Le misure di prevenzione: un esempio paradigmatico di truffa delle etichette*
La legge n. 646/1982, oltre ad introdurre la figura di reato dell’associazione di tipo mafioso, tra l’altro, modificò la fattispecie di pericolosità, al cui compimento consegue, com’è noto, l’applicazione della misura di prevenzione: la sanzione più problematica che un ordinamento ispirato ai principi garantistici dello stato sociale di diritto possa conoscere[1].
La fattispecie di pericolosità mafiosa, dal punto di vista strutturale, venne modellata esattamente sull’ipotesi delittuosa di associazione, contestualmente inserita nell’art. 416 bis c.p. e censurabile (anche) sotto il profilo della sufficiente determinatezza. Infatti, l’art. 13 l. n. 646/1982 modificò l’art.1 l. 31 maggio 1965 n. 575[2], disponendo l’applicabilità delle misure di prevenzione “agli indiziati di appartenere ad associazioni di tipo mafioso, alla camorra o ad altre associazioni comunque localmente denominate, che perseguono finalità o agiscono con metodi corrispondenti a quelli delle associazioni di tipo mafioso”. Com’è noto, con il riordino della materia – avvenuto con il d.lgs. n. 159/2011, recante il «Codice delle leggi antimafia e delle misure di prevenzione, nonché nuove disposizioni in materia di documentazione antimafia, a norma degli articoli 1 e 2 della legge 13 agosto 2010, n. 136» – l’intera l. n. 575/1965 è stata abrogata e la citata fattispecie di pericolosità ha trovato collocazione nell’art. 4, co. 1, lett. a), d.lgs. n. 159/2011, che dispone l’applicazione delle misure di prevenzione personali di competenza dell’autorità giudiziaria «agli indiziati di appartenere alle associazioni di cui all’articolo 416-bis c.p.». L’art. 16, co. 1 lett. a) dello stesso decreto rinvia, poi, all’intero art. 4, nell’indicare i destinatari delle misure di prevenzione patrimoniali. Dunque, nell’attuale formulazione, la fattispecie di pericolosità mafiosa, rilevante ai fini del procedimento di prevenzione, richiama in via diretta il contenuto della fattispecie incriminatrice di cui all’art. 416-bis c.p., recependone, inevitabilmente, la scarsa determinatezza.
Se il deficit di determinatezza si presenta come, a dir poco, problematico, con riferimento alla norma di parte speciale, destinata a tradursi in capo d’imputazione all’interno del processo penale, le cose si complicano ulteriormente per la fattispecie di pericolosità che, fondandosi su di una base fattuale carente sotto il profilo della tassatività, deve necessariamente assumere la fisionomia di una pura fattispecie di sospetto, con esiti assolutamente inappaganti sul piano della certezza del diritto. A ciò si aggiunga che, sotto il profilo probatorio, la presenza di indizi farebbe venir meno la stessa esigenza di attivare il procedimento di prevenzione a favore del promovimento del processo penale[3].
Eppure la Corte costituzionale già da lunga data, in un’importante decisione, contenuta nella sentenza 23 marzo 1964 n. 23[4], in materia di fattispecie di pericolosità, aveva indicato nella “oggettiva valutazione di fatti” il concretizzarsi dell’interazione garantistica tra legalità e giurisdizione, per superare la logica del mero sospetto in rapporto alla definizione dei presupposti per l’applicazione delle misure di prevenzione. In realtà, però, avviene che non è il piano fattuale, malgrado l’autorevole e chiara indicazione della Consulta, a venire in questione per individuare la base dell’accertamento richiesto ai fini dell’applicazione delle misure di prevenzione. E questo dato sembra valere anche al di là del contesto normativo antimafia, in quanto anche le fattispecie “indiziarie”, introdotte, per finalità di garanzia, nell’art. 1 l. 27 dicembre 1956 n. 1423[5] ad opera dell’art. 2 l. 3 agosto 1988 n. 327[6] ed oggi trasfuse nell’art. 1 d.lgs. 159/2011, restano in definitiva delle fattispecie di sospetto che continuano, nella sostanza, ad assegnare al sistema delle misure di prevenzione il compito di sostituirsi alla ben più garantita attività di controllo del diritto penale del fatto, quando quest’ultima risulti inattuabile per carenza dei presupposti probatori[7].
Quest’ultimo ordine di considerazioni ha trovato, del resto, parziale conferma nella recente sentenza 27 febbraio 2019 n. 24, con cui la Corte costituzionale, sulla scia della pronuncia della Corte EDU del 23 febbraio 2017, n. 43395/09[8], de Tommaso c. Italia, ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’applicazione della misura di prevenzione personale della sorveglianza speciale di pubblica sicurezza, con o senza obbligo o divieto di soggiorno, nonché delle misure di prevenzione patrimoniali del sequestro e della confisca, ai soggetti indicati, prima, nell’art. 1, n. 1, l. n. 1423/1956 e, poi, nell’art. 1, lett. a), d.lgs. n. 159/2011, vale a dire «coloro che debbano ritenersi, sulla base di elementi di fatto, abitualmente dediti a traffici delittuosi»[9].
Quest’ultima decisione, tuttavia, non è il risultato di un risolutivo e formale riconoscimento dell’incompatibilità delle fattispecie di ‘pericolosità generica’, oggetto del procedimento di prevenzione, con il principio di legalità in materia penale (art. 25, co. 2 e 3, Cost.).
Innanzitutto, perché essa lascia sopravvivere l’applicazione delle misure di prevenzione alle altre categorie di soggetti analogamente definite. In particolare, nella stessa sentenza, la Corte dichiara inammissibili le questioni di legittimità costituzionale relative alla fattispecie di pericolosità di cui alla lett. b) dell’art. 1 d.lgs n. 159/2011 – nella versione vigente «coloro che per la condotta ed il tenore di vita debba ritenersi, sulla base di elementi di fatto, che vivono abitualmente, anche in parte, con i proventi di attività delittuose» –, ritenendo che il significato di tale fattispecie sia ricavabile in maniera sufficientemente precisa dall’interpretazione ‘tassativizzante’[10] della giurisprudenza di legittimità[11].
Tralasciando ogni possibile considerazione sull’impiego del criterio del ‘diritto vivente’ in giudizi attinenti alla formulazione delle norme, va, inoltre, sottolineato come le stesse dichiarazioni d’illegittimità, cui perviene la sentenza n. 24/2019, concernenti l’applicazione delle misure di prevenzione a «coloro che debbano ritenersi, sulla base di elementi di fatto, abitualmente dediti a traffici delittuosi», non trovino fondamento nell’art. 25, co. 2 e 3 Cost. – pure chiamato in causa dai giudici rimettenti, con riferimento al co. 3 –, bensì nel contrasto tra le norme oggetto di giudizio e l’art. 117 Cost., per il tramite dell’art. 2 Prot. 4 CEDU, per le misure di prevenzione personali, e dell’art. 1 del Prot. add. Cedu, per le misure di prevenzione patrimoniali, la cui applicazione ai soggetti in questione violerebbe anche l’art. 42 Cost.
La recente sentenza della Corte costituzionale si colloca, dunque, nel solco della pronuncia della Corte Edu, De Tommaso c. Italia, che già aveva riconosciuto il contrasto della disciplina delle misure di prevenzione personali, fondate sulle fattispecie di pericolosità ‘generica’, con la libertà di circolazione, tutelata dall’art. 2 Prot. 4 CEDU; e ciò per l’inidoneità delle previsioni, su cui si fondano tali misure, a costituire una base legale non solo accessibile per l’interessato, ma anche tale da consentirgli di prevedere ragionevolmente la restrizione del diritto convenzionale in conseguenza della propria condotta. Come già aveva fatto la Corte europea[12], tradendo la vocazione garantista dei c.d. criteri Engel[13], la Corte costituzionale nega – confermando quanto sostenuto in passato[14] – la natura penale delle misure di prevenzione e, dunque, il loro contrasto con il principio di legalità vigente nel diritto penale.
Ed è questo il più grave limite degli orientamenti giurisprudenziali – nazionali ed europei –in materia. Essi contraddicono ciò che, a ben vedere, è nella natura delle cose: infatti, qualsiasi richiamo, normativo e non, al privilegio di elementi fattuali nell’accertamento della fattispecie di pericolosità è destinato a restare un’astratta affermazione di principio, dal momento che, come già si è accennato, qualora tali elementi fattuali integranti veri e propri indizi fossero acquisiti, vi sarebbero i presupposti per far scattare il processo penale al posto del procedimento di prevenzione. E ciò ha come conseguenza la trasformazione delle misure, da formalmente preventive a sostanzialmente repressive, con il pieno recupero del problema delle garanzie proprie del diritto penale: a partire dalla presunzione di non colpevolezza[15], che ritorna all’attenzione con tutte le sue significative implicazioni di tipo formale e di tipo assiologico[16].
È possibile, allora, parlare di fattispecie indiziarie di sospetto che fungono da sostitutivi di vere e proprie fattispecie criminose, risultate inapplicabili per carenza di necessari riscontri: una vera e propria truffa di etichette[17], del tipo di quelle che la giurisprudenza di Strasburgo mirerebbe a ‘smascherare’ tramite l’estensione della ‘materia penale’ e delle relative garanzie, sulla base di criteri di ordine sostanziale. Come si è detto, un obiettivo mancato nel caso di specie[18].
A ben vedere, questo delle misure ante o praeter delictum è il settore in cui la nostra legislazione ha mostrato con maggiore ‘costanza’ il carattere dell’emergenza ed al suo interno, in particolare, per quel che concerne le misure destinate al controllo dell’attività mafiosa. I risultati di questa risalente attività di ‘prevenzione’ sono stati, com’è sotto gli occhi di tutti, a dir poco deludenti dal punto di vista della prevenzione patrimoniale e controproducenti dal punto di vista della prevenzione personale[19]. Quest’ultima, infatti, ha finito per determinare una più ampia diffusione del fenomeno che s’intendeva combattere: nelle sedi di soggiorno obbligato si sono riprodotte quelle forme di criminalità di stampo mafioso che, in precedenza, caratterizzavano soltanto le zone di provenienza dei prevenuti[20].
È bene riflettere sul fatto che tali risultati, deludenti quando non controproducenti, fanno seguito ad una normativa sempre più disinvolta, quanto a rispetto delle garanzie, quasi a dimostrazione dell’assunto secondo cui rigore indiscriminato non equivale affatto ad efficienza.
L’esigenza primaria che ha caratterizzato, e continua a caratterizzare, l’utilizzazione delle misure di prevenzione antimafia, a partire dalla legge 25 agosto 1863 n. 1409, “Procedura per la repressione del brigantaggio e dei camorristi nelle provincie infette”, e via via attraverso la successiva legislazione, ottocentesca e dei primi decenni del Novecento, di pubblica sicurezza, fino alla legge La Torre del 1982 e all’attuale Codice delle leggi antimafia e delle misure di prevenzione[21], è stata quella di disporre di scorciatoie probatorie in rapporto all’accertamento di fatti di reato. Altra costante, non meno significativa, e sulla quale converrà riflettere, è data dal fatto che sin dal 1865 l’intervento di prevenzione antimafia si è sovente articolato in un duplice ordine di misure, di tipo personale e di tipo patrimoniale[22].
E in realtà, è stata proprio la riscoperta di queste ultime quale significativo – sul piano delle aspettative – strumento di lotta alla criminalità organizzata, che ha determinato un’ulteriore valorizzazione del sistema di prevenzione. Siamo convinti che la dubbia costituzionalità delle misure di prevenzione, da tempo segnalata da autorevole dottrina[23], avrebbe determinato alla lunga il loro abbandono da parte dell’ordinamento[24].
Già con la legge n. 575/1965 era stata prevista, all’art. 1, la fattispecie di pericolosità di “indiziato di appartenere ad associazioni mafiose”, che rendeva applicabile la misura della sorveglianza speciale con obbligo o divieto di soggiorno. Ma fu solo con la legge La Torre, che la normativa di prevenzione antimafia subì un notevole ampliamento; ad essa è succeduta una nutrita serie di interventi legislativi, di stile emergenziale, contenenti ulteriori modifiche, non sempre provvide, che hanno dato vita ad un quadro di difficilissima lettura[25], rimasto tale, nella sostanza, anche a seguito all’opera di razionalizzazione sistematica, realizzata con il d.lgs. n. 159/2011[26].
L’aspetto più rilevante di questa normativa è dato dalla previsione di misure, cautelari e definitive, di tipo patrimoniale ed interdittivo, che si affiancano a quelle personali tradizionali; esse, tuttavia, al pari di queste ultime presentano l’inconveniente della forte problematicità sotto il profilo del rispetto delle garanzie individuali[27] e, fatto altrettanto inquietante, si sono rivelate di assai dubbia efficacia[28] .
Le misure di tipo cautelare consistono nella sospensione, tra l’altro, di licenze, concessioni, autorizzazioni, iscrizioni ad albi ed erogazioni di contributi (art. 67, co. 3 d.lgs. n. 159/2011); nell’imposizione di una cauzione (art. 31 d.lgs. n. 159/2011); nel sequestro, che ha ad oggetto beni di cui la persona, nei confronti della quale si è aperto procedimento di prevenzione, ha la disponibilità diretta o anche indiretta, quando vi sia il sospetto che siano frutto di attività illecite o ne costituiscano il reimpiego. Tra i “sufficienti indizi” su cui può essere fondato il sospetto, l’unico tipizzato è la notevole sperequazione tra il valore dei beni di cui la persona dispone e il reddito dichiarato o l’attività svolta (art. 20 d.lgs. n. 159/2011).
Le misure definitive, che si applicano a chi sia sottoposto a misure di tipo personale, riguardano la decadenza, tra l’altro, da licenze, concessioni, autorizzazioni, iscrizioni ad albi, erogazioni, che può colpire, per un periodo di cinque anni, anche i conviventi, nonché le persone giuridiche di cui il prevenuto sia l’amministratore o ne “determini in qualsiasi modo scelte ed indirizzi” (artt. 67 e 68 d.lgs. n. 159/2011); la confisca della cauzione, nel caso di violazione degli obblighi connessi alla misura di prevenzione personale (art. 32 d.lgs. n. 159/2011); la confisca dei beni sottoposti a sequestro, che consiste nella loro devoluzione allo Stato, quando non sia stata dimostrata la legittima provenienza dei beni (art. 24 d.lgs. n. 159/2011).
L’estensione degli effetti delle misure anche a persone diverse dal prevenuto rende, al di là della dimensione del sospetto – che, comunque, fa da sfondo all’applicazione della misura –, ancor più stridente il contrasto tra la normativa in esame ed i principi di difesa, di non colpevolezza e di responsabilità personale, e non ci sembra che possano qui invocarsi etichette o classificazioni formali; a venir pesantemente in questione sono diritti di libertà dell’individuo, che da quei principi traggono tutela.
Un’altra peculiarità della normativa in questione, che suscita perplessità sotto il profilo della legittimità costituzionale relativamente ai principi di ragionevolezza e di rieducazione, è data dalla previsione di inasprimenti di pena per una lunga serie di reati, quando sono commessi da soggetti sottoposti a misure di prevenzione, a norma dell’art. 71 d.lgs. 159/2011[29]. In effetti, contrariamente ad elementari regole di ragionevolezza, assecondando desocializzanti parametri di Lebensführungsschuld, in base alle disposizioni richiamate viene ad essere assunto a presupposto per l’aggravamento della pena un mero status del reo, che non ha affatto i requisiti della circostanza legata alla commissione del fatto di reato. Correttamente inteso, questo status può, in diritto penale del fatto, soltanto configurarsi come un dato utilizzabile ai fini della conoscenza della personalità del reo, che risulterà rilevante, eventualmente, in rapporto alla valutazione espressa secondo i criteri di cui alla norma dell’art. 133 co. 2 c.p.
In assenza di un esplicito riconoscimento delle misure di prevenzione nella Carta costituzionale, pur essendo tali sanzioni ben presenti nell’esperienza giuridica italiana precedente l’emanazione della Costituzione, è legittimo porsi l’interrogativo relativo al fondamento della limitazione dei diritti fondamentali, nei confronti di chi non abbia violato la legge penale, sulla base di un mero sospetto, consentendo in tal modo espressioni arbitrarie del potere[30].
Se a ciò si aggiunge il dato della scarsa efficacia sinora dimostrata dalle misure di prevenzione, che non sono riuscite a fare da supporto ad un non particolarmente efficace controllo strettamente penale, si ha la conferma di una verità, che attualmente pare fin troppo trascurata, secondo cui gli sforzi maggiori per combattere fenomeno criminali, che traggono origine da condizioni di profondo disagio socio-individuale, vanno operati nella rimozione di quelle condizioni con serietà d’intenti e competenza, abbandonando fuorvianti illusioni di tipo poliziesco[31]. Vanno dunque tagliate le radici culturali, istituzionali e sociali con un’opera di effettiva prevenzione di tipo politico ed economico in senso ampio, che sia espressione di un ampio disegno strategico di interventi multiagenziali a più livelli.
* Il presente lavoro è destinato agli Scritti in onore di Lucio Monaco.
[1] È questo un giudizio cha ha accomunato, in passato, autorevoli esponenti di diversi settori della scienza giuridica, cfr. Elia, Libertà personale e misure di prevenzione, Milano 1962, passim; Vassalli, Misure di prevenzione e diritto penale, in Studi in onore di B. Petrocelli, vol. III, Milano 1972, p. 1628; Bricola, Forme di tutela ‘ante delictum’ e profili costituzionali della prevenzione, in Aa.Vv., Le misure di prevenzione, Milano 1975, p.68 ss.; Amodio, Il processo di prevenzione: l’illusione della giurisdizionalità, in Giust. pen. 1975, III, p. 498; Corso, Profili costituzionali delle misure di prevenzione, in Aa.Vv., La legge antimafia tre anni dopo, a cura di G. Fiandaca e S. Costantino, Milano 1986, p. 125 s. Per un diverso orientamento, per tutti, cfr. Nuvolone, Misure di sicurezza e misure di prevenzione, in Enc. dir., vol. XXVI, Milano 1976, p. 634. La particolare problematicità delle misure di prevenzione trova, aatualmente, conferma nei contenuti del dibattito dottrinale in materia: per un significativo sguardo d’insieme v. Speciale “Delle pene senza delitto”. Le misure di prevenzione nel sistema contemporaneo: dal bisogno di controllo all’imputazione del sospetto. Atti del V Convegno nazionale dell’Associazione Italiana dei Professori di Diritto Penale (Milano, 18/19 novembre 2016), in Riv. it. dir. proc. pen., 2017, p. 399 ss.
[2] Legge interamente abrogata dall’art. 120, co. 1, lett. b), d.lgs. n. 159/2011.
[3] Cfr. Fiandaca, La prevenzione antimafia tra difesa sociale e garanzie di legalità, in Foro it., II, 1987, p. 364 ss.; Id., Commento all’art.3 1. 3/8/1988 n.327, in Legisl. pen. 1989, p. 26; Id., Misure di prevenzione, in Dig. disc. pen., vol. VIII, Torino 1994, p. 116; Vidiri, Nuovo processo penale e processo di prevenzione: quale cultura per quale giudice?, in Cass. pen. 1992, p. 200-201. Per un diverso ordine di idee, cfr. E. Gallo, Misure di prevenzione, in Enc. giur. Treccani, XX, Roma 1990, pp. 6-7, ma v. anche pp. 14-15; Tessitore, Spunti di riflessione sui rapporti tra processo penale e procedimento di prevenzione nella nuova legge antimafia, in Foro it. 1984, IV, c. 257-259.
[4] Corte cost., 23 marzo 1964 n.23, con nota di De Franco, Riserva di legge e determinatezza» delle previsioni di pericolosità sociale ex 1. n.1423/1956, in Riv. it. dir. proc. pen., 1965, p. 105 ss.
[5] Legge interamente abrogata dall’art. 120, co. 1, lett. a), d.lgs. n. 159/2011.
[6] L’art. 120, lett. f), d.lgs. n. 159/2011, ha abrogato gli artt. da 2 ad 11 e gli artt. 13 e 15 della l. n. 327/1988. Su quest’ultima v. Fiandaca, Commento all’art.2 1 3/8/1988 n.327, in Legisl. pen. 1989, p. 23 s.
[7] Come già ebbe a segnalare Barbera, I principi costituzionali della libertà personale, Milano 1967, p. 229; e come sottolinea chiaramente Manna, Misure di prevenzione e diritto penale: una relazione difficile, Pisa 2019, p. 100 ss. V. anche Orlandi, La fattispecie di pericolosità. Presupposti di applicazione delle misure e tipologie soggettive nella prospettiva processuale, in Riv. it. dir. proc. pen., 2017, p. 470 ss. Questo aspetto risulta oggi di particolare evidenza in riferimento al procedimento di prevenzione nei confronti di coloro che non siano soltanto ‘indiziati’ o non compiano atti meramente preparatori di determinate attività illecite, ma realizzino atti ‘esecutivi’, ai fini indicati nell’art. 4, lett. d) e lett. f), d.lgs. n. 159/2011, nella versione introdotta dalla l. n. 161/2017. Come puntualmente evidenziato da Pelissero, Le misure di prevenzione, in DisCrimen, 13.2.2020, p. 21, nei casi indicati, l’applicabilità delle misure di prevenzione anche agli autori di atti ‘esecutivi’, determina una palese sovrapposizione del procedimento di prevenzione al vero e proprio procedimento penale, tale da rendere ancor più evidente la ‘scorciatoia probatoria’ insita nel ricorso al primo in luogo – se non in aggiunta – del secondo.
[8] V. Corte EDU, 23 febbraio 2017, n. 43395/09, de Tommaso c. Italia, in Cass. pen., 2017, 2071 ss. Sulla pronuncia della Corte europea v. i commenti di Viganò, La Corte di Strasburgo assesta un duro colpo alla disciplina italiana delle misure di prevenzione personale, in Dir. pen. cont. – Riv. online, 3 marzo 2017, e Maugeri, Misure di prevenzione e fattispecie di pericolosità generica: la Corte Europea condanna l’Italia per la mancanza di qualità delle “legge”, ma una rondine non fa primavera, ivi, 6 marzo 2017.
[9] V. Corte cost., 27 febbraio 2019, n. 24, in Giur. cost., 2019, 292 ss. Per la precisione, la Corte costituzionale ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 1 della l. n. 1423/1956, nel testo vigente sino all’entrata in vigore del d.lgs. n. 159/2011, e dell’art. 4, co. 1, lettera c), d.lgs. n. 159/2011, nella parte in cui consentono l’applicazione della misura di prevenzione personale della sorveglianza speciale di pubblica sicurezza, con o senza obbligo o divieto di soggiorno, anche ai soggetti indicati nel testo; e, inoltre, dell’art. 19 l. n.152/1975, nel testo vigente sino all’entrata in vigore del d.lgs. n. 159/2011, e dell’art. 16 d.lgs. n.159/2011, nella parte in cui stabiliscono l’applicazione ai suddetti soggetti delle misure di prevenzione patrimoniali del sequestro e della confisca. A commento della sentenza, v., tra gli altri, Manna, Misure di prevenzione e diritto penale, cit., p. 182 ss.
[10] Sui profili critici dell’interpretazione ‘tassativizzante’, in generale e con particolare riferimento alla materia delle misure di prevenzione v. Palazzo, Per un ripensamento radicale del sistema di prevenzione ante delictum, in Criminalia 2017, p. 144 ss.
[11] Sul punto v. la condivisibile opinione critica di Pelissero, Le misure di prevenzione, cit., p. 17 ss. Più ampiamente, sull’indeterminatezza delle fattispecie di ‘pericolosità generica’, v. Id., I destinatari della prevenzione praeter delictum: la pericolosità da prevenire e la pericolosità da punire, in Riv. it. dir. proc. pen., 2017, p. 450 ss.
[12] Ancor prima della citata sentenza sul caso de Tommaso c. Italia, v. Corte EDU, 22 febbraio1994, n. 281, Raimondo c. Italia, in Riv. it. dir. umani, 1994, p. 95.
[13] V. Corte EDU, 8 giugno 1976, n. 5100/71, Engel e altri c. Paesi Bassi.
[14] Sul fondamento preventivo e non repressivo delle misure di prevenzione v. Corte cost., 23 luglio 2010, n. 282, in Cass. pen., 2011, p. 2187 ss., conforme alle precedenti sentenze della stessa Corte n. 23/1964 e n. 27/1959.
[15] Sul sospetto come presunzione di colpevolezza si vedano le splendide pagine di Mereu, Storia dell’intolleranza in Europa. Sospettare e punire, Milano 1979, p. 122 ss.
[16] Cfr. per tutti Corso, Profili costituzionali delle misure di prevenzione: aspetti teorici e prospettive di riforma, in Aa.Vv., La legge antimafia tre anni dopo, cit., p. 140; Bricola, Legalità e crisi: l’art. 25, commi 2° e 3° della Costituzione rivisitato alla fine degli anni ’70, in Quest. crim., 1980, p. 266.
[17] Cfr. sul tema Fiandaca, Le misure di prevenzione cambiano trucco (ma non volto), in Legisl. pen. 1989, p. 24.
[18] Sull’applicazione dei c.d. criteri Engel al problema della natura giuridica delle misure di prevenzione v. Manna, Misure di prevenzione e diritto penale, cit., p. 197 ss.
[19] V. Balbi, Le misure di prevenzione personali, in Riv. it. dir. proc. pen., 2017, p. 510, che sottolinea il “carattere intimamente desocializzante” delle misure di prevenzione personale, definite “uno strumento criminogeno funzionale alla neutralizzazione di soggetti assunti – in modo più o meno ragionevole, più o meno arbitrario – come socialmente pericolosi”.
[20] Cfr., per tutti, Fiandaca, Misure di prevenzione, cit., pp.112-113; pp.117-118.
[21] Per un’efficace ricostruzione dell’evoluzione storica delle misure di prevenzione v. Manna, Misure di prevenzione e diritto penale, cit., p. 29 ss.
[22] Si veda, in proposito, l’elegante contributo di Carlo Fiore, Il controllo della criminalità organizzata nello stato liberale: strumenti legislativi e atteggiamenti della cultura giuridica, in Studi storici 1988, p. 421 ss.; sul tema v. anche Tessitore, Emergenza e garantismo nella legislazione antimafia. Profili storici: dall’Unità al fascismo, in Nuovi quaderni del meridione 1985, p. 405 s. Per una felice ricostruzione di talune costanti emergenziali nella legislazione penale italiana, a partire dall’Ottocento, cfr. Aa.Vv., Giustizia penale e ordine in Italia tra Otto e Novecento, a cura di L. Martone, Napoli 1996, passim.
[23] Cfr., per tutti, Bricola, Forme di tutela ‘ante delictum’ e profili costituzionali della prevenzione, cit., p. 29 ss.; Id., Politica criminale e politica penale dell’ordine pubblico (a proposito della l. 22/5/75, n.152), in Quest. crim., 1975, p. 221 ss.
[24] Cfr. C. Fiore, S. Fiore, Diritto penale. Parte generale, 6a ed., Milano 2020, pp. 770-771 (nota 2).
[25] Cfr. sull’argomento Curi, Le misure di prevenzione: profili sostanziali, in Aa.Vv., Mafia e criminalità organizzata, a cura di P.Corso, G.Insolera e L.Stortoni, Torino 1995, p. 210 s.
[26] Ricordiamo che lo stesso d.lgs. n. 159/2011 è stato oggetto di successive integrazioni e modifiche. Tra gli strumenti normativi specificamente destinati a tale scopo, v. d.lgs. 15 novembre 2012, n. 218 «Disposizioni integrative e correttive al decreto legislativo 6 settembre 2011, n. 159, recante codice delle leggi antimafia e delle misure di prevenzione, nonché nuove disposizioni in materia di documentazione antimafia, a norma degli articoli 1 e 2, della legge 13 agosto 2010, n. 136»; d.lgs. 13 ottobre 2014, n. 153 «Ulteriori disposizioni integrative e correttive al decreto legislativo 6 settembre 2011, n. 159, recante codice delle leggi antimafia e delle misure di prevenzione, nonché nuove disposizioni in materia di documentazione antimafia, a norma degli articoli 1 e 2 della legge 13 agosto 2010, n. 136»; l. 6 agosto 2015, n. 121 «Modifica al codice delle leggi antimafia e delle misure di prevenzione, di cui al decreto legislativo 6 settembre 2011, n. 159, in materia di soggetti sottoposti alla verifica antimafia»; l. 17 ottobre 2017, n. 161 «Modifiche al codice delle leggi antimafia e delle misure di prevenzione, di cui al decreto legislativo 6 settembre 2011, n. 159, al codice penale e alle norme di attuazione, di coordinamento e transitorie del codice di procedura penale e altre disposizioni. Delega al Governo per la tutela del lavoro nelle aziende sequestrate e confiscate»; d.l. 4 ottobre 2018, n. 113 «Disposizioni urgenti in materia di protezione internazionale e immigrazione, sicurezza pubblica, nonché misure per la funzionalità del Ministero dell’interno e l’organizzazione e il funzionamento dell’Agenzia nazionale per l’amministrazione e la destinazione dei beni sequestrati e confiscati alla criminalità organizzata». Critico sul d.lgs. n. 159/2011, che non considera, in realtà, un ‘codice’, ma un Testo unico ‘malfatto’, perché incapace di mettere ordine nella disciplina, di cui si limita a riprodurre le disposizioni, Padovani, Misure di sicurezza e misure di prevenzione, Pisa 2014, pp. 252-253.
[27] Sulla controversa legittimità delle misure di prevenzione patrimoniali v. Maugeri, La legittimità della confisca di prevenzione come modello di “processo” al patrimonio tra tendenze espansive e sollecitazioni sovranazionali, in Riv. it. dir. proc. pen., 2017, p. 583 ss.
[28] Cfr. Fiandaca, Misure di prevenzione, cit., p. 123; sulle misure di prevenzione di tipo patrimoniale, si veda anche il pregevole contributo di Amodio, La misura di prevenzione patrimoniale nella legge antimafia, in Giust. pen., III, 1985, p. 632 ss.
[29] Sull’argomento cfr. De Vero, La circostanza aggravante del metodo e del fine di agevolazione mafiosa: profili sostanziali e processuali, in Riv. it. dir. proc. pen. 1997, p. 42 ss. Anche l’art. 71, d.lgs. 159/2011, come gli abrogati artt. 6, 7 e 9 1. n. 575/1965 – a cui esso, di fatto, corrisponde – ha subito, nel tempo, modifiche, per effetto del d.l. n.7/2015, convertito in l. n.43/2015, e della l. n.161/2017.
[30] Cfr. sull’argomento Barile, Diritti dell’uomo e libertà fondamentali, Bologna 1984, p. 387.
[31] Cfr. Bricola, Forme di tutela “ante delictum” e profili costituzionali della prevenzione, cit., p. 74 s.
Le misure di prevenzione: un esempio paradigmatico di truffa delle etichette
Le misure di prevenzione: un esempio paradigmatico di truffa delle etichette*
La legge n. 646/1982, oltre ad introdurre la figura di reato dell’associazione di tipo mafioso, tra l’altro, modificò la fattispecie di pericolosità, al cui compimento consegue, com’è noto, l’applicazione della misura di prevenzione: la sanzione più problematica che un ordinamento ispirato ai principi garantistici dello stato sociale di diritto possa conoscere[1].
La fattispecie di pericolosità mafiosa, dal punto di vista strutturale, venne modellata esattamente sull’ipotesi delittuosa di associazione, contestualmente inserita nell’art. 416 bis c.p. e censurabile (anche) sotto il profilo della sufficiente determinatezza. Infatti, l’art. 13 l. n. 646/1982 modificò l’art.1 l. 31 maggio 1965 n. 575[2], disponendo l’applicabilità delle misure di prevenzione “agli indiziati di appartenere ad associazioni di tipo mafioso, alla camorra o ad altre associazioni comunque localmente denominate, che perseguono finalità o agiscono con metodi corrispondenti a quelli delle associazioni di tipo mafioso”. Com’è noto, con il riordino della materia – avvenuto con il d.lgs. n. 159/2011, recante il «Codice delle leggi antimafia e delle misure di prevenzione, nonché nuove disposizioni in materia di documentazione antimafia, a norma degli articoli 1 e 2 della legge 13 agosto 2010, n. 136» – l’intera l. n. 575/1965 è stata abrogata e la citata fattispecie di pericolosità ha trovato collocazione nell’art. 4, co. 1, lett. a), d.lgs. n. 159/2011, che dispone l’applicazione delle misure di prevenzione personali di competenza dell’autorità giudiziaria «agli indiziati di appartenere alle associazioni di cui all’articolo 416-bis c.p.». L’art. 16, co. 1 lett. a) dello stesso decreto rinvia, poi, all’intero art. 4, nell’indicare i destinatari delle misure di prevenzione patrimoniali. Dunque, nell’attuale formulazione, la fattispecie di pericolosità mafiosa, rilevante ai fini del procedimento di prevenzione, richiama in via diretta il contenuto della fattispecie incriminatrice di cui all’art. 416-bis c.p., recependone, inevitabilmente, la scarsa determinatezza.
Se il deficit di determinatezza si presenta come, a dir poco, problematico, con riferimento alla norma di parte speciale, destinata a tradursi in capo d’imputazione all’interno del processo penale, le cose si complicano ulteriormente per la fattispecie di pericolosità che, fondandosi su di una base fattuale carente sotto il profilo della tassatività, deve necessariamente assumere la fisionomia di una pura fattispecie di sospetto, con esiti assolutamente inappaganti sul piano della certezza del diritto. A ciò si aggiunga che, sotto il profilo probatorio, la presenza di indizi farebbe venir meno la stessa esigenza di attivare il procedimento di prevenzione a favore del promovimento del processo penale[3].
Eppure la Corte costituzionale già da lunga data, in un’importante decisione, contenuta nella sentenza 23 marzo 1964 n. 23[4], in materia di fattispecie di pericolosità, aveva indicato nella “oggettiva valutazione di fatti” il concretizzarsi dell’interazione garantistica tra legalità e giurisdizione, per superare la logica del mero sospetto in rapporto alla definizione dei presupposti per l’applicazione delle misure di prevenzione. In realtà, però, avviene che non è il piano fattuale, malgrado l’autorevole e chiara indicazione della Consulta, a venire in questione per individuare la base dell’accertamento richiesto ai fini dell’applicazione delle misure di prevenzione. E questo dato sembra valere anche al di là del contesto normativo antimafia, in quanto anche le fattispecie “indiziarie”, introdotte, per finalità di garanzia, nell’art. 1 l. 27 dicembre 1956 n. 1423[5] ad opera dell’art. 2 l. 3 agosto 1988 n. 327[6] ed oggi trasfuse nell’art. 1 d.lgs. 159/2011, restano in definitiva delle fattispecie di sospetto che continuano, nella sostanza, ad assegnare al sistema delle misure di prevenzione il compito di sostituirsi alla ben più garantita attività di controllo del diritto penale del fatto, quando quest’ultima risulti inattuabile per carenza dei presupposti probatori[7].
Quest’ultimo ordine di considerazioni ha trovato, del resto, parziale conferma nella recente sentenza 27 febbraio 2019 n. 24, con cui la Corte costituzionale, sulla scia della pronuncia della Corte EDU del 23 febbraio 2017, n. 43395/09[8], de Tommaso c. Italia, ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’applicazione della misura di prevenzione personale della sorveglianza speciale di pubblica sicurezza, con o senza obbligo o divieto di soggiorno, nonché delle misure di prevenzione patrimoniali del sequestro e della confisca, ai soggetti indicati, prima, nell’art. 1, n. 1, l. n. 1423/1956 e, poi, nell’art. 1, lett. a), d.lgs. n. 159/2011, vale a dire «coloro che debbano ritenersi, sulla base di elementi di fatto, abitualmente dediti a traffici delittuosi»[9].
Quest’ultima decisione, tuttavia, non è il risultato di un risolutivo e formale riconoscimento dell’incompatibilità delle fattispecie di ‘pericolosità generica’, oggetto del procedimento di prevenzione, con il principio di legalità in materia penale (art. 25, co. 2 e 3, Cost.).
Innanzitutto, perché essa lascia sopravvivere l’applicazione delle misure di prevenzione alle altre categorie di soggetti analogamente definite. In particolare, nella stessa sentenza, la Corte dichiara inammissibili le questioni di legittimità costituzionale relative alla fattispecie di pericolosità di cui alla lett. b) dell’art. 1 d.lgs n. 159/2011 – nella versione vigente «coloro che per la condotta ed il tenore di vita debba ritenersi, sulla base di elementi di fatto, che vivono abitualmente, anche in parte, con i proventi di attività delittuose» –, ritenendo che il significato di tale fattispecie sia ricavabile in maniera sufficientemente precisa dall’interpretazione ‘tassativizzante’[10] della giurisprudenza di legittimità[11].
Tralasciando ogni possibile considerazione sull’impiego del criterio del ‘diritto vivente’ in giudizi attinenti alla formulazione delle norme, va, inoltre, sottolineato come le stesse dichiarazioni d’illegittimità, cui perviene la sentenza n. 24/2019, concernenti l’applicazione delle misure di prevenzione a «coloro che debbano ritenersi, sulla base di elementi di fatto, abitualmente dediti a traffici delittuosi», non trovino fondamento nell’art. 25, co. 2 e 3 Cost. – pure chiamato in causa dai giudici rimettenti, con riferimento al co. 3 –, bensì nel contrasto tra le norme oggetto di giudizio e l’art. 117 Cost., per il tramite dell’art. 2 Prot. 4 CEDU, per le misure di prevenzione personali, e dell’art. 1 del Prot. add. Cedu, per le misure di prevenzione patrimoniali, la cui applicazione ai soggetti in questione violerebbe anche l’art. 42 Cost.
La recente sentenza della Corte costituzionale si colloca, dunque, nel solco della pronuncia della Corte Edu, De Tommaso c. Italia, che già aveva riconosciuto il contrasto della disciplina delle misure di prevenzione personali, fondate sulle fattispecie di pericolosità ‘generica’, con la libertà di circolazione, tutelata dall’art. 2 Prot. 4 CEDU; e ciò per l’inidoneità delle previsioni, su cui si fondano tali misure, a costituire una base legale non solo accessibile per l’interessato, ma anche tale da consentirgli di prevedere ragionevolmente la restrizione del diritto convenzionale in conseguenza della propria condotta. Come già aveva fatto la Corte europea[12], tradendo la vocazione garantista dei c.d. criteri Engel[13], la Corte costituzionale nega – confermando quanto sostenuto in passato[14] – la natura penale delle misure di prevenzione e, dunque, il loro contrasto con il principio di legalità vigente nel diritto penale.
Ed è questo il più grave limite degli orientamenti giurisprudenziali – nazionali ed europei –in materia. Essi contraddicono ciò che, a ben vedere, è nella natura delle cose: infatti, qualsiasi richiamo, normativo e non, al privilegio di elementi fattuali nell’accertamento della fattispecie di pericolosità è destinato a restare un’astratta affermazione di principio, dal momento che, come già si è accennato, qualora tali elementi fattuali integranti veri e propri indizi fossero acquisiti, vi sarebbero i presupposti per far scattare il processo penale al posto del procedimento di prevenzione. E ciò ha come conseguenza la trasformazione delle misure, da formalmente preventive a sostanzialmente repressive, con il pieno recupero del problema delle garanzie proprie del diritto penale: a partire dalla presunzione di non colpevolezza[15], che ritorna all’attenzione con tutte le sue significative implicazioni di tipo formale e di tipo assiologico[16].
È possibile, allora, parlare di fattispecie indiziarie di sospetto che fungono da sostitutivi di vere e proprie fattispecie criminose, risultate inapplicabili per carenza di necessari riscontri: una vera e propria truffa di etichette[17], del tipo di quelle che la giurisprudenza di Strasburgo mirerebbe a ‘smascherare’ tramite l’estensione della ‘materia penale’ e delle relative garanzie, sulla base di criteri di ordine sostanziale. Come si è detto, un obiettivo mancato nel caso di specie[18].
A ben vedere, questo delle misure ante o praeter delictum è il settore in cui la nostra legislazione ha mostrato con maggiore ‘costanza’ il carattere dell’emergenza ed al suo interno, in particolare, per quel che concerne le misure destinate al controllo dell’attività mafiosa. I risultati di questa risalente attività di ‘prevenzione’ sono stati, com’è sotto gli occhi di tutti, a dir poco deludenti dal punto di vista della prevenzione patrimoniale e controproducenti dal punto di vista della prevenzione personale[19]. Quest’ultima, infatti, ha finito per determinare una più ampia diffusione del fenomeno che s’intendeva combattere: nelle sedi di soggiorno obbligato si sono riprodotte quelle forme di criminalità di stampo mafioso che, in precedenza, caratterizzavano soltanto le zone di provenienza dei prevenuti[20].
È bene riflettere sul fatto che tali risultati, deludenti quando non controproducenti, fanno seguito ad una normativa sempre più disinvolta, quanto a rispetto delle garanzie, quasi a dimostrazione dell’assunto secondo cui rigore indiscriminato non equivale affatto ad efficienza.
L’esigenza primaria che ha caratterizzato, e continua a caratterizzare, l’utilizzazione delle misure di prevenzione antimafia, a partire dalla legge 25 agosto 1863 n. 1409, “Procedura per la repressione del brigantaggio e dei camorristi nelle provincie infette”, e via via attraverso la successiva legislazione, ottocentesca e dei primi decenni del Novecento, di pubblica sicurezza, fino alla legge La Torre del 1982 e all’attuale Codice delle leggi antimafia e delle misure di prevenzione[21], è stata quella di disporre di scorciatoie probatorie in rapporto all’accertamento di fatti di reato. Altra costante, non meno significativa, e sulla quale converrà riflettere, è data dal fatto che sin dal 1865 l’intervento di prevenzione antimafia si è sovente articolato in un duplice ordine di misure, di tipo personale e di tipo patrimoniale[22].
E in realtà, è stata proprio la riscoperta di queste ultime quale significativo – sul piano delle aspettative – strumento di lotta alla criminalità organizzata, che ha determinato un’ulteriore valorizzazione del sistema di prevenzione. Siamo convinti che la dubbia costituzionalità delle misure di prevenzione, da tempo segnalata da autorevole dottrina[23], avrebbe determinato alla lunga il loro abbandono da parte dell’ordinamento[24].
Già con la legge n. 575/1965 era stata prevista, all’art. 1, la fattispecie di pericolosità di “indiziato di appartenere ad associazioni mafiose”, che rendeva applicabile la misura della sorveglianza speciale con obbligo o divieto di soggiorno. Ma fu solo con la legge La Torre, che la normativa di prevenzione antimafia subì un notevole ampliamento; ad essa è succeduta una nutrita serie di interventi legislativi, di stile emergenziale, contenenti ulteriori modifiche, non sempre provvide, che hanno dato vita ad un quadro di difficilissima lettura[25], rimasto tale, nella sostanza, anche a seguito all’opera di razionalizzazione sistematica, realizzata con il d.lgs. n. 159/2011[26].
L’aspetto più rilevante di questa normativa è dato dalla previsione di misure, cautelari e definitive, di tipo patrimoniale ed interdittivo, che si affiancano a quelle personali tradizionali; esse, tuttavia, al pari di queste ultime presentano l’inconveniente della forte problematicità sotto il profilo del rispetto delle garanzie individuali[27] e, fatto altrettanto inquietante, si sono rivelate di assai dubbia efficacia[28] .
Le misure di tipo cautelare consistono nella sospensione, tra l’altro, di licenze, concessioni, autorizzazioni, iscrizioni ad albi ed erogazioni di contributi (art. 67, co. 3 d.lgs. n. 159/2011); nell’imposizione di una cauzione (art. 31 d.lgs. n. 159/2011); nel sequestro, che ha ad oggetto beni di cui la persona, nei confronti della quale si è aperto procedimento di prevenzione, ha la disponibilità diretta o anche indiretta, quando vi sia il sospetto che siano frutto di attività illecite o ne costituiscano il reimpiego. Tra i “sufficienti indizi” su cui può essere fondato il sospetto, l’unico tipizzato è la notevole sperequazione tra il valore dei beni di cui la persona dispone e il reddito dichiarato o l’attività svolta (art. 20 d.lgs. n. 159/2011).
Le misure definitive, che si applicano a chi sia sottoposto a misure di tipo personale, riguardano la decadenza, tra l’altro, da licenze, concessioni, autorizzazioni, iscrizioni ad albi, erogazioni, che può colpire, per un periodo di cinque anni, anche i conviventi, nonché le persone giuridiche di cui il prevenuto sia l’amministratore o ne “determini in qualsiasi modo scelte ed indirizzi” (artt. 67 e 68 d.lgs. n. 159/2011); la confisca della cauzione, nel caso di violazione degli obblighi connessi alla misura di prevenzione personale (art. 32 d.lgs. n. 159/2011); la confisca dei beni sottoposti a sequestro, che consiste nella loro devoluzione allo Stato, quando non sia stata dimostrata la legittima provenienza dei beni (art. 24 d.lgs. n. 159/2011).
L’estensione degli effetti delle misure anche a persone diverse dal prevenuto rende, al di là della dimensione del sospetto – che, comunque, fa da sfondo all’applicazione della misura –, ancor più stridente il contrasto tra la normativa in esame ed i principi di difesa, di non colpevolezza e di responsabilità personale, e non ci sembra che possano qui invocarsi etichette o classificazioni formali; a venir pesantemente in questione sono diritti di libertà dell’individuo, che da quei principi traggono tutela.
Un’altra peculiarità della normativa in questione, che suscita perplessità sotto il profilo della legittimità costituzionale relativamente ai principi di ragionevolezza e di rieducazione, è data dalla previsione di inasprimenti di pena per una lunga serie di reati, quando sono commessi da soggetti sottoposti a misure di prevenzione, a norma dell’art. 71 d.lgs. 159/2011[29]. In effetti, contrariamente ad elementari regole di ragionevolezza, assecondando desocializzanti parametri di Lebensführungsschuld, in base alle disposizioni richiamate viene ad essere assunto a presupposto per l’aggravamento della pena un mero status del reo, che non ha affatto i requisiti della circostanza legata alla commissione del fatto di reato. Correttamente inteso, questo status può, in diritto penale del fatto, soltanto configurarsi come un dato utilizzabile ai fini della conoscenza della personalità del reo, che risulterà rilevante, eventualmente, in rapporto alla valutazione espressa secondo i criteri di cui alla norma dell’art. 133 co. 2 c.p.
In assenza di un esplicito riconoscimento delle misure di prevenzione nella Carta costituzionale, pur essendo tali sanzioni ben presenti nell’esperienza giuridica italiana precedente l’emanazione della Costituzione, è legittimo porsi l’interrogativo relativo al fondamento della limitazione dei diritti fondamentali, nei confronti di chi non abbia violato la legge penale, sulla base di un mero sospetto, consentendo in tal modo espressioni arbitrarie del potere[30].
Se a ciò si aggiunge il dato della scarsa efficacia sinora dimostrata dalle misure di prevenzione, che non sono riuscite a fare da supporto ad un non particolarmente efficace controllo strettamente penale, si ha la conferma di una verità, che attualmente pare fin troppo trascurata, secondo cui gli sforzi maggiori per combattere fenomeno criminali, che traggono origine da condizioni di profondo disagio socio-individuale, vanno operati nella rimozione di quelle condizioni con serietà d’intenti e competenza, abbandonando fuorvianti illusioni di tipo poliziesco[31]. Vanno dunque tagliate le radici culturali, istituzionali e sociali con un’opera di effettiva prevenzione di tipo politico ed economico in senso ampio, che sia espressione di un ampio disegno strategico di interventi multiagenziali a più livelli.
* Il presente lavoro è destinato agli Scritti in onore di Lucio Monaco.
[1] È questo un giudizio cha ha accomunato, in passato, autorevoli esponenti di diversi settori della scienza giuridica, cfr. Elia, Libertà personale e misure di prevenzione, Milano 1962, passim; Vassalli, Misure di prevenzione e diritto penale, in Studi in onore di B. Petrocelli, vol. III, Milano 1972, p. 1628; Bricola, Forme di tutela ‘ante delictum’ e profili costituzionali della prevenzione, in Aa.Vv., Le misure di prevenzione, Milano 1975, p.68 ss.; Amodio, Il processo di prevenzione: l’illusione della giurisdizionalità, in Giust. pen. 1975, III, p. 498; Corso, Profili costituzionali delle misure di prevenzione, in Aa.Vv., La legge antimafia tre anni dopo, a cura di G. Fiandaca e S. Costantino, Milano 1986, p. 125 s. Per un diverso orientamento, per tutti, cfr. Nuvolone, Misure di sicurezza e misure di prevenzione, in Enc. dir., vol. XXVI, Milano 1976, p. 634. La particolare problematicità delle misure di prevenzione trova, aatualmente, conferma nei contenuti del dibattito dottrinale in materia: per un significativo sguardo d’insieme v. Speciale “Delle pene senza delitto”. Le misure di prevenzione nel sistema contemporaneo: dal bisogno di controllo all’imputazione del sospetto. Atti del V Convegno nazionale dell’Associazione Italiana dei Professori di Diritto Penale (Milano, 18/19 novembre 2016), in Riv. it. dir. proc. pen., 2017, p. 399 ss.
[2] Legge interamente abrogata dall’art. 120, co. 1, lett. b), d.lgs. n. 159/2011.
[3] Cfr. Fiandaca, La prevenzione antimafia tra difesa sociale e garanzie di legalità, in Foro it., II, 1987, p. 364 ss.; Id., Commento all’art.3 1. 3/8/1988 n.327, in Legisl. pen. 1989, p. 26; Id., Misure di prevenzione, in Dig. disc. pen., vol. VIII, Torino 1994, p. 116; Vidiri, Nuovo processo penale e processo di prevenzione: quale cultura per quale giudice?, in Cass. pen. 1992, p. 200-201. Per un diverso ordine di idee, cfr. E. Gallo, Misure di prevenzione, in Enc. giur. Treccani, XX, Roma 1990, pp. 6-7, ma v. anche pp. 14-15; Tessitore, Spunti di riflessione sui rapporti tra processo penale e procedimento di prevenzione nella nuova legge antimafia, in Foro it. 1984, IV, c. 257-259.
[4] Corte cost., 23 marzo 1964 n.23, con nota di De Franco, Riserva di legge e determinatezza» delle previsioni di pericolosità sociale ex 1. n.1423/1956, in Riv. it. dir. proc. pen., 1965, p. 105 ss.
[5] Legge interamente abrogata dall’art. 120, co. 1, lett. a), d.lgs. n. 159/2011.
[6] L’art. 120, lett. f), d.lgs. n. 159/2011, ha abrogato gli artt. da 2 ad 11 e gli artt. 13 e 15 della l. n. 327/1988. Su quest’ultima v. Fiandaca, Commento all’art.2 1 3/8/1988 n.327, in Legisl. pen. 1989, p. 23 s.
[7] Come già ebbe a segnalare Barbera, I principi costituzionali della libertà personale, Milano 1967, p. 229; e come sottolinea chiaramente Manna, Misure di prevenzione e diritto penale: una relazione difficile, Pisa 2019, p. 100 ss. V. anche Orlandi, La fattispecie di pericolosità. Presupposti di applicazione delle misure e tipologie soggettive nella prospettiva processuale, in Riv. it. dir. proc. pen., 2017, p. 470 ss. Questo aspetto risulta oggi di particolare evidenza in riferimento al procedimento di prevenzione nei confronti di coloro che non siano soltanto ‘indiziati’ o non compiano atti meramente preparatori di determinate attività illecite, ma realizzino atti ‘esecutivi’, ai fini indicati nell’art. 4, lett. d) e lett. f), d.lgs. n. 159/2011, nella versione introdotta dalla l. n. 161/2017. Come puntualmente evidenziato da Pelissero, Le misure di prevenzione, in DisCrimen, 13.2.2020, p. 21, nei casi indicati, l’applicabilità delle misure di prevenzione anche agli autori di atti ‘esecutivi’, determina una palese sovrapposizione del procedimento di prevenzione al vero e proprio procedimento penale, tale da rendere ancor più evidente la ‘scorciatoia probatoria’ insita nel ricorso al primo in luogo – se non in aggiunta – del secondo.
[8] V. Corte EDU, 23 febbraio 2017, n. 43395/09, de Tommaso c. Italia, in Cass. pen., 2017, 2071 ss. Sulla pronuncia della Corte europea v. i commenti di Viganò, La Corte di Strasburgo assesta un duro colpo alla disciplina italiana delle misure di prevenzione personale, in Dir. pen. cont. – Riv. online, 3 marzo 2017, e Maugeri, Misure di prevenzione e fattispecie di pericolosità generica: la Corte Europea condanna l’Italia per la mancanza di qualità delle “legge”, ma una rondine non fa primavera, ivi, 6 marzo 2017.
[9] V. Corte cost., 27 febbraio 2019, n. 24, in Giur. cost., 2019, 292 ss. Per la precisione, la Corte costituzionale ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 1 della l. n. 1423/1956, nel testo vigente sino all’entrata in vigore del d.lgs. n. 159/2011, e dell’art. 4, co. 1, lettera c), d.lgs. n. 159/2011, nella parte in cui consentono l’applicazione della misura di prevenzione personale della sorveglianza speciale di pubblica sicurezza, con o senza obbligo o divieto di soggiorno, anche ai soggetti indicati nel testo; e, inoltre, dell’art. 19 l. n.152/1975, nel testo vigente sino all’entrata in vigore del d.lgs. n. 159/2011, e dell’art. 16 d.lgs. n.159/2011, nella parte in cui stabiliscono l’applicazione ai suddetti soggetti delle misure di prevenzione patrimoniali del sequestro e della confisca. A commento della sentenza, v., tra gli altri, Manna, Misure di prevenzione e diritto penale, cit., p. 182 ss.
[10] Sui profili critici dell’interpretazione ‘tassativizzante’, in generale e con particolare riferimento alla materia delle misure di prevenzione v. Palazzo, Per un ripensamento radicale del sistema di prevenzione ante delictum, in Criminalia 2017, p. 144 ss.
[11] Sul punto v. la condivisibile opinione critica di Pelissero, Le misure di prevenzione, cit., p. 17 ss. Più ampiamente, sull’indeterminatezza delle fattispecie di ‘pericolosità generica’, v. Id., I destinatari della prevenzione praeter delictum: la pericolosità da prevenire e la pericolosità da punire, in Riv. it. dir. proc. pen., 2017, p. 450 ss.
[12] Ancor prima della citata sentenza sul caso de Tommaso c. Italia, v. Corte EDU, 22 febbraio1994, n. 281, Raimondo c. Italia, in Riv. it. dir. umani, 1994, p. 95.
[13] V. Corte EDU, 8 giugno 1976, n. 5100/71, Engel e altri c. Paesi Bassi.
[14] Sul fondamento preventivo e non repressivo delle misure di prevenzione v. Corte cost., 23 luglio 2010, n. 282, in Cass. pen., 2011, p. 2187 ss., conforme alle precedenti sentenze della stessa Corte n. 23/1964 e n. 27/1959.
[15] Sul sospetto come presunzione di colpevolezza si vedano le splendide pagine di Mereu, Storia dell’intolleranza in Europa. Sospettare e punire, Milano 1979, p. 122 ss.
[16] Cfr. per tutti Corso, Profili costituzionali delle misure di prevenzione: aspetti teorici e prospettive di riforma, in Aa.Vv., La legge antimafia tre anni dopo, cit., p. 140; Bricola, Legalità e crisi: l’art. 25, commi 2° e 3° della Costituzione rivisitato alla fine degli anni ’70, in Quest. crim., 1980, p. 266.
[17] Cfr. sul tema Fiandaca, Le misure di prevenzione cambiano trucco (ma non volto), in Legisl. pen. 1989, p. 24.
[18] Sull’applicazione dei c.d. criteri Engel al problema della natura giuridica delle misure di prevenzione v. Manna, Misure di prevenzione e diritto penale, cit., p. 197 ss.
[19] V. Balbi, Le misure di prevenzione personali, in Riv. it. dir. proc. pen., 2017, p. 510, che sottolinea il “carattere intimamente desocializzante” delle misure di prevenzione personale, definite “uno strumento criminogeno funzionale alla neutralizzazione di soggetti assunti – in modo più o meno ragionevole, più o meno arbitrario – come socialmente pericolosi”.
[20] Cfr., per tutti, Fiandaca, Misure di prevenzione, cit., pp.112-113; pp.117-118.
[21] Per un’efficace ricostruzione dell’evoluzione storica delle misure di prevenzione v. Manna, Misure di prevenzione e diritto penale, cit., p. 29 ss.
[22] Si veda, in proposito, l’elegante contributo di Carlo Fiore, Il controllo della criminalità organizzata nello stato liberale: strumenti legislativi e atteggiamenti della cultura giuridica, in Studi storici 1988, p. 421 ss.; sul tema v. anche Tessitore, Emergenza e garantismo nella legislazione antimafia. Profili storici: dall’Unità al fascismo, in Nuovi quaderni del meridione 1985, p. 405 s. Per una felice ricostruzione di talune costanti emergenziali nella legislazione penale italiana, a partire dall’Ottocento, cfr. Aa.Vv., Giustizia penale e ordine in Italia tra Otto e Novecento, a cura di L. Martone, Napoli 1996, passim.
[23] Cfr., per tutti, Bricola, Forme di tutela ‘ante delictum’ e profili costituzionali della prevenzione, cit., p. 29 ss.; Id., Politica criminale e politica penale dell’ordine pubblico (a proposito della l. 22/5/75, n.152), in Quest. crim., 1975, p. 221 ss.
[24] Cfr. C. Fiore, S. Fiore, Diritto penale. Parte generale, 6a ed., Milano 2020, pp. 770-771 (nota 2).
[25] Cfr. sull’argomento Curi, Le misure di prevenzione: profili sostanziali, in Aa.Vv., Mafia e criminalità organizzata, a cura di P.Corso, G.Insolera e L.Stortoni, Torino 1995, p. 210 s.
[26] Ricordiamo che lo stesso d.lgs. n. 159/2011 è stato oggetto di successive integrazioni e modifiche. Tra gli strumenti normativi specificamente destinati a tale scopo, v. d.lgs. 15 novembre 2012, n. 218 «Disposizioni integrative e correttive al decreto legislativo 6 settembre 2011, n. 159, recante codice delle leggi antimafia e delle misure di prevenzione, nonché nuove disposizioni in materia di documentazione antimafia, a norma degli articoli 1 e 2, della legge 13 agosto 2010, n. 136»; d.lgs. 13 ottobre 2014, n. 153 «Ulteriori disposizioni integrative e correttive al decreto legislativo 6 settembre 2011, n. 159, recante codice delle leggi antimafia e delle misure di prevenzione, nonché nuove disposizioni in materia di documentazione antimafia, a norma degli articoli 1 e 2 della legge 13 agosto 2010, n. 136»; l. 6 agosto 2015, n. 121 «Modifica al codice delle leggi antimafia e delle misure di prevenzione, di cui al decreto legislativo 6 settembre 2011, n. 159, in materia di soggetti sottoposti alla verifica antimafia»; l. 17 ottobre 2017, n. 161 «Modifiche al codice delle leggi antimafia e delle misure di prevenzione, di cui al decreto legislativo 6 settembre 2011, n. 159, al codice penale e alle norme di attuazione, di coordinamento e transitorie del codice di procedura penale e altre disposizioni. Delega al Governo per la tutela del lavoro nelle aziende sequestrate e confiscate»; d.l. 4 ottobre 2018, n. 113 «Disposizioni urgenti in materia di protezione internazionale e immigrazione, sicurezza pubblica, nonché misure per la funzionalità del Ministero dell’interno e l’organizzazione e il funzionamento dell’Agenzia nazionale per l’amministrazione e la destinazione dei beni sequestrati e confiscati alla criminalità organizzata». Critico sul d.lgs. n. 159/2011, che non considera, in realtà, un ‘codice’, ma un Testo unico ‘malfatto’, perché incapace di mettere ordine nella disciplina, di cui si limita a riprodurre le disposizioni, Padovani, Misure di sicurezza e misure di prevenzione, Pisa 2014, pp. 252-253.
[27] Sulla controversa legittimità delle misure di prevenzione patrimoniali v. Maugeri, La legittimità della confisca di prevenzione come modello di “processo” al patrimonio tra tendenze espansive e sollecitazioni sovranazionali, in Riv. it. dir. proc. pen., 2017, p. 583 ss.
[28] Cfr. Fiandaca, Misure di prevenzione, cit., p. 123; sulle misure di prevenzione di tipo patrimoniale, si veda anche il pregevole contributo di Amodio, La misura di prevenzione patrimoniale nella legge antimafia, in Giust. pen., III, 1985, p. 632 ss.
[29] Sull’argomento cfr. De Vero, La circostanza aggravante del metodo e del fine di agevolazione mafiosa: profili sostanziali e processuali, in Riv. it. dir. proc. pen. 1997, p. 42 ss. Anche l’art. 71, d.lgs. 159/2011, come gli abrogati artt. 6, 7 e 9 1. n. 575/1965 – a cui esso, di fatto, corrisponde – ha subito, nel tempo, modifiche, per effetto del d.l. n.7/2015, convertito in l. n.43/2015, e della l. n.161/2017.
[30] Cfr. sull’argomento Barile, Diritti dell’uomo e libertà fondamentali, Bologna 1984, p. 387.
[31] Cfr. Bricola, Forme di tutela “ante delictum” e profili costituzionali della prevenzione, cit., p. 74 s.
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