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Le Sezioni unite sulla condotta rilevante ai sensi dell’art. 513-bis c.p.

Cass. Pen., Sez. un., 28 novembre 2019, informazione provvisoria

 

Le Sezioni unite sono intervenute per chiarire che per la configurabilità dell’art. 513-bis c.p. è necessario il compimento di atti di concorrenza che, posti in essere nell’esercizio di un’attività commerciale, industriale o comunque produttiva, siano connotati da violenza o minaccia e siano idonei a contrastare od ostacolare la libertà di autodeterminazione dell’impresa concorrente.

Nella giurisprudenza di legittimità, infatti, si rinvenivano due contrapposti orientamenti, come compiutamente segnalato nell’ordinanza di rimessione.

Più precisamente, secondo un indirizzo ritenuto più aderente alla lettera della norma, l’elemento oggettivo del reato de quo consiste nella repressione delle sole condotte illecite tipicamente concorrenziali e competitive (quali il boicottaggio, lo storno dei dipendenti, il rifiuto di contrattare, et cetera) realizzate con atti di violenza o minaccia che inibiscono la normale dinamica imprenditoriale, non rientrando, invece, nella fattispecie astratta quelle condotte intimidatorie finalizzate ad ostacolare e contrastare l’altrui libera concorrenza e però poste al di fuori dell’attività concorrenziale (quali i casi di diretta aggressione ai beni dell’imprenditore concorrente o della sua persona), ferma restando l’applicabilità, in casi del genere, di altre fattispecie di reato (in questo senso, Cass. pen., Sez. II, 8 novembre 2016, n. 49365, in C.E.D. Cass., n. 268515; Cass. pen., Sez. VI, 22 settembre 2015, n. 44698, ivi, n. 265358).

Al contrario, altro indirizzo sostiene che il delitto in parola è configurabile ogni qualvolta sia realizzato un comportamento che, attraverso l’uso strumentale della violenza o della minaccia, sia idoneo ad impedire al concorrente di autodeterminarsi dell’esercizio della sua attività commerciale, industriale o comunque produttiva. In questa ottica, sono da qualificare atti di concorrenza illecita tutti quei comportamenti sia “attivi” che “impeditivi” dell’altrui concorrenza, che, commessi da un imprenditore con violenza o minaccia, sono idonei a falsare il mercato e a consentirgli di acquisire, in danno dell’imprenditore minacciato, illegittime posizioni di vantaggio sul libero mercato, senza alcun merito derivante dalla propria capacità operativa (Cass. pen., Sez. II, 13 aprile 2015, n. 18122, in C.E.D. Cass.,, n. 266847; Cass. pen., Sez. III, 10 dicembre 2015, n. 3868, ivi, n. 266180). Conseguentemente, rientrano nella fattispecie in esame non solo le condotte tipicamente concorrenziali, ma anche tutti quegli atti intimidatori che siano finalizzati a contrastare o ad ostacolare l’altrui libertà di concorrenza (Cass. pen., Sez. VI, 12 luglio 2018, n. 50084, in C.E.D. Cass., n. 274288).

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