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Le frontiere sovranazionali della legalità: brevi note su alcune recenti pronunce della Corte di Strasburgo.

Abstract

Nel contributo l’Autore analizza alcune recenti pronunce della Corte di Strasburgo relative a eventuali violazioni dell’art. 7 CEDU e dei suoi corollari, come elaborati dalla giurisprudenza CEDU. Le suddette pronunce rappresentano l’occasione per sondare l’assestamento dello standard di tutela elaborato dalla Corte di Strasburgo, da porre a confronto, in un’ottica di massimizzazione delle tutele fondamentali, con quello interno.

In this essay the Author analyzes the most recent case law elaborated by the Court of Strasbourg about Rule of Law principle. Such case law analysis offers the opportunity to test the established standard of rights in European Court of Human Rights case-law, that needs to be compared with the national standard in order to maximize the human rights protection.

 

1.La Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo, come interpretata dalla giurisprudenza elaborata dalla Corte di Strasburgo, rappresenta ormai da decenni un costante punto di riferimento per gli operatori del diritto penale[1]. Se appare innegabile il contributo, in termini di potenziamento e di espansione delle garanzie fondamentali, che la giurisprudenza della Corte di Strasburgo ha fornito in relazione a talune tematiche di diritto interno dotate di grande rilievo, sia teorico che pratico[2], con riferimento ad altre questioni l’interazione con la giurisprudenza della Corte europea si è rivelata quanto mai complessa e problematica[3]

Tuttavia, nella prospettiva penalistica, risulta necessario un costante monitoraggio della produzione giurisprudenziale proveniente dalla Corte di Strasburgo, la quale, per la sua natura ‘fluida’ e casistica, oltre che per l’inevitabile contaminazione con un sistema giuridico di estrazione molto diversa da quella continentale, rischia di provocare veri e propri “cali di tensione” nella tenuta dei diritti fondamentali rispetto allo standard di tutela che l’ordinamento interno riconosce loro.

Le pronunce di seguito selezionate nella più recente giurisprudenza della Corte Europea in materia di legalità offrono l’occasione per effettuare tale necessario e prezioso confronto.

2. C. eur. dir. uomo, sez. IV, 18 febbraio 2020, Jidic c. Romania. Principio di retroattività della legge penale favorevole – individuazione della lex mitior in concreto – non violazione.

Un autista romeno, condannato dai giudici interni per guida in stato di ebbrezza, ricorreva alla Corte di Strasburgo, lamentando di essere stato condannato ad una pena ingiusta, in quanto il giudice di ultima istanza aveva omesso di applicare retroattivamente la legge penale più favorevole – sopravvenuta alla commissione del fatto a seguito di una riforma del codice penale nazionale – con ciò violando l’art. 7 CEDU (§ 62). Più specificamente, sotto la disciplina previgente la guida in stato di ebbrezza era punibile con la reclusione da uno a cinque anni, con la possibilità di una sospensione dell’esecuzione della pena al ricorrere di specifiche condizioni, alcune delle quali discrezionalmente imponibili dal giudice, come la sospensione della licenza di guida. Inoltre, la normativa del tempus commissi delicti prevedeva la riduzione di un terzo della pena in caso di procedura sommaria. Nella nuova formulazione, la pena detentiva veniva posta in alternativa ad una pena pecuniaria, sospendibile o addirittura condonabile da parte del giudice al ricorrere di determinate condizioni. Inoltre, lo sconto di un terzo della pena veniva previsto soltanto nel caso in cui la pena applicata fosse detentiva.

La Corte europea, nella pronuncia in commento, ricorda anzitutto che, come chiarito dalla Grande Camera nella sent. Scoppola c. Italia del 17 settembre 2009, tra le garanzie di cui all’art. 7 CEDU deve ritenersi implicitamente ricompreso anche il principio di retroattività della legge penale più favorevole (§ 80); ciò nondimeno, nella vicenda di specie il ricorrente sosteneva che la lex mitior andasse determinata in astratto, considerando la cornice edittale prevista dalla precedente disciplina, mentre i giudici interni che avevano pronunciato la sentenza di condanna avevano tenuto conto della pena da irrogare in concreto, alla luce di tutte le circostanze del caso (§ 84). La Corte europea, nel rigettare il ricorso, afferma che l’individuazione della legge penale più favorevole ai fini dell’applicazione dell’art. 7 CEDU non dipende dal confronto in astratto tra le norme, ma dall’esito della concreta applicazione nei confronti dell’imputato al momento della condanna (§ 85; in tal senso, in precedenza, anche la sentenza della Grande Camera Maktouf e Damjanovic c. Bosnia Erzegovina del 18 luglio 2013, §§ 69-70). Di conseguenza, benché la norma incriminatrice della guida in stato di ebbrezza prevista dal nuovo codice penale rumeno comminasse la pena pecuniaria in alternativa a quella detentiva e invece la norma vigente al momento del fatto prevedesse la sola pena detentiva, dalla mancata applicazione della legge sopravvenuta non discendeva alcuna violazione delle garanzie di cui all’art. 7 CEDU, stante la concreta irrogazione da parte dei giudici di merito della pena detentiva nel suo massimo edittale, considerata adeguata rispetto alla gravità della condotta oggetto di giudizio (§§ 92-98).

3. C. eur. dir. dell’uomo, sez. I, Georgouleas e Nestoras c. Grecia, 28 maggio 2020. Pubblicazione di notizie false su strumenti finanziari – imprevedibilità della rilevanza penale della condotta – non violazione.

Due soci di una società greca a responsabilità limitata, tra il 2003 e il 2004, effettuavano operazioni finanziarie – tra le quali compravendite fittizie di strumenti finanziari, ordini massicci poco prima della chiusura del mercato, ecc. – organizzate al fine di manipolare il valore delle azioni, così fornendo al pubblico informazioni false circa tale valore. Venivano pertanto ritenuti dalla competente Autorità amministrativa ellenica responsabili dell’illecito amministrativo previsto dall’abrogato art. 72 l.n. 1969/1991, il quale vietava di pubblicare o diffondere, in qualsiasi modo, informazioni false o imprecise su strumenti finanziari negoziati su mercati regolamentati, le quali fossero suscettibili di influenzarne il prezzo. I ricorrenti lamentavano la violazione dell’art. 7 CEDU, ritenendo che, al momento dei fatti, non avrebbero potuto prevedere che la “diffusione o pubblicazione di informazioni false o imprecise” potesse avvenire attraverso il compimento di operazioni finanziarie.

La Corte, dopo aver richiamato la propria giurisprudenza consolidata con riguardo all’individuazione della “materia penale” (§ 43), rilevava come la relativa fattispecie indicasse in modo onnicomprensivo le condotte attraverso le quali la diffusione o pubblicazione di informazioni false o imprecise potesse realizzarsi, attraverso l’utilizzo dell’espressione “in ogni modo” (§ 62). Mediante il consueto parametro della prevedibilità, la Corte esclude la violazione dell’art. 7 CEDU, in ragione del fatto che i destinatari della norma erano in grado di comprendere – anche avvalendosi dell’interpretazione fornita dalle giurisdizioni nazionali – quali condotte fossero dotate di rilevanza penale. Attraverso un approccio ermeneutico tradizionale nei sistemi di common law, la Corte di Strasburgo reitera il consolidato canone della legalità circolare, fondato sul presupposto per cui ogni norma è caratterizzata da porzioni di significato necessitanti di un veicolo interpretativo (§ 56). Con riferimento al caso di specie, la Corte ritiene che la riconducibilità delle operazioni finanziarie all’ambito applicativo dell’art. 72 fosse ragionevolmente prevedibile, e ciò tanto alla luce dell’intenzione del legislatore, che era quella di proteggere il mercato da ogni condotta volta a manipolarlo attraverso la diffusione di informazioni false (§ 62), quanto della lettura che le Corti nazionali avevano in diverse occasioni dato della norma (§ 63). D’altronde, il concetto di “prevedibilità” deve tener conto  del destinatario della norma (nel caso di specie, si trattava di soggetti professionalmente dediti all’attività di intermediazione finanziaria), potendosi legittimamente attendere che soggetti esperti adottino una maggior cautela nella gestione dei rischi che tale attività comporta (§ 65), e dunque potendo essi più difficilmente invocare l’imprevedibilità di un’interpretazione giurisprudenziale.

4. C.eur. dir. dell’uomo, sez. V, Kadagishvili c. Georgia, 14 maggio 2020. Confisca del provento del reato – retroattività in malam partem– non violazione.

Tre cittadini georgiani venivano condannati dal Tribunale di Tbilisi per la partecipazione a un’associazione per delinquere finalizzata al riciclaggio di denaro e al compimento di altre attività illecite. Il Tribunale disponeva la confisca del provento dei reati, consistente nei beni appartenenti a diverse società che i giudici avevano ritenuto costituite per finalità illecite, e nelle somme depositate sul conto corrente dei ricorrenti. Questi ultimi, esaurite le vie di ricorso interne, si rivolgevano alla Corte, lamentando che la confisca dei loro beni fosse stata disposta retroattivamente, dal momento che la norma che prevedeva la confisca del prodotto del reato – l’art. 25 co. 3 del codice penale georgiano – era entrata in vigore solo dopo la commissione dei fatti.

Con riferimento alla confisca, la Corte EDU conferma la sua tradizionale giurisprudenza, riferendo che in tale ambito il ricorrente deve provare in primo luogo il suo diritto di proprietà su quei beni, e di conseguenza dichiara in parte inammissibile il ricorso, non risultando provato che i ricorrenti abbiano patito un danno in conseguenza della confisca (§ 180). La richiesta è invece giudicata ammissibile per quanto concerne la confisca delle somme depositate sul conto corrente. Sul punto la Corte ribadisce il consolidato orientamento secondo cui la violazione dell’art. 7 CEDU è esclusa quando il destinatario della norma può comprendere – dalla lettura della stessa, avvalendosi eventualmente dell’interpretazione giurisprudenziale e del parere di esperti – quali atti comporteranno una responsabilità penale e con quali pene saranno sanzionati (§ 184). Quanto al caso sottoposto alla sua attenzione, la Corte, pur riconoscendo che l’art. 25 co. 3 era stato introdotto in epoca successiva ai fatti, osserva, però, che la confisca dei proventi del reato era sostanzialmente già prevista dall’art. 190 del codice di procedura penale georgiano, il quale prevedeva il congelamento delle risorse “ottenute attraverso mezzi illeciti” (§§ 186 e 188). Il ricorso viene dunque rigettato, atteso che l’applicazione a carico dei ricorrenti dell’art. 25 co. 3 c.p., entrato in vigore dopo la commissione del fatto, non ha costituito un’applicazione retroattiva di una sanzione penale, in quanto, anche in assenza di quella norma, la confisca delle proprietà avrebbe comunque avuto luogo, seppur ai sensi di una norma diversa (§ 189)

5. C. eur. dir. uomo, sez. I, 6 febbraio 2020, Felloni c. Italia. Principio di irretroattività della legge penale – mancata concessione delle attenuanti generiche e applicazione retroattiva in malam partemdell’art. 62-bis co. 3 c.p. – non violazione

Il ricorrente, cittadino italiano, condannato per il reato di guida in stato di ebbrezza senza ottenere la concessione delle circostanze attenuanti generiche di cui all’art. 62-bis c.p., ricorreva alla Corte di Strasburgo lamentando la violazione dell’art. 7 § 1 CEDU, fondata sull’applicazione di una legge più severa rispetto a quella vigente al momento della commissione del fatto. Il ricorrente si doleva del fatto che nei suoi confronti era stato applicato retroattivamente l’art. 62-bis co. 3 c.p. (norma introdotta dalla l. n. 125/2008, secondo cui l’assenza di precedenti condanne non può essere, da sola, posta a fondamento della concessione delle attenuanti generiche).

La Corte europea, pur riconoscendo una violazione dell’art. 6 CEDU (basata sull’assunto che il giudice di legittimità interno non aveva considerato la questione di diritto in tema di successione nel tempo delle leggi penali, privando dunque il ricorrente di un esame effettivo delle sue doglianze e della possibilità di comprendere le ragioni del loro rigetto), nega la sussistenza di una violazione dell’art. 7 CEDU. La Corte osserva che il diritto interno vigente al momento del fatto non prevedeva un riconoscimento automatico delle attenuanti generiche in favore dell’imputato incensurato, essendo, al contrario, l’assenza di precedenti penali solo uno degli elementi che dovevano essere presi in considerazione dal giudice (§ 46). Nel caso di specie i giudici di merito avevano escluso l’applicabilità delle attenuanti generiche tenendo conto di una pluralità di elementi, compreso il fatto che questi non avesse dimostrato alcun segno di resipiscenza nel corso del procedimento e, anzi, avesse nel frattempo commesso un’ulteriore violazione della medesima norma incriminatrice. La mancata concessione delle attenuanti generiche, dunque, era stata l’esito non di un’applicazione retroattiva del nuovo art. 62-bis co. 3 c.p., ma di un bilanciamento di quei parametri disciplinati dall’art. 133 c.p. che già all’epoca dei fatti assumevano rilevanza nella valutazione giudiziale (§§ 48-51).

6.Come appare evidente dalla breve casistica esaminata, la prevedibilità/accessibilità in cui si sostanzia la garanzia fondamentale enucleata dall’art. 7 CEDU è una sorta di giunto elastico tra la rule of law/due process of law anglosassone e la legalità penale-costituzionale del diritto continentale. Ne consegue l’approccio eminentemente casistico e flessibile che la Corte di Strasburgo riserva ai casi in cui è chiamata a scrutinare possibili violazioni dell’art. 7 CEDU, tanto nelle ipotesi relative all’individuazione ed all’applicazione della lex mitior, quanto nei casi concernenti il grado di prevedibilità della rilevanza penale di una condotta e delle conseguenze sanzionatorie dalla stessa scaturenti.

Tuttavia non si può tralasciare una considerazione: nonostante le interferenze tra i due piani e tra i principi incardinati nei rispettivi ordinamenti, la legalità interna e la prevedibilità europea teleologicamente incarnano rationes diverse, non concettualmente sovrapponibili. Mentre la legalità presidia la libertà individuale, la certezza e la democraticità della disposizione penale[4], la prevedibilità-accessibilità salvaguarda l’affidamento dei consociati rispetto alla norma incriminatrice come è applicata nel singolo caso di specie. Ne consegue, dunque, che l’interprete deve maneggiare correttamente i principi in questione, onde evitare che l’implementazione del diritto CEDU nell’ordinamento interno finisca per indebolire, anziché rafforzare, la tutela dei diritti fondamentali dell’individuo. In primo luogo, da un punto di vista assiologico, occorre fermamente ritenere la prevedibilità non un valore autosussistente, ma necessariamente accessorio rispetto alla legalità; come è stato acutamente osservato[5], la prima, orientata a garantire un equilibrato rapporto tra cittadino e ordinamento, è lo scopo da perseguire tramite la seconda, ma è insufficiente dal punto di vista istituzionale, poiché nulla dice in merito alla distribuzione della funzione normativa tra l’interprete[6] ed il legislatore a fronte della disposizione scritta. Ed infatti, la legalità residua come indefettibile garanzia di falsificabilità delle soluzioni interpretative della giurisprudenza le quali, sebbene non necessitate in base al testo interpretato, non potranno porsi in insanabile contrasto con lo stesso[7]. Nel perimetro fornito dal dato testuale tali soluzioni potranno e dovranno consolidarsi in assunti normativi che, per dirsi conformi allo standard di garanzie enucleato dalla giurisprudenza di Strasburgo e, prim’ancora, dai principi costituzionali interni[8], dovranno essere connotati da un sufficiente grado di prevedibilità da parte dei consociati.

Al contrario, l’interprete interno deve ben guardarsi dai potenziali rischi di una lettura convenzionale della prevedibilità che, in nome di un passivo recepimento del diritto sovranazionale scevro da ogni contributo attivo alla sua formazione, finisce spesso per fagocitare gli altri corollari della legalità, inducendo l’operatore del diritto interno a ritenere compatibili con la CEDU ed applicare disposizioni legali vaghe e finanche orientamenti giurisprudenziali ispirati ad approcci analogici, alla sola condizione che fossero conoscibili ex ante dall’agente e rispondenti all’essenza del reato. Una corretta impostazione del dialogo tra i due ordinamenti, dunque, impone all’interprete di impedire che la prevedibilità colmi l’assenza di una disposizione di legge precisa[9], giacchè la prevedibilità/accessibilità, quale nucleo fondamentale della legalità convenzionale, costituisce un cerchio concentrico rispetto a quella costituzionale, finalizzato ad un’estensione dell’ambito di tutela dei diritti fondamentali e non ad un suo ridi

[1] In argomento, cfr. fra i tanti E. Nicosia, Convenzione europea dei diritti dellʼuomo e diritto penale, Torino 2006, passim; G. Ubertis – F. Viganò (a cura di), Corte di Strasburgo e giustizia penale, Torino 2016, p. 353 ss.

[2] V. ad es., in rapporto ad alcune note pronunce, A. Dello Russo, Prescrizione e confisca dei suoli abusivamente lottizzati: questione di costituzionalità o di sfiducia verso il sistema? in www.archiviopenale.it, 2014, n. 2; F. Viganò, Strasburgo ha deciso, la causa è finita: la Cassazione chiude il caso Contrada, in dirittopenalecontemporaneo.it, 2017, n. 9, 173 ss.; F. Viganò, Pena illegittima e giudicato. Riflessioni in margine alla pronuncia delle Sezioni unite che chiude la saga dei “fratelli minori” di Scoppola (Cass., sez. Un. Pen., 24 ottobre 2013, dep. 7 maggio 2014, n. 18821, ric. Ercolano), in dirittopenalecontemporaneo.it, 12 maggio 2014.

[3] Cfr., ad esempio, con riferimento alla tematica delle misure di prevenzione F.P. Lasalvia, Le misure di prevenzione dopo la Corte EDU De Tommaso, in www.archiviopenale.it, 25 maggio 2017, 1 ss.

[4] F. Mantovani, Diritto penale. Parte generale, 7ª ed., Padova 2011, p. 41, ma anche F. Bricola, Teoria generale del reato in Noviss. Dig. It., XIX, Torino 1973, p. 40; F. Bricola, sub art. 25, 2° e 3° comma, in G. Branca (a cura di), Commentario della Costituzione, Artt. 24-26: Rapporti civili, Bologna/Roma 1981, p. 231.

[5] A. Consulich, Così è (se vi pare). Alla ricerca del volto dell’illecito penale, tra legge indeterminata e giurisprudenza imprevedibile in www.sistemapenale.it, 10 aprile 2020, p. 5; F. Viganò, Il principio di prevedibilità della decisione giudiziale in materia penale, in penalecontemporaneo.it, 19 dicembre 2016, p. 12 ss.

[6] Cfr. G. Fiandaca, Il diritto penale tra legge e giudice, Padova 2002, p. 7: «Il ruolo privilegiato a tutt’oggi spettante al principio di legalità in materia penale non ha (e non potrebbe del resto avere) la forza di inibire la valenza ‘creativa’ connaturata all’attività interpretativa del giudice: per cui principio di legalità e creatività dell’interpretazione delle stesse leggi penali (specie nei ‘casi difficili’) rappresentano due poli da conciliare sul piano teorico e politico-istituzionale».

[7] D. Pulitanò, Crisi della legalità e confronto con la giurisprudenza, in Riv. it. dir. proc. pen., 2015, 34: «Può essere difficile (talora impossibile) dire quale sia la migliore interpretazione di un testo, ma è possibile escludere interpretazioni sicuramente sbagliate».

[8] F. Viganò, Il principio di prevedibilità della decisione giudiziale in materia penale, cit., 17, secondo cui il principio di legalità in materia penale, in un’accezione ‘integrata’ comprensiva delle fonti costituzionali e sovranazionali pertinenti, unitamente allo stesso principio ‘nostrano’ di colpevolezza fondato sull’art. 27 co. 1 e 3 Cost., costituiscono chiare e inequivoche basi normative del principio di prevedibilità della decisione giudiziale.

[9] Cfr. Corte cost., sent. n. 327/2008, in www.cortecostituzionale.it, afferma che «l’esistenza di interpretazioni giurisprudenziali costanti non valga, di per sé, a colmare l’eventuale originaria carenza di precisione del precetto penale». Cfr., per tutti, S. Moccia, La promessa non mantenuta: ruolo e prospettive del principio di determinatezza/tassatività nel sistema penale italiano, Napoli 2001, passim; G. Marinucci – E. Dolcini, Manuale di diritto penale:parte generale, 4ª ed., Milano 2012, p. 57 ss.; G. Vassalli., Nullum crimen, nulla poena sine lege, in. Dig. Disc. Pen., VIII, Torino 1994, p. 307 ss.

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