbero circa 9 milioni di armi, dunque circa il 15% della popolazione ne deterrebbe una[33].   

Peraltro, si consideri che dal 2002 al 2021 il numero di licenze di porto d’armi “per tiro a volo”, dunque, per uso sportivo – la cui concessione risulta più agevole rispetto a quelle per “guardia privata”, “uso venatorio”, e “difesa personale” – è quasi quadruplicato, crescendo da circa 127.000, a circa 543.000, toccando il picco di circa 586.000 nel 2017[34]. Naturalmente, ognuna di queste licenze risulta adeguata al riconoscimento della “legittima detenzione” ai sensi dell’art. 52 co. 2 c.p.

Tuttavia, mancano comunicazioni trasparenti ed ufficiali, da parte del Ministero degli Interni, in ordine al numero preciso ed alla tipologia di permessi per detenzione di armi da fuoco.

In tale panorama, si ritiene non trascurabile il valore economico di tale mercato, che dal 2010 al 2019 ha registrato un incremento di circa il 23,4%, passando dal valore di circa 50 milioni di euro a poco più di 67 milioni di euro[35].

Nel 2018, un ampio schieramento politico italiani assunse un impegno nei confronti della “lobby delle armi”, concretizzatosi mediante la sottoscrizione del documento di «Assunzione pubblica di impegno a tutela dei detentori legali di armi», a cui seguì la presentazione, in Commissione Giustizia del Senato, del disegno di legge da cui derivò l’ulteriore modifica della disciplina della legittima difesa del 2019[36].

Tuttavia, in un intervento parlamentare del 2019 si è sentita la necessità di affermare che non si è trattato di una “mancia” a favore delle lobby delle armi, e che non può giustificarsi la posizione degli oppositori della riforma, i quali ritengono che i relativi sostenitori siano a favore di chi le produce, ed agiscano in tal senso «per far guadagnare di più le aziende e le imprese che le producono»[37].

4. Una legislazione disfunzionale rispetto al perseguimento del fine fondamentale

Riguardo alla disciplina della “difesa domiciliare” di cui all’art. 52 c.p. sono molteplici i profili problematici segnalati in maniera pressoché unanime dalla dottrina[38], nonché molteplici, e di differente natura, le cause[39].

Riguardo al tipo di criminalità posta a fondamento delle riforme dai relativi sostenitori, senz’altro il tema è quello della disparità di accesso alle possibilità sociali ed economiche. Pertanto, la risposta dovrebbe essere ricercata in una politica da Stato sociale di diritto orientata alla riduzione delle diseguaglianze[40]; nonché, nella realizzazione del dettato dei principi fondamentali della Costituzione, in osservanza dei quali, andrebbero adempiuti i doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale della Repubblica, ed andrebbero rimossi  gli ostacoli di ordine sociale ed economico, e dunque anche di natura lavorativa[41], che, limitando l’uguaglianza dei cittadini, impediscano il pieno sviluppo della persona.

Riguardo, invece, alle modalità mediante cui è stata data forma alle nuove disposizioni in tema di “difesa domiciliare”, sembra essersi trattato di un circolo vizioso che caratterizza non soltanto questo settore.

Gli slogan politici, adottati per fini propagandistici, vengono amplificati dai media, per fini economici; si crea, in tal modo, una narrazione dell’emergenza[42] e della paura, in presenza della quale risulta più facile aggregare le coscienze dei consociati, oramai intimoriti, intorno a leader apparentemente forti e autoritari, che sbandierano politiche di sicurezza di tipo muscolare[43].

Per fini elettorali, si assiste ad una strumentalizzazione del diritto penale, che viene utilizzato come strumento di lotta nei confronti del ‘nemico’, costituito dalle persone più deboli ed emarginate, descritte come gli autori dell’attività criminale predatoria che le riforme intenderebbero contrastare. Essi degraderebbero a soggetti privi dei diritti fondamentali, nei confronti dei quali potrebbe sacrificarsi anche il bene della vita, al fine di salvaguardare anche soltanto beni patrimoniali[44].

La dimostrazione della sostanziale illegittimità delle riforme del 2006 e del 2019, e del loro fallimento, viene dalla incompatibilità con l’ordinamento da Stato sociale di diritto all’interno del quale queste risultano chiamate ad operare[45].

Infatti, tali norme non risultano in grado di perseguire il fine fondamentale della funzione della pena, ovvero l’integrazione sociale[46].

Per le incertezze definitorie che i co. 2 e 4 dell’art. 52 c.p. presentano, le riforme non sembra riescano ad essere efficaci sul piano dell’orientamento culturale e dell’aggregazione dei consensi intorno ai valori fondamentali dell’ordinamento; e neppure può ritenersi che risultino conformi ad esigenze di risocializzazione.

La legittima difesa rappresenta un’eccezione al monopolio statuale nell’uso della forza. Non può conferirsi al privato un potere illimitato, una “licenza di uccidere”, che non è riconosciuta neppure allo Stato[47].

Piuttosto che tramite misure populistiche del tipo in esame, in cui, probabilmente, non possono considerarsi assenti neppure interessi economici di differenti settori imprenditoriali[48], soltanto attraverso una diffusa cultura della legalità di derivazione costituzionale potrebbe perseguirsi una sicurezza inclusiva, e dei diritti di tutti[49], ma probabilmente non è stato questo il vero fine del legislatore.


[1] Corte di Assise di Asti, n. 2/2023, del 4.12.2023, dep. il 28.02.2024.

[2] Corte di Assise di Asti, n. 2/2023, cit., p. 39.

[3] Corte di Assise di Asti, n. 2/2023, cit., pp. 31, 33.

[4] V., infra, par. 4.

[5] Corte di Assise di Asti, n. 2/2023, cit., p. 34.

[6] Sui profili di incostituzionalità caratterizzanti la riforma della “difesa domiciliare” del 2019, per tutti, R. Bartoli, Verso la “legittima offesa”?, in Dir. pen. cont., 1/2019, 17 ss.; F. Consulich, La riforma della legittima difesa: prove tecniche di diritto senza giustizia, in Dir. pen. cont. – Riv. trim., 3/2019, 1 ss.; G. Flora, La difesa è sempre legittima?, in Discrimen, 11.06.2019, 1 ss.; M. Gallo, La difesa è legittima: sì, ma quando?, in Arch. pen., 2/2019, 341 ss.; A. Gargani, Diritto alla vita e autotutela privata di beni patrimoniali: il problematico confronto con l’art. 2 CEDU, in Legislaz. pen., 14.02.2019, 1 ss.; G.L. Gatta, Legittima difesa nel domicilio: considerazioni sui profili di legittimità costituzionale, a margine della lettera con la quale il Presidente della Repubblica ha comunicato la promulgazione della legge n. 36 del 2019, in Dir. pen. cont., 6 maggio 2019, 1 ss.; M. Pelissero, La legittima difesa triplicata. Il piano inclinato delle garanzie e il rimpianto per il codice Rocco, in AIC, 5/2019, 106 ss.; D. Pulitanò, Legittima difesa. Ragioni della necessità e necessità di ragionevolezza, in Dir. pen. cont., 5/2019, 205 ss.; L. Risicato, Le interferenze tra antigiuridicità, colpevolezza e punibilità nella nuova legittima difesa domiciliare, in Legislaz. pen., 28.06.2019, 1 ss.; per posizioni dalla analoga natura, già espresse con riferimento alla riforma del 2006, si vedano, fondamentali, A. Cadoppi, La legittima difesa domiciliare (cd. “sproporzionata” o “allargata”): molto fumo e poco arrosto, in Dir. pen. proc., 4/2006, 434 ss.; G. Flora, Brevi riflessioni sulla recente modifica dell’art. 52 c.p.: il messaggio mass mediatico ed il “vero” significato della norma, in Riv. it. dir. e proc. pen., 2, 2006, pag. 461 ss.; M. Gallo, La legittima difesa continua a piacer poco agli italiani, in Crit. dir., 2-3-4/2005, 174 ss., 176; F. Mantovani, Legittima difesa comune e legittima difesa speciale, in Riv. it. dir. proc. pen., 2/2006, 432 ss.; V. Militello, La proporzione nella nuova legittima difesa: morte o trasfigurazione, in Riv. it. dir. proc. pen., 2006, 826 ss.; T. Padovani, Un modello di equilibrio normativo minato da ambiguità e incertezze, in Guida dir., 13/2006, 52 ss.; C.E. Paliero, La legittima difesa territoriale (ovvero un paradigma fondato sulla sproporzione), in Leg. pen., 1/2006, 569 ss.; F. Viganò, Sulla ‘nuova’ legittima difesa, in Riv. it. dir. proc. pen., 2006, 189 ss.

[7] Sugli effetti criminogeni delle riforme in tema di “difesa domiciliare”, e delle modalità mediatiche mediante cui sono state promosse, per tutti, A. Cavaliere, Legittima difesa: verso una maldestra riforma populista?, in Studi quest. crim. online, 10.05.2017, 1 ss.; F. Schiaffo, La privatizzazione della sicurezza nella recente legislazione italiana, in Crit. dir., 1-2/2011, 67 ss.; A. Vallini, I nuovi spazi della legittima difesa nel panorama di un diritto penale mediatico, in Aa.Vv., La riforma della legittima difesa e della recidiva tra teoria e prassi, a cura di C. Piemontese, Pisa 2008, p. 11 ss.

[8] «Che io ricordi, non era mai accaduto che lo stile mediatico della comunicazione politica trovasse accoglimento, in modo letterale, in un testo normativo», afferma M. Pelissero, La legittima difesa triplicata. Il piano inclinato delle garanzie e il rimpianto per il codice Rocco, cit., 114.

[9] Sul governo tramite la creazione della paura della criminalità, v. J. Simon, Il governo della paura. Guerra alla criminalità e democrazia in America, Oxford 2007 (Milano 2008), pp. 26-27; F. Palazzo, Nemico-nemici-nemico: una sequenza inquietante per il futuro del diritto penale, in Riv. it. dir. proc. pen., 2/2020, 701 ss., cit., 704; F. Schiaffo, La privatizzazione della sicurezza nella recente legislazione italiana, cit., 74 ss. 

[10] Dichiarazioni raccolte in F. Viganò, Sulla ‘nuova’ legittima difesa, cit., 195-196; critici, in ordine a tali posizioni di legittimazione dell’uso della forza anticipato da parte del privato, tra gli altri, R. Bartoli, Verso la “legittima offesa”?, cit., 21; F. Schiaffo, La privatizzazione della sicurezza nella recente legislazione italiana, cit., 74; A. De Giorgi, Introduzione all’edizione italiana, in J. Simon, Il governo della paura. Guerra alla criminalità e democrazia in America, cit., p. XXIV; W. Hassemer, Stiamo andando verso un diritto penale del nemico?, in Aa.Vv., Democrazia e autoritarismo nel diritto penale, a cura di A.M. Stile, Napoli 2011, pp. 83 ss.; per un differente angolo di visuale d’oltreoceano, per tutti, F. Halloff, Selfe-defense without imminence, in Amer. crim. law rew., 56/4, 2019, 1527 ss.

[11] Intervento del 19 ottobre 2004 del all’ora senatore Valditara, riportato in F. Viganò, Sulla ‘nuova’ legittima difesa, cit., 198; sulla strumentalizzazione simbolica del ruolo della vittima, per finalità di emotivizzazioni collettive, v., D.W. Garland, La cultura del controllo. Crimine e ordine sociale nel mondo contemporaneo (2001), Milano 2004, p. 70 ss.     

[12] Per tutti, L. Risicato, Le interferenze tra antigiuridicità, colpevolezza e punibilità nella nuova legittima difesa domiciliare, cit., 18.

[13] Sul forte allarme sociale che è in grado di destare la criminalità predatoria, e sulle relative connessioni con le sensazioni di ansia e paure dei consociati, v., C. Longobardo, I reati predatori contro il patrimonio, in Riv. it. dir. proc. pen., 2/2020, 888 ss., 889.

[14] Per una efficace ricognizione critica di tali posizioni, v., F. Viganò, Sulla ‘nuova’ legittima difesa, cit., 194-195.

[15] Sui riflessi in ambito penale dello sviluppo «di una cultura individualistica e consumistica, in parallelo con la progressiva disgregazione del sentire solidaristico», v., C. Longobardo, I reati predatori contro il patrimonio, cit., 895; peraltro, c’è da osservare che la prima riforma della legittima difesa si pone in continuità, tra le altre, con l’introduzione, ad opera della l. n.  128/2001, del nuovo art. 624 bis c.p., disciplinante un’autonoma ipotesi di reato corrispondente al “furto in abitazione”, caratterizzata da un regime sanzionatorio più severo della corrispondente ipotesi aggravante precedentemente prevista al n. 1 dell’art. 625 c.p., che fu contestualmente abrogata; sul tema, v., D. Notaro, La legittima difesa domiciliare. Dalla giustificazione alla scusa. Tra modelli presuntivi e tensioni soggettive, Torino 2020, p. 11 ss.

[16] Per tutti, T. Padovani, Un modello di equilibrio normativo minato da ambiguità e incertezze, cit., 52 ss.

[17] V. R. Bartoli, Verso la “legittima offesa”?, cit., 21; l’A, peraltro, evidenzia anche come tale identificazione del domicilio con un luogo assolutamente inviolabile, favorisca una riflessione sul parallelo tra le riforme in tema di legittima difesa e la politica criminale predisposta negli ultimi anni per la gestione dei flussi migratori.

[18] Per uno sguardo sulla “castle doctrine” di derivazione statunitense, per tutti, E. Grande, Justification and excuse. Le cause di non punibilità nel diritto angloamericano, in Dig. disc. pen. VII, Torino, 1993, p. 331 ss.; C. Cheng-L.M. Hoekstra, Does Strengthening Self-Defense Law Deter crime or escalate violence? Evidence from expansions to Castle doctrine, in Journal of Human Resourches, 48/2013, 821 ss.; sul tema, critico, D. Notaro, La legittima difesa domiciliare. Dalla giustificazione alla scusa. Tra modelli presuntivi e tensioni soggettive, cit., pp. 144-145, che evidenzia come una normativa caratterizzata da una presunzione assoluta di legittimità della difesa nelle ipotesi di “aggressioni domiciliari” si ponga in contrasto «con le indicazioni fornite dall’art. 2 C.e.d.u. e con il rispetto dei diritti umani sanciti dalle fonti internazionali».

[19] Per tutti, v., F. Halloff, Self-defence without imminence, cit., 1527 ss.

[20] Per una utile analisi dei dati giurisprudenziali in materia, v., L. Rossi, La legittima difesa domiciliare all’esame di vent’anni di giurisprudenza di legittimità, in Sist. pen., 1 marzo 2022, 1 ss.; per una indagine critica sulla percentuale di notizie determinanti insicurezza, nei telegiornali di prima serata, v., L. Magliaro, Una riforma semplicemente inutile o anche dannosa?, in Aa.Vv., Quando la difesa è legittima? Il diritto della paura e la paura del diritto, a cura di G. Insolera, Milano 2020, pp. 63 ss., 79 ss.; sulla valenza simbolica, strumentale e propagandistica delle riforme in esame, v., G. Insolera, Introduzione, in Aa.Vv., Quando la difesa è legittima? Il diritto della paura e la paura del diritto cit., p. XII ss.; L. Risicato, Le interferenze tra antigiuridicità, colpevolezza e punibilità nella nuova legittima difesa domiciliare, cit., 1 ss., 19; G. Fiandaca, Aspetti problematici nel rapporto tra diritto penale e democrazia, in Aa.Vv., Democrazia e autoritarismo nel diritto penale, cit., pp. 135 ss.

[21] F. Schiaffo, La privatizzazione della sicurezza nella recente legislazione italiana, cit., 77 ss.

[22] R. Clarke, Situational crime prevention: its theoretical basis and practical scope, in Crime and justice: an annual review of research 1983, 225 ss.   

[23] Sulle recenti “politiche securitarie”, che vengono realizzate anche mediante la predisposizione di guardiani, v. A. Cavaliere, Neoliberismo e politica criminale repressiva, in Costituzionalismo.it, 1/2018, 125 ss., 132.

[24] Sul tema degli interventi legislativi improntati alla diffusione delle armi, per tutti, F. Schiaffo, La privatizzazione della sicurezza nella recente legislazione italiana, cit., 67 ss.

[25] F. Schiaffo, La privatizzazione della sicurezza nella recente legislazione italiana, cit., 80.

[26] In tal senso, in riferimento al sistema statunitense, A. La Spina, Aux armes, citoyens! Lezioni dagli Stati Uniti e dall’Australia, in Aa.Vv., Quando la difesa è legittima? Il diritto della paura e la paura del diritto, cit., pp. 87 ss., 96 ss.

[27] Per tutti, F. Viganò, Sulla ‘nuova’ legittima difesa, cit., 221 ss., 223-224; per un diverso ordine di idee, M. Ronco, Legittima difesa, in Dig. disc. pen., IV Agg., Torino 2008, pp. 640 ss., 652.

[28] Per tutte, si veda l’ipotesi applicativa di cui a Corte di Appello di Bari, n. 14 del 27.05.2019, in Cass. pen., 3/2020, 1270.

[29] Sulla definizione temporale del requisito della attualità del pericolo di cui all’art. 52 c.p., per tutti, C.F. Grosso, Difesa legittima e stato di necessità, Milano 1964, pp. 75 ss., 78; C. Roxin, Da quale momento un’aggressione è attuale e dà origine al diritto di legittima difesa?, in, Antigiuridicità e cause di giustificazione. Problemi di teoria dell’illecito penale, Napoli 1996, pp. 283 ss., 289 ss.

[30] È il noto caso di Walter Onichini che, nell’estate del 2013, dalla propria abitazione, esplose più colpi di fucile a pompa, legalmente detenuto, in direzione di un ladro che stava tentando di rubargli l’automobile. Dopo aver colpito il proprio bersaglio, Onichini caricò la vittima sull’auto e la abbandonò in un luogo isolato lontano dalla propria abitazione, ove fu rinvenuta da alcuni passanti che la trassero in salvo. La Cassazione nel 2021, in conferma della decisione della Corte di Appello di Venezia, condannò Onichini, per tentato omicidio, a 4 anni e dieci mesi di reclusione, a riguardo, v., Cass. pen. Sez. 1, n. 46419 del 10/09/2021, dep. 20/12/2021.

[31] Per una sintetica ricostruzione della vicenda, v. www.lastampa.it, 30.05.2024.

[32] F. Schiaffo, La privatizzazione della sicurezza nella recente legislazione italiana, cit., 79, evidenzia come «due anni dopo la riforma [del 2006], nel Rapporto Italia 2008 dell’Eurispes, risulta un aumento significativo nella diffusione di armi che lo stesso organo di indagine statistica ha rappresentato in termini di “arsenale bellico parallelo”». 

[33] www.smallsurveyarms.org.

[34] Su tale analisi, e sulla semplificazione della disciplina relativa alla licenza di porto d’armi per uso sportivo, v., G. Beretta, Il paese delle armi. Falsi miti, zone grigie e lobby nell’Italia armata, Milano 2022, pp. 89 ss., 92 ss., 95; in riferimento al sistema statunitense, v., ancora, A. La Spina, Aux armes, citoyens! Lezioni dagli Stati Uniti e dall’Australia, cit., p. 90.

[35] V., G. Beretta, Il paese delle armi, cit., pp. 105-109.

[36] V., L. Magliaro, Una riforma semplicemente inutile o anche dannosa?, cit., pp. 82 ss., 83-84.

[37] G. Bartolozzi, Verbale Seduta di Assemblea della Camera dei Deputati, n. 136 del 5 marzo 2019, in camera.it.

[38] V., supra, nota n. 6.

[39] S. Moccia, Contesto culturale e “teoria generale del reato” di Franco Bricola, in Crit. dir., 2/2023, 15, evidenzia come «dietro i meri fenomeni normativi vi è un mondo ben più vasto. La disposizione del diritto positivo va considerata come la punta di un iceberg; e, per comprendere a pieno il testo di legge, bisogna, dunque, considerare quel tanto che si cela sotto la superficie».

[40] Sul tema, per tutti, A. Cavaliere, Neoliberismo e politica criminale repressiva, cit., 132; M. Pavarini, Governare la penalità. Struttura sociale, processi decisionali, e discorsi pubblici sulla pena, in Jus17@unibo.it, Studi e materiali di diritto penale, Bologna 2014, p. 11 ss.

[41] Per tutte, recenti, si vedano le raffinate e sensibili riflessioni di F. Schiaffo, Postfazione, in Udepe: Progetto Ponte 2022, Salerno 2022, p. 1 ss., 6, che ci ricorda che «“non è solo un lavoro” perché solo un lavoro permette di vivere con dignità e serenamente nel proprio contesto sociale: aiutare a cercarlo e magari offrirlo a chi ne ha bisogno e lo vuole è forse il primo dei “doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale” di cui, ai sensi dell’art. 2 della Costituzione, “richiede l’adempimento” la Repubblica italiana. Che, innanzitutto, è “fondata sul lavoro” (art. 1 Cost.)».  

[42] Per tutti, S. Moccia, La perenne emergenza. Tendenze autoritarie nel sistema penale, Napoli 1997, p. 1 ss.

[43] A. Ceretti – R. Cornelli, Il diritto a non avere paura. Sicurezza, populismo penale e questione democratica, in Dir. pen. proc., 2019, 1486 ss.., 1488; L. Ferrajoli, L’abuso del diritto penale nella società della paura, in Aa.Vv., Il modello integrato di scienza penale di fronte alle nuove questioni sociali, a cura di S. Moccia-A. Cavaliere, Napoli 2016, pp. 99 ss., 100, dimostra come negli ultimi decenni il numero dei delitti contro la persona, e anche dei furti, sia diminuito in maniera significativa (p. 101) «eppure in Italia, come in quasi tutti i paesi occidentali, è cresciuta la percezione della insicurezza enfatizzata e sollecitata da quella fabbrica della paura che è diventata la televisione. Si tratta di una paura in gran parte costruita dalla politica e dai media. In contrasto con la diminuzione oggettiva della criminalità, le statistiche ci dicono infatti che la paura è andata crescendo progressivamente, tanto quanto è cresciuto il tempo dedicato dai telegiornali alla cronaca dei delitti»; per uno sguardo d’oltreoceano, v., sul tema si veda, J. Simon, Il governo della paura. Guerra alla criminalità e democrazia in America, cit., p. 41 ss.

[44] F. Palazzo, Nemico-nemici-nemico: una sequenza inquietante per il futuro del diritto penale, cit., 714, parla di «una squalificazione del delinquente come essere umano inferiore, al quale, non soltanto nulla è dovuto dalla comunità, ma che ben può, e deve, essere “scartato” dal consorzio civile moralmente integro».

[45] Sull’acquisizione secondo cui «l’omicidio non può essere scriminato se non per difendere interessi personali», v., A. Gargani, Diritto alla vita e autotutela privata di beni patrimoniali: il problematico confronto con l’art. 2 CEDU, cit., 15.

[46] S. Moccia, Il diritto penale tra essere e valore. Funzione della pena e sistematica teleologica, Napoli 1992, p. 83 ss.

[47] Sul tema, fondamentali, A. Gargani, Diritto alla vita e autotutela privata di beni patrimoniali: il problematico confronto con l’art. 2 CEDU, cit., 2; Id., Il diritto di autotutela in un privato domicilio (la riforma della legittima difesa ad opera della l. 59/2006), in Studi Iur. 2006, 960 ss.; L. Risicato, Le interferenze tra antigiuridicità, colpevolezza e punibilità nella nuova legittima difesa domiciliare, cit., 4; E. Dolcini, La riforma della legittima difesa: leggi “sacrosante” e sacro valore della vita umana, in Dir. pen. proc., 2006, 431 ss., 432; A. Vallini, I nuovi spazi della legittima difesa nel panorama di un diritto penale mediatico, cit., p. 15, M. Pelissero, La legittima difesa triplicata. Il piano inclinato delle garanzie e il rimpianto per il codice Rocco, cit., 110 ss., 118; F. Palazzo, Il principio di determinatezza nel diritto penale, Padova 1979, p. 286; si consideri che per K. Grolman, Grundsätze der Kriminalrechtswissenschaft (1798), Glashütten im Taunus 1970, p. 5, sostenitore della teoria penale della prevenzione speciale negativa, la legittima difesa avrebbe da svolgere la funzione di prevenire la realizzazione di ulteriori reati mediante la neutralizzazione fisica dell’aggressore.

[48] Sul valore economico del mercato delle armi, v., V., G. Beretta, Il paese delle armi, cit., pp. 105 ss.

[49] S. Moccia, La sicurezza è accesso ai diritti, in Il Manifesto, 08.02.2019, «Se questa strada non viene intrapresa, se sale il livello della disuguaglianza e della violenza strutturale nella società, non vi saranno le condizioni sufficienti per l’esistenza di un diritto delle garanzie. (…) Si tratta di un modello pseudo-efficientistico, che (…) invece di cercare soluzioni realmente efficaci, aumenta solo la risposta repressiva a detrimento della legalità costituzionale e della stessa sicurezza»; sul tema, si veda lo storico contributo di A. Baratta, Diritto alla sicurezza o sicurezza dei diritti?, in La bilancia e la misura – giustizia , sicurezza  e riforme, a cura di S. Anastasia-M. Palma, Milano 2001, p. 19 ss.

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